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LA NORMALITÀ BLINDATA

QUANDO A FINIRE SOTTO SCORTA È LA GENTE COMUNE.
Il più noto è Roberto Saviano, l’autore di Gomorra. Che vive sotto scorta lo sa un numero d’italiani maggiore rispetto a quello di quanti hanno letto il suo libro, sebbene l’abbiano fatto in più di un milione. Molti cittadini, attenti alla cronaca, conoscono anche la vita “blindata” di don Luigi Ciotti, un uomo di Dio che da molti anni non è libero di muoversi da solo perché non esita a farsi dei nemici: trafficanti di droga, mafiosi, sfruttatori di prostitute. Secondo i dati ufficiali del ministero degli Interni, sono 570 le persone che, oggi, nel nostro Paese vivono scortate. Meno dell’anno scorso, quando erano 622, ma molto diversificate per professione. Non sono solo, infatti, i magistrati e i massimi vertici delle istituzioni, ma giornalisti come Lino Abbate o Rosalia Capacchione, sacerdoti, politici, amministratori locali e gente comune. Tutte persone che prendono sul serio il proprio lavoro e che vivono fino infondo i doveri del cittadino onesto, finendo così per pestare i piedi a chi approfitta del complice silenzio altrui per combinare affari sporchi. Si può finire sotto scorta perché non si cede a un’estorsione, ma anche perché, come è successo a una dirigente delllnps di Rossano, si denuncia una truffa ai danni della previdenza nazionale. Può succedere a uno come l’attore di teatro Giulio Cavalli, la cui intervista viene pubblicata qui di seguito, che ha il torto di mettere alla berlina i cosiddetti “uomini d’onore”, elencando a voce alta, dal palcoscenico, nomi e fatti di una criminalità organizzata che ha ormai intaccato anche il Nord. Oppure può capitare quel che è accaduto a Lia Beltrami, assessore della Provincia di Trento. C’è chi ne segue i passi perché, con la sua politica di solidarietà, ha urtato il razzismo viscerale di alcuni fanatici, incapaci di vivere in pace con gli immigrati. Capita che il coraggio delle idee debba essere difeso
dallo Stato. Noi abbiamo il dovere civico di non dimenticare, nutrendo stima verso chi, questo coraggio, lo pratica. E verso chi lo protegge.

È BERSAGLIO DI AVVERTIMENTI E MINACCE. CON LA SUA OPERA A CENTO PASSI DAL DUOMO, L’ATTORE GIULIO CAVALLI RACCONTA TRENT’ANNI FILATI DI ‘NDRANGHETA A MILANO, CON TANTO DI NOMI: «VOGLIO FAR APRIRE GLI OCCHI», SPIEGA.

