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duomo d’onore

Costruire case nella città delle case invendute

Succede dappertutto. In pochi chiedono e quasi nessuno ottiene risposte. A Lodi ci sono mille (1000, eh) immobili invenduti e partono in questi giorni i cantieri per quattrocento (400, eh) nuovi alloggi.

Scene da Duomo d’onore, così:

Adesso immagina di dimenticare le parole. Di non credere più a quello che hai saputo. Di camminare soffice sopra a un materasso a forma del tuo paese, della tua città, della tua regione. Un materasso a forma di Lombardia come una bistecca ripiena di piume.

Cosa vedi? – Chiede l’unto periferico – immagina di contare i soldi come non sei riuscito a contare i morti. Immagina i soldi non più a forma di soldi, che corrono per mettersi addosso di corsa una cosa qualsiasi, basta non avere più la faccia e l’odore dei soldi. Ed escono dal guardaroba vanitosi e irriconoscibili:

Case a forma di case che sono soldi a forma di case e rimangono invendute nel quartiere dove quasi più nessuno ha il credito e i soldi per comprare case;

Capannoni industriali nuovi, invenduti, come le auto sempre in box degli annunci di seconda mano che invecchiano invenduti di fianco agli scheletri delle industrie che se ne sono andate. Capannoni a forma di soldi che si sono vestiti da capannoni;

Bar in centro, al centro di tutti i bar del centro, che scivolavano da padre in figlio di quelle famiglie che salutano tutti nel quartiere e nel paese e che vengono comprati nel giro di una notte, trattative brevi come un brigantaggio e riammodernamenti e ristrutturazioni come un’arrampicata gramigna: bar che luccicano come bigiotteria e non hanno bisogno di clienti. Soldi a forma di una tazza con il manico dorato e il mignolo alzato: mafie a forma di bar. Mafie in centro con consumazione obbligatoria;

Panettieri e pasticcerie a forma di soldi. Con i travestimenti che si infilano nel pane. Panini mafia e mozzarella;

Strade, autostrade, tangenziali, autotangenziali, rotonde, curve, sopraelevate e incroci, sopra asfalto all’uncinetto di soldi che diventano strade in pezzi da cinquecento euro, e sotto merda per qualche centesimo al chilo;

Pensioni nei videopoker, compro oro pago in contanti, e ipermercati;

Immagina di dimenticare le parole e non credere più a quello che hai sempre saputo: quanta cicoria devi vendere per un supermercato ogni dieci chilometri, quanti carrelli ci stanno per ogni abitante in un quartiere dove i soldi non si fingono ipermercati?

 

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L’Antologia della Memoria (Fuorilegge)

Schermata 2013-03-24 alle 08.16.42FuoriLegge è un sito che promuove la lettura per accompagnare adolescenti ed educatori nel percorso di avvicinamento ai libri. Mi fa bene in mezzo a questo caos (poco creativo e speriamo almeno produttivo) là fuori scoprire siti così. Mi riconciliano con la vita.

La loro Antologia della Memoria, scritta da partigiani della parola, è il diario di un Italia ama fare il proprio lavoro terribilmente sul serio. Qui c’è la pagina che Angela Vitti ha scritto dopo un nostro incontro.

Questa domenica la inizio così: ringraziando i bibliotecari che resistono nonostante tutto. E ci fanno mangiare.

“Ci invita ad allenare quello che chiama il “muscolo” della curiosità. Questo significa guardarsi intorno, fare domande a genitori e insegnanti, leggere per informarsi, capire e poi fare delle scelte consapevoli di comportamento e di vita.”

Io non voglio morire d’intenti

Schermata 2013-01-01 alle 16.53.17Non ho mai ben capito se gli intenti vadano scritti la sera dell’ultima sera dell’ultimo giorno dell’anno o la mattina del primo dell’anno successivo. Confesso che non sono mai stato bravo con i bilanci e i consuntivi: mi immalinconiscono come le anziane nel letto d’ospedale che non ricevono mai visite e fingono di farsi compagnia con i parenti degli altri, promettendosi che gli basti così. Peggio ancora con gli esami di coscienza: ho un incalcolabile difficoltà con i sensi di colpa che mi rende clinicamente ossessivo e compulsivo verso le mie mancanze.

