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Enzo Baldoni: a Milano ci sarà una via

Buone notizie:

Il sindaco di Milano ha tempestivamente accolto l’iniziativa: “Nei prossimi giorni – ha scritto Pisapia su Facebook – incontrerò i rappresentanti dell’associazione Articolo 21 che, a dieci anni dalla sua drammatica scomparsa in Iraq, ha promosso una petizione su Change.org affinché venga dedicato ad Enzo Baldoni uno spazio nella città di #Milano. Richiesta a cui verrà dato sicuramente seguito.

L’articolo è qui.

Su “via Baldoni” ne parla Guido

Un’intervista a Guido Baldoni:

“Non conosco le procedure e non so nemmeno quale sia il soggetto deputato a decidere, ma io non pretendo nulla. Sono felicissimo di questa grande dimostrazione di supporto da parte di persone che vorrebbero avere in città un luogo a lui dedicato e certo piacerebbe molto anche a me. Sarà il Comune a dire che cosa ne pensa, ma non voglio  essere io a forzarli”.

Trovate tutto qui.

L’uomo ha bisogno di simboli. I tanti perché di una piazza dedicata ad Enzo Baldoni

Da Articolo 21:

“Mi riempe di gioia la petizione lanciata da Articolo21 affinché il Comune di Milano intitoli una piazza a Enzo Baldoni”, dice oggi Giusi Bonsignore, vedova del giornalista ucciso nel 2004 in Iraq. “Ringrazio i promotori dell’iniziativa e quanti parteciperanno apponendovi la loro firma”, continua, sperando di “avere presto un riscontro da parte delle istituzioni”. Una piazza, una via, oppure semplicemente un giardino, che ha iter amministrativi meno complessi, in nome di Enzo. Un modo per riannodare fatti e verità.

Così come è accaduto per il giardino pubblico dedicato a Lea Garofalo dalla città di Milano, in via Montello. Ci costringe a sbattere continuamente contro il ricordo di Lea, uccisa per avere avuto il coraggio di testimoniare – al Nord, per la prima volta – contro la ‘ndrangheta. Assume un enorme significato per la città, quello spicchio di verde intitolato a lei, a pochi metri da dove la testimone di giustizia fu prelevata, torturata e poi strangolata dall’ex compagno, boss del clan Cosco, infine fatta a pezzi per poter bruciare meglio i suoi resti.
Sarebbe doveroso per questa città – che ha ripreso la tradizione civile di dare memoria – ricordare allo stesso modo Enzo Baldoni, a dieci anni dalla sua morte, in un momento geopolitico così complesso, in cui trovare verità, mai come ora, richiede presenza, occhi puliti, scevri da condizionamenti ideologici.Esattamente i motivi per cui Baldoni è stato ammazzato. Enzo ha dato la vita per raccontare, per testimoniare la realtà fuori da ogni ideologia, lontano da estremismi di sorta e contro ogni oscurantismo. Morto dopo aver portato acqua e cibo nella città assediata di Najaf.
Firmare la petizione lanciata da Articolo21 sulla piattaforma di Change.org significa, per tutti, non perdere ciò che ha rappresentato quest’uomo curioso, fuori dalle corporazioni, dalle logiche di parte; un uomo libero che voleva andare oltre l’informazione di regime, credeva che si dovesse prima vedere per poi poter capire e raccontare. Un uomo non amato da chi riteneva che quella guerra fosse necessaria, così come dai Signori del terrore che lo hanno ammazzato.
Evitare il silenzio, cercare i fatti che in questi anni sono stati avvolti dall’ambiguità. In un’intervista a Repubblica la vedova di Baldoni ha raccontato risvolti finora sconosciuti; di come, dopo lo scoppio della mina sotto l’auto di Enzo, nessun convoglio della Croce Rossa si fermò a raccogliere lui e il suo interprete iracheno Ghareeb. “Furono abbandonati”, dice a distanza di un decennio. Per la vedova Baldoni, Maurizio Scelli, allora commissario straordinario per la Croce Rossa, “diffuse notizie false, dicendo che Enzo andava in giro alla ricerca di interviste impossibili. Tacere a noi dell’esplosione della mina fu un’omissione molto grave”. Gianni Barbacetto su Il Fatto Quotidiano in questi giorni ha ricostruito gli eventi, riportando le parole che lo stesso Scelli affidò all’Ansa dal Meeting di Rimini, tre giorni dopo il rapimento, quando già il corpo di Ghareeb era stato ritrovato: “Il fatto che non ci fosse il corpo di Baldoni, induce a pensare che Baldoni sia da un’altra parte. Auguriamoci che sia in giro a fare quegli scoop che tanto ama” (Ansa, 23 agosto, ore 17,37).
Oggi l’ex commissario della Protezione Civile minaccia querela per l’affermazione di Giusi Bonsignore, che, sempre nell’intervista a Repubblica, rimarca come Enzo non ricevette il sostegno che, invece, in Francia, fu dato a Chesnot e Malbrunot, giornalisti sequestrati in contemporanea e poi rilasciati. Afferma che a “contribuire ad armare la mano dei suoi assassini è stata la denigrazione e lo scherno di giornali come Libero. Impossibile dimenticare, durante la prigionia di Enzo – continua – la ferocia di due articoli di Vittorio Feltri e Renato Farina, intitolati ‘Vacanze intelligenti’ e ‘Il pacifista col kalashnikov’”.
“Più che memoria, la piazza dedicata a Enzo mi sembrerebbe un ripristino”, dice Giulio Cavalli, scrittore, attore, ex consigliere comunale in Lombardia, diversi anni passati sotto scorta per il suo impegno contro le mafie, e che da tempo tempo lavora con il figlio di Enzo, Guido Baldoni. “Condivido l’iniziativa – dice – perché non credo che questo paese possa permettersi di svendere una delle menti più raffinate del mondo pubblicitario italiano e del giornalismo del Terzo Settore come un ‘turista per caso’; quindi, una via, oppure una piazza, sarebbe un bel segno col pennarello rosso sulle bugie che mi sembra non si sia ancora smesso di costruire su di lui”.
Oggi è un dovere civile cercare di riempiere i vuoti lasciati. Così come accade nel giardino di Lea: lì, è come se Milano risorgesse, in un luogo che è stato di mafia e di morte e che oggi invece è diventato simbolo di legalità. Quel frammento di verde, strappato alla speculazione e all’ennesimo progetto di parcheggio in città voluto dalla giunta Albertini, anche grazie a Libera di don Ciotti, è diventato bene comune. Qui gli abitanti del quartiere – designer, architetti, insegnanti, cuochi – progettano le semine per l’orto, curano gli alberi, aprono e chiudono il cancello, organizzano eventi. “Lea, qui, vive”, ci raccontano sotto il cartello con la foto di lei e le parole “Vedo, sento, parlo”.
“L’homme y passe à travers des forêts de symboles”, scriveva Baudelaire. E continuiamo ad aver bisogno di simboli, di luoghi della memoria. Abbiamo bisogno di dare un senso ai vuoti. Abbiamo bisogno, ogni giorno, di sbattere contro quel che è stato – e deve continuare a essere – Enzo Baldoni: il coraggio di testimoniare, al di là degli steccati, delle parti politiche, delle lobby di potere, sempre.

