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Torturato in Libia, la Cassazione: “No all’espulsione”

L’ordinanza della Corte di Cassazione è la numero 23355 del 24 agosto 2021 e smaschera una certa narrazione che in Europa si finge di non vedere. La vicenda riguarda un richiedente asilo della Guinea Conakry scappato dal suo Paese nel dicembre del 2014 a seguito di un’epidemia di ebola che aveva contagiato anche il cugino. Arrivato in Libia gli è accaduto ciò che accade ogni giorno a migliaia di persone: violenze, soprusi. Ben 15 mesi di sequestro a scopo di estorsione e sfruttamento lavorativo documentati con un filmato giornalistico disponibile in rete nel quale lo si riconosce facilmente, e con una serie di certificati medici che descrivono le cicatrici dei maltrattamenti subiti.

Giunto in Italia, la Commissione territoriale di Verona, sezione di Treviso, rifiuta la domanda di protezione internazionale e il profugo, difeso dall’avvocato Francesco Tartini, ha chiesto il riconoscimento della protezione umanitaria ricorrendo al Tribunale di Venezia, sezione specializzata in materia di immigrazione. Il Tribunale di Venezia aveva preso atto delle lesioni subite, ma le aveva dichiarate irrilevanti «in assenza di conseguenze attuali sulla salute e sulla persona del ricorrente». Da qui il ricorso in Cassazione contestando al Tribunale di avere violato il dovere di collaborazione istruttoria omettendo di accertare, in concreto, le effettive conseguenze sul piano psicofisico, delle violenze subite in Libia nonostante le cicatrici, i postumi dolorosi e la circostanza che il richiedente asilo non abbia potuto effettuare alcun controllo medico approfondito per assenza di risorse economiche personali, e per la mancata assistenza sanitaria da parte del centro accoglienza ospitante. Tra le parti del processo si descrivono «maltrattamenti che venivano praticati facendo mordere i prigionieri da cani, seviziandoli con lame, frustandoli con tubi di gomma e sprangandoli sui talloni».

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso «…per non aver considerato che il richiamato art. 2 lett h) bis del D.Lgs. 25/2008 (nella formulazione introdotta dal D.Lgs. 142/15) definisce quali persone vulnerabili quelle per le quali è accertato che hanno subito torture o altre forme gravi di violenza (v. pure l’art. 17 del D.Lgs 25/2008)», e rilevando ulteriormente che «…il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari costituisce una misura atipica e residuale volta ad abbracciare situazioni in cui non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (v. Cass. n. 13096 del 2019)».

Le ripetute tortura libiche, insomma, non possono essere dichiarate “irrilevanti” per la legge italiana e la sentenza assume anche una rilevanza politica: se perfino la Cassazione ritiene non trascurabili e non cavalcabili le torture in Libia viene da chiedersi come possiamo continuare noi (Italia e Europa) a ritenere i libici partner irrinunciabili nella gestione dei flussi migratori. Sta scritto dappertutto ma tutti fanno finta di niente. Questa sentenza dice che andrebbero accolti tutti, mica rispediti dai loro torturatori.

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Se l’Italia non si indigna per le agghiaccianti torture degli 007 egiziani su Giulio Regeni

Nel 2016 le commesse tra Italia e Egitto si aggiravano sui 10 milioni di euro l’anno. Nel 2019 gli scambi con l‘Egitto per l’Italia hanno superato gli 800 milioni, comprese due fregate della Marina Militare italiana che sono state vendute al Paese guidato da Al-Sisi. Ecco qui tutto il punto che dovrebbe farci indignare, gridare e continuare pervicacemente a scrivere sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore ucciso in Egitto dopo 9 giorni di sequestro.

