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Arte

L’innocenza di Giulio Andreotti smontata a teatro

Recensione dello spettacolo L’INNOCENZA DI GIULIO di Giulia Valsecchi da LINKIESTA

Un pezzo di storia messo in scena, perché nella finzione teatrale si realizzi il ribaltamento della falsità diffusa dai media, questo avviene nello spettacolo “L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto”. Tutte le trame della gestione del potere, degli anni di piombo e dello sfondo, inquietante, della mafia, vengono ritratti, come in una confessione, nello spettacolo di Giulio Cavalli, dove il teatro ritorna civile, e dove trasfigura l’essenza di un mondo lontano, ma che è stato.

Il dovere morale delle scene finisce spesso per ingaggiare ombre fatte di memorie zoppicanti o errate, campi sommersi da nebbie che investono la politica intesa come consesso, assemblea eletta per governare. Proprio per elezione si delineano ruoli e autorità di destinazione pubblica necessari a quel progresso sociale, economico e culturale che, ricorda la Costituzione, deve scalciare l’indifferenza e la compromissione illecita.

Per anni, dalla divulgazione nel 2003 della sentenza del processo che ha visto come imputato Giulio Andreotti, nome perennemente rimbalzato da un’ironia abrasiva che si vede ascrivere tutto eccetto le guerre puniche, la certezza ammessa su suolo popolare ne ha declamato l’assoluzione. Come ulteriore conferma di verità andate in fumo, il network dei media ha annacquato maneggi politici, finanziari e fitte cosche rendendo nota la più falsa e connivente estraneità del sette volte Presidente del Consiglio da reati mafiosi.

Il senatore a vita simbolo della Democrazia Cristiana e già membro della Costituente rivive invece alle spalle di bugie criminali tra cappotti lisci e cappelli dritti delle genti che contano. È l’alter ego e demone mutante nella voce dell’attore e consigliere regionale Giulio Cavalli, che ha scelto la sequenza di alcune date e incontri chiedendo al pubblico una “collusione di dignità”. Da oltre un anno il monologo scritto e interpretato intorno al Divo, già protagonista di una potente e ossessiva maniacalità documentaristica nel film di Paolo Sorrentino, attraversa la cronaca di un timoniere su acque torbidissime. Al centro ora un inginocchiatoio che serve da fuoco e testimonianza dell’accusato, mentre Gian Carlo Caselli in un video pronuncia l’incontrovertibilità degli atti che, in veste di Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, l’hanno visto giudice istruttore nel processo Andreotti contro la voragine di un’assoluzione di fatto inesistente.

È forse l’esempio della più dannosa “gestione mediatico-politica” di un verdetto processuale che recita concrete collaborazioni in reati associativi di stampo mafioso fino al 1980: mani strette e baci immortalati da scatti sempre negati e passati in prescrizione per l’emissione della sentenza definitiva dopo il 2002. Resistono non troppo ai margini le dicerie nate all’inizio del secolo scorso sull’inesistenza della mafia, i personaggi che hanno concordato con Giulio Andreotti un’ascesa di conti cifrati e banchieri come Michele Sindona e i suoi ingranaggi tra politica, chiesa, Cosa Nostra e logge massoniche. Proprio il salvataggio dei gravi scoperti della Banca Privata Italiana di Sindona dalla liquidazione coatta voluta e mai trasmessa formalmente dall’avvocato Giorgio Ambrosoli, prima minacciato poi freddato da un sicario nel 1979, accrescono il puzzo di quel pesce di difficile cottura come Montanelli definì il senatore democristiano.

La sua fisicità ripiegata sull’inginocchiatoio si alterna a melodie gregoriane rafforzando il contrasto con giri di oratoria che negano la frequentazione dei cugini e imprenditori siciliani Salvo, dichiarano la mancata responsabilità sull’assassinio nel 1982 del generale Dalla Chiesa e giustificano l’assenza al suo funerale per un’innata predilezione verso i battesimi. Le trame si rincorrono e sono date bianche su schermo nero a partire dalle dimissioni nel 1974 di Paolo Sylos Labini dal ministero del Bilancio, per l’imposizione voluta da Andreotti del sottosegretario Salvo Lima, già indagato dalla Commissione Parlamentare antimafia. Un “amico degli amici” troppo potente e pericoloso anche per l’allora Presidente del consiglio Aldo Moro.

E proprio sul rapimento Moro è necessario soffermarsi, perché in una lettera al cinque volte ministro degli Esteri il presidente della Dc si rivolge a qualcuno di ormai troppo distante dal fervore dell’eredità umana e democratica di De Gasperi, gigante di saggezza e flessibilità. A chi spettano allora la prima e ultima mossa del rapimento più aggrovigliato? Interrogativi che paiono annegare nel processo Dell’Utri e anticipano il richiamo alla giustezza più che alla giustizia del fare ordine tra gli eventi e le manovre pelose. Si accodano poi un piccolo bis con il video dell’ultimo miracolo italiano e la chiosa degli stacchi dal vivo del bravo Stefano “Cisco” Bellotti cui spetta il controcanto narrativo.