Quest’intervista con Giulio Cavalli, in occasione del suo spettacolo teatrale A cento passi dal Duomo, era già stata realizzata, quando l’operazione “Parco Sud” ha spedito in cella la “terza generazione” della ‘ndrangheta nel Milanese. Risultato: 17 ordinanze di cattura, 48 indagati, 5 milioni di beni sequestrati e un velo squarciato su affari e intimidazioni che si sviluppavano in comuni a sud di Milano, come Corsico, Buccinasco e Trezzano sul Naviglio; ma con una delle imprese “sporche” che aveva la sede sociale in via Montenapoleone, a Milano. A cento passi dal Duomo, appunto.
Giulio Cavalli è un attore e regista di Lodi. Vive sotto scorta. Ha solo 32 anni, ha iniziato a calcare le scene nel 2006 e già in quell’anno è entrato in un programma di protezione che nel 2009 si è fatto più serrato. Sarà che lui, che si definisce un “giullare”, un “teatrante” e tende allo sberleffo più che al ghigno tragico, è incapace di tacere sulle tragedie reali trascurate. Ha messo in scena l’incidente aereo di Linate che nel 2001 costò la vita a 118 persone, ha rappresentato con Bambini a dondolo la vergogna del turismo sessuale, e già in quelle occasioni aveva causato “mal di pancia”. Il botto è arrivato con “Do ut des”, in cui metteva alla berlina Bernardo Provenzano, Totò Riina e i loro picciotti, andando per di più a rappresentarlo in piena Sicilia. Le intimidazioni e gli avvertimenti non si sono più contati, compreso il disegno di una bara sulla porta di casa sua e le gomme dell’auto tagliate. E Cavalli cosa fa? Quest’anno allestisce A cento passi dal Duomo, scritto con il giornalista Gianni Barbacetto. Un monologo nel quale racconta trent’anni di mafia in Lombardia partendo da Calvi e Sindona e arrivando a elencare nomi, fatti e foto della ‘ndrangheta d’oggi nella regione in cui lui vive e lavora. La regione più ricca d’Italia e la città più europea che tengono ancora gli occhi semichiusi su un cancro, la criminalità organizzata, che non le ha in pugno ma ci ha affondato saldamente le grinfie. La sfida di Giulio Cavalli è questa: far aprire gli occhi.
– Perché questo spettacolo?
«Perché penso che sia necessario. Si stava facendo un gran parlare dell’Expo 2015 a Milano, e preciso che io sono molto garantista sull’Expo, perché si rischia di demonizzare un evento che comunque è un’occasione eccezionale per il nostro Paese. Ma c’è una grossa bugia, ed è quella di una politica che assicura che per quell’occasione non entreranno le criminalità organizzate in Lombardia. È una bugia perché ci sono già, e quindi mi piacerebbe sentir dire che le faranno uscire, cioè avere una risposta che dimostra una certa conoscenza del fenomeno. La Lombardia ha l’opportunità di cominciare una lotta contro un’infiltrazione che non è nei centri nevralgici del potere, non è comunque nei vertici economici. Il mio spettacolo è ottimista perché vuole contribuire a un’osservazione il più possibile precisa di ciò che succede».
– Che cosa da fastidio del suo teatro?
«Un grande fastidio lo ha dato Do ut des. Dopo aver letto migliaia di pagine di intercettazioni, dopo aver letto le caratteristiche umane o subumane di gente come Riina o Provenzano, pensi “Beh, ma qui la parte comica è già scritta, bisogna semplicemente portarla in scena”. Effettivamente il portarla in piazza a Gela, ad Alcamo, a Corleone, raccontando che Riina non ha mai usato un congiuntivo, che Provenzano era un povero vecchietto con la musicassetta dei Puffi nel suo covo, ha creato una catarsi molto violenta. Nel momento in cui sveli che il loro onore non esiste, che è solo una metastasi della paura e basta un sorriso per smontarlo, gli hai già tolto un’arma di controllo. Noi eravamo certi che non avessero un buon senso dell’umorismo, e infatti…».
– Lei ha paura?
«Paura no. Ho avuto momenti in cui mi chiedevo, e mi chiedo ancora, se è giusto far pesare questa mia vicenda su quanti mi stanno intorno (Cavalli ha due figli, ndr). Dal 2006 c’è stata un’escalation: dalle minacce dei fan di Riina (c’è un mondo di decerebrati che sono paramafiosi pur non essendo affiliati) ad avvertimenti più importanti, avvenuti quest’anno, che hanno fatto capire che esistono persone incaricate d’osservarmi. Conoscono i miei spostamenti, vengono nei miei luoghi». «A Milano», continua Cavalli, «a un mio spettacolo c’era un parente di una delle più importanti “famiglie” della ‘ndrangheta milanese. E anche questi sono gesti che una società civile compatta non può permettere. Però, il bicchiere mezzo pieno di questa storia è l’appoggio e la stima delle istituzioni: parliamo di uno Stato che si prende la responsabilità di tutelare la parola. E io sono ottimista. Non ho mai perso il sorriso». «Tra l’altro non sopporto il voyeurismo che c’è in Italia su chi vive sotto scorta», conclude Cavalli. «Non ci sto a fare il “Saviano del Nord”, pur essendo amico di Roberto Saviano; mi sento più simile a un panettiere di Palermo che ho conosciuto, il quale alle 4 di mattina va a impastare il pane con due carabinieri, perché si è rifiutato di pagare il pizzo e ha sporto denuncia. Credo di essere una piccolissima parte di un processo che in Italia è avviato. Non vedo uno sfacelo nazionale, sinceramente. Altrimenti non lo farei, perché non ruberei mai la tranquillità alla mia famiglia, per quanto non l’abbia deciso io, se non fossi sicuro che saranno i miei figli a poterne godere il frutto».
R. B.

