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Giulio Cavalli

Buone feste

Ho smesso di credere a Babbo Natale quando avevo sei anni. Mamma mi portò a vederlo ai grandi magazzini e lui mi chiese l’autografo.
(Shirley Temple)

La direzione ed il personale di Bottega dei Mestieri Teatrali e Teatro Nebiolo Vi augurano buone feste.
Gli uffici resteranno chiusi da Giovedì 24 dicembre a Giovedì 7 gennaio.

Incontro con Giancarlo Caselli, Raffaele Cantone, Giulio Cavalli, venerdì 8/01

Il ciclo di incontri del centro di Documentazione per un teatro Civile, riprende a gennaio con un importante appuntamento: venerdì 8 gennaio alle ore 21:00 i magistrati Raffaele Cantone e Giancarlo Caselli, coordinati nell’incontro da Giulio Cavalli, partendo dalla presentazione dei loro ultimi libri racconteranno del proprio lavoro.

‘Solo per giustizia’ di Raffaele Cantone è una lettura obbligatoria per chiunque voglia capire lo sconcertante potere delle mafie, ma anche apprezzare meglio l’impegno dei molti uomini che, per senso di dovere e con grandi sacrifici, continuano a far funzionare nel nostro difficile paese lo stato di diritto.

‘Le due guerre’ Perché l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia

Di Gian Carlo Caselli

Due guerre e una sola trincea, la scrivania di un magistrato. Dalla Torino degli anni Settanta alla Palermo dei Novanta, trentacinque anni di storia italiana attraverso lo sguardo di un protagonista della lotta contro il terrorismo di sinistra e contro la mafia.

L’ingresso è libero fino esaurimento posti – previa prenotazione valida la poltrona in abbonamento prosa/prosa in coppia/ adotta una poltrona.

Eroi

Non si vedono in TV, i giornali ne parlano raramente. Tuttavia non sono degli sconosciuti, anzi, c’è tutta una serie di persone che di questi ficcanaso ne sa moltissimo e ne vorrebbe sapere ancora di più. Per fermarli. Sì, perchè quando si comincia a pensare, a parlare e, soprattutto, a far pensare gli altri, è difficile non farsi dei nemici.  Nemici che ti rendono la vita impossibile, ma contro i quali ci sono tante persone che hanno deciso di lottare a carte scoperte, perchè, come diceva Paolo Borsellino, “chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura muore una volta sola”.

C’è Gianni Lannes, direttore di un giornale on line. Da tempo segue la vicenda delle navi dei veleni e degli inceneritori del Sud Italia, per i quali ha aperto un’inchiesta. Il primo avvertimento a Luglio: l’automobile in fiamme. Pochi giorni fa, la replica: a Orta Nuova, circa 23 km da Foggia, un esplosione distrugge la sua macchina.

C’è Rosario Crocetta, ex sindaco di Gela. Quando parla delle intimidazioni subite dalla mafia, dice che “non sono minacce, sono condanne a morte”. Crocetta ha creato, durante la sua magistratura, un’associazione antiracket a cui hanno aderito più di 120 imprenditori e commercianti, che hanno iniziato a denunciare le estorsioni, contribuendo all’arresto di oltre 950 mafiosi. Non sa nepppure cosa significhi vivere normalmente, o forse lo sa meglio di tutti: “Non è facile vivere con questo pensiero” – ammette – “Non puoi avere una vita normale, non puoi andare a mangiare un gelato, io vivo a 300 metri dal mare e non posso più andare a farmi il bagno. Non posso nemmeno affacciarmi sul balcone. E’ un pensiero talmente costante, che mi sono quasi abituato all’idea”.