Potrei anche sognare intanto un anno che mi liberi le spalle da blindature e scorte. Non ci avevo mai pensato in questi ultimi anni, era un desiderio nella cesta dei desideri indesiderabili e invece mi si è acceso giusto giusto ieri notte mentre i botti diventavano un soffio rauco di polvere da sparo incollacciata sul marciapiede. E’ stato un desiderio che mi ha sorpreso: un ardimento spericolato dove ho pensato a me stesso con la cura che non pensavo di riuscire più ad usare. Perché se c’è un alone che mi ha unto in questi ultimi anni è proprio questa sensazione di eterna solitudine sorvegliata a vista che mi fa sentire di troppo in un mare di troppo poco e che non sono mai riuscito a spiegare. Rileggo il pezzo di Marco di due anni fa e mi sembra che ci sia la stessa musica di sottofondo. Non so se mi spiego: anni come un recinto che disegna i cerchi del mio tronco con le cicatrici al posto delle linee della crescita. Una cosa così. Pensavo che la mia vita fosse in una parentesi di controffensiva difensiva e invece è l’imboccatura di una strada di cui non se ne vede l’orizzonte. Niente panico o letteratissimi tormenti, per carità, ma una noia usurante che ha l’abitudine come unica lenizione possibile.

C’è il lavoro: il mio lavoro con la parola e la scena. In un anno di ricerca di nettare e nido tornare in scena con Duomo d’onore è stato un dito che ha toccato corde che temevamo non suonassero più. Ho bisogno di stare sul palcoscenico per parlare con me. Semplicemente. E non dovere rendere conto a nient’altro che i fatti e la bellezza: due compagni che litigano spesso. Ho ritrovato la mia quotidianità nel freddo e il disordine dei camerini, nei “due minuti” dati prima di cominciare bussando piano alla porta, nei vestiti di scena stropicciati come le donne bellissime con le loro rughe, negli amici che ti danno il cenno che è andata bene e nelle cene mangiate troppo tardi con la fame che corre contro il sonno. Se dovessi augurare un lavoro ai miei figli gli augurerei la fortuna di lavorare con la soddisfazione che va a dormire dopo di te, come capita a me. C’è la scrittura: questo 2012 è stato un anno di scrittura a singhiozzo tra la quotidianità delle cose quotidiane che lasciano sabbia nei reni e negli ingranaggi della penna. Mi ero promesso un romanzo per provare a volare e mi hanno lasciato a terra le informative, le sentenze e le scelte: questo mio nuovo anno ha quel romanzo da recuperare tra i bagagli smarriti.

C’è la politica: che è cambiata come un figlio che si fa grande nel tempo del tuo ultimo viaggio e lo ritrovi con la sensazione di avere perso proprio quel minuto in cui ti chiedeva di essere un padre presente. Ho amici sparsi in questa confusa tela di colori diffusi eppure distanti mentre l’occasione ci chiede di essere preparati alla raccolta. Qualcuno mi chiede perché non abbia partecipato alle primarie per il parlamento, qualcuno ancora insiste nel rinfacciarmi un “ritiro” per la presidenza lombarda, qualcuno mi chiede di Luigi De Magistris e gli arancioni (dimenticando Leoluca Orlando e quel pezzo di IDV che ci sta dentro e ci ha sempre voluto fuori), qualcuno mi dice che dovrei seguire Pippo Civati e gli altri (come se fosse un trenino dopo pranzo quando si è tutti un po’ brilli intorno ai tavoli con la cravatta slacciata) e qualcuno dice che Cavalli ha un assessorato promesso da Ambrosoli: continuiamo il nostro lavoro in Lombardia, semplicemente, con la serietà dei progetti iniziati e degli impegni presi con un Formigoni in meno. Non sembra difficile capire che la politica diffusa non è confusione nello spazio ma allargamento di persone e di idee. Fare rete piuttosto che preoccuparsi di stare in un buon posto nella rete.

