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Luglio 2011

Il buonsenso mangia la legge

C’è uno spigolo brillante nella notizia della sentenza di Cassazione che dichiara la clandestinità come elemento non ostativo al matrimonio. Perché ci metteremo anni a capire che questa inumana legiferazione su irregolari, clandestini e immigrati ha creato un rivolo di codici che farebbero vergognare anche il peggiore regio decreto. Perché dobbiamo raccontare agli elettori legisti disturbati dagli stranieri nel baretto sotto casa che il loro voto di stizza sta creando una cultura. Una subcultura di cui sono corresponsabili tutti i partecipanti. Soprattutto le schegge che giustificano numericamente alcune dichiarazioni che non meriterebbero più di qualche link ironico in rete. La Consulta ha richiamato una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, secondo la quale “il margine di apprezzamento riservato agli stati non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale” garantito dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Da una battuta di Calderoli, senza accorgersene, ad una legge che lede senza difendere.

LaciateCIEntrare: un po’ di rassegna stampa

Da Il Fatto Quotidiano

Il diritto di accendere i riflettori sui Cie (Centri di identificazione) e sui Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo): è la richiesta proveniente dalla giornata di mobilitazione, intitolata“LaciateCIEntrare”, che vede oggi giornalisti italiani e stranieri, parlamentari di diverse forze politiche, consiglieri regionali, sindacalisti, associazioni e attivisti della società civile manifestare davanti ad alcuni centri in tutta Italia.

Obiettivo dell’iniziativa – promossa da un comitato composto da Fnsi, Ordine dei giornalisti, Articolo 21Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), Primo marzoOpen Society FoundationEuropean Alternatives; tra i parlamentari, da Jean Leonard Touadi, Rosa Villecco Calipari, Savino Pezzotta, FabioGranata, Giuseppe Giulietti, Furio Colombo, Francesco Pardi (Leggi l’elenco completo degli appuntamenti); i consiglieri regionali di Sel Giulio Cavalli e Chiara Cremonesi – dire no al divieto, stabilito nella circolare n. 1305 del ministero dell’Interno emanata il 1° aprile 2011, con cui si nega ai cronisti la possibilità di accedere a questi centri. Tra i promotori persino Livia Turco, che nel 1998 firmò insieme all’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la legge che istituiva i centri di identificazione e espulsione – che allora si chiamavano Cpt, ovvero centri di permanenza temporanea. La manifestazione si è svolta a Roma, Bologna, Modena, Gradisca, Torino, Milano, Bari, Cagliari, Santa Maria Capua Vetere, Trapani, Catania, Lampedusa, Porto Empedocle. I Cie e i Cara “sono da tempo off limits per l’informazione – ha spiegato il comitato promotore -, luoghi interdetti alla società civile e in cui soltanto alcune organizzazioni umanitarie arbitrariamente scelte riescono ad entrare”.

“La circolare voluta da Roberto Maroni – ha denunciato ancora il comitato – ha reso ancora più inaccessibili tali luoghi, fino a data da destinarsi, in nome dell’emergenza nordafricana”. Giornalisti, sindacati, esponenti di associazionismo antirazzista umanitario nazionale e internazionale, presenti nel territorio in cui sono ubicati Cie e Cara, “sono considerati secondo il testo ministeriale “un intralcio” all’operato degli enti gestori e per questo tenuti fuori. Questo si traduce di fatto in una sospensione del diritto-dovere di informazione che si va ad aggiungere alle tante violazioni già riscontrate in questi centri”.

Il primo appello per l’abrogazione della circolare era stato pubblicato il 26 maggio dal sitoFortress EuropeLo stesso sito che oggi ha diffuso la notizia, corredata da quattro foto di una giovane tunisina percossa – secondo il suo stesso racconto – da due uomini della Guardia di finanza. La donna, reclusa nel centro di identificazione ed espulsione di Roma, a Ponte Galeria, mostra gli evidenti segni di percosse e manganellate sulla schiena e sul braccio. E racconta: “Stavamo giocando a calcio, io ho colpito la palla e ho preso una ragazza nigeriana sul viso, abbiamo iniziato ad insultarci e alla fine ci siamo prese per i capelli. In quel momento a Ponte Galeria c’era una grande ostilità tra ragazze tunisine e nigeriane anche perché sono le nazionalità più numerose. Nessuna mollava la presa e sentendo le grida sono entrati tre uomini, due della Guardia di Finanza e uno in borghese. Hanno iniziato a manganellarmi per separarci, davanti a tutte le ragazze che assistevano alla scena. Sono stata picchiata dietro la schiena, sul braccio e alla spalla. Mi sono lamentata più volte con gli infermieri del Cie per i forti dolori chiedendo di poter essere accompagnata in ospedale. Ma mi hanno dato sempre e solo dei tranquillanti.” I fatti risalgono agli inizi di giugno 2011. Adesso la ragazza è stata rimessa in libertà. Le foto sono state scattate all’interno della biblioteca del Cie e consegnate da una fonte anonima a Fortress Europe, che le diffonde in anteprima attraverso l’agenzia Redattore Sociale.

