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Aprile 2015

La Diaz secondo Arnaldo, Attilio Manca e cosa ci abbiamo messo dentro LEFT questa settimana

È un numero che mi sta particolarmente a cuore quello di LEFT di questa settimana in edicola da oggi perché ci ho rimesso un pezzo di cuore dedicandomi alla Diaz (per opporsi a questo continuo tentativo di rimozione) e alla vicenda di Attilio Manca con una lunga (e spero bella) intervista ad Angela Manca, madre del giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto di cui sicuramente sappiamo solo che è morto. Per il resto c’è la presentazione della direttora Ilaria Bonaccorsi:

Ripartiamo dalle fondamenta. Dai ricchi e dai poveri. Questa settimana su Left Chiara Saraceno non solo scrive i numeri della povertà in Europa (solo i minori a rischio povertà sono 27 milioni, uno su quattro) e in Italia, ma spiega cosa sia “la povertà estrema”, quella che uccide persino la capacità, l’aspirazione di immaginare di poter cambiare la propria condizione.
Le disuguaglianze crescono e non perché siano accidenti, ma per scelte precise. Come quelle che portano a sistemi di tassazione iniqui che continuano a colpire i molti che hanno poco per favorire i pochi che hanno molto.
Vi abbiamo raccontato la storia del regista inglese Ken Loach che dei losers e della working class ha fatto la sua bandiera più bella. E abbiamo chiesto al regista italiano Mimmo Calopresti di spiegarci la sua vita tra gli operai, prima della Fiat e poi della Thyssen di Torino.
Ci siamo occupati di tortura e della nuova legge chiedendo a Luigi Manconi, autore del testo originario, di spiegarci come e quanto, prima di essere approvata alla Camera, sia stata modificata e in parte snaturata. Ci siamo occupati di libertà e resistenzaricordando, a modo nostro, il 25 aprile. Dello strano caso di Attilio Manca, urologo del boss Provenzano, e di una donna unica: il giovane avvocato Tawakkul Karman, premio Nobel per la pace nel 2011, volto gentile della Primavera yemenita.
E molto altro ancora: di Kurdistan, di Velazquez a Parigi, del ritorno dell’intellettuale organico e della magnifica storia del fisico Joseph Rotblat che si rifiutò di costruire la “bomba”. Buona lettura!
  

Altro che il figlio di Lupi: è la moglie di Alfano la professionista di consulenze (pubbliche, tra l’altro)

Ma se Lupi si è dimesso, il Ministro Alfano che deve fare, harakiri?

Ecco l’inchiesta di Emiliano Fittipaldi:

imageChe Angelino Alfano sia un ministro miracolato (dal caso dell’espulsione illegittima della dissidente Alma Shalabayeva alle manganellate della polizia agli operai delle acciaierie di Terni, in due anni appena il Parlamento ha già votato – e respinto – due richieste di dimissioni) è cosa nota. Meno nota, invece, è la rete di “relazioni pericolose” del titolare dell’Interno, e l’intreccio di interessi politici e economici che “L’Espresso” in edicola venerdì è in grado di raccontare per la prima volta.

Partendo dalla moglie del ministro dell’Interno Angelino Alfano, Tiziana Miceli, che ha appena avuto cinque consulenze dalla Consap, la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici controllata dal ministero dell’Economia che fornisce servizi al ministero dell’Interno e a quello dello Sviluppo Economico. In una dichiarazione firmata il 24 febbraio 2014 la Miceli dichiara di essere già «titolare di incarichi di assistenza legale conferiti da Consap», ma tra fine 2014 e l’inizio del 2015 lo studio della Miceli (il poco conosciuto RM-Associati, di cui risulta socio anche Fabio Roscioli, avvocato di Alfano) ha ottenuto altri cinque incarichi, l’ultimo a fine gennaio.

La moglie di Angelino è stata assunto grazie a una delibera firmata da Mauro Masi, amministratore delegato della Consap ed ex direttore generale della Rai ai tempi del governo Berlusconi, boiardo vicino al centro destra che il governo di Matteo Renzi ha persino promosso qualche mese fa, confermandolo sulla poltrona di ad e concedendogli anche quella da presidente. «Gli importi» della consulenza della Miceli, si legge nelle determine, «saranno quantificati all’esito delle attività». Speriamo, per le casse pubbliche, non siano troppo alti.

