Vai al contenuto

Blog

‘Ndrangheta: Ferraro e Crea, presi.

114759202-f21ed38d-97f7-40f8-87a9-19abd8a4f42aSi nascondevano nel cuore di una delle colline che dalla Piana di Gioia Tauro si arrampicano verso l’Aspromonte, i due superlatitanti della ‘ndrangheta Giuseppe Ferraro e Giuseppe Crea, catturati questa mattina all’alba dagli uomini della Squadra Mobile di Reggio Calabria, agli ordini di Francesco Rattà, con il supporto  della prima sezione dello Sco, guidata da Andrea Grassi. Crea, reggente dell’omonimo clan, inseguito da quattro diversi mandati d’arresto per mafia e altri reati, era ricercato da oltre dieci anni. Ferraro, condannato definitivamente all’ergastolo per un duplice omicidio, ma sospettato anche di averne commissionati altri sei, sfuggiva agli investigatori da diciotto. Due personaggi pericolosi, che durante la latitanza non hanno esitato a commettere altri crimini, che hanno sempre dimostrato di avere familiarità con le armi e non hanno mai esitato ad usarle. Per questo, l’operazione predisposta oggi per catturarli, dopo oltre un anno di indagine – basata solo intercettazioni e pedinamenti –   è stata pianificata con la massima attenzione.

114759193-78018b33-d882-46f0-988f-7db16f3e23feUn manipolo di cinquanta uomini, ancor prima che l’alba spuntasse ha iniziato ad accerchiare la zona in cui i due sono stati individuati.  Progressivamente, in silenzio,  hanno iniziato a risalire il pendio, ma solo in dieci sono arrivati alle porte del bunker. Gli altri, rimasti indietro, si preparavano a coprire l’eventuale fuga del latitante. L’ufficiale medico, era con loro, pronto ad intervenire in caso di ferite da conflitto a fuoco. Poco prima dell’alba, è scattato il silenzio radio. Pochi minuti sembrati eterni a chi nelle retrovie temeva per i compagni incaricati dell’incursione. Rumori di una porta che viene sfondata, mobili rovesciati, urla. “Ce li abbiamo”, gridano dall’alto del pendio.  Crea e Ferraro sono stati sorpresi ancora nel sonno, senza dare loro il tempo di reagire e mettere mano ai due fucili a pompa con il colpo in canna, appesi accanto al letto a castello in cui dormivano.  Quando hanno aperto gli occhi, gli uomini della Mobile li avevano già accerchiati e immobilizzati. In silenzio, si sono fatti trascinare fuori e condurre alle auto, mentre nei 25 metri quadri in cui hanno trascorso la latitanza iniziava la perquisizione.

All’interno del bunker – piccolo, ma dotato anche di energia elettrica e tv – i due latitanti avevano tutto. Una cucina attrezzata, un frigorifero, una doccia con tanto di acqua calda, provviste fresche, ma anche un vero e proprio arsenale di armi lunghe e corte, fra cui un Ak-47,  pronte ad essere utilizzate. Fucili e pistole non nuovi che adesso si spera possano parlare. Gli uomini della Scientifica sono già al lavoro per cercare di comprendere se quelle armi abbiano sparato e contro chi. Ad attendere le storie che quelle armi possono raccontare è la famigli di Pasquale Inzitari, ex consigliere provinciale condannato per concorso esterno perché considerato uomo a disposizione del clan Mammoliti – Rugolo. Francesco, il figlio appena diciottenne  è stato  trucidato nel dicembre del 2009 con dieci colpi di pistola. Per gli inquirenti, forti anche delle dichiarazioni del pentito Bruzzese, Giuseppe Crea ha le mani sporche di quell’omicidio, ma le armi ritrovate nel bunker potrebbero aiutare a fare luce anche sui tanti delitti senza colpevoli che la storica faida fra i Ferraro Raccosta e i Mazzagatti-Bonarrigo ha fatto registrare.

“Oggi possiamo dire che  nel territorio in cui i due latitanti sono stati catturati sono state ripristinate le condizioni minime della democrazia, suturando la ferita che l’azione dei Crea aveva provocato non solo alla Calabria, ma a tutta la Repubblica”, ha detto soddisfatto il procuratore aggiunto Gaetano Paci, coordinatore delle indagini della procura antimafia nel tirrenico reggino. “Speriamo che questa nuova operazione, con cui abbiamo liberato il territorio da due pericolosissimi latitanti, sia un messaggio per i cittadini. Se qualcuno iniziasse a fornirci informazioni ed elementi le cose potrebbero davvero cambiare in questo territorio, ma i primi segnali li stiamo già registrando”.

(fonte)

Usa, Padova e il reato di essere povero

MG_5645

Un’analisi di Elisabetta Grande:

«Induriti dai messaggi di egoismo sociale, gli americani non provano più compassione per i poveri di strada, che non riconoscono uguali a sé. Il sentimento collettivo è talmente incattivito nei confronti dei senzatetto e la paura del diverso talmente radicata nella gente, che diventa normale -come accade a Gainesville, in Florida- che gli abitanti del quartiere chiamino la polizia affinché arresti un homeless che dorme sotto il porticato del palazzo del Municipio.

