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Giulio Cavalli

Attenzione attraversamento Minetti

Nicole Minetti è l’effetto di una causa che non si vuole analizzare. Non so se si dimetterà o meno il giorno prima di maturare il suo vitalizio come più volte ha ribadito e smentito, ma se le decisioni politiche dipendono dagli umori (e lo dico nell’accezione anche oscena del termine) del suo padrone, si facciano le debite valutazioni. Qui siamo passati dalla privatizzazione delle società pubbliche alla privatizzazione dei vezzi dei padroni.

Oggi Panorama ha raccolto le impressioni sul mancato accesso dei giornalisti nel Consiglio Regionale della Lombardia secondo il nuovo regolamento. Io ho risposto così ma vale la pena leggere tutto il pezzo.

Io valgo perché avevo un sogno e continuo a scottarmi, a tagliarmi le mani e sudare affinché possa avverarsi

Roberta scrive una lettera. E vale la pena lasciare perdere i vecchi contro i giovani e leggerla con attenzione perché dentro ci sono le domande a cui dovremo rispondere. Con chiarezza. Prima delle elezioni.

Il mio nome è Roberta, ma potrebbe essere Lucia, Francesca, Samanta, Teresa, Michela o qualunque altro nome di donna. Ho quasi 22 anni e se dovessero chiedermi cosa farò da grande, la mia risposta è non lo so.  Il mio sogno è sempre stato uno: fare la scrittrice.
Avrei voluto studiare in una grande città, laurearmi, conoscere qualcuno che mi desse la possibilità di crescere e diventare brava, poi lavorare e rendere fieri di me prima i miei genitori, poi me stessa. Chiudo il libro delle favole e torno sulla terraferma, dove i sogni restano sogni e più che vivere bisogna sopravvivere. 

Qualche anno fa mi sono iscritta alla facoltà di lettere di Bari, non la migliore, ma la più accessibile almeno per le mie tasche. Ho frequentato il primo anno e non è andata male. Avevo una media alta, studiava, studiavo. Lo facevo per me.

L’anno successivo ho interrotto gli studi. Mio padre è un operaio, mia madre una casalinga. Una casa in affitto, tre figli sulle spalle. Mio padre ha perso il lavoro e allora ‘Arrivederci Università’. Facevamo la spesa con 15 euro al giorno, dove avrei potuto trovare 500 euro per la nuova iscrizione? Per il libri? Per fare la pendolare? I sogni restano nel cassetto e io sopravvivo.

Ho passato un anno in bilico su un filo pronto a farmi cadere. Non sapere cosa fare da grande a 20 anni era il problema più stupido, io volevo sapere se ce l’avremmo fatta. Volevo sapere se avrei mai più visto mio padre sorridere piuttosto che in depressione piangere senza un lavoro, avrei voluto vedere mia madre smettere di contare gli ultimi spiccioli per arrivare alla fine del mese.

Ho passato un anno ad osservare il mondo e capire che tanto non sarà mai come vorremmo, che la fatica è sempre per chi non se la merita e che l’ingiustizia sarà sempre sovrana. Ho capito che il futuro è il mio e la fortuna non è per tutti, allora se io non sono nata ”fortunata” come tutti i figli di papà del mondo, la fortuna me la creo da sola.

Ho fatto tre lavori al giorno: ho dato ripetizioni private, ho fatto la babysitter, ho lavorato in un bar, in un ristorante, ho distribuito volantini per le strade sotto la neve e con le mani prive di sensibilità a causa del freddo. 5 euro al giorno, a volte 8, al massimo 20.
Non mi interessavano i vestiti nuovi, le serate nei bar, la vita mondana e le cene. Io volevo il secondo anno di facoltà, io volevo la laurea.
”Roberta, qual è stata la tua più grande soddisfazione sino ad ora?” Se dovessero farmi questa domanda io risponderei: Aver lavorato, sacrificato me stessa, il mio sudore e la mia fatica.