C’è Giulio Cavalli, 32 anni, attore e regista. Migliaia di pagine di intercettazioni lette, raccontate nelle piazze di Gela, Alcamo e Corleone, mettendo alla berlina Bernardo Provenzano, Totò Riina e i loro picciotti. Cavalli non ha paura. Si chiede, semmai, “se è giusto far pesare questa vicenda su quanti mi stanno intorno”. Da mesi vive nella consapevolezza che ogni suo spostamento è vigilato da persone incaricate di osservarlo: gli “avvertimenti” non si contano più. Bare disegnate sulla porta, gomme dell’auto squarciate. A Ottobre è tornato sul palcoscenico, ma a Milano, con un monologo (Cento passi dal Duomo) dove racconta trent’anni di ‘ndrangheta in Lombardia, partendo da Calvi e Sindona ed elencando nomi di ciò che oggi c’è, più che mai, nel Nord Italia.

C’è Lia Beltrami, assessore della provincia di Trento, rea di impegnarsi per la convivenza, l’integrazione e l’accoglienza dell’altro (come gli stranieri, richiamati anche in Trentino dalle esigenze dell’economia e del lavoro). Queste cose non piaccioni a tutta una schiera di fanatici razzisti: minacce, buste con proiettili e pedinamenti. Impossibile continuare a vivere se non sotto scorta.

C’è Don Luigi Ciotti, che è anche scrittore ed editorialista. Da anni non è libero di muoversi da solo perchè non esita a farsi dei nemici: trafficanti di droga, mafiosi, sfruttatori di prostitute. “Sono solo un cittadino che sente prepotente dentro di sé il bisogno di giustizia”, minimizza. Nel ‘95 nasce Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, un network che oggi coordina nell’impegno antimafia oltre 700 associazioni.

Cinque piccole storie. Di persone che oggi vivono sotto scorta in Italia ce ne sono 570. Molte di esse occupano le alte istituzioni della politica, ma altrettante sono giornalisti, scrittori, sindaci, panettieri, educatori. Uomini e donne che tengono entrambi gli occhi bene aperti e che, per invogliare le altre a fare lo stesso, hanno rinunciato a una vita normale. Pur sapendo che a molti di loro non piacerà, è difficile esimersi dal definire queste persone eroi.

Pietro Crippa

fonti: www.europarl.europa.eu

da IL FARO MAGAZINE L’ARTICOLO QUI

http://www.ilfaromag.com/prospettive/?p=5702

LA NORMALITÀ BLINDATA

QUANDO A FINIRE SOTTO SCORTA È LA GENTE COMUNE.
Il più noto è Roberto Saviano, l’autore di Gomorra. Che vive sotto scorta lo sa un numero d’italiani maggiore rispetto a quello di quanti hanno letto il suo libro, sebbene l’abbiano fatto in più di un milione. Molti cittadini, attenti alla cronaca, conoscono anche la vita “blindata” di don Luigi Ciotti, un uomo di Dio che da molti anni non è libero di muoversi da solo perché non esita a farsi dei nemici: trafficanti di droga, mafiosi, sfruttatori di prostitute. Secondo i dati ufficiali del ministero degli Interni, sono 570 le persone che, oggi, nel nostro Paese vivono scortate. Meno dell’anno scorso, quando erano 622, ma molto diversificate per professione. Non sono solo, infatti, i magistrati e i massimi vertici delle istituzioni, ma giornalisti come Lino Abbate o Rosalia Capacchione, sacerdoti, politici, amministratori locali e gente comune. Tutte persone che prendono sul serio il proprio lavoro e che vivono fino infondo i doveri del cittadino onesto, finendo così per pestare i piedi a chi approfitta del complice silenzio altrui per combinare affari sporchi. Si può finire sotto scorta perché non si cede a un’estorsione, ma anche perché, come è successo a una dirigente delllnps di Rossano, si denuncia una truffa ai danni della previdenza nazionale. Può succedere a uno come l’attore di teatro Giulio Cavalli, la cui intervista viene pubblicata qui di seguito, che ha il torto di mettere alla berlina i cosiddetti “uomini d’onore”, elencando a voce alta, dal palcoscenico, nomi e fatti di una criminalità organizzata che ha ormai intaccato anche il Nord. Oppure può capitare quel che è accaduto a Lia Beltrami, assessore della Provincia di Trento. C’è chi ne segue i passi perché, con la sua politica di solidarietà, ha urtato il razzismo viscerale di alcuni fanatici, incapaci di vivere in pace con gli immigrati. Capita che il coraggio delle idee debba essere difeso
dallo Stato. Noi abbiamo il dovere civico di non dimenticare, nutrendo stima verso chi, questo coraggio, lo pratica. E verso chi lo protegge.