Non è tutto. La Miceli in passato ha ottenuto altri incarichi da alcune amministrazioni pubbliche siciliane (dalla provincia di Palermo all’Istituto autonomo case popolari di Palermo) sempre controllate dal centro destra, mentre nel 2014 la moglie di Angelino risulta aver difeso anche gli interessi di una società (la Serit) insieme al collega Angelo Clarizia.

Non un avvocato qualsiasi, Clarizia: è infatti socio in affari di Andrea Gemma, amico storico di Alfano e altro vertice di peso della sua rete relazionale, in passato consigliere ministeriale a cachet  e oggi membro del cda dell’Eni e commissario liquidatore di aziende importanti come la Valtur.

Gemma e Clarizia sono legatissimi: i loro studi hanno di recente anche vinto un appalto per i servizi legali dell’Expo (da 630 mila euro) e, in barba a qualsiasi conflitto di interessi potenziale, “L’Espresso” ha scoperto che da poco i due hanno difeso anche gli interessi del Nuovo Centro Destra, il partito del ministro dell’Interno.

Domani a Padova

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In Via Diego Valeri 9 presento il mio libro CORRO PERCHE’ SCIVOLO sulla storia di Dorando Pietri. E insieme ci raccontiamo anche quanto sia bello provare ad apprezzare anche i secondi e tutti quelli dietro.

Il libro lo potete acquistare in ebook nell’edizione curata da L’Espresso qui oppure cartaceo qui. Oppure direttamente domani sera. Mi raccomando, eh.

Ilaria Alpi: forse sappiamo chi (non) è stato

hassan-omar-hashi-rai3Ora non ci sono più dubbi. Ahmed Ali Rage, alias “Gelle”, supertestimone del processo sulla morte della giornalista Ilaria Alpi e del cameraman Miran Hrovatin, è l’uomo di origini somale raggiunto dalla trasmissione “Chi l’ha visto?” che ha dichiarato di avere reso falsa testimonianza. La Procura di Roma, infatti, ha ricevuto la prima risposta dai periti, che hanno comparato la foto del cartellino segnaletico con le immagini del servizio televisivo. “Non è stato Omar Hashi Hassan ad uccidere Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Io non ho visto chi ha sparato, non ero lì” aveva rivelato, parlando dell’omicidio dei due italiani da parte di un commando a Mogadiscio, il 20 marzo 1994. “Gli italiani – si leggeva nella nota della redazione di “Chi l’ha visto?” – avevano fretta di chiudere il caso e gli hanno promesso denaro in cambio di una sua testimonianza al processo”. Ora è partita, da parte dei magistrati, la richiesta di rogatoria internazionale per il Regno Unito, dove Gelle vive. Il fascicolo è sulla scrivania del ministro della giustizia Andrea Orlando.

L’ennesima conferma del depistaggio operato sul caso Alpi-Hrovatin potrebbe ora essere l’input per la revisione del processo nei confronti di Hashi Omar Assan, colui che era stato accusato da Gelle. Grazie alla sua deposizione, infatti (rilasciata solo davanti alla Digos e al Pm romano Franco Ionta, ma mai confermata in Tribunale) Hashi era stato condannato a 24 anni di reclusione, accusato di aver fatto parte del commando che uccise il cameraman e la giornalista. Hashi Omar Hassan viene arrestato a gennaio del 1988 dalla Digos di Roma, dopo la testimonianza resa da Gelle, alla quale però mancava il riconoscimento da parte del teste e la conferma delle dichiarazioni nell’aula del tribunale. Nè l’uno nè l’altra, però, avranno luogo: a dicembre ’97, infatti, Gelle sparisce per 17 anni, per poi ricomparire qualche mese fa, rilasciando quell’intervista shock.
In realtà Gelle aveva già parlato di questo nel 2002 a un giornalista somalo, Sabrie, nel corso una conversazione telefonica registrata, ma secondo il tribunale di Roma non era certo che si trattasse proprio di Ahmed Ali Rage, essendo impossibile effettuare confronti e verifiche.
Gelle mise piede in in Italia quattro anni dopo la morte di Ilaria e Miran, nel 1997, dopo essere stato considerato teste chiave e attendibile dall’ambasciatore italiano Giuseppe Cassini, che ricevette l’incarico dal Governo Prodi. “Non ho registrato alcun indizio che possa suffragare la nota tesi del traffico d’armi legato alla cooperazione italiana” si legge nel verbale raccolto da Cassini. Le dichiarazioni di Gelle sarebbero state avallate da “incontri a Bosaso”, a Nord-Est della Somalia, e da “dichiarazioni di testimoni” non meglio precisati. A Bosaso, però, Ilaria Alpi ci sarebbe andata per raccogliere notizie sulla Shifco, la compagnia italo-somala che avrebbe trasportato armi dalla Lettonia alla Somalia. Un rapporto dell’Onu, infatti, attesterebbe che nei giorni in cui la Alpi si trovava a Bosaso un trafficante di armi sarebbe giunto in città proprio dalla Lettonia grazie a una nave Shifco.
“Vorrei vedere se adesso non si decidono ad andarlo a prendere. Sono anni che si sa che (Gelle, ndr) sta lì. Il procuratore Giuseppe Pignatone mi ha sempre promesso che avrebbe fatto luce sul caso Ilaria e Miran, e io sono sicura che riprenderanno l’inchiesta ora che esiste questa nuova prova” aveva detto Luciana Alpi, madre di Ilaria. Tanti sono i misteri che ancora circondano la sua morte e quella di Miran, e il depistaggio che è venuto dopo. L’intervista di Gelle, a 21 anni dal loro brutale assassinio, aggiunge ancora altri interrogativi. Chi ha pagato Gelle per dire il falso? E chi l’ha aiutato a fuggire dall’Italia?

(fonte)

Gotha 5, operazione antimafia a Barcellona Pozzo di Gotto: i nomi, le facce.

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Dalle prime ore di oggi, in diverse località della provincia di Messina, i Carabinieri del R.O.S., della Compagnia Carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto ed i poliziotti del Commissariato P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto e della Squadra Mobile di Messina, stanno svolgendo una vasta operazione antimafia, coordinata dalla D.D.A. di Messina dando esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Messina Dr.ssa Maria Luisa Materia, su richiesta della medesima Direzione Distrettuale Antimafia (il Procuratore Lo Forte ed i Sostituti Cavallo e Di Giorgio).

L’operazione ha portato all’arresto di 22 soggetti per associazione mafiosa, estorsioni, rapine, porto abusivo di armi ed altri reati contro la persona e il patrimonio. Altre 5 persone sono state indagate e denunciate in stato di libertà per gli stessi reati.

I provvedimenti scaturiscono da una complessa attività investigativa, avviata nel 2013, sul conto del sodalizio mafioso riconducibile a CosaNostra siciliana denominato “dei barcellonesi”, operante sul versante tirrenico della Provincia di Messina e della sua storica diramazione territoriale cd. “dei mazzarroti”.

L’operazione antimafia, che si pone in linea di continuità con le precedenti, è stata denominata “GOTHA V”, proprio perché ha individuato e colpito i nuovi assetti del sodalizio criminale, già duramente provato dagli esiti dell’operazione “GOTHA IV”.

Le indagini, che hanno avuto inizio dalle dichiarazioni di ARTINOSalvatore (figlio di Ignazio, già esponente di primo piano e rappresentante dei mazzarroti, ucciso in agguato di mafia il 12.04.2011), che ha avviato la sua collaborazione con la giustizia dopo essere stato arrestato nel luglio del 2013 nell’ambito di “GHOTA IV”, hanno visto il contributo offerto dalle persone offese dei reati ed hanno trovato significativi riscontri nelle risultanze delle articolate attività di intercettazione.

Le dichiarazioni di ARTINOSalvatore raccolte dai Carabinieri del ROS e dalla Polizia di Stato hanno contribuito a far luce sull’evoluzione della consorteria mafiosa barcellonese e della sua articolazione dei “mazzarroti”, monitorata recentemente dagli inquirenti grazie anche all’apporto di altri collaboratori quali BISOGNANO Carmelo, CAMPISI Salvatore e GULLO Santo, che hanno fornito, accanto agli esiti delle indagini nel frattempo riaperte, ulteriori preziosi elementi di riscontro.

Ne è scaturito un panorama puntuale della nuova composizione del sodalizio mafioso, operativo nell’hinterland barcellonese, comprensivo dei consociati subentrati nei vari ruoli – secondo il collaudato meccanismo mafioso del “rimpiazzo” –  ai referenti mafiosi arrestati nelle operazioni antimafia che si sono succedute negli ultimi anni, nonché uno spaccato dell’attività pervasiva di controllo del territorio.

In tale contesto sono stati individuati i responsabili di diverse estorsioni, nonché gli esecutori materiali di alcuni fatti di sangue del recente passato, come la rapina ai danni di un supermercato di Campogrande di Tripi verificatasi nel dicembre 2012, conclusasi tragicamente con la gambizzazione di un cliente che aveva opposto resistenza.

Le indagini dei Carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto hanno delineato la nuova mappatura criminale del sodalizio mafioso barcellonese, caratterizzata dalla presenza di giovani consociati che sono riusciti ad acquisire, nonostante l’età, un ruolo di assoluto valore criminale. Il nuovo gruppo ha posto in essere diverse attività criminali quali estorsioni e spaccio di sostanze stupefacenti, portate a compimento con modalità tipicamente mafiose e definite dal GIP: “odiosi sistemi invalsi negli ambienti mafiosi”. I giovani quanto spregiudicati esponenti di tale gruppo hanno raccolto l’eredità dei consociati ormai detenuti e facendo leva sui legami familiari con gli stessi, hanno intrapreso autonome attività delinquenziali. È il caso di ALESCI Alessio o del nipote OFRIA Giuseppe, figlio di OFRIASalvatore e nipote di DISALVOSalvatore (detto Sem), considerati ai vertici della famiglia mafiosa barcellonese già tratti in arresto nell’ambito dell’operazione “GOTHA” nel giugno 2011. Oltre allo spaccio di sostanze stupefacenti, il gruppo ha sviluppato il proprio controllo del territorio soprattutto attraverso attività estorsive, in particolare nei confronti dei locali notturni e delle discoteche di Milazzo. In questo settore le indagini hanno evidenziato come gli indagati, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dalla propria appartenenza al sodalizio abbiano ottenuto sistematicamente l’accesso ai locali e le consumazioni all’interno in modo gratuito, con modalità violente e prevaricatrici ed abbiano imposto, altresì, l’assunzione di alcuni componenti del sodalizio quali responsabili della sicurezza, secondo il più classico dei paradigmi mafiosi.

Le modalità violente delle estorsioni contestate hanno ben delineato le capacità criminali del gruppo, come nel caso della scomparsa di una partita di droga che era stata consegnata a un minore incensurato per detenerla presso la sua abitazione; alcuni componenti del sodalizio, dopo aver fatto irruzione nell’abitazione del ragazzo e averla perquisita, non hanno esitato a picchiarlo violentemente, anche alla presenza della madre, ed a sottrargli un ciclomotore a titolo estorsivo.

L’attività del Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto ha parallelamente disvelato il nuovo assetto operativo dell’agguerrita frangia dei “Mazzarroti”, un tempo retta dall’odierno collaboratore BISOGNANO Carmelo e poi da CALABRESE Tindaro attualmente detenuto in regime di “carcere duro”, nonchè i rapporti di stretta alleanza con CosaNostra barcellonese.