E, se serve qualcosa per rendersi conto della feroce brutalità di cui si sta parlando, allora basta leggere le conclusioni dei pm di Roma che hanno chiuso l’inchiesta sull’uccisione del ricercatore friulano e che parlano di torture, di sevizie con oggetti roventi, di lame e di bastoni che causarono “acute sofferenze fisiche” uccidendo lentamente Giulio.

Ora ci sono, nero su bianco, anche i reati: sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Nelle carte si legge di di violenze perpetrate per “motivi abietti e futili e con crudeltà”, che hanno provocato “la perdita permanente di più organi”: Giulio è stato torturato “con acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni attraverso strumenti affilati e taglienti e di azioni con meccanismo urente”.

I colpevoli? Uomini della National Security egiziana, vicinissimi al governo: rischiano il processo il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif: “È lui ad aver torturato e ucciso Giulio”, scrivono i pm, che hanno raccolto le testimonianze di cinque testimoni oculari. Uno dei testimoni racconta di avere visto Giulio Regeni “incatenato nella sede della National Security. Era magro e aveva i segni delle torture”.

È tutto l’orrore del mondo che la mamma di Giulio Regeni aveva dichiarato alla stampa di avere ritrovato sul viso del figlio. È l’orrore di una violenza che si è burlata della giustizia italiana (i magistrati non hanno ottenuto nessun tipo di collaborazione dall’Egitto) e della nostra politica. È una storia che sanguina anche della mollezza e dell’indifferenza dei nostri governi, che con le mani sporche di sangue di Al-Sisi continuano a firmare contratti e a stringere affari.

Abbiamo le carte che ci raccontano di uno Stato assassino che noi continuiamo a rifornire di armi. Non c’è da girarci troppo intorno: l’omicidio Regeni è un granello di sabbia in un meccanismo che continua serenamente a funzionare. Ma a volte la sabbia riesce a ottenere risultato insperati. La magistratura ha fatto la sua parte, il governo invece latita.

LEGGI ANCHE Omicidio Regeni, inchiesta chiusa: quattro 007 egiziani verso processo. “Giulio legato con catene di ferro”

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Morto di pacchia. A 15 anni

Abou aveva 15 anni. Portava addosso sulla pelle le cicatrici delle torture subite in Libia. Era denutrito. Era disidratato. L’Open Arms l’aveva salvato nel Canale di Sicilia. È una storia ordinaria delle disperazioni in mezzo al Mediterraneo. Il 18 settembre viene trasbordato insieme ai suoi compagni nella nave “Allegra” per la quarantena. Racconta la sua tutrice assegnata dal tribunale dei minori, Alessandra Puccio, che il ragazzo non parlasse già più, fortemente debilitato: «Solo il 28 un medico se n’è accorto, ma era già troppo tardi. E da quel momento è stato un precipitarsi di eventi, fino alla sua morte, avvenuta oggi all’ospedale Ingrassia», racconta a Repubblica.

Il 28 settembre lo visitano, lo rivisitano anche il giorno successivo e il 30 settembre finalmente viene ricoverato in ospedale. È disidratato, non collabora, non parla. Il giorno dopo entra in coma, viene trasferito dal Cervello di Palermo all’Ingrassia. Il 5 ottobre Abou muore. Ora si muove la Procura per accertare eventuali responsabilità e omissioni di soccorso. C’è da capire come possa un quindicenne torturato rimanere su una nave in quelle condizioni e se gli siano state offerte tutte le cure necessarie.

Qualche giorno fa Matteo Salvini ospite della pessima trasmissione di Mario Giordano parlò dei migranti che vengono parcheggiati nelle navi quarantena usando queste esatte parole: «Giordano, ti stanno guardando da una delle 4 navi da crociera, i tremila immigrati clandestini che sono sbarcati e hanno vinto il biglietto premio di 4 navi da crociera a spese degli italiani è una cosa che mi fa imbestialire». Abou quindi probabilmente è morto “di crociera”, oppure è morto di pacchia.