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Da Redattore Sociale

 

Sel: la violazione più grave è il mancato diritto di difesa

Cavalli, consigliere regionale di Sel, dopo la visita istituzionale all’interno della struttura di via Corelli a Milano: “Ogni volta che si entra in questi centri si sentono persone denunciare i pestaggi e le violenze subite. Ormai è un fatto accertato”.
“La violazione più grave sta nel mancato diritto di difesa: qua dentro nessuno sa cosa gli stia succedendo”. Giulio Cavalli, consigliere regionale di Sel, è appena uscito dalla visita istituzionale all’interno del Cie di via Corelli, a Milano. “Ogni volta che si entra in questi centri -prosegue l’attore e politico-, si sentono persone denunciare i pestaggi e le violenze subite. Ormai è un fatto accertato”.
Non appena la delegazione di parlamentari e consiglieri regionali (con l’aggiunta dell’assessore comunale al Welfare Pierfrancesco Majorino, in un primo tempo bloccato all’ingresso) ha varcato la soglia del centro, si è formato un assembramento di detenuti attorno al gruppo, ognuno con la sua storia da raccontare. Ciò che stupisce Chiara Cremonesi, consigliere regionale Sel, è che avevano in mano i loro documenti d’identità: “Non c’è una reale volontà di identificazione. Dal Cie si giustificano dicendo che nonostante il documento si tratta di persone che vanno espulse perché prive di permesso di soggiorno, e che i consolati sono lenti nel provvedere”.
Aumentano i casi di autolesionismo e di tentati suicidi, l’ultimo proprio ieri notte. “Un’impennata che si è registrata nel corso delle ultime due settimane -spiega Chiara Cremonesi- legata alla decisione di prolungare la detenzione da 6 a 18 mesi”. Perché lo fanno? “Sono venuti a sapere che qualcuno, dopo essersi ferito, era stato graziato – risponde il consigliere regionale Sel Giulio Cavalli – non si sa in base a quale principio”. “Mi chiedo come abbiamo fatto a lasciare che questo diventasse possibile”, commenta.
La vicenda più incredibile riguarda un uomo rumeno, rinchiuso da mesi nel centro. “Ha tre bambini nati tutti in Sardegna e dice che pagherebbe il viaggio per andarsene coi suoi soldi se solo lo lasciassero uscire”, racconta Giulio Cavalli. Il consigliere regionale Sel assicura che farà le verifiche necessarie per capire come mai questa persona si ritrova detenuto in un centro d’espulsione, nonostante sia comunitario. Uno dei numerosi aspetti su cui è necessario fare luce, rimasto oscuro in virtù della direttiva del ministero dell’Interno 1305, datata primo aprile 2011: un giro di vite che ha limitato l’accesso ai Cie solo a pochissime Ong internazionali, oltre a Croce Rossa, Caritas e gli altri enti che hanno convenzioni aperte con il Viminale.

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Da Corriere Immigrazione

 

“Dentro ci sono 94 persone di cui quattro prorogati con la nuova direttiva. Un’area del centro è tutta da risistemare per la rivolta di maggio, mentre la sala benessere sembra piuttosto una fotografia della Diaz” afferma Giulio Cavalli al termine della visita. I “quattro” sono immigrati a cui stava scadendo il termine di permanenza nel Cie, allungato a 18 mesi con il decreto rimpatri. “Ci è capitato di parlare con gente” continua Cavalli “come un cittadino rumeno che ci ha mostrato di avere i documenti dei tre figli nati in Sardegna, che si dice disposto, per uscire di lì e incontrare i suoi figli, anche a pagarsi pure il viaggio”. Ma il vero problema sono i legali “che dovrebbero essere la chiave di volta per uscire da questa situazione, e invece sono messi a disposizione dalla Croce Rossa, che sono i custodi di questa gente”.

