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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La macchietta Vannacci e il suo strano concetto di democrazia in Europa – Lettera43

Neppure i Patrioti per l’Europa lo vogliono. Ma lui derubrica le opinioni contrarie a un’invenzione dei nemici, mentre la sua votazione tra i vicepresidenti del gruppo per acclamazione diventa un “suffragio”. Il generale ha un’interpretazione tutta sua delle regole: non si è nemmeno iscritto al partito (la Lega) che gli ha permesso di candidarsi.

La macchietta Vannacci e il suo strano concetto di democrazia in Europa

La democrazia è un vessillo molto delicato. Qualcuno la agita come ideologia per limitare la democrazia degli altri, qualcuno la ritiene un’inattuabile aspirazione, quasi utopia, mentre altri più meccanicisticamente la vedono come un broglio di regole elettorali. La democrazia per il generale e neo europarlamentare Roberto Vannacci è stoffa double face a supporto di tutto e tutto il suo contrario.

Un generale vagamente leghista e che non piace al partito

Il generale è vagamente leghista. Gran parte dei leghisti non lo ritengono uno di loro. Chi lo ama lo ritene un eccezionale testimonial che può permettersi di non inserirsi nelle dinamiche e perfino in certe ideologie del partito. Chi lo odia sottolinea come la sua campagna elettorale si sia risolta in qualche apparizione televisiva, qualche ospitata d’onore negli eventi di partito e qualche foto con il segretario Matteo Salvini nel ruolo della dama di compagnia elettorale. Lui, il generale, della Lega ha sempre parlato poco e molto morbido. Ci ha tenuto, eccome, a far sapere che più di un partito gli ha offerto lo scranno a Bruxelles e quando è stato stilettato da Luca Zaia e altri dirigenti poco soddisfatti dalla sua candidatura ha precisato di essere «un candidato indipendente». La Costituzione che Vannacci cita a più riprese per rivendicare il diritto di discriminare direbbe anche del ruolo dei partiti, ma il generale deve avere saltato quella lezione.

Avanti con la democrazia del “chi ha i voti ha ragione”

La democrazia di Vannacci, ereditata da Silvio Berlusconi e dal suo segretario Salvini, è quella del “chi ha i voti ha ragione”, visione infantile ma comoda della competizione politica come uno show televisivo in cui duellano maschi alfa per il dominio. Vannacci ha preso i voti, quindi Vannacci ha ragione. «Ci sono molti italiani che la pensano come lui», ha detto dopo le elezioni europee Salvini e nell’ottica della democrazia come comando (e non governo) della maggioranza quelle preferenze sono un certificato di garanzia.

La macchietta Vannacci e il suo strano concetto di democrazia in Europa
Roberto Vannacci con Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Persino i Patrioti per l’Europa non lo vogliono

A Bruxelles e Strasburgo il generale Vannacci però è considerato una macchietta. Una pericolosa macchietta per i socialisti e per i popolari e un’indelicata macchietta per il partito dei Patrioti per l’Europa di cui Vannacci fa parte. Jean-Philippe Tanguy, figura di spicco del Rassemblement National e vice-coordinatore della campagna presidenziale di Marine Le Pen nel 2022, ha dichiarato senza mezzi termini che i lepenisti «si oppongono» all’elezione di Vannacci a vicepresidente del nuovo gruppo europeo dei Patrioti. Laurent Jacobelli, già portavoce del Rn e oggi deputato è sulla stessa linea. Jordan Bardella, il figliol quasi prodigo di Le Pen in Francia che ha fallito per un pelo alle ultime elezioni francesi, solo poche settimane fa aveva pubblicamente condannato le dichiarazioni omofobe di Vannacci, prendendo le distanze da posizioni che riteneva inaccettabili. La democrazia, dicevamo. Nel nuovo gruppo dei Patrioti per l’Europa, covato dal premier ungherese Viktor Orban, Vannacci è stato eletto nelle file dei vicepresidenti. Anzi, in realtà non è proprio così: per acclamazione è stato eletto un pacchetto in cui Bardella figura presidente del gruppo europeo insieme a un mazzo di vicepresidenti. Ora i francesi dicono che Vannacci, no, Vannacci non si può proprio vedere nel direttivo.