Poi c’è la vita: e quest’anno la vita mi ha aperto stanze meravigliose e fresche, mi ha sbattuto in faccia porte che mi hanno fatto male e insegnato l’impegno e l’etica degli affetti. Vorrei imparare ad essere coraggioso senza bisogno di baldanza, vorrei fare pace con i dolori che non ho mai voluto guardare negli occhi, vorrei essere capace di sorridere di avere un fratello trentaquattro anni dopo che lo siamo stati prima di non saperlo fino ad oggi, vorrei togliermi l’alibi della solitudine per nascondere la cura che non mi voglio prendere, vorrei trovare le parole per spiegare ai miei figli che le scelte sono i mattoni necessari per i muri portanti della dignità, vorrei ascoltare chi ho deluso, ascoltarli per ore senza avere la debolezza di interromperli per giustificarmi, vorrei convincere più gente possibile che restare umani paga, e vorrei convincermene anch’io, vorrei avere l’intelligenza di perdonare con durezza e difendermi senza la macchia della vendetta, vorrei riconoscermi e farmi riconoscere in quello che faccio, quello che dico e quello che scrivo senza lasciare spifferi per dietrologie e isterismi.

Vorrei anche avere usato il “voglio” e non il condizionale ma non voglio tornare indietro a correggere le ultime righe. Le tengo così, come un impegno più che non un intento. Per non morire d’intenti. Con intenzioni serie.

Che sia un buon 2013.

 

 

Babel: intervista su ‘Duomo d’onore’

Duomo d’Onore, a cento passi dal Duomo capitolo secondo. Ritorna Giulio Cavalli con la seconda parte del suo spettacolo dedicato alle mafie milanesi e del nord Italia, scritto con Gianni Barbacetto, Cesare Giuzzi, Giuseppe Gennari, Giovanni Tizian e Biagio Simonetta. Da domani al 16 dicembre al Teatro della Cooperativa, Via Hermada 8.

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La Gomorra lombarda capitolo secondo

Adriana Marmiroli per LA STAMPA

Schermata 2012-12-13 alle 11.34.04Per qualcuno fino all’altro ieri non esisteva. Non esisteva che mafia e le sue «sorelle» alloggiassero comodamente all’ombra della Madonnina. Sono occorse clamorose azioni di polizia e svariati delitti eccellenti (o solo tragici e vergognosi) per far svegliare dal sonno infinito i bravi lümbard convinti dell’intangibilità del loro territorio. Perché mafia, ‘ndrangheta e camorra da noi stanno benissimo e fanno ottimi affari. Ancora più lucrosi, ora che c’è l’Expo in dirittura. L’attore Giulio Cavalli aveva già raccontato pochi anni fa in «A cento passi dal Duomo» questo «brodo di cultura», misto di affarismo, politica e criminalità apparentati, in cui faceva nomi&cognomi, business e atti giudiziari delle «famiglie» della mala organizzata. Era partito da lontano (Ambrosoli, Sindona, Calvi) per parlare della Gomorra meneghina: ne aveva guadagnato minacce e una scorta di polizia. Uomo ostinato e coraggioso, dopo la breve deviazione di «L’innocenza di Giulio. Andreotti non è stato assolto», torna ora con «Duomo d’onore. A cento passi dal Duomo, capitolo secondo» a ricucire gli eventi del presente a partire da quei fatti lasciati in sospeso nel 2010 e dalla maxioperazione «Crimine Infinito», che aprì qualche squarcio di verità e le porte di parecchie celle: l’Expo, il Pirellone e altri politici, il territorio lombardo da razziare, gli imprenditori conniventi e s(pa)ventati… Un racconto che è in progress quotidiano sull’onda della cronaca nera e giudiziaria. In scena sul palco del Teatro della Cooperativa che lo aveva ospitato anche allora, con l’accompagnamento dell’espressiva fisarmonica di Guido Baldoni, facendosi aiutare e ricorrendo al lavoro di diversi giornalisti «esperti» del settore – Gianni Barbacetto, Cesare Giuzzi, Davide Milosa, Mario Portanova, Biagio Simonetta e Giovanni Tizian – e del magistrato Giuseppe Gennari, Gip del Tribunale di Milano, per la regia di Renato Sarti, prosegue quella sua narrazione per cercare di capire se qualcosa sia cambiato dopo retate, arresti e processi. O il fenomeno sia così radicato e profondo da necessitare di bisturi ancora più incisivi.

