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Novembre 2011

La lingua tagliata

Il mio più lontano ricordo è intinto di rosso. In braccio a una ragazza esco da una porta, davanti a me il pavimento è rosso e sulla sinistra scende una scala pure rossa. Di fronte a noi, sul nostro stesso piano, si apre una porta e ne esce un uomo sorridente che mi si fa incontro con aria gentile. Mi viene molto vicino, si ferma e mi dice: «Mostrami la lingua!». Io tiro fuori la lingua, lui affonda una mano in tasca, ne estrae un coltellino a serramanico, lo apre e con la lama mi sfiora la lingua. Dice: «Adesso gli tagliamo la lingua». Io non oso ritirarla, l’uomo si fa sempre più vicino, ora toccherà la lingua con la lama. All’ultimo momento ritira la lama e dice: «Oggi no, domani». Richiude il coltellino con un colpo secco e se lo ficca in tasca. (La lingua tagliata, Elias Canetti)

Questa settimana in Sardegna

Per i sardi (e per chi volesse) i miei appuntamenti di questa settimana con la valigia in mano tra andate e ritorni dal continente. In Sardegna con lo spettacolo L’innocenza di Giulio.

  • Giovedì 3 ore 21:00 Orosei  (NU) – Cine Teatro Pitagora Via Nazionale
  • Venerdì 4 ore 21:00 Dorgali (NU) – Teatro Comunale Via Veneto PER info: Dorgali, Orosei: Bocheteatro 0784.203060 • 320.3742157 • bocheteatro@tiscali.it •www.bocheteatro.it
  • Sabato 5 ore 21:00 Pirri (CA) – Teatro La Vetreria via Italia 63 INFO: Cada die teatro 070.5688072 • 070.565507 • 328.2553721 • cdt@cadadieteatro.it • www.cadadieteatro.it
  • Domenica 6 ore 19:00 San Sperate (CA) – Teatro La Maschera via Is Spinargius, 2 INFO: La Maschera 070.9600418 • la.maschera@tiscali.it • www.lamaschera.it

 

EXPO 2015: nutrire Compagnia delle Opere

E la fame nel mondo? Beh agli affamati offriremo del cibo virtuale, un’agricoltura virtuale, potranno nutrirsi via internet senza muoversi dal loro Paese. Così va il mondo. Formigoni si è anche accreditato dei rapporti con i Paesi espositori con i quali, giustamente fedele alle sue abitudini, cercherà di intessere affari, speriamo più decifrabili di quelli petroliferi d’antan. E la fame nel mondo? Beh era la ciliegina sulla torta anche se un po’ piccola per il miliardo di affamati nel mondo. Il Comune che fa? Giuliano Pisapia ci ha ripetuto qualche giorno fa: “Non lasciatemi solo!”. Siamo tutti qui, basta un fischio. Finalmente qualcuno lo dice. Su Arcipelagomilano.

Renzi in internet’s wonderland

Sto studiando le proposte di Matteo Renzi (quel pdf che non si capisce perché dovrebbe essere wiki) e tra i primi punti che mi sono saltati all’occhio ho trovato “Con Internet, chiunque può produrre a costo zero il suo bollettino o il suo house organ. I contributi alla stampa di partito vanno aboliti”.