Le accuse diventano frutto di una «stampa faziosa e di sinistra»

Torniamo al generale. In un’intervista a Repubblica Vannacci dice (va riportata tutta, anche se lunga, i lettori capiranno): «L’elezione dei vicepresidenti è avvenuta all’unanimità, quindi mi sembrano posizioni sicuramente contrastanti con quanto deciso durante il suffragio. Non vorrei che, come al solito, fosse un’amplificazione di una stampa faziosa e di sinistra. D’altra parte anche in Italia e anche per Repubblica, nonostante le plurime archiviazioni della giustizia italiana, vengo descritto come un razzista misogino e chi più ne ha più ne metta. Tutte accuse infondate, hanno stabilito i giudici, ma fosse per Repubblica dovrei essere in galera. Libération è l’equivalente del Fatto Quotidiano in Francia… non le fa venire in mente niente?».

La macchietta Vannacci e il suo strano concetto di democrazia in Europa
Una sostenitrice del generale Vannacci (Imagoeconomica).

Le opinioni che Vannacci esprime non sono opinabili

Eccola la democrazia secondo Vannacci: la votazione per acclamazione diventa un “suffragio” e le opinioni contrarie sono un’invenzione dei nemici (che non sono avversari, ma appunto nemici). Le opinioni che Vannacci esprime non sono opinabili. Le posizioni che vorrebbe ricoprire non sono discutibili. E chissà cosa avrà pensato l’eurodeputato voluta da Salvini leggendo che il portavoce di Patrioti per l’Europa nel corso di un briefing con la stampa al parlamento europeo di Bruxelles ha detto che la questione verrà affrontata lunedì e quindi no, non è invenzione della stampa nemica.

E l’iscrizione al partito? Se gli farà fare quello che vuole…

E l’iscrizione alla Lega? Vannacci spiega: «Possibile, anche in base al futuro che la Lega vorrà costruirsi. Io sono un combattente e se si tratta di pugnare per un futuro migliore basato su più sicurezza, più tradizioni, più identità, più ricchezza e più sovranità ci sono. Sono pronto a trasformare quest’onda di 560 mila voti delle Europee in uno tsunami». La democrazia secondo Vannacci: se il partito farà quello che vorrebbe fare lui allora potrebbe condividere i voti che ha preso grazie al partito. Che meraviglia.

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Il Bestiario della settimana – Salvini dall’entusiasmo al Maalox per Le Pen battuta in Francia. Dal Silvio airport al Godo Station

Brutta aria in Europa

Il gruppo europarlamentare Esn – fondato dai neonazisti tedeschi di Afd –  ha accolto in quota Republika (estrema destra slovacca) solo Milan Uhrík, leader del partito. Il secondo eletto Milan Mazurek rimarrà nei Non Iscritti perché avrebbe negato l’Olocausto ed elogiato Hitler in passato. Insomma, è stato incauto. Avrebbe dovuto solo pensarlo. 

La persona più qualificata

Il presidente Usa Joe Biden in conferenza stampa dopo il vertice Nato ha detto: “sono la persona più qualificata per battere Trump”. Poco prima ha avuto un lapsus su Zelensky che ha chiamato “Putin” e su Trump chiamato “vice presidente”. In effetti se ci pensate ritenersi “il più qualificato” è esattamente in linea con le affermazioni precedenti. 

Liberi liberi da che cosa poi

Il quotidiano Libero in occasione dell’intitolazione a Silvio Berlusconi dell’aeroporto di Malpensa ha aperto la prima pagina con “Buon volo comunisti”. Il quotidiano Libero è lo stesso giornale che accusa i partiti non di destra di riversare odio contro Giorgia Meloni e il suo governo. Il quotidiano Libero è lo stesso giornale che accusa i partiti non di destra di occuparsi di priorità “che non interessano agli italiani”. Il quotidiano Libero ha dedicato la sua prima pagina a una pernacchia da fare ai suoi “nemici”. Come alle scuole elementari, solo che lì all’intervallo nessun bambino si ritene un “intellettuale di destra”. 