DA FAMIGLIA CRISTIANA L’ARTICOLO QUI

Giulio Cavalli, giullare che vive sotto scorta. L'attore lodigiano: «Il pubblico deve schierarsi»

«Non sono un attore». È spiazzante che a dirlo sia Giulio Cavalli, che a 32 anni si sta facendo conoscere in tutta Italia per gli spettacoli che porta in scena salendo, da solo, su un palco. I suoi monologhi sono ispirati a pagine vive della storia italiana – l’incidente aereo di Linate, il turismo sessuale infantile, e soprattutto mafia, mafia e ancora mafia – e raccontano storie così scomode da costringerlo a vivere sotto scorta.
Eppure, «non sono un attore. E il teatro per me non è mai stato un fine ma un mezzo per parlare con la gente». Narratore, scrittore e cantastorie, Giulio Cavalli è un personaggio che fa discutere. Legato a Libera, festeggiato dai ragazzi di Addiopizzo ogni volta che sbarca a Palermo, in Lombardia non riesce a non sentirsi solo. E con la sua città, Lodi, che l’ha sostenuto agli esordi e che ha lanciato i suoi primi spettacoli (” Do ut des, riti e conviti mafiosi” è stato coprodotto dai comuni di Lodi e di Gela e presentato in anteprima proprio a Lodi nel marzo 2008), oggi ha un rapporto difficilissimo: «In Sicilia mi sento parte di una battaglia in cui i ruoli sono chiari. Ma per la Lombardia io rappresento un trauma. E a Lodi, io e la mia famiglia abbiamo dovuto scontare le conseguenze di vivere sotto scorta: la reazione di pancia della gente è stata di chiusura, non di solidarietà».
Nel Lodigiano però Giulio Cavalli continua a vivere e a lavorare. Ora sta girando con il suo ultimo spettacolo: A cento passi dal Duomo (le mafie al Nord). E da tre anni la sua compagnia, la Bottega dei Mestieri Teatrali, cura la gestione e la direzione artistica del Teatro Nebiolo di Tavazzano, organizzando corsi di recitazione, iniziative con le scuole, incontri con gli autori. «Stiamo cercando di fare del Nebiolo una sorta di salotto teatrale, dove attori, scrittori, cantanti vengono a confessarsi davanti al pubblico (domenica prossima toccherà a Nanni Svampa, ndr). Ma questo teatro ci consente anche il lusso di provare gli spettacoli quando vogliamo ». Al Nebiolo sta nascendo anche il Centro di documentazione per il teatro civile: «Ogni nostro spettacolo è la punta di un iceberg fatto di storie, atti giudiziari e faldoni di documenti. Vogliamo raccogliere questo patrimonio e metterlo a disposizione. In genere gli attori tendono a impossessarsi dei loro temi. Al contrario, il Centro di documentazione funzionerà sel’anno prossimo la rete si sarà allargata e saranno nati altri spettacoli sulla tragedia di Linate».
A lavorare in rete Giulio Cavalli è abituato da anni, i suoi monologhi sono frutto della collaborazione con giornalisti, procure, commissioni antimafia. «La mia fortuna è essere l’anello di congiunzione tra due livelli distinti. Da una parte ci sono le sentenze, gli articoli, dall’altra il pubblico: e un attore ha la responsabilità di far emergere qualcosa che altrimenti non riuscirebbe a venire a galla». Ecco quindi il manifesto del suo “teatro partigiano”: «Una buona forma di indignazione che deriva da una informazione accu-rata, e che porti il pubblico a decidere da che parte stare ». Per essere più efficace, Cavalli porta avanti da anni una ricerca sulla parola che ha indotto molti critici a definirlo il nuovo Celestini, il nuovo Fo o il nuovo Paolo Rossi a seconda che lavori sul ritmo, sul grammelot o sulla risata dissacrante. «Odio le banalizzazioni, e odio dover leggere le critiche teatrali », ribatte lui, che si autodefinisce invece un giullare contemporaneo: «Un giullare è una persona che riesce a raccontare cose complicatissime in modo non descrittivo – spiega –, così che la presa di coscienza dello spettatorecoincida con la risata per le debolezze del potere». Rispetto ai vecchi cantastorie, però, Cavalli è un giullare 2.0: ha un sito, un blog, una pagina su Facebook e una trasmissione satirica (Radio Mafiopoli) trasmessa in podcast ogni mercoledì: «I nuovi media sono brutti, non hanno nulla a che vedere con l’arte. Ma permettono di raggiungere anche chi normalmente non presterebbe attenzione a temi come la mafia ». Proprio in questi giorni gli amici di Giulio Cavalli su Facebook hanno raggiunto quota 5mila. Chissà se il loro numero lo aiuterà a stemperare quello che individua come il suo primo difetto, l’antipatia, e a fargli pesare meno quello che sostiene essere il suo pregio: «Una gestione dignitosa della solitudine».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Contro la mafia. Giulio Cavalli, 32 anni, attore lodigiano

