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unicredit

A posto così

  1.  La Boschi no, non ha querelato De Bortoli. No.
  2. Ghizzoni (Unicredit) non ha intenzione di dire se la Boschi davvero gli ha chiesto di intervenire in favore di Banca Etruria perché, dice lui, non può permettersi di mettere “a rischio la tenuta del governo”. Indovinate la risposta.
  3. Sono illegali le intercettazioni pubblicate di Matteo Renzi con il padre. Vero. Verissimo. Ma nell’inchiesta Consip si parla di politici al governo che avvisano dirigenti pubblici del fatto di essere intercettato. E quei dirigenti bonificano i propri uffici per tutelarsi. Segnarselo bene. E decidere, nel caso, la gravità dove sta.
  4. Leggete i giornali e saprete esattamente chi è contro la legge elettorale di qualcun altro. Vi sfido a capire quali siano le soluzioni proposte. “Essere contro Renzi” non è un gran programma di governo. No.
  5. Pisapia dice di voler andare contro Renzi ma di essere contro il renzismo. Renzi dice di non volersi alleare con Pisapia. Escono decine di editoriali che chiedono a Pisapia di federare. Renzi lo snobba. Lui insiste. Trovate il filo logico. Chiamatemi, nel caso.
  6. Salvini non vuole andare con Berlusconi. Berlusconi non vuole andare con la Lega. E poi finiranno insieme. Come negli ultimi vent’anni. Ci scommetto una pizza.
  7. Il “gigantesco scandalo” sulle ONG è finito in una bolla di sapone a forma di scoreggia. Eppure non ne parla nessuno. Tipo il watergate finito nel water.
  8. Tutti quelli che vogliono la “sinistra unita” poi scrivono dappertutto che “la sinistra non c’è più”. Così vincono in entrambi i casi. E vorrebbero essere analisti politici.
  9. Tutti i tifosi di Putin sono silenziosissimi. Putin gli è esploso in faccia ma loro usano la solita tattica: esultare per gli eventi a favore e fingere che non esistano quelli contrari. Le chiamano fake news ma in realtà è solo vigliaccheria.
  10. Ormai tutti cercano opinionisti con cui essere totalmente d’accordo su tutto. La complessità è come la Corte Costituzionale: un inutile orpello che non riesce a stare al passo dei tempi dei social, dove un rutto fa incetta di like.
  11. Gli intellettuali? Quelli che si indignano come ci indigneremmo noi. Gli vogliamo bene perché ci evitano la fatica di pensare e di scrivere e al massimo ci costano un “mi piace”. Opinioni senza apparato digerenti. Defatiganti. A posto così.
  12. Buon venerdì.

(continua su Left)

Quella filiale dell’Unicredit e le mafie all’ortomercato

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Dava finanziamenti senza nessun controllo che finivano in un traffico di droga. Per questo E.R., funzionaria di Unicredit a Milano, è stata condannata a due anni e otto mesi per riciclaggio. La sentenza della corte d’Appello di Milano è stata confermata nel luglio scorso dalla Corte di Cassazione. “Non importa che non conoscesse la provenienza di quei soldi, la condanna è giustificata dal fatto che non sono state rispettate le normative anti-riciclaggio”, scrivono i Supremi giudici. Un principio che potrebbe fare scuola e minare più facilmente il sodalizio grigio tra malavitosi e colletti bianchi. Le 27 pagine della Corte, che respingono i ricorsi di altri 6 imputati, raccontano proprio una storia fatta di traffici di droga, soldi e legami tra criminali, imprenditori e banche. E’ questo lo spaccato che affiora dalle nebbie dell’Ortomercato e dal processo nato dall’operazione For a King. Secondo i giudici di Milano, R. ha riciclato il denaro di Paolo Antonio, titolare e prestanome della rete di cooperative utilizzate da Francesco Zappalà e Salvatore Morabito per ripulire i soldi della cocaina.

Facciamo un passo indietro. In primo grado R. se la cava. Viene assolta perché i giudici sospettano che il riciclaggio sia avvenuto, ma non riescono a dimostrare che la donna sapesse da dove provenissero quei soldi. I giudici di secondo grado vanno oltre e ribaltano il giudizio. Con la consulenza di due periti e l’indagine interna di Unicredit riescono a ricostruire le operazioni scorrette della funzionaria che non aveva mai segnalato la natura delle società di Morabito e Paolo (Consorzio Europa e Nuovo Coseli contenitori di società fantoccio) né mai rispettato le norme anti-riciclaggio. Questo basta per condannarla.

Sono numerosi gli affidamenti concessi dal 2006 e il 2007 alle società fittizie, che vengono elargiti oltre i limiti consentiti alla funzionaria. Nonostante non fosse stata presentata alcuna documentazione. E per un ammontare di un milione e 899 mila euro. “Addirittura – si legge nella sentenza – talvolta mancava la stessa domanda di affidamento, oppure i bilanci presentati erano del tutto inconsistenti o la loro presentazione era del tutto omessa”.

Ma i soldi vengono dati anche quando una delle tante società ha un fatturato pari a zero e un patrimonio netto preceduto dal segno negativo. In un caso, R. ha dato 280 mila euro a una di queste scatole vuote. E anche quando le somme versate sui conti correnti registrano sei cifre, la funzionaria non segnala mai i movimenti sospetti. Il denaro viene affidato senza nessuna garanzia “e, anzi, quelle poche esistenti venivano trasferite da un contratto a un altro delle società per plurimi finanziamenti”, tutto a vantaggio del prestanome di Morabito, Paolo. Un caso riportato dai giudici d’Appello spiega bene il meccanismo ben collaudato. La funzionaria Unicredit concede un finanziamento di 330 mila euro alla società Angelica, che a sua volta lo gira a un’altra società, appena nata, che non produce utili e il cui amministratore, Amos Parisi, è un semplice operaio. La donna, poi, consente sconti di numerose fatture per operazioni inesistenti di cui si avvalgono le società fantoccio del gruppo. Anticipando, sempre in contanti, somme importanti che finiscono nel traffico di droga.

L’indagine sull’Ortomercato di via Lombroso, il più grande mercato di rivendita di frutta e verdura in Europa, nasce nel 2006. Gli investigatori della Squadra mobile di Milano puntano sul For a King: night club di lusso aperto al piano terra dell’edificio Sogemi (società municipalizzata al 99 percento del Comune di Milano, che gestisce l’Ortomercato). Il vaso di Pandora va in frantumi. Gli uomini della Mobile setacciano il contenuto. Scoprono un traffico internazionale di droga che parte dalla Bolivia e arriva in Svizzera, saltano fuori 200 chili di cocaina pura. Individuano società fittizie messe in piedi per ripulire i soldi. Smascherano il lavoro sporco della R.

Il processo si divide in due: il gruppo di Salvatore Morabito, nipote del boss di Africo, Beppe detto u tiradrittu, va al rito abbreviato che si conclude con 14 condanne per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga (Morabito prende 13 anni). Mentre Antonio Paolo, Antonio Marchi, Mariano Veneruso, Giuseppe Bruno, Antonio Rodà e E. R. scelgono il rito normale.

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