Teatro della Cooperativa,

via Hermada 8, fino al 16 dicembre,

ore 20.45 (dom. 16),

18 euro, tel. 02-64749997

Omnimilanolibri su DUOMO D’ONORE

“Siamo la regione con più morti di mafia e non li sappiamo nemmeno contare”, ma sappiamo contare 100 passi, e tutto quello che Giulio Cavalli racconta nel suo spettacolo “Duomo d’onore – A cento passi dal Duomo”, da ieri per 7 sere in prima nazionale al Teatro della Cooperativa. Lea Garofalo, “morta ammazzata”, raccontata fino alle ultimi recenti notizie del ritrovamento del corpo, l’operazione “Crimine-Infinito” con gli intrecci “tutti casuali”, Loreno il paninaro di Città Studi, e le patetiche, se non ridicole amnesie dei suoi colleghi davanti ai giudici, Expo, e tutti gli interessi lì nascosti, “ma neanche troppo nascosti”. “Anche a Milano c’è l’irraccontabile, ma fa meno paura se ci parli su” e l’attore, consigliere regionale uscente di Sel, “l’unico ad esser ascoltato dal Gip senza essere stato arrestato” – togliendosi sassolini dalle scarpe e senza tralasciare nomi e particolari -, ieri sera è partito con il suo viaggio aprendo il sipario di via Hermada. Nella valigia, invisibile, di cartone, come l’essenziale scenografia, tante storie raccolte con l’aiuto del gip di Milano Giuseppe Gennari e diversi giornalisti (Gianni Barbacetto, Cesare Giuzzi, Davide Milosa, Mario Portanova, Biagio Simonetta e Giovanni Tizian) . Date, numeri, nomi che hanno fatto titolo nei Tg, forse per qualche ora, a teatro, nel secondo capitolo di “A cento passi dal Duomo”, prendono forma e diventano organici se spiegati con la mimica e la grinta di Cavalli, accompagnato dal fisarmonicista Guido Baldoni in scena con lui, ad eseguire musiche appositamente composte e da improvvisare seguendo flash back e divagazioni appassionate Come l’ultima storia, che arriva perfino dopo i ringraziamenti, concessa ad un pubblico che non ha fiatato “ed è venuto ad ascoltare queste cose, il martedì sera, in un teatro di periferia, pure” scherza attore. L’appendice fuori programma dello spettacolo ha il rumore dei 14 spari, 3 a segno, arrivati all’altezza del secondo lampione della passeggiata domenicale con il cane, che uccisero il magistrato Bruno Caccia, il 26 giugno 1983, a Torino. Cavalli, dopo il successo del primo capitolo, risalente alla stagione 2009-2010, torna a raccontare, aggiorna, riprende il filo del discorso lombardo, a pochi mesi dalla questione Zambetti, immancabile: “e con 50 euro a voto, si è fatto anche fregare sul prezzo”. Suscitando anche risate, risate consapevoli, risveglia tutti dal torpore, un torpore meno torpore di quelli in cui irruppe in scena con il capitolo primo, ma non manca di sottolineare che a Milano “di queste cose non si parla” con l’ironia che sa ben dosare punzecchiando senza offendere. “Sono fantasie, illazioni, supposizioni”. Intanto, attorno al palco, al pubblico, a cento passi da lì, ci sono “case a forma di case che sono soldi vestiti da case, invendute. Soldi, a forma di capannoni e di bar. Mafia a forma di bar, in centro, con consumazione obbligatoria. Strade, asfalto. E sotto: merda. Pensioni buttate in videopoker. E in ipermercati ogni 5 km”. C’è altrettanta potenza, ma meno spensieratezza, di due anni fa, ammette lui stesso, a sipario che sta per chiudersi, mentre ringrazia la sapiente regia di Renato Sarti: “ci sono state evoluzioni e rivoluzioni, e c’è scappata anche qualche involuzione, scusate”. In ogni caso ieri il suo viaggio è cominciato, ricominciato, dal capitolo due, senza perdere il segno, e neanche la voglia di raccontare quel binomio ‘ndrangheta-Lombardia sempre più forte ma anche sempre più noto.