Abou non aveva i genitori, è uno dei tanti minori non accompagnati che arriva sulle nostre coste. Abou è morto in un luogo in cui si riteneva al sicuro. Abou è morto nel giorno in cui il governo dichiarava di avere superato i decreti sicurezza, stando sempre sulla linea criminogena di chi salva le vite in mare. Sarebbe da raccontare a tutti la storia di Abou, per fare cadere una volta per tutte questa feroce narrazione che continua a trattare le disperazioni come se fossero un gioco.

Buon mercoledì.

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Il Comune di Vercelli nega la solidarietà a Patrick Zaki: l’assurda logica del “prima gli italiani”

Accade a Vercelli. I consiglieri comunali Alberto Fragapane, Manuela Naso, Michele Cressano, Maura Forte, Carlo Nulli Rosso (Partito Democratico) e Alfonso Giorgio (Vercelli per Maura Forte) hanno proposto un ordine del giorno per chiedere la scarcerazione di Patrick Zaki, il ragazzo di 27 anni che dal 7 febbraio si trova in carcere in Egitto e che non ha ancora potuto nemmeno accedere alla prima udienza del suo processo (fissata ora per il 7 ottobre, secondo le ultime informazioni dei suoi legali). Zaki è in carcere per alcuni suoi post su Facebook additati come “propaganda sovversiva” e da tempo la comunità internazionale sta chiedendo la sua liberazione in quel’Egitto che continua indegnamente a portare le macchie dell’omicidio di Giulio Regeni. Patrick Zaki studiava a Bologna e per questo molti comuni italiani stanno simbolicamente esprimendo la propria solidarietà.

La maggioranza del consiglio comunale di Vercelli (Lega, Fratelli dItalia e Forza Italia) e il sindaco Andrea Corsaro hanno deciso di bocciare l’ordine del giorno giustificando il loro voto contrario con il fatto che vi siano casi analoghi di persone italiane a cui pensare e in consiglio comunale hanno citato il caso dei 18 pescatori siciliani ormai segregati da due settimane a Bengasi, prigionieri delle milizie di Khalifa Haftar, in Libia.

Siamo alle solite: il “prima gli italiani” diventa il motivo valido per risparmiare la solidarietà a qualcuno in giro per il mondo secondo la solita retorica per cui c’è sempre “altro” a cui pensare, sempre “altro” di cui occuparsi e così alla fine si finisce per non prendere posizioni scomode e per svicolare dalle proprie responsabilità.

Potrebbe sapere, il sindaco di Vercelli Andrea Corsaro, che la solidarietà non si consuma, non finisce e non scade. Forse sarebbe il caso di dirsi che proprio la solidarietà è uno di quegli ingredienti su cui è consigliato eccedere, che sia per un giovane egiziano o per i poveri pescatori italiani (di cui il governo si sta occupando da giorni). Ci si chiede allora perché non presentarne due di ordini del giorno, che potessero comprendere anche le persone indicate dalla maggioranza. Ma loro sono così, sempre: agiscono per sottrazione perché solo negando i diritti riescono a parlarne e a distinguersi. Così si finisce che con l’urlo “prima gli italiani” si riesce a non occuparsi di niente e di nessuno. Quando la libertà smette di essere universale diventa un bieco interesse di bottega da sventolare per propaganda. Ancora una volta, come sempre.

Leggi anche: 1. Studente arrestato in Egitto, testimonianza esclusiva dal Cairo: “Vi racconto il vero motivo per cui hanno incarcerato il mio amico Patrick”; 2. “Torturato per ore, Al Sisi lo faccia tornare in Italia”: la collega dello studente arrestato in Egitto a TPI; 3. ESCLUSIVA TPI: ecco le accuse contro Patrick George Zaki, lo studente arrestato oggi in Egitto

4.Libertà per Patrick Zaki, il ragazzo fermato al Cairo (illustrazione di Gianluca Costantini); 5.Regeni, 4 anni dopo: tutta la fuffa della politica che ci ha preso in giro (di L. Tomasetta)