È BERSAGLIO DI AVVERTIMENTI E MINACCE. CON LA SUA OPERA A CENTO PASSI DAL DUOMO, L’ATTORE GIULIO CAVALLI RACCONTA TRENT’ANNI FILATI DI ‘NDRANGHETA A MILANO, CON TANTO DI NOMI: «VOGLIO FAR APRIRE GLI OCCHI», SPIEGA.

Quest’intervista con Giulio Cavalli, in occasione del suo spettacolo teatrale A cento passi dal Duomo, era già stata realizzata, quando l’operazione “Parco Sud” ha spedito in cella la “terza generazione” della ‘ndrangheta nel Milanese. Risultato: 17 ordinanze di cattura, 48 indagati, 5 milioni di beni sequestrati e un velo squarciato su affari e intimidazioni che si sviluppavano in comuni a sud di Milano, come Corsico, Buccinasco e Trezzano sul Naviglio; ma con una delle imprese “sporche” che aveva la sede sociale in via Montenapoleone, a Milano. A cento passi dal Duomo, appunto.
Giulio Cavalli è un attore e regista di Lodi. Vive sotto scorta. Ha solo 32 anni, ha iniziato a calcare le scene nel 2006 e già in quell’anno è entrato in un programma di protezione che nel 2009 si è fatto più serrato. Sarà che lui, che si definisce un “giullare”, un “teatrante” e tende allo sberleffo più che al ghigno tragico, è incapace di tacere sulle tragedie reali trascurate. Ha messo in scena l’incidente aereo di Linate che nel 2001 costò la vita a 118 persone, ha rappresentato con Bambini a dondolo la vergogna del turismo sessuale, e già in quelle occasioni aveva causato “mal di pancia”. Il botto è arrivato con “Do ut des”, in cui metteva alla berlina Bernardo Provenzano, Totò Riina e i loro picciotti, andando per di più a rappresentarlo in piena Sicilia. Le intimidazioni e gli avvertimenti non si sono più contati, compreso il disegno di una bara sulla porta di casa sua e le gomme dell’auto tagliate. E Cavalli cosa fa? Quest’anno allestisce A cento passi dal Duomo, scritto con il giornalista Gianni Barbacetto. Un monologo nel quale racconta trent’anni di mafia in Lombardia partendo da Calvi e Sindona e arrivando a elencare nomi, fatti e foto della ‘ndrangheta d’oggi nella regione in cui lui vive e lavora. La regione più ricca d’Italia e la città più europea che tengono ancora gli occhi semichiusi su un cancro, la criminalità organizzata, che non le ha in pugno ma ci ha affondato saldamente le grinfie. La sfida di Giulio Cavalli è questa: far aprire gli occhi.
– Perché questo spettacolo?
«Perché penso che sia necessario. Si stava facendo un gran parlare dell’Expo 2015 a Milano, e preciso che io sono molto garantista sull’Expo, perché si rischia di demonizzare un evento che comunque è un’occasione eccezionale per il nostro Paese. Ma c’è una grossa bugia, ed è quella di una politica che assicura che per quell’occasione non entreranno le criminalità organizzate in Lombardia. È una bugia perché ci sono già, e quindi mi piacerebbe sentir dire che le faranno uscire, cioè avere una risposta che dimostra una certa conoscenza del fenomeno. La Lombardia ha l’opportunità di cominciare una lotta contro un’infiltrazione che non è nei centri nevralgici del potere, non è comunque nei vertici economici. Il mio spettacolo è ottimista perché vuole contribuire a un’osservazione il più possibile precisa di ciò che succede».