Canta che ti passa

L’ex deputato e vicepresidente della Camera dei Deputati Simone Baldelli ha lasciato la politica (4 legislature con Forza Italia) per intraprendere la carriera di cantante. Il nuovo singolo si intitola “Bello”. «Bello» – spiega –  è un piccolo viaggio «al ritmo di musica tra immagini diverse, luminose, a tinte accese, ora sovrapposte, ora apparentemente scomposte, che trasudano un sereno ottimismo e un’ostinata caparbietà». Il suo singolo più ascoltato si intitola “Pasatelo bien”, divertiti. E si sta divertendo un sacco, in effetti. 

Un viaggio alla Berlusconi

Il geniale @nonleggerlo su x propone un itinerario costruito sui nomi reali degli aeroporti in giro per il mondo: “Partenza dal SILVIO BERLUSCONI Airport di Milano; Scalo al TANGA Airport, Tanzania; Cambio al FORMOSA Airport, Argentina; Controllo documenti al FALSE PASS Airport, Alaska; Rifornimento al MINNA Airport, Nigeria; Pernottamento al PECHORA Airport, Russia; Impossibile bypassare il MAFIA Airport, Tanzania; Atterraggio-tributo al BENITO Airport, Colombia; A scelta, l’ALMIRANTE Airport, caraibico; Ripartenza immediata per il PUTAO Airport, Myanmar; Inevitabile check-in al PAGO PAGO Airport, Samoa per fare PUKA-PUKA Airport, Polinesia francese; Take off dal LIMON Airport, Honduras; Ci attendono al folcloristico WACCA Airport, Ethiopia; B. eviterebbe ovviamente il DIBBA Airport, Oman, direbbe che è un LAMERD Airport, Iran [risate]; Bus turistico all’EROS Airport, Namibia; Finale a scelta, a chi piace una MARLBORO Airport, Massachusetts… a chi la piacevole opzione del GANJA Airport, Azerbaijan; Alternativa più economica, il SEGHE Airport, Giappone; A disposizione la navetta della GODO Station, Fukushima”. Buon viaggio. 

End in Italy

In Italia, gli iscritti al Liceo del Made in Italy sono solo 375 per tutti e 92 i corsi attivati nelle scuole. A due mesi dall’inizio dell’anno scolastico il nuovo indirizzo, che non ha raggiunto il numero minimo di studenti per classe, ora rischia di non partire. Dice Meloni che l’Italia ha “guadagnato credibilità agli occhi del mondo”. In effetti il Made in Italy in Italy tira fortissimo.  

La democrazia secondo Salvini

In occasione delle ultime elezioni russe il ministro Salvini disse: “Quando un popolo vota ha sempre ragione, le elezioni fanno sempre bene. Sia quando vinci che quando perdi”. In occasione delle ultime elezioni francesi Salvini ha detto: Esultanza nelle strade di comunisti e centri sociali, di filo-islamici e antisemiti, teppisti che attaccano a sassate la Polizia in diverse città, caos in Parlamento. Questa la prima notte dopo le elezioni in Francia con l’ammucchiata ‘tutti contro la Le Pen’ costruita da Macron che vince le elezioni ma non ha i numeri per governare”. Come direbbe lui: maalox!”

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Libertà di stampa, Italia osservata speciale

La libertà di stampa in Italia è moribonda e l’Europa se ne sta accorgendo. Mentre il governo continua la sua crociata per la nuova egemonia culturale, le associazioni dei giornalisti europee lanciano l’allarme. Ma a Roma fanno orecchie da mercante.

L’European Movement International, insieme ad altre organizzazioni, chiede alla Commissione Europea di indagare sullo stato della libertà di stampa nel Belpaese. Una richiesta che sa di disperazione, l’ultimo tentativo di salvare il salvabile prima che sia troppo tardi. E cosa fa la Commissione? Temporeggia, rimanda, si nasconde dietro risposte vaghe e promesse di “monitoraggio”. Come se non bastasse, ritarda la pubblicazione del rapporto annuale sullo Stato di diritto.