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Dal Conte 1 al 2 la criminalizzazione della solidarietà delle Ong continua a gonfie vele…

Ci sono molti modi per boicottare i salvataggi in mare. Si può fare smargiassando e usandolo come tema di propaganda politica, come fece a suo tempo il ministro dell’interno Salvini che ancora continua sulla stessa lunghezza d’onda ma si può fare anche sotto traccia, in un modo perfino più subdolo, agitando la clava della burocrazia al posto della clava della paura ma ottenendo il medesimo effetto. Nel secondo caso si deve avere anche un bel pezzo del mondo dell’informazione che accetti di farti passare per il buono, perfino per l’avversario politico delle politiche di Salvini e bisogna contare su una buona dosa di indifferenza cosicché i fatti vengano taciuti, tenuti sotto traccia, sminuiti.

Siamo al governo Conte bis, quello che aveva promesso discontinuità con il governo giallo verde proprio sul tema dei diritti umani dell’immigrazione e siamo ancora qui, più di un anno dopo, a osservare un governo che mantiene le stesse politiche (la mancata abolizione dei decreti sicurezza di Salvini di fatto non ha spostato di una virgola le regole, nonostante le tante belle parole) e negli ultimi giorni stiamo assistendo a un’inquietante ascesa di casi di navi che vengono fermate. Badate bene: non ci sono urlati e minacce, no, no. Qui si tratta di carte bollate. Ma il risultato è lo stesso.

Ieri a rimanere bloccata è stata la Mare Jonio, la nave dell’Ong Mediterranea che ha ricevuto un diniego all’imbarco a bordo di due membri: un paramedico soccorritore e un esperto di ricerca e soccorso in mare del Rescue Team di Mediterranea Saving Humans. Secondo Donato Zito, comandante della Capitaneria, «i loro profili non hanno alcuna attinenza con la tipologia di servizio svolto dalla Mare Jonio». È un furbo escamotage di scartoffie: la Mare Jonio (come praticamente tutte le navi umanitarie) è registrata come mercantile con funzioni di cargo, monitoraggio e sorveglianza e il registro navale italiano le ha riconosciuto una notazione in classe come nave attrezzata per la ricerca e il soccorso. Tutto bene, quindi? No, perché la Guardia Costiera invece non riconosce quello status e ecco che la Capitaneria trova il ganglo per bloccare l’imbarco dei due tecnici. «Inoltre – si legge ancora nel provvedimento – l’imbarco dei soggetti sopra menzionati risulta in netto contrasto anche con le precedenti diffide notificate». Sì, perché dal 9 giugno a oggi sono ben quattro le diffide notificate. La Ong Mediterranea non ha dubbi: «Si tratta, evidentemente, di una mirata persecuzione amministrativa e giudiziaria che nasce da una precisa volontà politica del Governo…».

Qualche giorno fa la Capitaneria di Porto di Palermo ha deciso il fermo amministrativo della nave Sea Watch dopo ben 11 ore di accuratissima ispezione a bordo e uno dei motivi avanzati sarebbe stato «l’eccessivo numero di giubbotti di salvataggio a bordo». Anche allora le parole del responsabile affari umanitari di Medici Senza Frontiere Marco Bertotto fu chiaro: «Le autorità italiane – dichiarò – provano a fermare le organizzazioni umanitarie – che cercano solo di salvare vite in mare come richiesto dal diritto marittimo internazionale – mentre disattendono i loro stessi obblighi di soccorso, con l’assenso se non il pieno appoggio degli stati Europei».