Raffaella Ciceri

DA IL SOLE 24 ORE

sezione: LOMBARDIA data: 2009-12-16 – pag: 30

Martirio in scatola per la telepromozione

marmellatasanguePrimo punto inossidabile e scritto. Condanna all’atto folle di un’inciviltà criminale anche se malata.

Quando esce sangue gocciola anche il pelo e la parte peggiore di un paese. Siamo un paese che si è abituato a bere sangue di tutti i gusti, da sempre, con questa nostra sciagurata abitudine ad abituarci a tutto per sopravviverci ferendosi di seguito. Abbiamo bevuto sangue di chi ci hanno detto che comunque alla fine se l’è cercato,  abbiamo bevuto sangue in ampolla da via D’Amelio che non ci hanno nemmeno lasciato il gusto, abbiamo mangiato sangue di rivolte e rivoltosi condannati al sugo, abbiamo pulito sangue con la pelle di daino mentre si riscrivevano i processi; eppure il sangue in vasetto messo in promozione per la televendita politica è una vetta solo recente. L’atto contro Silvio Berlusconi è puzzolente e orrido come qualsiasi atto dalla tela criminale; la confettura che coagula in un grumo (bipartisan?) per tirare voti giù dal buco del water è l’estrema campagna pubblicitaria di una politica pronta a comprarsi uno stacco per non lasciare invenduta nemmeno l’estrema unzione della dignità.

Un sangue sleale, nemmeno qui giù, si era mai visto.

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“Un monopolista delle Tv che si dichiara vittima della informazione di sinistra puo’ dire e soprattutto fare qualsiasi cosa anche la piu’ estrema. Sara’ davvero il caso di mettersi subito al lavoro per realizzare quella vasta convergenza democratica tra tutte le forze che credono nel patriottismo repubblicano e nella revisione dei poteri architrave della nostra Costituzione. La lotta politica tuttavia non puo’ e non deve mai degenerare in rissa, in aggressioni che non debbono trovare giustificazione alcuna”

Giuseppe Giulietti, di Articolo 21

Giulio Cavalli al Convegno di Napoli CHI HA PAURA DELLA RETE?

NAPOLI Come la rete e i social network incidono nella realtà contrastando i monopoli della politica, dell’economia, dell’informazione. E’ il titolo del convegno che si terrà venerdì 18 Dicembre alle ore 17 presso il Teatro Mediterraneo alla Mostra d’Oltremare di Napoli.
Organizzato dall’Europarlamentare On. Luigi De Magistris (IDV/ALDE) parteciparanno tra gli altri Beppe Grillo; Roberto Fico (Candidato Presidente Regione Campania Movimento 5 Stelle – meetup Napoli); Gianfranco Mascia (Organizzatore NoB Day); Nicola Conenna (Fisico, ex Greenpeace, pres. Europe Conservation); Gianni Lannes (giornalista, direttore Terranostra); Guido Scorza (promotore carta dei 100); Andrea D’Ambra (promotore della petizione che ha portato all’abolizione dei costi di ricarica dei telefonini); Nicola Izzo (Wikimedia Itallia); Giovanni Block; Giulio Cavalli; Claudio Messora. Modera l’incontro Gianni Occhiello (giornalista Rai). Alle 20.30 Concerto di Eugenio Bennato.

http://www.caserta24ore.it/13122009/napoli-chi-ha-paura-della-rete/

Giulio Cavalli a Torino Teatro Gobetti 15 dicembre 2009 per IL NATALE DI LIBERA

Il 15 dicembre 2009 a Torino presso il Teatro Gobetti (via Rossini 8) a partire dalle ore 20.00 LIBERA PIEMONTE festeggia il Natale con una serata di Teatro, Musica e Danza.

Sul palco dopo il saluto della Città di Torino con l’assessore Fiorenzo Alfieri si succederanno:

Giulio Cavalli con alcuni brani da NOMI, COGNOMI E INFAMI

Viartisti Teatro con alcuni brani da UNCINN’E’ spettacolo su Rita Atria

Giancarlo Caselli con una lettura accompagnata dagli Harry Loman

Modena City Ramblers

Per prenotazioni segreteria@liberapiemonte.it o 011.3841081

 

SCARICA IL PROGRAMMA QUI

 

"A CENTO PASSI DAL DUOMO. Le Mafie al Nord" oggi a Collecchio

“A CENTO PASSI DAL DUOMO. Le Mafie al Nord”

SABATO 12 DICEMBRE alle ore 21 a COLLECCHIO
(Teatro CRYSTAL via Galaverna 36)
spettacolo teatrale di e con GIULIO CAVALLI
“A CENTO PASSI DAL DUOMO. Le Mafie al Nord”

Il nuovo spettacolo di Giulio Cavalli, attore di Lodi sotto scorta a causa di diversi atti intimidatori per il suo primo spettacolo teatrale sulla mafia “Do ut Des”, sarà una prima per la nostra provincia. Vi chiediamo di dare massima diffusione a questo evento e siamo certi che risponderete numerosi!!!
un caro saluto, ci vediamo il 12!  alessia frangipane – coreferente Libera Parma

http://www.nesti.org/post/1207119376/%22A+CENTO+PASSI+DAL+DUOMO.+Le+Mafie+al+Nord%22#more

Mafia “a cento passi dal Duomo”: Giulio Cavalli fa nomi e cognomi

Nomi e cognomi di personaggi non certo estranei alla mafia. Riferimenti precisi e circostanziati. Manager pubblici e privati, amministratori locali e persino parlamentari. Chi mercoledì sera a San Giuliano Milanese ha assistito a llo spettacolo A cento passi dal Duomo si è reso conto del motivo per cui Giulio Cavalli vive sotto scorta. Davanti al pubblico dell’Ariston l’attore lodigiano mette a nudo un quadro a tinte fosche, ma per nulla surreale: nel Nord la mafia esiste, eccome. Accompagnato dalle note al pianoforte di Gaetano Liguori, Cavalli inizia il suo monologo partendo dall’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli: passando dai misteri che hanno accompagnato la fine di Michele Sindona e Roberto Calvi, la narrazione coinvolge in modo implacabile la nostra storia recente.Cavalli ricorda che negli anni ‘90 al Nord si celebrano ben 10 maxiprocessi di mafia; dunque c’è un fenomeno che non solo esiste, ma è persino in espansione. Eppure «mestizia Moratti decide di abolire la commissione Antimafia nel capoluogo lombardo», lamenta con rabbia e sarcasmo l’attore. Non importa se «Milano è diventata la capitale della ‘ndrangheta», come recita il grido d’allarme (parecchio inascoltato) del magistrato calabrese Vincenzo Macrì, in forza alla Direzione Nazionale Antimafia. Suv, giacca e cravatta, ristoranti di classe: i boss e i loro gregari stanno a cento passi da Palazzo Marino, non di certo con la lupara in mano. Settore? Quello prediletto è l’edilizia, naturalmente. «Ne sa qualcosa….»: quante volte durante la serata viene ripetuta questa frase, prima che venga pronunciato un nome e un cognome. Ciò che lascia basiti è il fatto che non si tratta solo di «uomini d’onore»: del poco lusinghiero elenco fanno parte parecchi amministratori locali del territorio, imprenditori con «le mani in pasta», politici che senza pudore intrecciano rapporti poco limpidi con personaggi altrettanto discutibili. Per chi assiste allo spettacolo è difficile non provare una sensazione di sconcerto, nel momento in cui si realizza che queste persone agiscono impunemente, in modo pressoché invisibile; agiscono e si muovono intorno a noi, magari a capo di un’azienda, o manovrando le leve del potere di qualche ente locale. Collusioni che sono in progressivo aumento nell’hinterland milanese, dove stando al resoconto dell’autore di A cento passi dal Duomo (scritto con Gianni Barbacetto), «si espandono nel ligresteo tappeto di grigio». Particolare ancora più inquietante: «I morti ammazzati ci sono anche in Lombardia; Gomorra è già qui. Il silenzio è complice». Sullo schermo dell’Ariston passano le foto segnaletiche di decine di mafiosi che sono finiti in carcere: i loro nomi hanno segnato le principali attività criminose al Nord. Nel finale Giulio Cavalli ricorda la figura del magistrato Bruno Caccia: il 26 giugno 1983 viene ucciso a Torino, per strada. Quel giorno era senza scorta: stava portando a passeggio il cane. Lo ammazzeranno come tale. La sua colpa? Fu il primo a raccontare i legami tra la ‘Ndrangheta e gli ambienti giudiziari. Ai mandanti dell’omicidio, affiliati alla famiglia Befiore, furono confiscati ingenti beni: uno di questi è “Cascina Caccia”. Porta il nome di chi non è rimasto in silenzio.V. E.

DA IL CITTADINO L’ARTICOLO QUI

San Giuliano, lo sberleffo ai boss

A cento passi dal Duomo approda a San Giuliano a pochi chilometri da Milano, da quella città di cui lo spettacolo teatrale scritto e interpretato da Giulio Cavalli racconta legami e connivenze con la mafia. Legami nati e cresciuti in un silenzio assordate, ininterrotto, tra funerali, suicidi (alcuni illustri, come quello di Raul Gardini), sequestri, omicidi. E poi ancora numeri, numeri, numeri, perché la mafia dei “colletti bianchi”, armata non di lupara ma di fucili mascherati da finanziarie e concessioni edilizie, lavora alacremente. Siamo a Milano e parliamo di ‘ndrangheta, dagli anni Settanta ad oggi, dall’omicidio di Ambrosoli all’Expo 2015. Tutto questo accade nell’ultimo testo teatrale scritto e interpretato da Cavalli, che da Lodi ha saputo portare in giro per l’Italia un nuovo teatro civile, documentato, intenso e, ovviamente scomodo. Dopo il successo di Do ut Des, spettacolo teatrale su riti e conviti mafiosi, prodotto dal comune di Lodi e dal comune di Gela, dopo la direzione artistica del Nebiolo di Tavazzano, dopo le tante repliche del fortunato monologo Linate 8 ottobre 2001: la strage, scritto con il giornalista del «Cittadino» Fabrizio Tummolillo, Cavalli torna a parlare di mafia, incurante degli attacchi e delle minacce e di una vita che, da oltre un anno, è sotto scorta. L’attore lodigiano questa sera sarà sul palco del teatro Ariston di San Giuliano con A cento passi dal Duomo (ore 21.15, ingresso 10 euro), nell’ambito della rassegna teatrale “Cibo per la mente” organizzata dal comune del Sudmilano. Con testi dello stesso Cavalli e del giornalista Gianni Barbacetto (direttore di “Omicron”, l’osservatorio milanese sulla criminalità organizzata al Nord e ora in forza anche al «Fatto Quotidiano») e intense musiche di Gaetano Liguori, l’attore lodigiano si concentra sulla presenza delle famiglie mafiose nell’Italia Settentrionale, un fenomeno spesso sottovalutato dalla politica e dai mass media ma da anni denunciato dalla magistratura. Il silenzio cui si accennava all’inizio è quello della città di Milano, dai privati cittadini alle istituzioni, che pare non accorgersi dei traffici mafiosi che si svolgono all’ombra della Madonnnina: Cavalli ricorda durante lo spettacolo che il pm antimafia Vincenzo Macrì nel 2008 disse che «Milano è oggi la vera capitale della ‘ndrangheta».Ma non solo: mafia a Milano significa anche sangue, omicidi, regolamenti di conti. Significa una Gomorra meno appariscente ma non per questo meno importante o meno radicata.«Non è un caso che abbia scelto come compagni di studi e scrittura per i miei spettacoli dei giornalisti, per rispettare e non sprecare un’opportunità difficilmente ripetibile: un palcoscenico che si prenda il lusso di fare luce», dice Cavalli. E infatti, anche questa volta, il suo monologo non ha nulla dell’invettiva o del gioco di parole astratto, ma è una vera e propria orazione civile supportata da dati, documenti e analisi. Il tutto accompagnato dalla musica di Liguori: come afferma lo stesso Cavalli, «una ninna nanna dolce per un risveglio brusco di quella Lombardia che si crede immune dalla mafia».

Francesca Amé

DA IL CITTADINO L’ARTICOLO QUI

Chi ha paura del giullare?

di Francesca Meschieri

Giulio Cavalli, talentuoso attore lodigiano, ha scelto il dovere della denuncia delle infiltrazioni mafiose nel nostro tessuto economico. Ora vive sotto scorta, ma non si arrende alla solitudine della legalità. Ci vuole coraggio per fare il soldato, il vigile del fuoco o il supereroe: tutte categorie dichiaratamente minacciate dalla natura stessa del male che combattono. Ma ci vuole coraggio anche per vivere nella solitudine della legalità, nel silenzio della propria coscienza, mentre tutto attorno è paura, minaccia, persecuzione. Ci vuole coraggio, oggi, per dare voce alle tante, troppe storie di Malavita che raccontano di un Paese che fa presto a giudicare, ad elevare o distruggere le opinioni e che altrettanto in fretta dimentica il motivo per cui lo fa, alienando così il concetto di responsabilità collettiva.

Forse non tutti sanno che nell’antichità, quando la libertà di parola era un’eresia e nessuno si sarebbe mai sognato di difenderla, i cosidetti matti (chiamati in gergo popolare giullari) hanno sempre goduto della facoltà di dire cose che ad altri non erano concesse e persino sbeffeggiare il Re e tutta la sua Corte; questo perché alle loro folli parole nessuno avrebbe mai dato alcun credito e la presunta follia li risparmiava dall’ira del potere. Giulio Cavalli è un moderno giullare; un ragazzo di 32 anni come ce ne sono tanti, un talentuoso attore lodigiano che ha deciso di salire sui palcoscenici dei teatri di tutta Italia raccontando quanto la Mafia sia presente nel tessuto economico italiano, non solo al Sud ma soprattutto – e più profondamente – nel Nord delle grandi aziende.

Quando ha deciso di intraprendere la carriera di attore professionista immaginava di trovarsi un giorno braccato e minacciato per ‘colpa’ dei suoi spettacoli?

“Le minacce di morte, così come la scorta, sono una parte tutto sommato marginale del mio lavoro di cui non mi piace parlare, perché distoglie l’attenzione dal vero problema: le cause, i fatti scatenanti che hanno portato a questo. In realtà io sono minacciato da un fenomeno che non esiste, effetto e conseguenza di una realtà ben più desolante e cioè la colpa culturale di analfabetismo che ci circonda e che ha prodotto una sostanziale narcosi culturale, una sorta di normalizzazione dei fatti, che induce l’opinione pubblica a non porsi troppe domande, ma accettare in modo passivo (e quindi colpevole) una realtà che sa di marcio. E’ molto difficile raccontare le brutture del proprio Paese, farsi carico di una responsabilità culturale collettiva, scovare e raccontare le storie dei dimenticati ed è inevitabile che prima o poi, si debba incappare nel dissenso”.

Un conto è il dissenso, ma qui si parla di un rischio per la sua incolumità…

“Io faccio solo il mio mestiere, quello del narratore, del giullare di professione e non mi sento altro che uno strumento nelle mani delle carte processuali, che sono il mio vero copione”.

Spesso il fenomeno mafioso viene letto come qualcosa di inevitabile: quanto incide l’aspetto omertoso sul suo proliferare?

“Direi moltissimo. La Mafia non è altro che una forma politica portata alle estreme conseguenze della sua disonestà: la credibilità le deriva proprio dal silenzio della gente, dalla collusione con lo Stato e le Amministrazioni responsabili di tenere la porta socchiusa, di permettere alla malavita di infiltrarsi; una sorta di solidarietà criminale che, soprattutto nel Nord del Paese, si manifesta con il lavoro, i favori, la cessione degli appalti”.

Insomma non dobbiamo pensare alla mafia come un fenomeno che riguarda soltanto alcuni territori del nostro Paese, ma piuttosto come una piaga che riguarda tutti: pensiamo alle presunte infiltrazioni della ‘Ndrangheta, nei lavori di preparazione dell’ Expo milanese 2015…

“I più grandi boss di Cosa Nostra hanno collusioni ed enormi interessi economici al Nord soprattutto in Lombardia ed Emilia Romagna, regioni ricche e prospere, libere dalla mafia soltanto in apparenza: i giornali, purtroppo anche in questo caso, sono colpevoli di non fare informazione vera, ma solo presunta. Un esempio? L’omicidio di Giovanni di Muro, avvenuto a San Siro qualche settimana fa: i maggiori quotidiani l’hanno liquidato come un delitto per rapina quando invece la realtà è ben diversa e quell’uomo, freddato a colpi di pistola di cui uno dritto al volto e quindi dichiaratamente offensivo, era collaboratore della Mafia e amico di Giuseppe Onorato (il riciclatore della ‘Ndrangheta) e Luigi Bonanno (lo stesso che aveva ricevuto incarico dal boss Salvatore Lo Piccolo di uccidere il latitante Giovanni Nicchi). Perché lo stesso omicidio, se fosse avvenuto a Napoli sarebbe stato attribuito alla Mafia, mentre se accade a Milano si configura come un banale litigio?”.

A cento passi dal Duomo è l’ultimo degli spettacoli che state portando in giro per l’italia: scritto a quattro mani con Gianni Barbacetto, fa parte del progetto della ‘Carovana antimafie’, storie e racconti di malavita, nei territori infestati dalla mafia. Quali sono le reazioni del pubblico?

“In verità è sempre più positiva, la gente comincia a condividere le responsabilità che si assumono persone come me, Saviano e Lucarelli: la denuncia per noi è un dovere, lo è la diffusione della cultura, della bellezza e della giustizia. Attualmente sto preparando un nuovo spettacolo che vuole smuovere le coscienze, raccontando la storia di un senatore a vita indagato, ma la cui condanna, non la nostra memoria, è andata in prescrizione”

Da IMPRENDITORI

http://imprenditori.it/2009/12/09/chi-ha-paura-del-giullare/