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Servizio C6TV

Milano. Il Centro di Identificazione ed Espulsione di via Corelli ha altissime mura di cemento, qualche tratto costellato da filo spinato e militari e polizia a presidiare gli ingressi. Qui si sono ritrovati cittadini, giornalisti (il presidio era organizzato dall’Associazione Lombarda Giornalisti) e alcuni esponenti della politica, per ribadire che non consentire l’ingresso alla stampa nei centri è un ‘buco nero nel sistema democratico del paese’, così come lo ha definito Giulio Cavalli (Sel) presente sul posto. Con lui anche il parlamentare del Pd Jean-Lèonard Touadi, Giuseppe Civati consigliere regionale sempre del Pd e l’assessore al welfare Pierfrancesco Majorino. Civati e Touadi sono entrati nel centro perchè “autorizzati”, Majorino ha tentato ma senza successo: al loro ritorno ci siamo fatti raccontare come è andata e Touadi ha lanciato un invito al Ministro dell’Interno Roberto Maroni: ‘Dovrebbe venire a fare un giro qui”. Servizio Federica Giordani
 

Pasquale Guaglianone: la foto con il boss e il sistema politico lombardo

Guaglianone viene condannato in primo grado (sentenza confermata in Cassazione) per la sua appartenenza ai Nar fondati da Giusva Fioravanti, Francesca MambroFranco Anselmi e Alessandro Alibrandi. L’accusa è precisa: “Compiere atti di violenza con fini di terrorismo e di eversione dell’ordine costituzionale, contribuendo a creare una struttura associativa interamente clandestina” che “progettava e compiva attività delittuose strumentali (…) predisponeva idonei rifugi per i militanti (…) acquistava ingenti quantitativi di armi, munizioni ed esplosivi”. Nel 1992 Guaglianone incassa cinque anni di condanna. Nel 1994, la Corte d’appello gli riconosce le attenuanti generiche scontando qualche mese. […] Al di là delle responsabilità penali resta, però, un fatto: l’incontro, filmato dai Ros di Milano, tra l’ex Nar, recordman di incarichi nelle partecipate pubbliche, e il presunto boss della ‘ndrangheta. Milano, Lombardia, politica, ‘ndrangheta. Trovate tutto raccontato da Davide qui.

Glocali per superare la Lega

A differenza del localismo di stampo leghista questa attenzione alle identità locali è aperta allo scambio, anzi vuole mettersi in relazione con tutte le altre: della città, del Paese, dell’Europa, del mondo. Si definisce non solo attraverso la storia e la memoria (il “come eravamo”) ma attraverso le trasformazioni sociali di cui è il risultato, perché in ogni momento l’identità di un luogo, di una comunità, di un popolo è provvisoria e dinamica. Ed è inclusiva: pretende riconoscimento reciproco, rispetto e dignità per ogni membro della comunità, e considera gli immigrati nuovi cittadini che concorrono alla nostra vita sociale e alla nostra ricchezza materiale e culturale. Fa piacere leggere cose così.

Alberto Varone vent’anni dopo

«Quel sindaco, un medico, che prese parte ai funerali del vecchio boss, non è meno colpevole, di fronte alla società, di un criminale». Quanti sono i passi che separano un uomo dalla sua dignità? A questa domanda Alberto Varone rispose, pagando con la vita, il 24 luglio di vent’anni fa. Il tempo, poi, ha fatto maturare la consapevolezza che in terre come la Campania oggi, più di ieri, è difficile distinguere i camorristi dagli altri, tra la massa anonima della cosiddetta “società civile”. Su Terra il bel pezzo per partecipare alla consapevolezza.