Il fermo della Mare Jonio di ieri è il sesto fermo amministrativo negli ultimi cinque mesi da parte delle autorità italiane. Tutto questo mentre dall’inizio del 2020 quasi 8mila rifugiati e migranti sono stati intercettati in mare e riposatamente nelle prigioni libiche dalla Guardia costiera libica, quella che profumatamente paghiamo per fare il lavoro sporco. Ad agosto sono state dichiarate morte e disperse 111 persone, quasi 400 da inizio anno. In tutto questo la ministra Lamorgese nei giorni scorsi ha dichiarato che le sanzioni alle Ong potrebbero “diventare penali”. Tutto questo mentre l’Europa si arrabatta per costruire una solidarietà tra Stati, dimenticandosi delle persone, con il Migration Pact.

Intanto quei torturatori che si fanno chiamare Guardia costiera libica continuano indisturbati il loro lavoro e i lager libici mietono vittime. E allora viene da chiedersi: ma siamo sicuri che il problema fosse solo Salvini? O semplicemente bisognava semplicemente imparare a fare il lavoro sporco in modo pulito, sottovoce, senza social? Una cosa è certa: la criminalizzazione della solidarietà continua a gonfie vele.

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Lo schiaffo della Lega al popolo bielorusso: si astiene su Lukashenko per non scontentare Putin

Tanto tuonò che finalmente piovve. Il Parlamento Europeo “non riconosce il risultato delle elezioni presidenziali tenute in Bielorussia il 9 agosto” perché portate avanti “in palese violazione degli standard riconosciuti a livello internazionale” e non riconoscerà Lukashenko presidente “una volta che il suo mandato corrente sarà giunto al termine”, cioè dopo il 5 novembre. È il testo della risoluzione che è stata votata ieri con 574 sì, 37 no e 82 astensioni. La protesta bielorussa, del resto, continua a essere viva e forte in tutto il Paese e la presa di posizione dell’Europa finalmente indica una netta scelta di campo che ci si aspettava da giorni.

Ursula von Der Leyen ha detto nettamente che “i cittadini devono essere liberi di decidere il futuro da soli. Non sono pedine sulla scacchiera di qualcun altro”, rinforzano le richieste di chi chiede delle liberi elezioni che si svolgano in maniera democratica. In Bielorussa continua a essere detenuta Maria Kolesnikova, che aveva strappato il proprio passaporto per evitare di essere deportata in Ucraina. Del resto il senso dell’Europa è tutto qui (quando funziona): ciò che accade agli altri ci deve interessare, la difesa dei diritti degli altri è un nostro dovere.

Spicca, al solito, la vigliaccheria dell’astensione della Lega di Matteo Salvini, che per non scontentare il suo amico Putin invece ha deciso di non decidere, come spesso gli accade quando c’è da difendere qualche prepotente del mondo. Ed è il solito Salvini che mostra un’irrefrenabile affetto per i tiranni, per l’amore dei “pieni poteri” che non sempre vengono esercitati secondo le regole. Lo fa con Orban (in numerosi occasioni la Lega in Europa si è schierata in difesa del dittatore ungherese) e continua con Lukashenko. Ed è un segnale politico che deve essere preso terribilmente sul serio perché dimostra un certo modo di intendere il potere che non è di destra o di sinistra (il partito di Giorgia Meloni ha votato compatta per la risoluzione) e perché ancora una volta rinsalda l’asse delle personalità peggiori del mondo.

In tutto questo, ovviamente, non è nemmeno stata data una giustificazione politica dalla Lega. Silenzio e petto in fuori. E se è vero che un politico si giudica dalle sue frequentazioni allora il quadro è chiaro, chiarissimo e sconfortante. L’aggressione per politica, per qualcuno, continua a essere una modalità di governo. E tutto questo è assolutamente inaccettabile.