– Che cosa da fastidio del suo teatro?
«Un grande fastidio lo ha dato Do ut des. Dopo aver letto migliaia di pagine di intercettazioni, dopo aver letto le caratteristiche umane o subumane di gente come Riina o Provenzano, pensi “Beh, ma qui la parte comica è già scritta, bisogna semplicemente portarla in scena”. Effettivamente il portarla in piazza a Gela, ad Alcamo, a Corleone, raccontando che Riina non ha mai usato un congiuntivo, che Provenzano era un povero vecchietto con la musicassetta dei Puffi nel suo covo, ha creato una catarsi molto violenta. Nel momento in cui sveli che il loro onore non esiste, che è solo una metastasi della paura e basta un sorriso per smontarlo, gli hai già tolto un’arma di controllo. Noi eravamo certi che non avessero un buon senso dell’umorismo, e infatti…».
– Lei ha paura?
«Paura no. Ho avuto momenti in cui mi chiedevo, e mi chiedo ancora, se è giusto far pesare questa mia vicenda su quanti mi stanno intorno (Cavalli ha due figli, ndr). Dal 2006 c’è stata un’escalation: dalle minacce dei fan di Riina (c’è un mondo di decerebrati che sono paramafiosi pur non essendo affiliati) ad avvertimenti più importanti, avvenuti quest’anno, che hanno fatto capire che esistono persone incaricate d’osservarmi. Conoscono i miei spostamenti, vengono nei miei luoghi». «A Milano», continua Cavalli, «a un mio spettacolo c’era un parente di una delle più importanti “famiglie” della ‘ndrangheta milanese. E anche questi sono gesti che una società civile compatta non può permettere. Però, il bicchiere mezzo pieno di questa storia è l’appoggio e la stima delle istituzioni: parliamo di uno Stato che si prende la responsabilità di tutelare la parola. E io sono ottimista. Non ho mai perso il sorriso». «Tra l’altro non sopporto il voyeurismo che c’è in Italia su chi vive sotto scorta», conclude Cavalli. «Non ci sto a fare il “Saviano del Nord”, pur essendo amico di Roberto Saviano; mi sento più simile a un panettiere di Palermo che ho conosciuto, il quale alle 4 di mattina va a impastare il pane con due carabinieri, perché si è rifiutato di pagare il pizzo e ha sporto denuncia. Credo di essere una piccolissima parte di un processo che in Italia è avviato. Non vedo uno sfacelo nazionale, sinceramente. Altrimenti non lo farei, perché non ruberei mai la tranquillità alla mia famiglia, per quanto non l’abbia deciso io, se non fossi sicuro che saranno i miei figli a poterne godere il frutto».
R. B.

DA FAMIGLIA CRISTIANA L’ARTICOLO QUI

Giulio Cavalli, giullare che vive sotto scorta. L'attore lodigiano: «Il pubblico deve schierarsi»

