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Aprile 2015

Ad Expo l’illegalità ha il suo varco di ingresso

Abbiamo buchi, in giro per l’Italia dove i lavoratori in nero trovano quotidianamente un accesso abituale. E nessuno che li copre, questi buchi. Come se servissero per “sfiatare” un esercito di sommersi da salvare. E anche all’Expo ovviamente non poteva mancare. Ne scrive il Corriere qui:

La presenza del cancello degli abusivi è nota sin dall’arrivo dei lavoratori nella stazione ferroviaria. All’altezza degli ultimi binari, attraversando uno scalo già inaugurato ma che ancora necessita di interventi, si sbuca in superficie e ci si immette sulle strade che portano all’esposizione. I muri sono affollati di scritte contro l’Expo, i pali di bigliettini per affittare appartamenti nei dintorni. Incontriamo un ragazzo italiano, alto, con barbetta, e un altro ragazzo tunisino, magro. Il primo è più disponibile, il secondo ci mostra il tragitto per raggiungere il varco e una volta lì si raccomanda: «Fatti i c… tuoi, che qui lavoriamo in tanti». L’italiano racconta: «Ogni tanto mi chiama un amico. Io aggiusto i bagni, m’intendo anche di impianti elettrici. Se c’è bisogno, mi faccio trovare pronto. Pagano subito. E cosa faccio, butto via i soldi?». Non bastassero le testimonianze, le fotografie e i video, ci sarebbero alcune considerazioni da fare, dopo la premessa che tutti i lavoratori di Expo devono essere registrati e «monitorati» nei loro spostamenti. Difficile che gli abusivi entrino dal cancello per accorciare il cammino verso i cantieri: a duecento metri, come detto, c’è uno degli accessi regolari che all’alba – così era ieri – non hanno fastidiose code. Difficile che il varco non porti dentro l’Expo: altrimenti, se la zona è «neutra», quando si sono posizionate, le guardie non avrebbero allontanato tutti gli altri operai che tentavano l’«assalto». Difficile che gli abusivi si servano del cancello per prendersi un pausa caffè. Dal varco non abbiamo visto uscite ma esclusivamente entrate. E poi il bar è lontano, quantomeno a chiedere agli operai che ci conducono al «bar Expo 2015», gestito da cinesi.
Sulla vetrina c’è scritto che la domenica è chiuso: questa domenica è aperto, fuori si raggruppano lavoratori. Fumano, leggono la Gazzetta . Sembrano scene di una Milano antica, quella dei quartieri della Bovisa e della Bicocca, gli operai scaricati dai tram e dai treni, il ritrovo fuori dai bar per un goccino d’ordinanza, infine l’incolonnamento verso le fabbriche.

Persone dal cuore enorme

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Eva Mozes Kor e Oskar Groening

Questa mattina mi è capitato di leggere l’articolo scritto da Eva Mozes Kor. Eva è una donna nata 81 anni fa in Romania e sopravvissuta all’Olocausto durante il quale fu sottoposta ad esperimenti di eugenetica. Perse per mano dei nazisti entrambi i genitori e due sorelle maggiori. Eva Mozes Kor, durante il processo ad Amburgo, in Germania, contro Oskar Groening, un uomo di 93 anni che lavorava al campo di concentramento di Auschwitz, ha deciso di stringergli la mano. Groening è accusato di avere contribuito all’uccisione di almeno 300.000 persone.

Eva ha dichiarato

“Tutto ciò di cui è accusato, secondo me lo ha compiuto. Personalmente ho perdonato i nazisti e tutti quelli che mi hanno fatto del male, ma ho detto a Groening che il mio perdono non mi impedisce di accusarlo né di considerarlo responsabile per le sue azioni. E ho anche detto pubblicamente che Groening era solo un piccolo ingranaggio in una grande macchina assassina, ma che le macchine non possono funzionare senza i piccoli ingranaggi. Ma ovviamente Groening è anche un essere umano. La sua reazione è stata coerente con ciò che mi aspetto dalle interazioni fra coloro che hanno subito quelle violenze ed ex aguzzini che avvengono in un clima di umanità”.

Persone dal cuore così grande che rispondono all’odio con l’umanità; che hanno la sicurezza di mostrare il cuore nudo e invitarci tutti dentro senza né pretese né nascondimenti; persone con così tanta anima da non entrare dalle misere porte delle piccole sfide di piccolo odio e che, per fortuna, ci lasciano sperare che ci sia davvero una forma d’intelligenza anche qui, su questo pianeta.

Siamo ancora pieni di cose a cui resistere

“Il fascismo, il regime fascista, non è stato altro, in conclusione, che un gruppo di criminali al potere. E questo gruppo di criminali al potere non ha potuto, in realtà, fare niente. Non è riuscito a incidere, nemmeno a scalfire lontanamente, la realtà dell’Italia – realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente ma che non è riuscito a scalfire. Ora invece succede il contrario: il regime è un regime democratico eccetera eccetera, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce a ottenere perfettamente; distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. E allora questa acculturazione sta distruggendo in realtà l’Italia, e io posso dire senz’altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi. E questa cosa è accaduta tanto rapidamente che forse non ce ne siamo resi conto: è avvenuto tutto in questi ultimi cinque, sei, sette, dieci anni; è stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi e sparire. E adesso, guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.”

(Pier Paolo Pasolini, 1974)

Resistenza

Perché non rimangano solo i buchi

In tempi di fascismo strisciante e razzismo edulcorato il 25 aprile non è solo memoria, è un comandamento.