31 agosto 2014

Una via o una piazza per Enzo Baldoni

Un’ottima idea e un’ottima petizione non solo per fare memoria ma soprattutto per evitare che venga sporcata, perché il fango a volte riesce ad essere peggiore dell’oscurantismo. La trovate qui.

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Sì, lo voglio

Lui avrà avuto forse trent’anni, quasi quaranta, sicuramente non più di quarantacinque. Portati male, comunque. Di troppo o troppo poco.

Stavano a Roma in un ristorante troppo imbucato per non essere scientificamente un ristorante costruito apposta con quella forma lì per inghiottirsi tutti i viaggiatori con una predisposizione all’imbuco. Tavolini fuori, sì, ma con siepi altissime, come un cubo di edera. Camerieri riservati da sembrare timidi da almeno un paio di secoli. Nessun orario di apertura o chiusura: se apri un ristorante così introvabile soffri l’orario dei mondi paralleli, degli alieni per salvarsi, dei non-luoghi senza bisogno di aerei o centri commerciali. Insomma un ristorante che esiste solo se si incrociano perfettamente gli appuntamenti: luogo, ora, imprevisti e tutto quel cumulo delle probabilità.

Lei deve essere stata accondiscendente tutto il pranzo. Lo scalino più irto era stata la scelta del vino. Cosa da poco. Hanno finto di metterci la testa per quell’abitudine alle complicazioni come una malattia.

Poi lei deve avere fatto una di quelle domande definitive. Perché lui si è guardato in giro. Per sbaglio ha incrociato anche uno dei riservatissimi camerieri dalla riservatissima postura. Che per poco non ha rischiato il lavoro per quell’errore di mira di sguardi.

Poi si è bloccato. Ha pagato il conto come se dovesse morire ogni secondo e lasciare le cose a posto. Lei ha sorriso prima. Poi si è indispettita. E alla fine si è alzata mentre il rumore di elettrocardiogramma sputava lo scontrino. Dietro l’angolo della strada si sono incrociati di nuovo. Ciechi a tutti. Un sciogliersi di ombre a forma di macchia sul marciapiede per quel sole così matematicamente verticale.

Sono giovani, mi ha detto un carabiniere. Non hanno ancora imparato a non pensare al domani. Un ‘sì, lo voglio’ come il rosario prima di andare a dormire.