«Non sono un attore». È spiazzante che a dirlo sia Giulio Cavalli, che a 32 anni si sta facendo conoscere in tutta Italia per gli spettacoli che porta in scena salendo, da solo, su un palco. I suoi monologhi sono ispirati a pagine vive della storia italiana – l’incidente aereo di Linate, il turismo sessuale infantile, e soprattutto mafia, mafia e ancora mafia – e raccontano storie così scomode da costringerlo a vivere sotto scorta.
Eppure, «non sono un attore. E il teatro per me non è mai stato un fine ma un mezzo per parlare con la gente». Narratore, scrittore e cantastorie, Giulio Cavalli è un personaggio che fa discutere. Legato a Libera, festeggiato dai ragazzi di Addiopizzo ogni volta che sbarca a Palermo, in Lombardia non riesce a non sentirsi solo. E con la sua città, Lodi, che l’ha sostenuto agli esordi e che ha lanciato i suoi primi spettacoli (” Do ut des, riti e conviti mafiosi” è stato coprodotto dai comuni di Lodi e di Gela e presentato in anteprima proprio a Lodi nel marzo 2008), oggi ha un rapporto difficilissimo: «In Sicilia mi sento parte di una battaglia in cui i ruoli sono chiari. Ma per la Lombardia io rappresento un trauma. E a Lodi, io e la mia famiglia abbiamo dovuto scontare le conseguenze di vivere sotto scorta: la reazione di pancia della gente è stata di chiusura, non di solidarietà».
Nel Lodigiano però Giulio Cavalli continua a vivere e a lavorare. Ora sta girando con il suo ultimo spettacolo: A cento passi dal Duomo (le mafie al Nord). E da tre anni la sua compagnia, la Bottega dei Mestieri Teatrali, cura la gestione e la direzione artistica del Teatro Nebiolo di Tavazzano, organizzando corsi di recitazione, iniziative con le scuole, incontri con gli autori. «Stiamo cercando di fare del Nebiolo una sorta di salotto teatrale, dove attori, scrittori, cantanti vengono a confessarsi davanti al pubblico (domenica prossima toccherà a Nanni Svampa, ndr). Ma questo teatro ci consente anche il lusso di provare gli spettacoli quando vogliamo ». Al Nebiolo sta nascendo anche il Centro di documentazione per il teatro civile: «Ogni nostro spettacolo è la punta di un iceberg fatto di storie, atti giudiziari e faldoni di documenti. Vogliamo raccogliere questo patrimonio e metterlo a disposizione. In genere gli attori tendono a impossessarsi dei loro temi. Al contrario, il Centro di documentazione funzionerà sel’anno prossimo la rete si sarà allargata e saranno nati altri spettacoli sulla tragedia di Linate».
A lavorare in rete Giulio Cavalli è abituato da anni, i suoi monologhi sono frutto della collaborazione con giornalisti, procure, commissioni antimafia. «La mia fortuna è essere l’anello di congiunzione tra due livelli distinti. Da una parte ci sono le sentenze, gli articoli, dall’altra il pubblico: e un attore ha la responsabilità di far emergere qualcosa che altrimenti non riuscirebbe a venire a galla». Ecco quindi il manifesto del suo “teatro partigiano”: «Una buona forma di indignazione che deriva da una informazione accu-rata, e che porti il pubblico a decidere da che parte stare ». Per essere più efficace, Cavalli porta avanti da anni una ricerca sulla parola che ha indotto molti critici a definirlo il nuovo Celestini, il nuovo Fo o il nuovo Paolo Rossi a seconda che lavori sul ritmo, sul grammelot o sulla risata dissacrante. «Odio le banalizzazioni, e odio dover leggere le critiche teatrali », ribatte lui, che si autodefinisce invece un giullare contemporaneo: «Un giullare è una persona che riesce a raccontare cose complicatissime in modo non descrittivo – spiega –, così che la presa di coscienza dello spettatorecoincida con la risata per le debolezze del potere». Rispetto ai vecchi cantastorie, però, Cavalli è un giullare 2.0: ha un sito, un blog, una pagina su Facebook e una trasmissione satirica (Radio Mafiopoli) trasmessa in podcast ogni mercoledì: «I nuovi media sono brutti, non hanno nulla a che vedere con l’arte. Ma permettono di raggiungere anche chi normalmente non presterebbe attenzione a temi come la mafia ». Proprio in questi giorni gli amici di Giulio Cavalli su Facebook hanno raggiunto quota 5mila. Chissà se il loro numero lo aiuterà a stemperare quello che individua come il suo primo difetto, l’antipatia, e a fargli pesare meno quello che sostiene essere il suo pregio: «Una gestione dignitosa della solitudine».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Contro la mafia. Giulio Cavalli, 32 anni, attore lodigiano