Il messaggio di criminalizzazione ed esclusione sociale del povero ha però conseguenze anche più gravi, poiché crea un fertile bagno di coltura per i germi del razzismo, responsabili dei sempre più frequenti atti di inaudita e gratuita violenza nei confronti degli ultimi della scala sociale. E proprio loro, gli homeless, finiscono paradossalmente, ma secondo un ben studiato meccanismo psicologico, per interiorizzare quell’immagine di sé che proviene dalla società in cui vivono e, nel rispecchiarsi nello sguardo collettivo, si convincono di meritare le vessazioni a cui sono sottoposti.

Il “modello” di un diritto che non solo crea povertà, schierandosi a tutela di un ordine economico sempre più neo-liberista , ma addirittura si accanisce contro quegli stessi poveri che crea, costruendoli con successo come nemici sociali, pare stingere con rapidità anche da noi.

Il 29 settembre 2014, con modifiche intervenute il 23 aprile 2015, sotto la guida del sindaco Massimo Bitonci, il consiglio comunale di Padova ha deliberato un nuovo regolamento di polizia urbana, le cui analogie con le ordinanze cittadine anti-povero americane sono singolarmente evidenti.

Ecco alcuni dei comportamenti sanzionati amministrativamente (giacché in Italia, a differenza che negli USA, i consigli comunali non hanno ancora competenza penale) dal nuovo regolamento di Padova con una multa di 100 euro, che tuttavia possono arrivare anche 500, come nel caso di chi espleti le proprie attività fisiologiche nel posto sbagliato, perché quello giusto sarebbe il gabinetto di una casa che non ha. Si tratta dei divieti di sedersi o sdraiarsi per terra in luoghi diversi da parchi, giardini pubblici ed argini, e anche di sdraiarsi sulle panchine o utilizzarle in modo improprio o impedirne l’uso ad altre persone occupandole con oggetti o indumenti personali, o di rendere inaccessibili i luoghi destinati al pubblico passaggio o di ostruire le soglie degli ingressi agli edifici pubblici o privati (Art. 9.2.a); oppure della proibizione di soddisfare le esigenze fisiologiche fuori dai luoghi destinati allo scopo (Art. 9.2.c).

La possibilità in entrambe le tipologie di casi di sostituire la sanzione pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità (Art. 9.5) evoca – nonostante a Padova ciò avvenga a richiesta del trasgressore – momenti bui, come quelli della Washington D.C. del 1812. Una norma entrata in vigore quell’anno prevedeva che tutti coloro che si trovavano sull’orlo della povertà, o che non avevano una dimora fissa, pagassero una cauzione ‘di buona condotta’ volta a indennizzare la città per il sostegno offerto. Chi non poteva pagare era costretto ai lavori forzati fino a un massimo di un anno. Oggi a Padova chi non abbia altro posto dove sdraiarsi per riposare che una panchina, su cui magari poggi addirittura tutti suoi miseri averi, per farsi perdonare potrà sempre lavorare gratis effettuando “dipintura, piccole riparazioni, pulizia e manutenzione di strade, di luoghi pubblici, di aree verdi e di giardini pubblici, di aule scolastiche, di locali e di aree di proprietà o in gestione al Comune o di altri Enti” (Art. 3. 9), salvo magari poi finire a cercar riposo sulla stessa panchina e così ricominciare da capo.»

Il resto è qui.

Piccole buone notizie

Si torna a leggere:

Torna positivo, dopo cinque anni di segni meno, il mercato del libro in Italia. E’ questa la più importante evidenza dell’analisi dell’Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori sul mercato del libro 2015 che sarà presentata da Giovanni Peresson domani, 29 gennaio, in apertura della giornata conclusiva del XXXIII Seminario di Perfezionamento della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri in programma a Venezia.

E’ l’alba di un giorno nuovo? Come informa un comunicato, il 2015 rappresenta l’anno della svolta: torna infatti timidamente a crescere la lettura di libri di carta e in parallelo rallenta – anche se impercettibilmente – quella di libri digitali, si mixa ancor più la produzione di libri di carta e digitali, ma soprattutto torna positivo il mercato, che per i libri di carta registra un +0,7% nei canali trade (dato Nielsen per AIE). Se si considera tutto il mercato – fatturato ebook e tutti gli altri canali (fiere, bookshop museali, etc..) – secondo le stime dell’Ufficio studi AIE, il 2015 chiude con un +1,6% sull’anno precedente.

Torna a crescere la lettura di libri di carta in Italia: la lettura di libri nella popolazione con più di 6 anni è tornata a crescere nel 2015 (elaborazione AIE su dati Istat, +1,2% = 283.000 persone in più che leggono) e riguarda oggi 24 milioni di persone. E’ tornata a crescere in particolare tra i lettori deboli e occasionali.

La notizia qui sul sito de Il Libraio.