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Milano connection

In scena, da Repubblica
Giulio Cavalli debutta alla Cooperativa con “Duomo d’onore”, monologo con la regia di Renato Sarti
Milano connection
“La mafia è sotto casa al bar e al supermarket”
SIMONA SPAVENTA
«NON bisogna aver paura di ciò che non si conosce, ma di quello che si crede vero ma non lo è». Cita Mark Twain Giulio Cavalli che, dopo aver raccontato la mafia a Milano tre anni fa in A cento passi dal Duomo, quando ancora le indagini non avevano smascherato le infiltrazioni della ‘ndrangheta in città, oggi porta a teatro un nuovo capitolo di quella inchiesta, svelando la criminalità invisibile che si cela nel nostro quotidiano. Lo fa con Duomo d’onore, da stasera al teatro della Cooperativa. Un monologo scritto con l’aiuto un gruppo di giornalisti — daGianni Barbacetto a Mario Portanova — per la regia di Renato Sarti.
Lei è stato profetico: nel luglio 2010 l’operazione Crimine Infinito ha portato a 300 arresti di mafiosi in Lombardia.
«Parto proprio da lì. Prima si negava l’esistenza della ‘ndrangheta a Milano, da Crimine Infinito si sono scatenati sdegno e preoccupazione. Ora, però, ci vuole “occupazione”: bisogna occuparsene. Il lavoro nasce per questo. Qui non c’è più la bulimia di dare informazioni, né l’obbligo al teatro-giornale. Torno a fare il narratore puro».
Che cosa racconta?
«Racconto delle storie, dei pezzi di quotidianità. Tutti abbiamo mangiato dagli “unti”, ma non tutti sanno che dietro a quegli hot dog c’è la ‘ndrangheta, il racket dei paninari. Entro nei bar, dove ci sono i videopoker controllati dai Casalesi, parlo dei compro oro, del riciclaggio, dei bar e dei ristoranti comprati e rivenduti, degli ipermercati così vicini da non aver clienti, assediati dal racket del facchinaggio».
La mafia è sotto casa, insomma.
«Il nostro è sano terrorismo psicologico. Vorrei che le signore tornassero a casa e leggessero i nomi dei vicini sui citofoni, sarebbe un bene in una regione narcotizzata come la nostra. Perché la mafia è tra di noi. E non bisogna essere profeti né eroi per mantenere allenato il muscolo della curiosità».
Lei, però, continua a vivere sotto scorta.
«Le minacce sono una cosa continua, ma per fortuna i miei tre bambini non lo sanno, vivono con serenità. Chi me lo fa fare? La volontà di essere intellettualmente onesto. E, gramscianamente, la gioia di non essere indifferente».
I casi di collusione con la politica sono stati eclatanti. Li tocca?
«Impossibile non parlare di Zambetti, uno che piange minacciato dai boss da cui aveva comprato voti, peraltro facendosi fregare sul prezzo. Una di quelle storie che se accade in Calabria o in Sicilia, noi sorridiamo superiori e distaccati. Invece è accaduto qui. Lo tratto come fosse un argomento da bar, perché le quote comiche non mancano nello spettacolo. E ogni risata su un boss fa bene, ne sgretola l’onore».
Lei è consigliere regionale per Sel. Non c’è il rischio comizio?
«Dopo un ventennio di conflitti d’interessi anti-etici rivolti a lobby ristrette e poco legali, trovo bellissimo e coltivo volentieri un conflitto d’interesse tra palcoscenico e bellezza, dove la lobby è quella degli spettatori. Sulle primarie della sinistra preferisco non far commenti, ma le dico una cosa: continuerò a far politica. Sarò uno “scassa minchia”, per dirla con Impastato».

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