Raffaella Ciceri

DA IL SOLE 24 ORE

sezione: LOMBARDIA data: 2009-12-16 – pag: 30

OPERAZIONE "COMPENDIUM" CONTRO COSCA GELA; 41 ORDINI CUSTODIA CONTROLLAVANO APPALTI, PIZZO E TRAFFICO DROGA ANCHE AL NORD

gelaLa polizia sta eseguendo 41 ordini di custodia cautelare nei confronti di altrettanti esponenti della cosca mafiosa degli Emmanuello di Gela, nell’ambito di una vasta operazione antimafia tra la Sicilia, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia, la Liguria e la Toscana. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta, Giovanbattista Tona, su richiesta della Dda nissena. Gli arrestati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa finalizzata al controllo illecito degli appalti e dei subappalti, intermediazione abusiva di manodopera, traffico di stupefacenti, ricettazione, estorsione, danneggiamenti, riciclaggio di denaro sporco, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni. Tra le armi (pistole, fucili ed esplosivo) sequestrati dagli uomini della squadra mobile di Caltanissetta, del commissariato di Gela e delle altre questure che hanno partecipato all’operazione denominata «Compendium», c’è anche una colt calibro 45 che, secondo una perizia balistica, sarebbe stata usata in due omicidi compiuti a Gela, durante la guerra di mafia: quello di Antonio Meroni, nell’89, e quello di Francesco Dammaggio, nel febbraio del 91. La cosca Emmanuello aveva messo in piedi al Nord una ramificata organizzazione, con base a Parma, che controllava imprese, appalti e manodopera in cinque regioni. Tre suoi esponenti si erano persino candidati nella lista Udeur-Popolari alle elezioni comunali di Parma, il 27 e 28 maggio del 2007, senza però essere eletti. L’inchiesta si è avvalsa della collaborazione di una donna tedesca, ex convivente di uno dei fratelli Emmanuello, Alessandro. Una conferenza stampa è stata convocata dagli inquirenti in mattinata nella questura di Caltanissetta.

Sono 40 le ordinanze di custodia cautelare eseguite fino ad ora in tutta Italia dalla polizia, nell’ambito dell’operazione «Compendium» contro la cosca mafiosa degli Emmanuello di Gela (Caltanissetta). Uno solo degli indagati, infatti, è riuscito a sfuggire alla cattura. Questi i nomi degli arrestati. Carmelo Alabiso, 32 anni di Gela detto «u Mongolo»; Nunzio Alabiso, 30 anni di Gela ma residente a Varano Melegari (Parma); Francesco Aprile, 63 anni, di Niscemi detto «u Vecchiu»; Rocco Ascia, di 34 anni, Giuseppe Salvatore Bevilacqua, di 42, Giuseppe Billizzi, di 37, Massimo Carmelo Billizzi, di 34, Maurizio Bugio, di 39, Emanuele Caltagirone, di 33, Marco Gino Carfà, di 31, tutti di Gela; Rosario Cascino, 43 anni, nato a Gela e residente a San Zeno Naviglio (Brescia); Angelo Eugenio Di Bartolo, 32 anni nato a Gela e residente a Parma; Gianfranco Di Natale, 36 anni di Gela; Andrea Frecentese, 33 anni di Pordenone; Raimondo Gambino, 25 anni, Gianluca Gammino, di 35 e Salvatore Gravagna, di 27, tutti di Gela; Claudio Infuso, 31 anni nato a Gela e residente a Parma; Fabio Infuso, 37 anni di Gela; 39 anni di Gela ma residente a Parma; Nunzio Mirko Licata inteso Barboncino, 32 anni di Gela ma emigrato a Ghedi (Brescia); Claudio Lo Vivo 34 anni di Gela ma domiciliato a Pordenone; Crocifisso Lo Vivo, 44 anni di Gela; Marco Maganuco, 33 anni, Francesco Martines di 26, e Sandro Vissuto, di 21 anni, tutti di Gela; Claudio Parisi, 54 anni, domiciliato a Genova; Gianluca Pellegrino, 25 anni e Alessandro Piscopo, di 35, e Giuseppe Piscopo, di 33, tutti di Gela; Tommaso Placenti, 33 anni di Gela ma residente a Parma; Paolo Portelli, 41 anni di Gela; Bruno Salvatore Quattrocchi, 30 anni, di Gela, Nunzio Quattrocchi 34 anni di Gela residente a Sesto Fiorentino; Calogero Sanfilippo, 34 anni di Mazzarino; Gabriele Giacomo Stanzà, 39 anni nato a Capizzi (Messina) e residente a Valguarnera (Enna); Salvatore Terlati, 35 anni di Gela inteso «Ciap Ciap», Daniele Turco, 40 anni, Francesco Vella, di 34 anni e Domenico Vullo, di 33, anche loro di Gela.