In particolare, gli elementi acquisiti soprattutto attraverso le attività di intercettazione, hanno consentito di accertare l’attuale impegno della cosca dei “Mazzaroti” per garantire continuità all’azione del gruppo nel settore delle estorsioni alle quali sono state sottoposte, da parte di TORRE Sebastiano, CAMMISA Giuseppe e SALVO Orazio, diverse attività imprenditoriali e commerciali del comprensorio, vittime del forte potere intimidatorio degli affiliati. I proventi estorsivi, acquisiti “con violenza e minaccia” nelle “tradizionali” rate di Natale, Pasqua e Ferragosto, garantivano il sostentamento dell’associazione mafiosa ed in questo contesto sono state accertate consegne di denaro ad ITALIANO Salvatore, in atto sottoposto agli arresti domiciliari a seguito della sua cattura nel luglio del 2013 nell’ambito dell’operazione antimafia “GOTHA IV”.

E’ inoltre emersa in tutta evidenza la pericolosità del gruppo che ha dimostrato di poter disporre di numerose armi, anche di elevato potenziale (Kalashnikov), che è pronto ad utilizzare per garantirsi il controllo delle attività criminali nel territorio di Mazzarrà S. Andrea e dei comuni limitrofi, per mezzo di cruente spedizioni punitive in danno di coloro i quali non intendono sottostare alle strategie dell’organizzazione. In una di queste occasioni soltanto il provvidenziale passaggio di una pattuglia del Commissariato di Barcellona P.G. evitava il peggio ad altra vittima designata impedendo agli affiliati (TORRE Sebastiano, PINO Giovanni e CAMMISA Giuseppe) armati ed in appostamento, di portare a termine l’agguato.

In questo contesto si inseriscono pestaggi, minacce a mano armata ed “interrogatori” di soggetti rei di aver commesso reati contro il patrimonio senza autorizzazione dei vertici dell’associazione criminale ed il progetto di aumentare il potenziale offensivo della cosca acquistando altre armi per garantirsi il pieno controllo delle attività estorsive (“se guerra vogliono, guerra sia”).

Nell’ambito dell’operazione è stato tratto in arresto per associazione mafiosa e detenzione illegale di armi da fuoco, BUCOLO Angelo sul conto del quale pesano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia CAMPISISalvatore e ARTINOSalvatore che hanno trovato numerosi riscontri e sono state ritenute attendibili dal GIP (contraddistinte, in ordine alla caratura criminale dell’indagato,da piena attendibilità intrinseca in quanto caratterizzate da precisione e coerenza logica”).

Il BUCOLO viene indicato come uno dei componenti storici del gruppo mafioso dei Mazzaroti impegnato nella riscossione dei proventi estorsivi che provvedeva a consegnare ad esponenti di CosaNostra barcellonese, partecipando ad attentati in danno di imprenditori nonché promuovendo atti incendiari, “al fine di convincerli a continuare a pagare il pizzo”, contro i responsabili della discarica di Mazzarrà S. Andrea presso cui il BUCOLO, unitamente a REALEGiuseppe e PINOGiovanni prestava attività lavorativa. Dalle dichiarazioni dei collaboratori è altresì emerso che BUCOLOAngelo, il quale si era anche occupato di custodire ed occultare alcune armi per conto di REALE Giuseppe che questi aveva utilizzato per commettere attentati, – secondo un collaboratore di giustizia – sarebbe stato contattato, senza esito, da altri sodali “affinchè convincesse il fratello BUCOLO Salvatore, Sindaco di Mazzarrà ad intervenire nei confronti della società Tirreno Ambiente (società che gestisce la discarica) affinchè quest’ultima riprendesse a pagare le somme a titolo estorsivo”.

Particolarmente significativa l’intercettazione ambientale che ha documentato un incontro tra rappresentanti armati della cosca dei “mazzaroti” con esponenti della mafia catanese per la reciproca “messa a posto” di imprese operanti nelle due province nell’ambito di quello che il Gip definisce un “sistema di estorsioni incrociate”. All’esito dell’incontro veniva confermato il reciproco rispetto tra le due organizzazioni mafiose (“allora da quando è … è sempre stato così, sempre così!) secondo una consolidata alleanza (“gemellaggio”) tuttora operativa.