Leggi anche: 1. “Torturato da forze russe pro-Lukashenko in un campo di concentramento”: la denuncia di un attivista bielorusso a TPI / 2. Bielorussia, la dissidente Tarasevich a TPI: “Lukashenko usa il Covid per violare i diritti umani. Vuole annetterci alla Russia” / 3. Quei ragazzi che (grazie a Internet) possono svegliare la Bielorussia dalla dittatura dopo 30 anni

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Vuole il processo e poi frigna

La tattica di capitan Coniglio è sempre la stessa: provare a scappare dal processo e poi frignare per il processo e provare a utilizzarlo a proprio favore. Ieri ci ha detto che dovrà spiegare a suo figlio di non essere un delinquente e in questa frase c’è tutta la sua retorica: usare i figli per muovere la compassione è una mossa da spot di merendine, qualcosa di talmente basso che si prova orrore solo a scriverlo e se non è riuscito in tutti questi anni a capire che a processo non ci vanno i delinquenti ma ci si va perché si è accusati di qualcosa e si ha l’occasione di dimostrare la propria innocenza allora non c’è più speranza.

Eppure se Salvini fosse furbo potrebbe usare questo processo a suo favore non tanto frignando quanto piuttosto raccontandoci bene come siano andati i fatti, quali siano stati i suoi intendimenti e quali siano stati i suoi risultati. Tutto questo brutto balletto ci sarebbe risparmiato e si potrebbe parlare di politica.

A proposito di politica: ma siamo sicuri che Salvini fosse solo nel prendere quelle decisioni? Dico, al di là della questione meramente burocratica, ve lo ricordate con chi andava a braccetto mentre chiudeva i porti? Vi ricordate chi esultava con lui? Vi ricordate chi si faceva fotografare sorridente dopo l’approvazione dei decreti sicurezza? E, soprattutto, lo sapete che il secondo decreto sicurezza è stato ulteriormente peggiorato dai molti emendamenti del Movimento 5 Stelle?

E vi ricordate l’abrogazione della Bossi-Fini che non è mai arrivata? l’abrogazione dei decreti sicurezza? L’avete letto del rifinanziamento dei torturatori libici da parte del governo italiano?

Così, tanto per non perdersi troppo sul processo di Salvini.

Buon venerdì.

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Orfini a TPI: “Lamorgese non fa la ministra. I flussi di migranti sono gestibili, ma preferiamo finanziare i torturatori libici”

Se c’è una figura nel Partito Democratico che invoca una svolta, quanto alla gestione dei flussi migratori, già dall’epoca di Minniti, si tratta sicuramente di Matteo Orfini. Il tema dei migranti è ormai tornato al centro del dibattito politico, con l’aumento degli sbarchi, Salvini che ha ripreso la sua propaganda a tamburo battente e la maggioranza in pieno stallo, incapace di cambiare rotta. TPI ha intervistato il deputato del Pd per capire quali sono gli scenari futuri e quali decisioni prenderà la maggioranza di governo su una questione non più differibile.

Tre migranti sono stati uccisi dalla Guardia Costiera libica, e non erano passate nemmeno 24 ore dalla manifestazione che si teneva per contestare il rifinanziamento da parte del governo italiano. La notizia tra l’altro non sembra avere nemmeno indignato più di tanto.

Questa purtroppo è la storia di questi mesi, di questi anni. Non è una notizia, succede quasi tutti i giorni e fuori da ogni forma di ipocrisia e di circostanza è la ragione per cui paghiamo la Guardia Costiera libica: trattenere i migranti con ogni strumento e con ogni mezzo mettendo in conto che possono essere chiusi in un lager, torturati, seviziati e anche uccisi. Se tu finanzi torturatori e assassini, quelli torturano e assassinano.

Ci siamo abituati all’orrore?

C’è un’amnesia collettiva di fronte a un qualcosa di enorme che è e sarà una delle pagine più vergognose del nostro Paese nei libri di storia. Tutto questo oggi, purtroppo, non solleva una discussione adeguata nell’opinione pubblica e nella politica.

Ma qual è il blocco che impedisce di cambiare rotta nel governo? L’alleanza con il Movimento 5 Stelle o vogliamo ammettere che c’è anche un serio problema all’interno del Partito Democratico?