Nell’ambito dell’operazione la Squadra mobile di Caltanissetta e gli uomini del Commissariato di Gela hanno anche trovato un arsenale vero e proprio, Tra le armi rinvenute ci sono pistole, fucili e persino esplosivo. Sequestrata anche una colt calibro 45 che, secondo una perizia balistica eseguita dalla Polizia, sarebbe stata usata in due omicidi compiuti a Gela durante la guerra di mafia. In particolare, l’omicidio di Antonio Meroni, nell’89, e quello di Francesco Dammaggio, nel febbraio del 91.

Il clan Emmanuello era in possesso di una grande quantità di armi e munizioni. Durante le varie perquisizioni sono stati sequestrati un fucile a canne mozze, mezzo chilo di esplosivo, una decina di pistole e numerose munizioni. Dalle perizie balistiche, una delle pistole è risultata già usata in due omicidi di mafia, quello di Antonio Meroni, nell’89, e quello di Francesco Dammaggio, nel ’91. Ma nelle attività illecite c’era spazio anche per le ricettazioni. I malviventi rubavano ciclomotori da rivendere o da restituire agli stessi proprietari dietro pagamento di riscatto. Come covo usavano una vecchia casa del centro storico, dove nascondevano i proventi dei vari furti e dove si riunivano per programmare la loro attività criminale. L’organizzazione mafiosa non tralasciava alcun affare. Nei suoi traffici illeciti c’erano spazio anche per la ricettazione di reperti archeologici di età greca, tra cui un vaso e delle monete, definite di rilevante interesse storico-culturale.

CODICE DEONTOLOGICO PARTITI A GELA

«Un codice di autoregolamentazione e deontologico dei partiti a Gela in vista delle prossime elezioni contro la mafia». A suggerirlo  è stato il procuratore aggiunto della Dda di Caltanissetta, Domenico Gozzo. Il pubblico ministero parlando della «eccessiva drammatizzazione della situazione gelese al punto da proporre il ritorno dell’esercito in città» ha ribadito «il ruolo naturale ed insostituibile nella lotta alla mafia delle forze dell’ordine e della magistratura». Gozzo ha detto: «non condivido la battaglia e la contrapposizione politica tra destra e sinistra sul fronte della lotta alla mafia, piuttosto sarebbe opportuno che in vista delle prossime amministrative tutti si mettano d’accordo per tempo sull’azione politica contro la mafia».