Un particolare di un palazzo all'angolo tra via Rasella e via Boccaccio a Roma, teatro dell'attentato gappista del 23 marzo 1944  in un'immagine del 20 aprile 2015. Ancora visibili i segni delle bombe e dei colpi di mitraglia esplosi dai nazisti. ANSA/MARTINO IANNONE
Un particolare di un palazzo all’angolo tra via Rasella e via Boccaccio a Roma, teatro dell’attentato gappista del 23 marzo 1944 in un’immagine del 20 aprile 2015. Ancora visibili i segni delle bombe e dei colpi di mitraglia esplosi dai nazisti. ANSA/MARTINO IANNONE

Lo Porto: la Camera vuota che infanga anche i morti

Solo 39 deputati presenti mentre Gentiloni riferisce alla Camera sull’uccisione del ccoperante Giovanni Lo Porto. Nemmeno il funerale di uno stronzo riesce a fare numeri così bassi ma qui c’è una differenza: questi sono pagati per informarsi ed informarci e invece il venerdì vince sempre. Anche su un corpo morto.

Ad ascoltare l’informativa urgente del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni nell’Aula della Camera sulla morte di Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano ucciso dai droni americani tra Pakistan e Afghanistan, ci sono meno di quaranta deputati: poco più del dieci per cento dell’Assemblea di Montecitorio. Eppure, quell’informativa, resa a meno di 24 ore dall’arrivo dalla tragica notizia resa nota dalla Casa Bianca, era stata reclamata da tutti i gruppi parlamentari alla Camera, costringendo la Farnesina a fare salti mortali per organizzare la comunicazione al Parlamento.

E invece stamani in Aula, oltre alla presidente Laura Boldrini, al ministro Gentiloni ed al sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova (vedere foto), erano meno di quaranta deputati, mentre affollate erano le tribune del pubblico, piene di studenti in visita ma anche di cittadini. Mentre parlava Gentiloni, per la precisione, i deputati erano 39: 16 del Pd, 3 di Pi, 7 rispettivamente di Fi e M5S, gli altri di Ncd e Sel.  Troppo pochi perfino per abbozzare il classico applauso unanime che solitamente si leva dall’Aula al termine di un minuto di silenzio osservato dall’Assemblea in omaggio di una vittima.

Colpa del venerdì. Non si vota e sono andati tutti via…”, dice un esponente del Pd guardando desolato la scena ad un collega che gli siede accanto. Il quale a sua volta scrolla le spalle

(fonte)

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E datteri, un sacco di datteri

Detto ciò, volendo vedere i lati positivi, queste ultime settimane sono state una specie di viaggio allucinato fra video di Kpop, complessi di edifici deserti e computer settati in arabo, in totale alternanza fra disorientamento ed esaltazione. E datteri, un sacco di datteri.

Com’è lavorare per Expo, detto da una che ci lavora: Marta Bertoni qui Per VICE.

Fatevi un’idea.

Cantiere Expo - 200 giorni

La risposta in copertina

Ci abbiamo pensato a lungo: ho molti colleghi che da tempo cercano di convincermi che la copertina di un settimanale ne determina in gran parte le vendite; tra l’altro si esce di venerdì ed è quasi il 25 aprile e quanta gente ha voglia di condannarsi a riflettere nel fine settimana? Molti. Io credo molti. Io spero molti. Per questo con un Mediterraneo insanguinato com’è in questi giorni abbiamo deciso di dare la copertina secondo le priorità di umanità e abbiamo deciso di prendere una posizione, stare fortemente da una parte, essere partigiani insomma. Con una copertina così (da venerdì, Left, in edicola):

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Lo uccisi e sua madre morì di dolore

“Ho capito il dolore che causavo ai familiari delle mie vittime quando dopo aver ucciso un rivale, al ritrovamento dopo un mese del cadavere la madre della persona uccisa ha avuto un malore ed è morta pure lei. Da allora ho avuto una crisi di coscienza e ho rotto con la ‘ndrangheta decidendo di collaborare con la giustizia”. Questa la spiegazione data oggi pomeriggio al Tribunale di Vibo Valentia dal pentito crotonese Francesco Oliverio, 43 anni, già a capo del clan di Belvedere Spinello, ascoltato in videoconferenza da una località protetta nell’ambito del processo “Libra” contro il clan Tripodi di Vibo Marina. Alleanze fra i clan vibonesi e crotonesi, affari della ‘ndrangheta in Lombardia con l’intenzione di intromettersi nei lavori dell’Expo ed anche nei subappalti dei lavori del dopo-terremoto a L’Aquila sono stati i temi sui quali il pentito Oliverio ha riferito al Tribunale, non mancando di sottolineare i legami che a suo dire avrebbe avuto il clan Tripodi con settori deviati della massoneria e con politici di fuori regione. Il clan Tripodi, secondo il pentito, avrebbe inoltre gestito tramite prestanomi del vibonese anche emittenti radiofoniche, non mancando di inserirsi in diversi appalti pubblici del Nord attraverso proprie ditte attive nel movimento terra e nel settore edilizio.

(clic)

Io vorrei farlo con voi


Il #crowdfunding per produrre il nostro prossimo spettacolo (e il suo libro) sta continuando a tamburo battente. Abbiamo deciso di riportare in luce il processo Dell’Utri perché (l’avevamo già imparato con Andreotti) ci sono processi e sentenze che qualcuno vorrebbe seppellire il più velocemente possibile e invece un muscolo della memoria ben allenato è un ottimo vaccino. Sempre.

Coprodurre con noi significa preacquistare il biglietto dello spettacolo (e ili libro) con quote di partecipazione diverse (in base alle vostre possibilità e soprattutto alla vostra volontà). Sono convinto che uno spettacolo già nato “libero” non possa che fare bene.

Qui trovate la pagina per partecipare all’iniziative e qui sotto una piccola spiegazione video. Io vorrei farlo con voi. Ci conto.