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valerio onida

Sulla commissione antimafia di Milano: parla Onida

Lucido come sempre. Ampio nelle visuali e giustamente cattivo tra le righe. Onida sulla commissione antimafia a Milano:

Valerio Onida, sta esplodendo il caso della commissione antimafia. C’è chi la vuole solo politica, chi la vuole con esperti della società civile…
Ma non c’è dubbio che ci vogliono tutte e due.

Non pensa ce ne voglia una mista come ai tempi di Smuraglia? 

Secondo me è meglio distinguere fra i due organismi. Bisogna salvaguardare il ruolo del consiglio comunale, che ha la responsabilità politica di affrontare questi problemi. L’antimafia però non deve essere solo una sede di prese di posizioni politiche, tanto meno di polemiche, ma anche di effettiva capacità di intervento nell’amministrazione e dell’amministrazione per individuare e prevenire i rischi di infiltrazioni mafiose: ci vuole l’apporto conoscitivo e propositivo di chi conosce a fondo i problemi e la realtà dell’amministrazione e dell’economia, e può dare indicazioni e suggerimenti.

Che cosa ne pensa di Dalla Chiesa? 
E’ una figura fuori discussione per competenza ed esperienza. Comunque ci vogliono due organismi differenti. Gli esperti non possono sostituirsi ai rappresentanti eletti. E i rappresentanti eletti non si possono sostituire agli esperti.

Nei primi 100 giorni non si è fatta, la commissione. Secondo lei bisogna fare in fretta? 
Certo che va fatta, e va fatta in fretta. Incombe la questione Expo, ma non solo per questo. E’ una cosa necessaria, perché non farla subito? Quali ostacoli ci possono essere? Mi auguro non sorgano ostacoli di tipo personalistico né contrapposizioni di partiti. Questo è un argomento sul quale ci dovrebbe essere l’unanimità.

Milano, non perdiamo questo vento

Sono personalmente molto contento della vittoria di Giuliano Pisapia. C’è un vento buono che non bisogna lasciare appoggiare su delle primarie che non mi sono mai piaciute in alcuni modi ma che ha indubbiamente messo in campo quattro belle personalità che hanno scelto di metterci la faccia. Ho sorriso con una certa soddisfazione nel vedere i nostri iscritti godere di un’autonomia reale nella scelta di chi sostenere. Alcuni “politici” e alcuni giornali hanno cercato di raccontare di un nostro “vuoto politico” mentre il nostro atteggiamento veniva rivendicato come diritto-dovere da una buona parte del popolo delle primarie. In queste settimane il filo diretto con i candidati ha chiarito quali sono le nostre priorità e i nostri punti fermi per una Milano bella, vivibile, solidale e soprattutto non più “gelatinosa” sulle amicizie del cemento. Oggi (e solo oggi) c’è da sedersi intorno al tavolo per scrivere, discutere, progettare e fissare i propri paletti. Dicevamo che le primarie dovessero disegnare programmi e coalizioni come un buon piatto cucinato a fuoco lento: ora qualcuno è pronto e qualcuno (forse) è fin troppo bollito.
Al lavoro.

Milano: primarie in salsa grigia

Alla fine Costanzo Ariazzi rassegna le proprie dimissioni dal “Comitato organizzatore” delle primarie di Milano. Un “Comitato organizzatore” che visto da fuori ha avuto il sapore troppo spesso di un comitato elettorale appiattito sulla candidatura di Stefano Boeri (che ha ricevuto l’investitura ufficiale di uomo gradito alla dirigenza, e mica tutta la base, del PD lombardo): l’accusa arriva dal solitamente mite Valerio Onida durante una sua serata dopo che ne aveva parlato (tra gli altri) in un suo scritto Gad Lerner, Nando Dalla Chiesa e lo stesso Davide Corritore. Tutti (si badi bene) iscritti al Pd per cui non ascrivibili alla colata di detrattori professionisti che si infilano ovunque con l’obbiettivo di distruggere piuttosto che dibattere.

Nella sua “lettera d’addio” Ariazzi scrive “Obiettivo del Comitato è dare vita a un’ampia partecipazione popolare e lavorare per tutti i candidati, per questo tutti i partiti della coalizione e i candidati che vi prendono parte hanno condiviso e sottoscritto delle regole. Il nostro lavoro è stato fin qui equilibrato e rispettoso di tutti, ogni decisione è stata presa con ampio consenso e con uno spirito fortemente lontano dalla definizione di primarie falsate“; poiché sia Onida che Pisapia lamentano uno squilibrio di dinamiche e comunicazioni mi viene da chiedere come venga misurato il “consenso” che, dentro gli uffici degli organizzatori, viene definito addirittura “ampio”. E un’errata visione e sensazione della soddisfazione dei candidati è un ottimo motivo per dimettersi. Meglio così.

Mi spiace che Stefano Boeri abbia reagito stizzito alle osservazioni di Onida senza cogliere la palla al balzo per scrollarsi finalmente di dosso un alito pesante che sta circondando la sua corsa verso le primarie. Ho già avuto modo di scriverlo e mi sento oggi di ripeterlo ancora più forte: Ho sempre creduto che le primarie (come ogni consultazione diretta con i cittadini) siano un passaggio necessario per costruire credibilità: primarie che siano una partecipazione senza mediazioni, senza recinti e senza argini accomodanti. Primarie che siano l’occasione per i cittadini di spiazzare i partiti e non che siano il modo per i partiti di piazzare cittadini. Primarie che siano una libera circolazione di opinioni e sostegni dove i cittadini (politici, intellettuali, impiegati, ragazzi e genitori) decidono di sostenere questo o quel candidato per un’affinità libera da disegni di partito. Lasciare le primarie alle primarie quindi per non trasformare tutto in un gioco messo in ballo in attesa di conferme. Per questo ho più volte espresso i miei dubbi sulla “discesa in campo” istituzionale di alcuni partiti (nostra opinione personale e, bontà nostra, ora nostra linea politica essendo noi chiamati a farla, la politica) che hanno certificato più o meno questo o quel candidato addirittura all’alba della candidatura. E’ un’opinione, condivisibile o non condivisibile, ma è la nostra opinione che ci portiamo in tasca con fierezza. La sensazione, qui fuori, è che  tutti parlino di entusiasmo e vivacità ma alla fine la maestrina ci voglia tutti seduti in silenzio e ben composti ai banchi.

E mi fa sorridere chi mi bisbiglia all’orecchio (senza farsi sentire troppo in giro) che Italia dei Valori dovrebbe entrare nella competizione. Abbiamo parlato di libera scelta e di igiene dei meccanismi delle primarie, abbiamo espresso i nostri dubbi su un “partitismo” infiltrato nelle contrapposizioni tra candidati, abbiamo rivendicato un reale potere di giudizio e di scelta dei cittadini ugualmente informati sulle attività dei candidati, abbiamo chiarito i nostri dubbi su una coalizione che si definisce e si “cementa” (mi si passi l’ironia) sui modi e sui valori che emergono lungo il percorso e non “di forma” ai nastri di partenza, abbiamo (e stiamo continuando a farlo) lasciato indipendenza ai nostri iscritti nel collaborare con uno o con l’altro candidato. E oggi, a guardarle da fuori, le primarie lasciano un profumo con aromi previsti e prevedibili. Senza comunque perdere il gusto di una vittoria di partecipazione. Una delle poche rimaste ai cittadini. E quindi, ancor di più,  una di quelle da preservare incondizionata.