Questa favola di internet gratuito e patria del dilettantismo è una voce che di solito sento nel bar sotto casa mentre giocano duro a scala quaranta o quando sento qualche commesso che cerca di rifilare in offerta un pc ormai fuori produzione. Conosco giornalisti in rete che lavorano al proprio sito con più cura di un Lavitola qualsiasi con il proprio quotidiano e con la barra più dritta di tante testate considerate dure e pure anche dalle nostre parti del centrosinistra (byoblu, mi viene in mente, Francesco Piccinini con il suo agoravox o i giornalisti de Il Post). Senza dimenticare il digital divide che sembra non riuscire ad entrare nell’agenda politica (mentre è analizzato e farcito di proposte su Agendadigitale): basta consultare wikipedia (quella veramente wiki) per scoprire che al 2010, una famiglia italiana su 2 non ha un collegamento e solo una su 3 possiede Internet in banda larga. Il numero di italiani del tutto privi di copertura on line è di 2,3 milioni. Un numero che raggiunge quota 23 milioni (il 38% della popolazione), se si considerano i servizi d’accesso più tecnologici in grado di consentire fino a 100 Megabit al secondo. Nonostante la programmazione di investimenti pubblici per la banda larga, fermatisi però al Cipe come nel caso del “Piano Romani”, la riduzione del divario digitale all’interno del Paese ha coperto solo un ulteriore 5% della popolazione fra il 2004 e il 2009, di cui l’1,5% tramite Infratel, e si stima che nel 2011 ancora il 2% della popolazione sia in digital divide. La situazione territoriale è a macchia di leopardo, soprattutto per quanto riguarda la copertura di “seconda generazione” (20 Mbps), che arriva solo al 62% degli italiani. Basilicata, Calabria eValle d’Aosta superano il 60% in termini di digital divide, mentre Lazio e Liguria sono al di sotto del 25 per cento. La tecnologia WiMAX, per la quale il Ministero delle Comunicazioni ha assegnato le Frequenze con un bando pubblico nel 2008, grazie alle sue caratteristiche permette prestazioni comparabili a quelle dell’ADSL ordinaria, mitigando il problema del Digital Divide specialmente nelle aree a media densità abitativa e affette da carenza di infrastrutture. Anche con collegamenti via wireless sarebbe possibile una copertura totale del territorio, con l’onere di installare un DSLAM in ognuna delle 10800 centrali telefoniche italiane. Associazioni “Anti Digital Divide” si battono da anni per abbattere tale fenomeno negativo, per diffondere la banda larga in Italia e per la diminuzione delle tariffe ADSL.

Quello che avrei voluto dire lo scrive bene mazzetta nel suo articolo che, mica per niente, si conclude così: Per quanto possa risultare efficace è comunque populismo visto e stravisto, disonesto e ipocrita quando si presenta come ansioso di servire chi invece sta ingannando. Tutta gente che dovrebbe lavorare gratis o per un tozzo di pane e fare “i sacrifici”, per la maggior gloria del paese tutto e dei Marchionne e dei Renzi in particolare, quelli che sminuiscono il valore del lavoro degli altri e innalzano alle stelle quello del proprio. Loro che sono bravi a comunicare, a prendere decisioni e preoccupati per la collettività.

Il problema rappresentato dalla diffusione di convinzioni del genere ovviamente eccede le sciocchezze le autocandidature di Renzi e deborda ben oltre il settore dell’editoria. Tanto che è diventato una piaga per tutti quanti lavorano in rete e con la rete (ma anche fuori), che hanno grandi difficoltà a ricevere un’equa retribuzione e persino ad avere il riconoscimento della loro dignità professionale. La distruzione della dignità del lavoro e dei lavoratori gioca a favore di pochi privilegiati, non può portare alcun vantaggio alle collettività.

Casi del genere ribadiscono la necessità di una rivoluzione culturale, ben diversa da quella promessa dai Renzi e dalle loro moine, anche se il loro incessante ripetersi suggerisce che forse nel paese non esistono le forze e la volontà di resistere all’avanzare della dittatura dell’ignoranza. 

 

In Consiglio chi ha fatto cosa

Perché siamo qui per sottolineare le criticità della maggioranza ma per sottolineare anche le positività. E il nuovo sito del Consiglio Regionale della Lombardia finalmente diventa trasparente (ma lo è sempre stato) e soprattutto accessibile. E basta poco per vedere chi sta facendo cosa. Qui c’è la mia scheda (con un foto degna dei fotoromanzi anni ’80 nella parte del gangster). Guardatevi in giro, scoprirete eventuali sottovalutati e sopravvalutati. Poi, per qualsiasi curiosità io sono qui.