Anche alla luce degli elementi probatori individuati dall’Arma Territoriale, dal R.O.S. e dalla Polizia di Stato, è stato poi formulato un giudizio di gravità indiziaria a carico dei detenuti, già tratti in arresto dal R.O.S., CAMPISIAgostino, padre dell’odierno collaboratore CAMPISISalvatore, CALABRESETindaro, CALCO’ LABRUZZOSalvatore e TRIFIRO’Maurizio in relazione alle estorsioni che ciascuno di loro, in periodi diversi, ha posto in essere ai danni dell’imprenditoria locale, alcune delle quali già emerse nel corso dell’indagine denominata “VIVAIO” ma ancora non contestate agli indagati.

Diaz: anche l’indignazione è a comando

Schermata del 2015-04-14 14:51:32Parole del Procuratore Enrico Zucca, pm nel processo “Diaz”:

La politica e lo stesso Viminale si indignano per le parole di Tortosa così come si sono indignati per gli applausi agli agenti condannati per la morte di Aldrovandi. Ma perché questa indignazione non è arrivata nel luglio del 2012, quando la Cassazione condannò in via definitiva i vertici della polizia che, come ho ricordato prima, hanno difeso fino all’ultimo l’operazione alla Diaz e hanno coperto la tortura? Non solo non c’è stata indignazione, ma all’indomani di quella condanna è apparsa una lettera sul Corriere della Sera firmata da poliziotti che esprimevano al loro capo condannato la stessa solidarietà che Tortosa esprime nei confronti del suo commilitone, condannato per lo stesso reato. Nessuno si è scomposto per quel gesto di solidarietà nei confronti di un funzionario di polizia che per la Cassazione ha coperto un atto di “abiezione totale”. Si è perso l’abc istituzionale.

Ah: tra l’altro Tortosa  oltre ad avere detto una cazzata ha scritto anche una cosa falsa sul comportamento del Nucleo a cui apparteneva.

Il delitto d’onore secondo la ‘ndrangheta

Non ha esitato a guidare i sicari che hanno ucciso e fatto sparire il corpo della madre. Ad ammazzare Francesca Bellocco, 44 anni, secondo le indagini di Polizia e Carabinieri fu il figlio, Francesco Barone. Poco più che ventenne, e secondo le leggi della ‘ndrangheta, l’avrebbe punita per una relazione extraconiugale con il boss Domenico Cacciola, anche lui scomparso.
Un’offesa lavata nel sangue all’interno della stessa famiglia, così come vogliono le regole dei clan calabresi. Tra l’altro, quelli dei Cacciola e dei Bellocco, sono due nomi pesanti nella Piana di Gioia Tauro. Famiglie legate da antiche alleanze e da vincoli di parentela. Matrimoni incrociati e affari in comune per business imponenti.

L’inchiesta condotta dalla Dda di Reggio Calabria ha portato alla notifica in carcere delle accuse a Francesco Barone, detenuto per traffico di armi ed altri reati, nonché nipote del defunto boss Pietro Bellocco. Secondo l’indagine i due amanti clandestini intrattenevano una relazione da diverso tempo. Scoperti una prima volta, le famiglie si sarebbero messe di mezzo per evitare il peggio e il rischio di una vera e propria guerra di mafia.
Dopo un breve periodo tuttavia, la Bellocco e Cacciola, avrebbero continuato ad incontrarsi. Nell’estate del 2013 sarebbero stati sorpresi dal figlio della donna che avrebbe fatto scoppiare nuovamente il caso. A quel punto l’epilogo sarebbe stato inevitabile.
Ad agosto dello stesso anno la donna sparisce da Rosarno. L’allarme viene formalmente lanciato  dal marito della donna, Salvatore Barone, che vive da anni in Lombardia, nel bresciano. E’ qui che l’uomo presenta una denuncia di scomparsa ai carabinieri. A distanza di due anni Polizia e Carabinieri hanno ricostruito la storia e, secondo le indagini, ad uccidere i due sarebbero stati i rispettivi congiunti che, immediatamente dopo, avrebbero fatto sparire i cadaveri nelle campagne rosarnesi. Un ruolo importante per svelare i retroscena della vicenda lo avrebbe avuto Giuseppina Multari, nuora di Domenico Cacciola, e da alcuni mesi collaboratrice di giustizia.