Mi sono iscritta al secondo anno e l’ho anche terminato. Ho pagato la mia iscrizione, tutta da sola. Compro libri fotocopiati, per pagarli meno, a volta riesco anche a farmeli prestare. Vado a Bari solo quando è necessario, solo per dare gli esami. Anche il treno costa. Lavoro 12 ore al giorno per 35 euro, faccio la cameriera ed ho i calli alla mano destra perché spesso i piatti sono bollenti e una cicatrice sulla sinistra perché un bicchiere di vetro mi si è rotto tra le mani. Spesso studio di notte e lavoro di giorno. All’università ho chiesto una borsa di studio, ma non credo possa mai essere accettata a causa del mio anno di stop. Per l’università, quindi, sono una comunissima fuoricorso. Una fuoricorso come tante, ma con una vita che nessuno prova a considerare. Ho pagato quasi 400 euro per una Terza Rata ingiusta. Glielo spiegate voi ai Dottori che anche frequentare ha un prezzo, e la media del 30 ce l’ha chi nella vita riesce solo a studiare?
Troppe inutili domande che non avranno mai una risposta o una considerazione. La verità è soltanto una: la vita è ciò che ne facciamo, è il sudore e il sacrificio. I regali, le raccomandazioni, i soldi caduti dal cielo.. li lascio a voi.

Il mio nome è Roberta, ho quasi 22 anni e se dovessero chiedermi cosa farò da grande, la mia risposta è ancora non lo so. Non so se avrò una casa, uno stipendio, una pensione, una famiglia e una carriera. Lavoro 12 ore al giorno e sono felice. Felice di essermi sacrificata per la mia vita e per la mia famiglia. Felice perché io conto più di ogni politico, più di ogni avvocato figlio di avvocati, più di uno qualunque laureato in una università privata. Io valgo perché avevo un sogno e continuo a scottarmi, a tagliarmi le mani e sudare affinché possa avverarsi.

Roberta

Se il mezzo è lo scopo

In altre parole, non si va da nessuna parte se non si rovescia da subito e con intransigenza il rapporto  tra i mezzi e gli scopi: le forze politiche – e le loro possibili vittorie elettorali – sono esclusivamente dei mezzi; le proposte politiche da realizzare sono lo scopo.

Alessandro, oggi.

Impunità alimentare

È stata archiviata l’indagine ministeriale sulla concessione della detenzione domiciliare al manager della sanità siciliana Michele Aiello, condannato a 15 anni e 6 mesi per associazione mafiosa e corruzione e uscito dal carcere, alla fine del febbraio scorso, perché affetto da favismo. I giudici avevano motivato il loro provvedimento sulla base del fatto che il vitto carcerario prevede solo fave e piselli e gli ispettori del ministero della Giustizia non hanno ravvisato alcuna irregolarità nel fatto che il tribunale di sorveglianza dell’Aquila non abbiano imposto alla direzione del carcere di Sulmona, in cui Aiello era detenuto, di consentire al condannato di avere un menu particolare. Né vi sono irregolarità nel fatto che, a fronte del fatto che il carcere non cambiava registro, non era stato proposto il trasferimento di Aiello. L’indagine così è chiusa e a pagare è stato solo il direttore del carcere, Sergio Romice, che in maggio era stato trasferito a Pescara.

Dal Corriere.

A Milano siamo tutti paninari e antimafiosi

Ne avevamo parlato della mafia che brucia in via Celoria a Milano: Loreno Tetti è un ‘paninaro’ che si è ritrovato il camion bruciato per avere testimoniato contro la cosca dei Flachi.

Scrivevamo il 26 luglio:

Forse hanno ragione quelli che si chiedono perché non ci sia stato ancora il tempo di organizzare un presidio almeno per alzare la voce, forse sarebbe il caso di stare vicini per davvero a quelli che denunciano. Soprattutto se sono soli a parlare, soli a testimoniare e poi alla fine bruciano pure, da soli.

Bene, il presidio è arrivato:

Solidarietà a Loreno Tetti. Lunedì 10 settembre 2012 alle ore 13 e 30, in via Celoria 16.

Nella notte tra il 17 e il 18 luglio scorso, il suo furgone è stato dato alle fiamme da ignoti.
Loreno Tetti torna in via Celoria.
Nel corso delle udienze che si stanno tenendo presso la VII sezione penale del Tribunale di Milano in molti non hanno confermato ciò che era emerso durante le indagini, dalle i
ntercettazioni telefoniche e ambientali, nonché dalle stesse dichiarazioni fatte a suo tempo da chi veniva sistematicamente estorto e minacciato dagli uomini del clan Flachi.
Una persona è stata addirittura denunciata durante il suo interrogatorio per calunnia contro i Carabinieri.
Altre persone sono state richiamate in aula ad un atteggiamento non reticente.
Estorsione. Racket. Pizzo.
A Milano, in Comasina, ad Affori, a Città Studi, in Corso Como come in Porta Nuova.
Solo in due hanno confermato in aula, davanti agli imputati, quanto accadeva in diversi quartieri della nostra città.
Una dei due si è trasferita in Francia. L’altro, Loreno Tetti, rientra al lavoro in via Celoria dopo il terribile atto intimidatorio di metà luglio.
Per questi motivi, lunedì 10 settembre 2012 alle ore 13 e 30, ci ritroviamo presso l’autonegozio che ha preso in affitto, di fronte al Dipartimento di Fisica, in via Celoria 16, per manifestargli tutta la nostra vicinanza e riconoscenza.