Settimana in movimento: senza fermarsi

Tre giorni di sedute di Consiglio importanti per il bilancio, la vergognosa legge sui parchi e i nostri ordini del giorno (tutti gli argomenti scaricabili qui). E poi:

martedì 26 luglio, ore 21 alla Festa Provinciale Sinistra Ecologia Libertà di Monza e Brianza Area feste via Aldo Moro Brugherio (MB): presento il mio libro “Nomi, cognomi e infami”, intervengono:Valerio D’ Ippolito, referente LIBERA Monza/Brianza, Daniele Cassanmagnago, Assessore all’urbanistica comune di Desio e Alfredo Luis Somoza, presidente ong ICE.

giovedì 28  ore 19 “Antimafia a Milano: Commissione o Comitato?” Intervengono: NANDO DALLA CHIESA Professore di Sociologia della Criminalità Organizzata, Università Statale di Milano,  GIULIO CAVALLI Scrittore, Politico, Consigliere Regionale di SEL, MIRKO MAZZALI Avvocato, Consigliere Comunale, Presidente della Commissione Sicurezza di Palazzo Marino. Libreria del Mondo Offeso Corso Garibaldi 50Milano.

giovedì 28 ore 21  “Chi paga la crisi?”con Alfonso Gianni (nazionale SEL), Giulio Cavalli (consigliere regionale SEL), Damiano Galletti (segretario provinciale SEL), Donatella Albini (consigliere comunale SEL). Festa Provinciale Sinistra Ecologia e Libertà, Centro Civico Collebeato Via San Francesco 1 Collebeato (BS).

venerdì 29 ore 21 “La linea della palma” con Antonio Ingroia, Salvatore Borsellino e Giulio Cavalli, moderatore Pierluigi Senatore. Piazza Spallanzani Porto Venere (SP).

sabato 30 ore 20.30 in scena con lo spettacolo “Nomi, cognomi e infami”, organizza l’ Associazione Antiracket  1° chiostro abbazia benedettina S.M.Arcangelo – Montescaglioso (MT).

Il Giornale che si redime

La notizia potrebbe anche fare ridere se non fosse l’emersione delle tecniche che hanno avvelenato questi ultimi decenni: Il Giornale pubblica una prima pagina islamofoba sulla strage di Oslo ritirando fuori dal cassetto niente popò di meno che Al Qaida. Con tanto di editoriale “La guerra dell’Islamismo contro la nostra civiltà è feroce e aggressiva”. Poi si accorge della mastodontica falsità (come se non ci fossero abituati) e svolta su una più moderata apertura “Strage in Norvegia”. E’ la nudità della sistematica bugia che serve per concimare la paura e dividere in modo manicheo i buoni dai cattivi, il bianco dal nero, dove i peggiori sono sempre gli altri. Qualcuno la chiama macchina del fango invece sarebbe più banalmente un’associazione giornalistica a delinquere se il favoreggiamento culturale al falso fosse un reato (se non nel Paese almeno per l’Ordine dei giornalisti). Le due prime pagine di questa povertà intellettuale da copertina le potete trovare e leggere qui.

Qualcuno lo vorrebbe leader

Nel quartier generale del Grande Centro, Casini espone la sua proposta politica:«Sostantivo femminile. Assumersi, prendersi la erre delle proprie azioni; la erre di quanto è accaduto è tutta tua; ognuno deve accettare la sua parte di erre». «Bravo Pierferdinando, illuminante!». Grandissima Francesca Fornario sull’Unità. Me l’ero perso.

Genova, 20 luglio 2001, secondo Erri De Luca

Anche quest’anno ho letto molto per l’anniversario di Genova. Le diverse posizioni, più o meno condivisibili, che tutti gli anni ciclicamente escono con affetto o con bile, con lucidità o con strumentale ignoranza. Non ho riguardato i filmati. Quest’anno no. Mi si crea un dolore e un disgusto che non riesco a dissimulare. Quest’anno ho letto, tra le tante cose, tanti verbi al passato, come se quella Genova non fosse la madre abusata di nuovo che ha partorito le vicende recenti, dalla Val di Susa fino ad ogni piazza dove si confonde volutamente la richiesta con la rabbia, il diritto con la ribellione e l’ordine pubblico con la desertificazione sistematica della manifestazioni di idee. Poi ho trovato questo pezzo di Erri De Luca. E mi ci sono ritrovato a nuotare dentro pensando che una buona memoria si può provare a ripulire, a martellare, a costruire. Almeno per noi.

20 luglio 2001 di Erri De Luca

Un proverbio persiano dice: «Se vuoi farti un nome,

viaggia o muori». Lui non voleva un nome,

quel mattino di luglio voleva andare al mare.