LUMIA (PD), STRAORDINARIO COLPO A CLAN

«Un’importante operazione, un colpo straordinario inferto al clan Emanuello e alle sua rete di collusioni con i sistemi imprenditoriale e politico ramificati in tutta Italia». Così il senatore Giuseppe Lumia, componente del Pd in Commissione antimafia, commenta le 41 ordinanze di custodia cautelare eseguite nell’ambito dell’operazione Compendium della Dda della Procura di Caltanissetta. «Nessuno si illuda che a Gela l’azione antimafia si sia esaurita – aggiunge l’esponente del Pd – il cammino avviato dall’ex sindaco Rosario Crocetta e delle associazioni antiracket andrà avanti con maggiore intensità e determinazione. Non bisogna abbassare la guardia perchè le nuove leve sono pronte a prendere il posto dei capi colpiti duramente, in quest’ultimo periodo, dalle forze dell’ordine e dalla magistratura»

Martirio in scatola per la telepromozione

marmellatasanguePrimo punto inossidabile e scritto. Condanna all’atto folle di un’inciviltà criminale anche se malata.

Quando esce sangue gocciola anche il pelo e la parte peggiore di un paese. Siamo un paese che si è abituato a bere sangue di tutti i gusti, da sempre, con questa nostra sciagurata abitudine ad abituarci a tutto per sopravviverci ferendosi di seguito. Abbiamo bevuto sangue di chi ci hanno detto che comunque alla fine se l’è cercato,  abbiamo bevuto sangue in ampolla da via D’Amelio che non ci hanno nemmeno lasciato il gusto, abbiamo mangiato sangue di rivolte e rivoltosi condannati al sugo, abbiamo pulito sangue con la pelle di daino mentre si riscrivevano i processi; eppure il sangue in vasetto messo in promozione per la televendita politica è una vetta solo recente. L’atto contro Silvio Berlusconi è puzzolente e orrido come qualsiasi atto dalla tela criminale; la confettura che coagula in un grumo (bipartisan?) per tirare voti giù dal buco del water è l’estrema campagna pubblicitaria di una politica pronta a comprarsi uno stacco per non lasciare invenduta nemmeno l’estrema unzione della dignità.

Un sangue sleale, nemmeno qui giù, si era mai visto.

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“Un monopolista delle Tv che si dichiara vittima della informazione di sinistra puo’ dire e soprattutto fare qualsiasi cosa anche la piu’ estrema. Sara’ davvero il caso di mettersi subito al lavoro per realizzare quella vasta convergenza democratica tra tutte le forze che credono nel patriottismo repubblicano e nella revisione dei poteri architrave della nostra Costituzione. La lotta politica tuttavia non puo’ e non deve mai degenerare in rissa, in aggressioni che non debbono trovare giustificazione alcuna”

Giuseppe Giulietti, di Articolo 21

Giulio Cavalli al Convegno di Napoli CHI HA PAURA DELLA RETE?

NAPOLI Come la rete e i social network incidono nella realtà contrastando i monopoli della politica, dell’economia, dell’informazione. E’ il titolo del convegno che si terrà venerdì 18 Dicembre alle ore 17 presso il Teatro Mediterraneo alla Mostra d’Oltremare di Napoli.
Organizzato dall’Europarlamentare On. Luigi De Magistris (IDV/ALDE) parteciparanno tra gli altri Beppe Grillo; Roberto Fico (Candidato Presidente Regione Campania Movimento 5 Stelle – meetup Napoli); Gianfranco Mascia (Organizzatore NoB Day); Nicola Conenna (Fisico, ex Greenpeace, pres. Europe Conservation); Gianni Lannes (giornalista, direttore Terranostra); Guido Scorza (promotore carta dei 100); Andrea D’Ambra (promotore della petizione che ha portato all’abolizione dei costi di ricarica dei telefonini); Nicola Izzo (Wikimedia Itallia); Giovanni Block; Giulio Cavalli; Claudio Messora. Modera l’incontro Gianni Occhiello (giornalista Rai). Alle 20.30 Concerto di Eugenio Bennato.

http://www.caserta24ore.it/13122009/napoli-chi-ha-paura-della-rete/