Un caso? Difficile crederlo. Intanto, il governo prosegue indisturbato la sua opera di demolizione. La Rai, un tempo servizio pubblico, è ormai ridotta a megafono del potere. Programmi scomodi vengono cancellati, giornalisti silenziati. L’ultimo caso? Quello di Serena Bortone, “colpevole” di aver letto un discorso antifascista. L’ombra del controllo governativo si allunga anche sulle agenzie di stampa.

L’Agi, una delle principali del paese, rischia di finire nelle mani di un deputato leghista. Un conflitto d’interessi che grida vendetta ma che sembra non scandalizzare nessuno. I giornalisti lavorano sotto costante pressione, minacciati da un potere che non tollera voci fuori dal coro.

E mentre l’Italia sprofonda nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa, il governo festeggia. L’Europa osserva, preoccupata. Ma osservare non basta più. Servono azioni concrete, immediate. Perché senza una stampa libera e indipendente, la democrazia è solo una farsa. E l’Italia, purtroppo, sembra avviata proprio su questa strada.

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Nordio e i numeri sballati sulla carcerazione preventiva

Carlo Nordio, ministro della Giustizia, è caduto in una trappola pericolosa: quella di piegare i numeri alla narrazione politica. Di recente, durante un’intervista a 24 Mattino su Radio 24, Nordio ha dipinto un quadro fosco del sovraffollamento carcerario, affermando che “Il 30 per cento dei detenuti è in carcere in attesa di giudizio, e statisticamente almeno la metà poi viene assolta”. Una dichiarazione allarmante, peccato che, come ricostruisce il Fact Checking di Pagella Politica, i dati del ministero della Giustizia raccontino una storia diversa.

Al 30 giugno 2024, i detenuti negli istituti penitenziari italiani erano 61.480. Di questi, il 15 per cento (9.213) era in attesa del primo giudizio, “una percentuale più bassa di quella indicata da Nordio”, rileva Pagella Politica. Se includiamo anche quelli condannati ma non in via definitiva, arriviamo al 25 per cento. Una percentuale più vicina ma sempre al di sotto del 30 per cento indicato dal ministro. Ma sul concetto di “metà assolti” il discorso si fa ancor più interessante.

La verità dietro le cifre di Nordio: cosa dicono davvero i dati

Nordio afferma che metà di questi detenuti in attesa di giudizio poi viene assolta. In realtà, i dati del ministero della Giustizia, presentati in Parlamento, mostrano che nel 2023 solo il 5,7 per cento delle custodie cautelari in carcere si è concluso con una sentenza di assoluzione.

“Questa percentuale contiene sia le assoluzioni definitive sia quelle non definitive, che quindi poi possono essersi trasformate in una condanna”, specifica peraltro Pagella Politica. A questo si aggiunge un 3,8 per cento di sentenze di proscioglimento a vario titolo. La matematica è semplice: “abbiamo che in circa il 90 per cento dei casi il procedimento termina con la condanna”, ha scritto il Ministero della Giustizia. Difficile immaginare di stirare i numeri fino al 50%.

Il ministro, quindi, ha esagerato, forse per giustificare le sue riforme. È un gioco pericoloso perché la realtà dei numeri non può essere piegata a piacimento senza rischiare di minare la fiducia nelle istituzioni. È un gioco pericoloso anche perché dimostra l’uso di una distorta narrazione per avvalorare le proprie tesi: la stessa accusa che il governo – nemmeno troppo sotto traccia – muove alla magistratura. Inoltre, è importante ricordare che la custodia cautelare è una misura che il giudice può disporre in presenza di gravi indizi di colpevolezza e quando vi sia il pericolo di fuga, inquinamento delle prove, o reiterazione del reato. Non è una scelta arbitraria ma una necessità legale.

Custodia cautelare: tra legalità e distorsioni politiche

L’articolo 27 della Costituzione italiana è chiaro: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Il sistema giudiziario, pur con le sue imperfezioni, opera quindi all’interno di un quadro costituzionale ben definito. Si potrebbe dire che la rappresentazione fornita da Nordio sul sovraffollamento carcerario e sulle custodie cautelari è fuorviante.

La realtà è che il sistema giudiziario italiano, pur necessitando di riforme, non è quel mostro inefficiente che il ministro vorrebbe dipingere. Le parole di Nordio sembrano più uno strumento politico che un’analisi accurata della situazione. Un esercizio pericoloso, soprattutto quando si parla di giustizia. La fiducia nelle istituzioni si costruisce anche attraverso la trasparenza e l’aderenza ai fatti, non adattando i numeri a una narrazione conveniente.

Il senso della giustizia non è materia sacrificabile sull’altare della politica. Fossimo in un processo la frase del ministro cadrebbe alla prima obiezione della controparte.

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Borsellino day: polemiche infuocate tra commemorazioni e passerelle a Palermo

A pochi giorni dal 32° anniversario della strage di via d’Amelio, Palermo diventa teatro di un confronto aspro e carico di significati politici e morali. Le polemiche, già incandescenti, si intensificano intorno alle commemorazioni organizzate dal “Movimento delle Agende Rosse” e alle controverse iniziative dell’Agenzia Italiana per la Gioventù (AIG) a Palazzo Jung.

Salvatore Borsellino, figura di spicco nel ricordo del fratello giudice Paolo Borsellino e delle vittime della strage del 1992, ha alzato la voce in una conferenza stampa infuocata: “Sono venuto a conoscenza di una manifestazione che viene attuata nelle stesse date e negli stessi orari della nostra manifestazione in via d’Amelio. Una passerella e una sfilata che viene organizzata a Palazzo Jung a Palermo. Noi ci dissociamo completamente da questo tipo di manifestazioni”. Un gesto di netta separazione, mirato a denunciare quella che egli vede come una tentata normalizzazione di chi avrebbe dovuto essere in prima linea nella lotta alla mafia.

Dissenso e denuncia: Salvatore Borsellino alza la voce

La “Legalità è libertà – Giovani europei per un nuovo movimento culturale” promossa dall’Aig, con il suo red carpet di ospiti non è passata inosservata.

“Anche quest’anno, come e ancor più degli altri anni, le manifestazioni per l’anniversario della strage di via d’Amelio non saranno, come purtroppo ormai succede per il 23 maggio, una parata e un’occasione di passerelle per personaggi istituzionali anche reduci da condanne penali per contiguità alla mafia,” ha tuonato Borsellino. “Amministratori eletti grazie all’appoggio mafioso non possono partecipare impuniti a eventi che dovrebbero ricordare la lotta alla mafia, non celebrarne i complici,” ha dichiarato.

Le Agende Rosse, in risposta alle iniziative al Palazzo Jung, hanno annunciato un fitto programma di commemorazioni, che culmineranno il 19 luglio con una giornata di denuncia e memoria. Dal quartier generale tra la sede di via Della Vetriera e via D’Amelio, verranno messe in luce le lacune investigative e i presunti depistaggi che hanno, secondo Borsellino, impedito la giustizia per la strage di Stato del 1992.

Normalizzazione della mafia: la memoria tradita

L’atmosfera infuocata di Palermo non si limita alle mire politiche locali, ma si intreccia con una disputa nazionale sul ricordo delle figure pubbliche legate alla mafia. La recente intitolazione dell’aeroporto di Malpensa a Silvio Berlusconi, nonostante le controversie legali che lo collegano a Cosa Nostra, aggiunge combustibile al fuoco delle polemiche. Mentre alcuni cercano di normalizzare rapporti discutibili con la criminalità organizzata, altri come Salvatore Borsellino continuano a battere il tamburo per una memoria chiara e non compromessa.

Palermo, a meno di una settimana dall’anniversario della strage di via d’Amelio, non solo brucia di caldo estivo ma di una tensione politica e morale che riflette divisioni profonde nella memoria collettiva italiana. Tra commemorazioni che si scontrano e accuse di complicità con la mafia che risuonano in ogni polemica, l’eredità di Borsellino continua a essere contestata e celebrata in un duello che non promette tregua. Del resto da 32 anni si commemora una storia che non ci è mai stata raccontata per intero. 

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Salvataggi in mare, l’agenzia Ue per i diritti fondamentali: distinguere tra trafficanti e soccorritori

Il recente aggiornamento del rapporto dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) pone una questione cruciale e spesso fraintesa nel contesto delle operazioni di salvataggio in mare: la necessità di distinguere chiaramente tra trafficanti di esseri umani e coloro che operano nel rispetto delle leggi internazionali e dei diritti umani per salvare vite umane. La distinzione non è solo teorica, ma ha implicazioni pratiche e legali significative per le operazioni di soccorso e per le vite di migliaia di migranti.

La normativa internazionale e le operazioni SAR 

Il quadro normativo internazionale, che comprende la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS) del 1974, la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (SAR) del 1979 e la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982, stabilisce chiaramente l’obbligo di assistere le persone in difficoltà in mare, indipendentemente dalla loro nazionalità o status. Le operazioni di salvataggio devono concludersi con il trasferimento dei sopravvissuti in un “luogo di sicurezza” dove i loro bisogni fondamentali possano essere soddisfatti.

Le sfide delle organizzazioni non governative 

Dopo la conclusione del programma Mare Nostrum nel 2014, diverse organizzazioni della società civile hanno iniziato a impiegare navi e aerei per il soccorso, riducendo significativamente le morti in mare e portando i salvati in sicurezza nell’Unione europea. Tuttavia, molte di queste organizzazioni hanno dovuto affrontare ispezioni, detenzioni delle navi e procedimenti penali, ostacolando le loro operazioni di soccorso.

A maggio 2024, solo 17 navi e tre aerei erano ancora operativi, con molti mezzi bloccati per manutenzione o procedimenti legali. In alcuni casi, i membri dell’equipaggio e gli attori della società civile hanno affrontato procedimenti penali per le loro attività di ricerca e salvataggio, creando un effetto intimidatorio su queste operazioni.

Raccomandazioni e conclusioni della FRA 

La FRA sottolinea che le azioni legali contro le ONG e i volontari coinvolti nel SAR devono rispettare le leggi internazionali, del Consiglio d’Europa e dell’UE sui diritti fondamentali e sui rifugiati. È essenziale distinguere tra i trafficanti di esseri umani e coloro che agiscono in base all’imperativo umanitario e agli obblighi legali internazionali di salvare vite in mare. Questo richiede che le autorità nazionali e i tribunali trovino il giusto equilibrio tra le leggi internazionali, dell’UE e nazionali.

Il caso delle sanzioni italiane

Il rapporto evidenzia che dal luglio 2023 sono stati aperti 18 nuovi procedimenti legali in Italia contro le operazioni SAR delle ONG, con multe che vanno da 2.000 a 10.000 euro e il blocco temporaneo delle navi nei porti. Questi procedimenti sono spesso il risultato del mancato rispetto delle istruzioni della Guardia Costiera Libica o della mancata richiesta di un porto di sbarco in Libia.

La necessità di una distinzione chiara 

Il rapporto della FRA chiarisce che la distinzione tra trafficanti e soccorritori non è solo una questione legale, ma una questione di principio umanitario e di diritti fondamentali. Ignorare questa distinzione non solo compromette la sicurezza delle operazioni di salvataggio, ma mette anche a rischio la vita di migliaia di migranti che cercano disperatamente un luogo di sicurezza.

In un’epoca in cui le politiche migratorie diventano sempre più restrittive – scrive la FRA – è fondamentale riconoscere e rispettare il lavoro di chi, spesso a rischio della propria vita, si impegna a salvare quelle degli altri. La distinzione tra soccorritori e trafficanti deve essere non solo una linea guida per le operazioni SAR ma un principio fondamentale per la protezione dei diritti umani in mare. Qualcuno lo spieghi con calma anche al governo italiano. 

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L’ombra dell’antisemitismo: il rapporto Fra 2024 e la vita degli ebrei in Europa

Il nuovo rapporto dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali (FRA) dipinge un quadro preoccupante delle esperienze e delle percezioni degli ebrei riguardo all’antisemitismo nei paesi membri dell’UE. La ricerca, condotta tra gennaio e giugno 2023, rivela una realtà in cui l’antisemitismo è ancora profondamente radicato e diffuso, incidendo negativamente sulla vita quotidiana e sul benessere psicologico della comunità ebraica.

Antisemitismo: una presenza costante e pervasiva

Il rapporto evidenzia come l’antisemitismo sia onnipresente, sia online che offline. Un dato allarmante è che l’80% dei partecipanti al sondaggio percepisce un aumento dell’antisemitismo nel proprio paese negli ultimi cinque anni. Questa percezione, seppur leggermente diminuita rispetto all’88% del 2018, indica che il problema persiste con forza. Le manifestazioni più comuni includono contenuti antisemiti sui social media, vandalismo di istituzioni ebraiche, e discorsi d’odio pubblici.

L’impatto psicosociale sull’identità ebraica

Le esperienze di antisemitismo hanno un impatto devastante sulla vita degli ebrei nell’UE. Il 96% dei partecipanti ha riportato di aver incontrato manifestazioni di antisemitismo nell’anno precedente alla ricerca, con episodi che vanno dalla diffusione di stereotipi negativi, alla negazione del diritto di esistenza dello Stato di Israele, fino alla banalizzazione o negazione dell’Olocausto. Questi atteggiamenti non solo limitano la possibilità di vivere apertamente la propria identità ebraica, ma contribuiscono anche a un sentimento diffuso di insicurezza e paura.

Un problema di sicurezza

La sicurezza rimane una preoccupazione centrale. Il 53% degli intervistati teme di subire insulti o aggressioni verbali nei prossimi dodici mesi, mentre il 44% teme aggressioni fisiche. Questi timori non sono infondati, dato l’aumento delle minacce contro scuole, sinagoghe e altre istituzioni ebraiche, in particolare dopo gli attacchi di Hamas a Israele nell’ottobre 2023.

La difficoltà di denunciare

Un altro aspetto critico evidenziato dal rapporto è la scarsa propensione a denunciare gli episodi di antisemitismo. Solo il 26% degli episodi di antisemitismo online e il 28% degli episodi di molestie vengono denunciati alle autorità competenti. La principale ragione di questa reticenza è la percezione che nulla cambierà o che le denunce non verranno prese sul serio. Questo porta a una mancanza di giustizia per le vittime e a un senso di impunità per i perpetratori.

L’importanza di una risposta coordinata

Per affrontare efficacemente l’antisemitismo, il FRA sottolinea la necessità di una risposta coordinata da parte degli Stati membri dell’UE. Tra le raccomandazioni vi è l’implementazione di misure che facilitino la denuncia di episodi antisemiti, l’aumento della protezione fisica per le comunità ebraiche e la promozione della consapevolezza dei diritti di uguaglianza e non discriminazione. Inoltre, la collaborazione con le comunità ebraiche è essenziale per comprendere meglio le loro necessità e sviluppare strumenti pratici che possano migliorare la loro sicurezza e qualità della vita.

Il rapporto FRA 2024 evidenzia come l’antisemitismo continui a rappresentare una minaccia concreta e persistente per le comunità ebraiche nell’UE. È imperativo che le istituzioni europee e nazionali intensifichino i loro sforzi per combattere questo odio, proteggere i diritti delle persone ebree e promuovere una società più inclusiva e rispettosa. Forse il fatto che i cavalcatori dell’antisemitismo siano proprio i partiti anti solidali è il punto politico. 

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Non si salva la Sanità con i fichi secchi

Il decreto sulle liste d’attesa per ora non ha ridotto di un centesimo le liste d’attesa. In compenso ha fatto infuriare le Regioni e le Province autonome che l’hanno bollato come propaganda. 

Regioni e Province scrivono quello che fin dall’inizio era sotto gli occhi di tutti: illudersi di riformare la sanità pubblica senza aggiungere soldi è puro marketing sanitario, anche perché, scrivono i presidenti, “il Fondo sanitario nazionale è già largamente insufficiente”. 

Secondo la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi «Questa bocciatura dovrebbe preoccupare molto il ministro della Salute e indurlo ad occuparsi seriamente del servizio sanitario nazionale abbandonando la strada dello smantellamento – dice -. È sempre più evidente la volontà del governo Meloni di privatizzare la salute. Non c’è nessuna vera risposta alle persone che attendono di essere curate e i roboanti annunci pre-elettorali si sciolgono come ghiaccio al sole». 

La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ritiene “imprescindibile lo stralcio dell’articolo 2 la cui attuale formulazione è quanto meno lesiva del principio di leale collaborazione” che demanda all’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria la gestione delle segnalazioni di cittadini, enti locali ed associazioni di categoria, scavalcando le Regioni. Le Regioni e le Province Autonome valutano dunque “che l’attuale formulazione, ove non emendata, presenti dei profili di illegittimità costituzionale”. 

È l’elastico dell’autonomia differenziata che diventa indifferenziata alla bisogna. Sono le famose “nozze con i fichi secchi”. 

Buon venerdì. 

 

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Deriva orbaniana pure sull’immigrazione

La premier Meloni sembra aver trovato la sua musa ispiratrice in tema di immigrazione: Viktor Orbán. Mentre l’Europa si affanna a condannare le politiche draconiane dell’Ungheria, l’Italia le abbraccia con entusiasmo. I numeri parlano chiaro: nei primi sei mesi del 2024, gli sbarchi sono stati circa 25mila.

La premier Meloni sembra aver trovato la sua musa ispiratrice in tema di immigrazione: Viktor Orbán

Il governo Meloni sventola la bandiera del successo, dimenticando che sono cifre in linea con gli anni di Draghi. Ma si sa, la propaganda non si fa con la matematica. Il vero capolavoro è l’adozione delle famigerate “procedure di frontiera” à la Orbán. L’idea è semplice: rendere la vita impossibile ai migranti prima ancora che mettano piede in Europa. Una sorta di limbo burocratico dove i diritti diventano optional. E non contenta, l’Italia aggiunge altri sei paesi alla lista dei “sicuri”, tra cui Bangladesh ed Egitto. Guarda caso, proprio le nazioni da cui proviene il 27% degli arrivi. Una coincidenza Chiedetelo ad Asgi, che ha smascherato il giochetto: si classificano come “sicuri” i paesi da cui arrivano più richiedenti asilo. Geniale, no?

Ma il pezzo forte è l’accordo con l’Albania. Due centri di accoglienza oltreconfine, per tenere i migranti fuori dalla vista e dalla mente degli italiani. Perché se non li vedi, non esistono. Intanto, nel Mediterraneo si continua a morire. Oltre mille persone nei primi cinque mesi del 2024. Ma tranquilli, sono solo numeri. La verità è che l’Europa, Italia in testa, sta virando verso un modello che fino a ieri condannava. Le “transit zone” ungheresi diventano il nuovo standard, il diritto d’asilo si sgretola, e qui si applaude. Rendere la vita impossibile ai migranti è il nuovo mantra. Poco importa se questo significa calpestare diritti fondamentali o ignorare la complessità del fenomeno migratorio.

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Dal Berlusconi al Falcone e Borsellino

Si potrà volare dall’aeroporto Silvio Berlusconi all’aeroporto Falcone e Borsellino. Da Milano Malpensa a Palermo si percorrerà quindi la distanza siderale che c’è tra chi ha sacrificato la vita per combattere la mafia e chi l’ha pagata per migliorare la propria.

L’aeroporto di Milano Malpensa è ufficialmente intitolato a Silvio Berlusconi. A stabilirlo è l’ordinanza di Enac, che ha effetto immediato, e che è stata commentata dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini come una “grande soddisfazione”, con buona pace del suo antiberlusconismo dei suoi anni ruggenti. Il ministro è pronto a cambiare idea su tutto per la sua sopravvivenza politica.

A felicitarsi per l’aeroporto milanese intitolato a un pregiudicato (con condanna definitiva a 4 anni di reclusione per frode fiscale) è stata anche la ministra al Turismo Daniela Santanchè, la stessa che disse “Silvio vede le donne solo orizzontali”. Ora Silvio ha preso il volo. Salvini e Santanchè sono gli stessi che strepitano da anni contro il sindaco di Milano Beppe Sala perché “non si occupa delle priorità di Milano”.

Ora Milano è sistemata, quindi possiamo tutti volare tranquilli. Il berlusconiano Miccichè a suo tempo contestò l’intitolazione dell’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino perché, diceva, “così ci ricorderanno la mafia”. Ora ce la ricorda anche l’aeroporto di Milano. E la timidezza del Pd in questi anni è stata il favoreggiamento culturale alla normalizzazione.

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