Qui invece trovate la nostra piccola libreria.

Essere ospitali con l’Iran

Appesa semi-nuda al ponte, un grande cappio al collo e la bandiera iraniana dipinta sul petto. La protesta dell'attivista Femen Sarah Constantin contro la presenza del presidente Rouhani a Parigi non lascia spazio a dubbi. Secondo Amnesty International l'Iran è tra i paesi che ricorrono più spesso alla pena di morte, secondo nel 2014 solo alla Cina. Constantin ha chiesto al presidente Francois Hollande di affrontare il tema dei diritti umani durante l'incontro con Rouhani, e di chiedere la sospensione delle impiccagioni (soprattutto quelle effettuate per motivi politici). "Benvenuto Rouhani, boia della libertà", recita lo striscione appeso alle spalle dell'attivista.
Appesa semi-nuda al ponte, un grande cappio al collo e la bandiera iraniana dipinta sul petto. La protesta dell’attivista Femen Sarah Constantin contro la presenza del presidente Rouhani a Parigi non lascia spazio a dubbi. Secondo Amnesty International l’Iran è tra i paesi che ricorrono più spesso alla pena di morte, secondo nel 2014 solo alla Cina. Constantin ha chiesto al presidente Francois Hollande di affrontare il tema dei diritti umani durante l’incontro con Rouhani, e di chiedere la sospensione delle impiccagioni (soprattutto quelle effettuate per motivi politici). “Benvenuto Rouhani, boia della libertà”, recita lo striscione appeso alle spalle dell’attivista.

Piccole differenze. Per fortuna l’umanità è varia.

Milano: la ‘ndrangheta travestita da carrozziere e dottore.

124147836-26b66a40-b8c2-4c84-866f-de2a4a8d317dUn chirurgo plastico di 42 anni e un carrozziere quarantenne di Desio: secondo l’ultima indagine dell’antimafia milanese i due, arrestati all’alba dalla polizia, sarebbero ai vertici della ‘ndrangheta lombarda, capace di infiltrarsi negli istituti ospedalieri del capoluogo e di interloquire con Cosa Nostra. Il tutto in costante rapporto con la casa madre in Calabria. Si tratta del chirurgo plastico Arturo Sgrò, incensurato ma con parenti condannati per associazione mafiosa, e Ignazio Marrone, con precedenti per armi e ricettazioni: entrambi sono accusati di 416-bis. Secondo le accuse, sarebbero affiliati al clan Iamonte Moscato della locale di Desio.

Agivano in simbiosi. Le manette sono scattate questa mattina all’alba, e i fatti contestati risalgono al 2013 e 2014. Il chirurgo Sgrò e il carrozziere Marrone hanno attività lavorative diverse e provengono da estrazioni sociali opposte: nonostante ciò, secondo il procuratore aggiunto Ilda Boccassini e il dirigente della squadra mobile Alessandro Giuliano, agivano in perfetta simbiosi, occupando entrambi un ruolo apicale nella ‘ndrangheta calabrese trapiantata al nord.

Il chirurgo. Sgrò, originario di Melito Di Porto Salvo, professionista qualificato, con esperienze lavorative anche all’estero, era alle dipendenze dell’ospedale Niguarda, ma l’istituto ospedaliero è risultato estraneo ai fatti. Gli affiliati, parenti, sodali e detenuti, non solo della locale di Desio, secondo le ricostruzioni della squadra mobile si recavano al Niguarda per visite o operazioni senza prendere alcun appuntamento, secondo una logica di mutuo soccorso prevista dal sodalizio mafioso. Sgrò avrebbe anche svolto attività di recupero crediti per conto di due suoi cugini detenuti in carcere.

Il carrozziere. Marrone era già stato coinvolto nell’inchiesta ‘Infinito’ che nel luglio 2010 portò in carcere 300 affiliati tra Lombardia e Calabria, tra cui il temuto e rispettato Pio Candeloro. Dalle intercettazione telefoniche è emersa la sua disponibilità di armi, alcune delle quasi sequestrati in due sopralluoghi della polizia: una Mauser, arma da guerra, e una Beretta clandestina, quest’ultima custodita da un dipendente della ditta di autorimessa di Marrone, assieme a un disturbatore di frequenze. A Desio l’impresa del carrozziere era un vero e proprio fortino, sorvegliato da telecamere. Qui, dicono gli investigatori, avvenivano gli incontri tra affiliati, punto fisico di riferimento sia per Sarò che per Marrone.

I rapporti con Cosa Nostra. Quest’ultimo – nato in Sicilia – era autorizzato dal clan a risolvere i contrasti tra gli affiliati di ‘ndrangheta calabrese e Cosa Nostra. Era in contatto con un membro della famiglia Molluso che ha parenti imputati per mafia a Corsico, con i Mancuso, i Limbadi e il clan siciliano Rinzivillo di Gela. Era inoltre in rapporti strettissimi con Giuseppe Pensabene, capo della locale di Desio, attualmente detenuto.

(fonte)