Happy Italy

Il libro di Ilaria Rossetti è bello da leggere, da scrivere e da comprare. Per quello che dice e per quello che rappresenta. Perché Ilaria è lodigiana e da lodigiana parla di quella fanghiglia locale (da cui nel lodigiano fatichiamo a liberarci) e perché, come dice lei stessa «Non importa se hanno infranto la legge, se hanno fatto male ad altri – spiega ancora Ilaria – , spesso questi personaggi, come Fiorani nel 2010, quando è stato scritto il romanzo, finiscono per diventare quasi dei modelli, degli eroi perché impuniti. E non è solo un problema giudiziario, ma di atteggiamento: diventano il prototipo di chi ce l’ha fatta».

A Cesano Maderno una lobby per la legalità

Cesano Maderno – Sei associazioni e un unico percorso, lungo sette mesi, per promuovere la legalità.Associazione Consenso, Circolo culturale Don Bosco, cooperativa Le Stelle, associazione Magister Ludi, “Noi per Cesano”, e Lipu si sono ritrovate per la prima tappa di quel “Vivere insieme” che è alla base del ciclo di eventi in partenza il prossimo novembre. Tra gli obiettivi del cammino comune, fatto di condivisione di intelligenze, risorse, obiettivi ed energie, in un unico contenitore, c’è il desiderio di sensibilizzare e mantenere alta l’attenzione su temi di grande attualità come la presenza della criminalità organizzata in Brianza, la legalità come responsabilità di tutti e l’indiscriminato consumo di suolo. Le sei realtà si sono unite, pur senza rinunciare alle singole identità, con il contributo di Libera, associazione fondata da don Luigi Ciotti con l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie. Sono onorato di essere con loro un massone per la legalità l’11 novembre con A 100 PASSI DAL DUOMO al Teatro Excelsior. Per il programma potete leggere qui.

Il movimento del 99 per cento può cambiare il mondo

Un pezzo che è un manifesto. Senza scenografie e senza tutti i coriandoli intorno. Stiamo lavorando e la prossima settimana partiamo (#agorà). Il pezzo di Ulrich Beck è il punto da cui partire.