Fuori da queste mura teatrali protette resistono la lingua nuda di un attore e testimone da anni sotto scorta, la regia in ascolto di Renato Sarti e la collaborazione ai testi di Gian Carlo Caselli e Carlo Lucarelli. Ma soprattutto, fuor di partito preso, si fa largo un teatro che ha pari funzione di megafono contro la più dilagante astinenza dalla cruna fastidiosa della legge.

Dal 6 al 16 giugno 2012
Produzione Bottega dei mestieri teatrali – Teatro della Cooperativa
L’INNOCENZA DI GIULIO – Andreotti non è stato assolto
di e con Giulio Cavalli
con la collaborazione di Giancarlo Caselli e Carlo Lucarelli
regia Renato Sarti
musiche originali Stefano “Cisco” Bellotti

Orario spettacoli:
mer – sab: ore 20:45

Teatro della Cooperativa
www.teatrodellacooperativa.it – Via Hermada 8, Milano

Info e prenotazioni: 02 64749997

Allora, tenere tutto dentro, non si può

Si dice, di uno che ha molto viaggiato o molto studiato, che ha la mente aperta. Ecco, una persona sensibile, secondo me, è una persona che ha il sentimento aperto, che ha una forte reazione sentimentale a quello che gli succede intorno. Questa persona, se vuole vivere in una società, deve imparare prima di tutto ad essere flessibile. Perché poi quando il sentimento è aperto, poi entra di tutto. Allora, tenere tutto dentro, non si può. Che come ci sono i pensierei talmente ossessivi che se restano nella tua testa ti possono fare impazzire, così ci sono dei sentimenti talmente strazianti che se li tieni dentro ti si apre la pancia. Allora, se sei flessibile, la tua pancia diventa una specie di magazzino, dal quale entrano ed escono continuamente dei sentimenti. (Paolo Nori da Bassotuba non c’è, Einaudi Tascabili, 2000, p. 116)

Ci sono abbastanza parole per noi tutti

Scrivo ancora. Nei primi quattro mesi di quest’anno ho scritto duecentocinquanta poesie. Sento ancora la follia scorrermi dentro, ma ancora non ho scritto le parole che avrei voluto, la tigre mi è rimasta sulla schiena. Morirò con addosso quella figlia di puttana, ma almeno le avrò dato battaglia. E se fra voi c’è qualcuno che si sente abbastanza matto da voler diventare scrittore, gli consiglio va’ avanti, sputa in un occhio al sole, schiaccia quei tasti, è la migliore pazzia che possa esserci, i secoli chiedono aiuto, la specie aspira spasmodicamente alla luce, e all’azzardo, e alle risate. Regalateglieli. Ci sono abbastanza parole per noi tutti. (da La mia pazzia, p. 93 – Charles Bukowski)

Signore e signori, buonanotte.

Signore e signori, buonanotte è un film satirico italiano del 1976 diretto a più mani.
Il tema centrale del film è una satira di una ipotetica giornata televisiva, di cui fa parte un altrettanto ipotetico tg3 (che all’epoca ancora non esisteva) che rispecchia i disastri italiani. Suddiviso in vari episodi, con il tg3 a fare da filo conduttore, è stato diretto in forma collettiva, ovvero non è stata resa nota la paternità dei singoli contributi.
Il film si iscrive nel florido filone della commedia all’italiana, in particolare si riprende il filone “cattivo” di cui fanno parte film come I mostri. Gli obiettivi della satira riguardano praticamente tutti gli aspetti della società italiana, in un momento particolarmente difficile per il nostro Paese.

Il festival a casa del boss

Pietro Nardiello è un amico con cui ho avuto la fortuna di condividere una giornata significativa e bellissima nella Casla di Principe che profuma di Don Peppe Diana (qui il monologo che ho scritto e recitato per l’occasione). E’ uscito da poco il suo libro. E ve lo consiglio:

IL FESTIVAL A CASA DEL BOSS di Pietro Nardiello Phoebus Edizioni

Il Festival dell’Impegno Civile è l’unica rassegna italiana interamente realizzata nei beni confiscati alla criminalità organizzata. Il giornalista Pietro Nardiello, ideatore del progetto, con questo libro accende un riflettore sulle motivazioni del Festival, i retroscena, le difficoltà, le speranze e le gioie, nate in questi luoghi confiscati, dove si tenta ogni giorno di  costruire un’Italia diversa.

Il progetto del Festival, fortemente voluto dal Comitato don Peppe Diana, si ispira ai valori e ai principi del sacerdote assassinato dai camorristi a Casal di Principe. “Per amore del mio popolo non tacerò”. Il libro, pubblicato dalla Phoebus Edizioni, racconta le voci di questo popolo che continuano a parlare ai giovani, agli anziani, alle donne, ai bambini di questi territori martoriati, anche attraverso un Festival, fatto tutto, a casa del boss.