Per ulteriori adesioni milano@libera.it

Si sono persi l’IMU alla Chiesa. Ma va?

Doveva essere una svolta storica. Per ragioni di equità, ma anche per evitare la procedura d’infrazione dell’Unione europea per aiuti di Stato. Eppure la tanto invocata estensione dell’Imu alla Chiesa rischia di trasformarsi in un clamoroso flop. Il decreto del ministero dell’Economia, atteso per la fine di maggio, ancora non esiste. E senza, dal primo gennaio 2013, la Chiesa continuerà a non pagare l’Imu. Così partiti, sindacati, fondazioni, associazioni. Una beffa.

Lo scrive Repubblica oggi e la notizia rimbalza. Non è solo a questione dei 600 milioni di euro (cifra comunque notevole) a indignare ma, ancora una volta, il voltafaccia delle promesse che vengono puntualmente disilluse.

Se un governo ritiene giusto che la Chiesa non paghi l’IMU non ha che da dirlo e difendere (se ci riesce) le proprie posizioni: giustificare un privilegio che si nasconde dietro la mancata attività di lucro (come se gli italiani invece avessero esercizi commerciali nel proprio salotto, invece) e tenere la barra diritta; invece il governo Monti promette di rivedere la norma e poi senza giustificazioni finge di dimenticarsene l’attuazione.

Sarà che da un governo tecnico ti aspetteresti forse un po’ di serietà, almeno, del tipo che le norme vengano attuate e solo dopo propagandate (è la brutta politica di questi ultimi anni che ha fatto regolarmente il contrario) e sarà che ogni volta che si affronta il tema della Chiesa (si badi bene della Chiesa più che della religione cattolica) in Italia bisogna assistere a questo fastidioso fumo di non detto o di silenziosamente concordato che lascia l’amaro in bocca.

Non ditelo, piuttosto. E’ più dignitoso così.

E’ tutto merito suo

Due parole sul gradimento che crolla di Formigoni e sulla Lombardia. Oggi su Repubblica (se si clicca sull’immagine si ingrandisce, eh):

Nascondi la Minetti sotto la sabbia

Il Presidente del Consiglio Regionale della Lombardia Cecchetti (Lega Nord) firma un nuovo regolamento per vietare l’accesso dei giornalisti alla buvette (alla buvette, per dire) per, dice lui, frenare la morbosa curiosità della stampa verso alcuni consiglieri. Insomma, un regolamento che decide quando un personaggio pubblico deve essere pubblico o può essere privato. Ma in un luogo pubblico. Pagato con soldi pubblici.

Non potendo schiodare la Minetti (che per amore di Silvio rimane al Pirellone, dice lei, con un ragionamento logico che sembra un burrone) decidono di stilare un regolamento ad hoc perché possa nascondersi più comodamente sotto la sabbia. E invece forse sarebbe il caso di renderla ancora più pubblica la sua presenza (la sua e, attenzione, quella dei tanti indagati e inopportuni che stanno qui da noi) perché è la faccia dell’impunità di un certo modo di pensare la politica, è il quadro della pubblicizzazione dei vezzi del capo in una Regione che intanto privatizza gli ospedali e le scuole ed è la politica dell’avanspettacolo che ci hanno propinato in questi ultimi anni. In fondo la Minetti inseguita dai fotografi è il simbolo di una legislatura dove la meritocrazia si è sgretolata appena chiuse le urne. E, in fondo, la Minetti senza fotografi non esisterebbe nemmeno.

#cosaseria e l’assemblea

Ho voluto aspettare qualche giorno dopo l’assemblea nazionale di SEL perché mi interessava leggere cosa sarebbe uscito sui giornali: già in altre occasioni ero rimasto stupito dalla differenza tra la sostanza ce ci ritrovavamo a discutere e la forma della notizia nei giorni successivi. E ho voluto aspettare che fossero pubblici i documenti perché finalmente si potesse discutere sulle parole scritte e votate e non sulle interviste: la politica fatta come un vespaio che rumoreggia di fondo alle interviste del leader mi sa sempre di fanatismo e il fanatismo, si sa, ama poco le votazioni.

Abbiamo chiesto che SEL (e non solo, ma noi siamo qui) si prendesse la responsabilità di Fare la Cosa Seria e diventare motore per un’alleanza che guardasse convintamente a sinistra e soprattutto ad un’agenda di riforme ben lontana da quella di Monti (sul lavoro, sulla politica economica, sui rapporti con l’Europa e tutto il resto). Abbiamo chiesto che IDV fosse coinvolto nella coalizione insieme alle forze di sinistra e ai tanti movimenti. Insomma che si andasse in mare aperto. Ma sul serio.

Nel documento finale (che potete leggere per intero qui) si legge:

Provare a costruire un’alleanza che competa realmente per il governo del paese ci pare lo strumento in questo momento più efficace per dare rappresentanza e forza a tante persone e soggetti sociali che non hanno voce né potere. Dobbiamo investire nella democrazia e nella partecipazione: tanto più riusciremo a realizzare una vera e propria “invasione democratica” dei soggetti del cambiamento , a partire dalle donne e dai giovani, italiani e migranti, tanto più potremo cambiare il paese. Per questo ci rivolgiamo all’Idv, poiché la sentiamo come parte importante di tante esperienze che già esistono nel nostro paese e, quindi, una risorsa fondamentale anche per il governo nazionale affinché condivida il percorso di costruzione del centrosinistra, e con lo stesso spirito alle forze della sinistra e dei movimenti politici e sociali.

Le nostre scelte politiche devono precedere l’esito della trattativa in corso sulla legge elettorale. In primo luogo ribadiamo la nostra preferenza per il sistema elettorale “mattarellum” che, solo un anno fa, raccolse oltre un milione di firme. Quanto alle voci sulla prossima legge, per noi è fondamentale

che i cittadini possano scegliere gli eletti e decidere la coalizione prima delle elezioni. Ne consegue la nostra ferma contrarietà alle ipotesi paventate che prevedono l’assegnazione del premio di maggioranza al primo partito. La valutazione compiuta della legge elettorale, anche per la peculiarietà di questa materia, si potrà fare solo, e se, una riforma verrà approvata dal Parlamento. 

Allora forse chi ci accusava di velleità potrà ricredersi almeno un poco: la discussione è stata riaperta, la posizione è stata scritta e sono arrivate (finalmente) anche le parole chiare sull’UDC:

Nel corso del mese di agosto si è alimentata una discussione che ha messo insieme legittime preoccupazioni, reazioni emotive e palesi strumentalità. Non faremo nessun accordo elettorale e di governo con l’Udc. Se non fossero bastati i chiarimenti forniti tanto da Vendola che da Bersani, riteniamo utile ribadire che l’Udc è un partito che non appartiene al campo del centrosinistra e che per motivi politici, e quindi non astrattamente pregiudiziali, non farà parte del progetto di governo che intendiamo portare alla guida del paese. L’Udc si è distinta in questi mesi per i suoi fallimenti, dal “terzo polo” alla “cosa bianca”, e per i suoi richiami a proseguire l’esperienza di Monti, magari anche riproponendo una grande coalizione.

E’ un passo in avanti, certo. Ma la discussione è solo all’inizio. Perché il documento di Fulvia Bandoli, Alfonso Gianni, Giorgio Parisi e Bia Sarasini apre una discussione che non si può ritenere chiusa: la capacità e la voglia di dichiarare la propria contrarietà e indisponibilità all’apertura della coalizione di centrosinistra alle forze moderate, che hanno condiviso interamente l’operato del governo Monti e ne predicano la continuità, sia prima che dopo l’esito elettorale, rifiutando con nettezza e in modo esplicito qualunque ipotesi, come quella emersa nelle dichiarazioni e nella carta di intenti del Pd, di un patto di legislatura con forze politiche, quali l’Udc, che porterebbe inevitabilmente a uno snaturamento del programma politico, sociale e economico di governo.

Insomma, il punto vero (non nascondiamocelo) è la legge elettorale e quanto si riesca a spostare l’asse e preoccuparsi di essere chiari, semplici, e attuali perché in grado di attuare i programmi.

E che diventi una questione di equilibri e non di equilibrismi.