Com´è possibile che un caldo autunno americano, sul modello della primavera araba, distrugga il credo dell´Occidente, cioè la visione economica dell´american way? Com´è possibile che il grido “Occupy Wall Street” raggiunga e trascini nelle piazze non soltanto i ragazzi di altre città americane, ma anche quelli di Londra, Vancouver, Bruxelles, Roma, Francoforte e Tokio? I contestatori non sono andati soltanto a far sentire la loro voce contro una cattiva legge o a sostenere qualche causa particolare: sono scesi in piazza a protestare contro “il sistema”. Ciò che fino a non molto tempo fa veniva chiamato “libera economia di mercato” e che ora ricomincia a essere chiamato “capitalismo” viene portato sul banco degli accusati e sottoposto a una critica radicale. Perché il mondo è improvvisamente disposto a prestare ascolto, quando Occupy Wall Street rivendica di parlare a nome del 99% dei travolti contro l´1% dei profittatori?
Sul sito web “WeAreThe99Percent” si possono leggere le esperienze personali di quel 99%: quelli che hanno perduto la casa nella crisi del settore immobiliare; quelli che costituiscono il nuovo precariato; quelli che non possono permettersi nessuna assicurazione contro le malattie; quelli che devono indebitarsi per poter studiare. Non i “superflui” (Zygmunt Bauman), non gli esclusi, non il proletariato, ma il centro della società protesta nelle pubbliche piazze. Questo delegittima e destabilizza “il sistema”.
Certo, il rischio finanziario globale non è (ancora) una catastrofe finanziaria globale. Ma potrebbe diventarlo. Questo condizionale catastrofico è l´uragano abbattutosi nel mezzo delle istituzioni sociali e della vita quotidiana delle persone sotto forma di crisi finanziaria. È irregolare, non si muove sul terreno della costituzione e della democrazia, reca in sé la carica esplosiva di un fenomeno ancora in gran parte sconosciuto, anche se stentiamo ad ammetterlo, e che spazza via le nostre consuete coordinate orientative. Nello stesso tempo, in questo modo una sorta di comunità di destino diventa un´esperienza condivisa dal 99%. Ne possiamo cogliere il segno nei saliscendi repentini delle curve finanziarie, che con le loro montagne russe rendono immediatamente percepibile il legame tra i mondi. Se la Grecia affonda, è un nuovo segnale del fatto che la mia pensione in Germania non è più sicura? Cosa significa “bancarotta di Stato”, per me? Chi avrebbe immaginato che proprio le banche, così altezzose, avrebbero chiesto aiuto agli Stati squattrinati e che questi Stati dalle casse cronicamente vuote avrebbero messo in un batter d´occhio somme astronomiche a disposizione delle cattedrali del capitalismo? Oggi tutti pensano più o meno così. Ma questo non significa che qualcuno lo capisca.
Questa anticipazione del rischio finanziario globale, che si fa sentire fin nei capillari della vita quotidiana, è una delle grandi forme di mobilitazione del XXI secolo. Infatti, questo genere di minaccia è ovunque percepito localmente come un evento cosmopolitico che produce un cortocircuito esistenziale tra la propria vita e la vita di tutti. Simili eventi collidono con la cornice concettuale e istituzionale entro cui abbiamo finora pensato la società e la politica, mettono in questione questa cornice dall´interno, ma nello stesso tempo chiamano in causa sfondi e presupposti culturali, economici e politici assai differenti; analogamente, la protesta globale si differenzia a livello locale.
Sotto il diktat dell´emergenza le persone fanno una specie di corso accelerato sulle contraddizioni del capitalismo finanziario nella società mondiale del rischio. I resoconti dei media fanno emergere la separazione radicale tra coloro che generano i rischi e ne traggono profitto e coloro che ne devono scontare le conseguenze.
Nel Paese del capitalismo da predoni, gli Stati Uniti, sta prendendo forma un movimento di critica del capitalismo – ancora una volta, si tratta di un evento imprevedibile. Abbiamo detto “follia” quando è crollato il muro di Berlino. Abbiamo detto “follia” quando, il 9 settembre del 2001, le Twin Towers di New York si sono disfatte nella polvere. E abbiamo detto “follia” quando, con il fallimento di Lehman Brothers, è scoppiata la crisi finanziaria globale. Cosa significa “follia”? Anzitutto una conversione spettacolare: banchieri e manager, i fondamentalisti del mercato per antonomasia, fanno appello allo Stato. I politici, come in Germania Angela Merkel e Peer Steinbrück, che fino a non molto tempo fa esaltavano il capitalismo deregolato, dal giorno alla notte cambiano opinione e bandiera, e diventano fautori di una sorta di socialismo di Stato per ricchi. E ovunque regna il non-sapere. Nessuno sa cosa sia e quali effetti possa realmente produrre la terapia prescritta nella vertigine degli zeri. Tutti noi – vale a dire il 99% – siamo parte di un esperimento economico in grande, che da un lato si muove nello spazio fittizio di un non-sapere più o meno inconfessato (si sa solo che, quali che siano i mezzi adottati e gli obiettivi perseguiti, bisogna impedire qualcosa che non deve in nessun modo accadere), ma, dall´altro, ha conseguenze durissime per tutti.