È ovvio che c’è un problema anche dentro al Partito Democratico, che per altro è ancora più incomprensibile quando addirittura Minniti è oggi su una linea differente, tanto che nelle ultime interviste ha definito “inapplicabile” quella politica che ha disegnato e concepito nelle ultime interviste. Siamo di fronte a un accanimento incomprensibile da parte della maggioranza e quindi anche del Pd. Questo atteggiamento è figlio della difficoltà a misurarsi con con una strategia radicalmente alternativa e della paura di una battaglia difficile. Mettere in discussione radicalmente quell’impianto significa affrontare uno scontro culturale e politico molto duro nel Paese e in Parlamento. Evidentemente spaventa.

Il Movimento 5 Stelle da questo punto di vista è più coerente: quell’impianto lì l’hanno sempre avuto e sono i coestensori dei decreti sicurezza. Io ricordo sempre che il secondo decreto sicurezza fu peggiorato dagli emendamenti del M5S rivendicati da Di Maio. Loro sono in continuità. È mancata la volontà del PD.

Carmelo Miceli in un’intervista a Il Foglio dice: “Io non ci sto a dire che l’immigrazione non è un problema. E dico anche, con buona pace dei buonisti, che bisogna rimpatriare chi non ha diritto di rimanere in Italia”. Se lo aspettava di sentire la parola “buonisti” usata come roncola da un suo compagno di partito?

Ormai mi aspetto di tutto. Non mi sorprendo più di nulla. Che vada rimpatriato chi non ha diritto mi pare un’evidenza. Il problema è se l’Italia sia in grado di garantire salvataggio nel Mediterraneo, accoglienza dignitosa e un percorso di integrazione. Di questo stiamo parlando: rinunciamo a salvare, paghiamo la Libia per respingimenti che sono illegali, nel momento in cui qualcuno arriva non siamo in grado di gestire l’accoglienza. In queste ore la ministra degli Interni continua a fare dichiarazioni ma non fa la ministra degli Interni: noi siamo di fronte a flussi ampiamente gestibili che diventano un’emergenza perché non c’è un piano.

Che gli sbarchi aumentino d’estate è così da sempre e di solito si dispone un meccanismo adeguato, non si chiudono 600 persone in un tendone sotto al sole in un posto che ne dovrebbe ospitare solo cento. Non è questo il modo. Caricare la pressione solo su alcune comunità locali non è una soluzione. Noi dovremo essere in grado di organizzarci, vedere chi ha diritto di restare e chi no e mettere in campo un processo di integrazione e invece tutto questo è stato smontato in larga parte dai decreti sicurezza e non c’è stato nessun tentativo di ricostruire un meccanismo complessivo.

Ma come può cambiare la linea del PD? Con la vittoria di una corrente interna, visto che la pressione degli elettori non sembra funzionare?

Io penso che servano entrambe le cose: deve crescere una battaglia interna nel Pd che si deve incrociare con una mobilitazione nel Paese. È chiaro che noi abbiamo perso. Il voto sulla Guardia Costiera libica è una sconfitta. L’assemblea del PD aveva votato contro il rifinanziamento e questa decisione non è stata rispettata: abbiamo anche un serio problema di democrazia interna.

Se Orfini potesse cosa cambierebbe, subito?

Intanto abrogherei le norme che ci sono. Dobbiamo abrogare (e non modificare) i decreti sicurezza, abrogare la Bossi-Fini e ricostruire da un punto di vista complessivo le norme che gestiscono i flussi migratori e che aprono canali legali. Poi abbiamo bisogno di una politica differente dall’altra parte del Mediterraneo che smonti quel meccanismo di sostegno ai respingimenti illegali e che ripristini ciò che accadeva con Mare Nostrum: ricerca e salvataggio di concerto con le Ong e le navi della Marina e della Guardia Costiera.

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