(Fonte)

4 anni che ci manca Vik #opengaza

Quattro anni fa moriva Vittorio Arrigoni. Moriva masticato dalla solita becera stampa che ha bisogno di piallare le vittime per renderle inoffensive più da morte che da vive. Moriva una voce da Gaza che era troppo spessa per essere contraddetta, troppo appuntita per essere sepolta e troppo vera per essere smentita: perché la voce di Vik era per noi la voce di Gaza.

Quattro anni fa moriva anche l’etica di un giornalismo che non voleva perdere tempo a capire i macrosistemi sotterranei che rendono notiziabile un fatto: Vittorio Arrigoni scriveva le persone, le case, i giorni di Gaza e i buchi delle bombe.

Eppure Vittorio Arrigoni ci ha anche insegnato che “restare umani” nella nostra funzione di scrittura e lettura delle cose del mondo non è una fragilità da combattere ma un ingrediente imprescindibile per non cadere nella retorica, nella superficiale guerra delle posizioni e nella superficialità che funziona perché vende.

In quattro anni forse non siamo nemmeno riusciti a difendere la tua memoria, Vik, ma tu lo sai bene che questo è un Paese che guarda le guerre degli altri nel polistirolo in promozione delle confezioni da sei. Per questo continuiamo a batterci. Per questo continuiamo a scrivere.

Mi manchi, Vik.

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Il coraggio di tornare sui propri errori

Ne avevo scritto su L’Espresso qui e anche Boeri sembra essere d’accordo. Ci sono anche le buone notizie:

 E’ quasi una certezza, invece, l’anticipo di tutti i pagamenti all’1 del mese e “non più in date differenti in relazione alla prestazione e al fondo di gestione”. “Abbiamo chiesto alle banche di condividere la nostra proposta. Le Poste hanno già accettato e entro mercoledì aspettiamo la risposta degli istituti di credito”, spiega infatti l’economista. Il punto, infatti, è che “deve essere un’operazione a costo zero: lo Stato incasserà meno interessi sui ratei che ora paga il 10 o il 16 del mese. In cambio alle banche, che incasseranno prima, abbiamo chiesto di abbassare i costi dei bonifici”. Per gli istituti sarebbe assai difficile – e impopolare – tirarsi indietro di fronte a quella che viene definita “un’operazione socialmente importante“.
Il giorno del ritiro dell’assegno, infatti, è tutt’altro che neutrale, come ha dimostrato la levata di scudi dei sindacati scattata lo scorso ottobre quando nelle bozze della legge di Stabilità è spuntato il rinvio del pagamento al 10 del mese. Decisione che per i pensionati avrebbe comportato trovarsi a corto di liquidità per le scadenze della prima parte del mese, dal pagamento del mutuo o dell’affitto a quello delle bolletteDopo le proteste, il Tesoro ha fatto marcia indietro spiegando che lo slittamento sarebbe scattato “solo per le 800mila persone con doppio assegno Inps-Indpap. Ora Boeri fa un passo in più, aprendo a un’unificazione che dovrebbe assicurare anche “migliore funzionalità del servizio, riduzione dei costi e maggiore trasparenza”.

Finiremo per vendere anche il Colosseo

 Per quanto riguarda l’aspetto manageriale, ad oggi, gran parte del sistema di gestione dei beni culturali è basato sul sostentamento pubblico. Quindi, da una parte c’è lo Stato, che gestisce e finanzia i propri beni. Poi ci sono le Regioni e infine i Comuni, che provvedono al patrimonio di loro competenza. Solo una piccola parte di beni è sottoposta al finanziamento privato, soprattutto delle fondazioni bancarie. Anche i privati, però, negli ultimi anni hanno compreso che dalla cultura non si mangia, riducendo i propri investimenti del 30%. Ora, delle due, una. O si è disposti, per evitare il collasso del sistema, ad accettare la presenza sempre maggiore di privati nella gestione dei beni storico-artistici oppure il Governo dovrà individuare nei millenari campanili, nei musei e nelle statue di marmo il tesoretto sul quale puntare. Con molta probabilità, si opterà per la prima.

Vale la pena leggere (e riflettere) sulle parole di Fabrizio Ciannamea.