Si possono distinguere diverse forme di rivoluzione: colpo di Stato, lotta di classe, resistenza civile ecc. I pericoli finanziari globali non sono nulla di tutto ciò, ma incarnano in modo politicamente esplosivo gli errori del capitalismo finanziario neoliberista che è stato ritenuto valido fino a ieri e che, con la violenza del suo trionfo e della catastrofe ora incombente, esige la loro presa d´atto e la loro correzione. Essi sono una sorta di ritorno collettivo del rimosso: alla sicurezza di sé neoliberista vengono rinfacciati i suoi errori di partenza.
Le crisi finanziarie globali, che minacciano in tutto il mondo le condizioni di vita delle persone, producono un nuovo genere di politicizzazioni “involontarie”. Qui sta il loro bello – in senso politico e intellettuale. Globalità significa che tutti sono colpiti da questi rischi, e tutti si ritengono colpiti. Non si può dire che ciò abbia già dato origine a un agire comunitario; sarebbe una conclusione affrettata. Ma c´è qualcosa come una coscienza della crisi, che si nutre del rischio e rappresenta proprio questo tipo di minaccia comune, un nuovo genere di destino comune. La società mondale del rischio – questo mostra il grido del “99%” – può acquisire una consapevolezza matura di sé in un impulso cosmopolitico. Ciò sarebbe possibile se si riuscisse a trasformare la dimostrazione oggettiva di condizioni che si rivolgono contro sé stesse in un impegno politico, in un movimento Occupy globale, nel quale i travolti, i frustrati e gli affascinati, ossia tendenzialmente tutti, scendono in piazza, virtualmente o effettivamente.
Ma da dove nasce la forza o l´impotenza del movimento Occupy? Non può trattarsi soltanto del fatto che perfino gli squali di Borsa si dichiarano solidali. Il rischio finanziario globale e le sue conseguenze politiche e sociali hanno tolto legittimità al capitalismo neoliberista. La conseguenza è che c´è un paradosso tra potere e legittimità. Grande potere e scarsa legittimità da parte del capitale e degli Stati, e scarso potere ed alta legittimità da parte di quelli che protestano in modo pittoresco. È uno squilibrio che il movimento Occupy potrebbe sfruttare per avanzare alcune richieste basilari – come ad esempio una tassa globale sulle transazioni finanziarie – nell´interesse correttamente inteso degli Stati nazionali e contro le loro ottusità. Per applicare questa “Robin Hood Tax” si dovrebbe dar vita in modo esemplare ad un´alleanza legittima e potente tra i movimenti di protesta globali e la politica nazional-statale. Quest´ultima potrebbe così compiere il salto quantico consistente nella capacità degli attori statali di agire in una dimensione trans-statale, cioè al di qua e al di là delle frontiere nazionali. Se questa esigenza viene espressa perfino dalla cancelliera federale tedesca Angela Merkel e dal presidente francese Sarkozy perlomeno nella forma di un bello slogan, allora si può senz´altro accreditare a questo obiettivo una possibilità di realizzazione.
In termini generali, nella consapevolezza globale del rischio, nell´anticipazione della catastrofe che occorre impedire ad ogni costo, si apre un nuovo spazio politico. Nell´alleanza tra i movimenti di protesta globali e la politica nazional-statale ora si potrebbe ottenere, alla lunga, che non sia l´economia a dominare la democrazia, ma sia, al contrario, la democrazia a dominare l´economia.
Contro la percezione – che sta diffondendosi rapidamente – di una mancanza di prospettive forse può aiutare la consapevolezza del fatto che i principali avversari dell´economia finanziaria globale non sono quelli che ora piantano le loro tende nelle pubbliche piazze di tutto il mondo, davanti alle cattedrali bancarie (per quanto importanti, anzi indispensabili siano le iniziative di questi contestatori); l´avversario più convincente e tenace dell´economia finanziaria globale è la stessa economia finanziaria globale.
(Traduzione di Carlo Sandrelli).

Da La Repubblica del 01/11/2011.

Perché non vai in tivvù?

La domanda che mi sento fare spesso, in giro per l’Italia. (Da notare la qualità della discussione. Domande intelligenti e risposte argomentate lucidamente. Il parallelo con oggi è da brividi. Scrive giustamente macolett)