La strada era già un mare,

le ondate di migliaia dietro migliaia dentro le piazze,

i vicoli, nei viali, allagavano Genova città.

Pensò ch’era Venezia, liquida di canali.

Cercò di navigarla, però l’alta marea

di molta umanità se lo portava via nella corrente.

Più logico seguirla. Era lo stesso una giornata al mare.

 

Montava il terzo giorno di acqua alta, a Genova e di luglio,

tre giornate di onde di persone.

 

C’era l’appuntamento di otto presidenti

con la scorta delle gendarmerie assortite,

pure le guardie forestali e di penitenziario.

C’erano i paracadutisti e i palombari.

A parte queste frotte, Genova conteneva

la formula migliore di popolo riunito dalla rosa dei venti.

Su qualunque mezzo, compreso nave, bicicletta e a piedi:

evviva i viaggiatori, sudati, intransigenti, lieti.

 

Quel giorno terzo il cretino al potere, incretinito appunto dal potere, scagliò la truppa addosso all’alta marea. Era marea di quelle che non possono defluire a mare. Nella città compressa tra la collina e il porto non aveva uscita, sfogo, scappamento. Aggredita, si riformava ovunque, scossa e scombinata dal suo stesso formato innumerevole. Sbatteva contro i muri, i manganelli, i calci in faccia e gli insulti della truppa arroventata dal sole e dal cretino.

 

Lui si mischiò dentro l’acqua agitata.

Pensò che il mare non andava preso a calci.

Il mare quando è fatto di persone, va ascoltato e basta.

Il mare quando è pieno di sale di ragione, va in salita

scavalca dighe e moli. Oggi io sono il mare,

pensò all’ingresso del piccolo slargo di piazza Alimonda,

nome che finisce con un’onda.

Gli venne il sorriso veloce di quando scorgeva

la strizzatina d’occhio di una coincidenza.

 

Amava il latino, traduceva Catullo stordito d’amore,

Ovidio spedito in esilio, Virgilio col biglietto

per visitare l’aldilà, il gran museo dei morti.

Amava il latino. Nel mazzo di carte da studio un ragazzo

ci vuole vedere in qualcuna il suo settebello.

Mare: in latino al plurale fa mària.

Decise quel giorno e quell’ora che avrebbe sposato

una di nome Marìa e le avrebbe spiegato perché.

 

Su piazza Alimonda il sole batteva a tamburo,

la luce bruciava negli occhi.

Un carabiniere coi calci

sfondò il vetro del suo quattroruotemotrici.

Di solito i vetri si rompono da fuori.

Quello si ruppe da dentro. Il carabiniere

tolse così l’ostacolo alla mira e la sicura all’arma.

Lui pensò di dover raccogliere i vetri,

non vanno lasciati sul fondo del mare.

Chinato a levarli, un estintore gli rotolò vicino.

Lo prese, gli venne l’impulso di gettarlo via,

s’accorse del carabiniere, del vetro sfondato, del braccio,

con l’arma, col dito. Che fai disgraziato?

Non vedi che io sono il mare?

 

Il mare lanciò l’estintore con tutta la forza

del braccio e dell’onda di piazza Alimonda.

In volo incrociò la pallottola calibro nove.

Cadendo pensò che il mare così abbatte le sue ondate

addosso alla scogliera e quando si sollevano gli spruzzi

vengono giù e l’onda non c’è più.

Il mare nell’urto da azzurro si rompe nel bianco.

Gridarono le ali e le lenzuola stese,

gridò lo zucchero, la farina, il sale,

il marmo, la pagina e la schiuma delle onde vicine,

gridò il bianco dell’uovo e delle voci.

 

Pensò: non è così che sposerò Maria.

Un accento si sposta e si scombina il legittimo destino,

può darsi che c’entri il latino,

o un giorno violento di luglio, lo scambio di un mare per l’altro.

Pensò ch’era arrivato a riva,

dove il mare riabbraccia la sua onda schiantata

e la riassorbe. Pensò al respiro di sua madre, il mare.

Poi scivolò sul fondo, senza peso di vita.

 

Dice il proverbio persiano: «Se vuoi farti un nome,

viaggia o muori». Dieci anni più tardi il suo nome viaggia

insieme alle onde che sono la maggioranza del mondo.