Una vittoria innanzitutto culturale, psicologia, fisica, concreta, reale: “A casa del boss“ si organizzano spettacoli di teatro, di musica, incontri di letteratura e dibatti sui temi della legalità, dell’antimafia, della politica, della cultura, dell’impegno civile. Il libro Il Festival a casa del boss è il racconto di una utopia concreta, del riscatto culturale di tutti i nostri non luoghi.

Il volume è arricchito da pregevoli considerazioni di importanti testimoni sociali, come il giudice Lello Magi, il procuratore Cafiero de Raho, Isaia Sales, Peppe Barra, don Aniello Manganiello, Antonietta Rozera e un’intervista impossibile di don Peppe Diana.

Interviste:

Francesca Ghidini  intervista il giudice Lello Magi;

Stefano Corradino intervista il procuratore Cafiero De Raho;

Vito Faenza intervista Isaia Sales;

Mariagrazia Poggiagliolmi intervista Peppe Barra,

Armida Parisi intervista don Aniello Manganiello,

Michela Monti  intervista la prof.ssa Antonietta Rozera,

Valeria Palumbo intervista don Peppe Diana

Diritti d’autore: Saranno devoluti in beneficenza all’associazione “Resistenza Anticamorra”, coordinata da Ciro Corona, per la realizzazione a Scampia di un ristorante pizzeria sociale dove lavoreranno giovani del territorio, ragazzi minorenni in attesa di giudizio e condannati a scontare pene alternative al carcere.

Sentirsi a casa, in teatro, a Milano

Succede che ci sono teatri che in fondo sono come stare a casa. Il Teatro della Cooperativa è il palcoscenico a Milano in cui ritrovo tutte le mie cose. So farci i passi ad occhi chiusi per misurarne i muri, ascoltare le voci dal camerino per intuire la temperatura emotiva della platea e ritrovare le luci come le avevamo lasciate. Renato Sarti è il padrone di casa che ti apre la porta con il sorriso che stacca per un secondo dall’impegno e ti lascia entrare per farti accomodare.
Per questo tornare in scena nei prossimi giorni al Teatro della Cooperativa (dal 6 al 16 giugno, tutte le informazioni e i numeri per prenotare li trovate qui) è un rientro a casa dopo un lungo viaggio. Quando appoggi la valigia e guardi intorno che tutto sia come quando sei partito.
Il 6 giugno Cisco suonerà le musiche in scena dal vivo. Fino al 16 noi siamo lì. Se avete voglia sapete dove trovarci.

(grazie anche a treninellanotte per la bella, umanissima recensione)

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Niente da fare

Strada di campagna, con albero.
È sera.
Estragone, seduto per terra, sta cercando di togliersi una scarpa. Vi si accanisce con ambo le mani, sbuffando. Si ferma stremato, riprende fiato, ricomincia daccapo.
Entra Vladimiro
.
Estragone. (dandosi per vinto). Niente da fare.
Vladimiro (avvicinandosi a passettini rigidi e gambe divaricate.) Comincio a crederlo anch’io.

(Aspettando Godot, Samuel Beckett)

Non volevano Ambrosoli nelle stanze del Pirellone

Ricordate? In Regione Lombardia si era riusciti a ricordare la storia dell’avvocato Giorgio Ambrosoli ucciso per mano mafiosa (si badi bene, a Milano) senza invitare il figlio Umberto. Qualcuno qui dentro aveva ritenuto inopportune le sue opinioni sull’indagine a carico dell’ex presidente del Consiglio Regionale Davide Boni. Avevano ricordato la schiena dritta del padre rifiutando le opinioni del figlio: roba da trapezisti dell’etica a proprio uso e consumo.

E poiché la memoria va difesa e, con tutti questi dormienti, viene la voglia anche di imporla oggi Umberto Ambrosoli sarà al Pirellone nostro ospite alle 18 presso la Sala Gonfalone del Palazzo Pirelli. Con me e lui ci sarà anche Biagio Simonetta, autore del libro Faide: uno di quei calabresi informati e informatori che qui in Lombardia ci servono come l’aria.

Parleremo del libro L’INNOCENZA DI GIULIO e, soprattutto, degli Andreotti e gli andeottismi di oggi. Di buona politica e cittadinanza, insomma.

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Un chiardiluna diurno

Lidia, quanto può avere, una trentina d’anni, è una donna fatta e ben fatta, una bruna portoghese, più sul basso che sull’alto, se può avere qualche importanza menzionare i segni particolari o le caratteristiche fisiche di una semplice cameriera che finora non ha fatto altro che pulire il pavimento, servire la colazione e, una volta, ridere vedendo un uomo a cavalluccio di un altro, mentre quest’ospite sorrideva, tanto simpatico, ma ha l’aria triste, non deve essere una persona felice, anche se ci sono momenti in cui il suo viso si rischiara, è come questa stanza scura, quando là fuori le nuvole lasciano passare il sole, qui dentro entra una specie di chiardiluna diurno, una luce che non è quella del giorno, una luce ombra di luce.

(José Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis)