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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Non solo Marra: tutti i politici “omaggiati” da Scarpellini

Ieri, a sette giorni dall’arresto, il gip di Roma aveva scarcerato il costruttore Sergio Scarpellini e oggi leggendo i quotidiani si capisce come il giorno del suo interrogatorio di garanzia la difesa avesse chiesto che l’imprenditore – accusato di corruzione con il capo del personale del Comune di Roma Raffaele Marra. Scarpellini ha elencato i nomi di coloro che hanno ottenuto – come la procura di Roma ipotizza per l’ex vice capo di gabinetto del sindaco Virginia Raggi – case di favore. Nell’elenco compaiono i nomi dell’ex presidente della Camera, Irene Pivetti, l’ex capogruppo del Pd in Comune, Mirko Corattigià coinvolto nell’inchiesta Mafia Capitale, l’ex parlamentare dell’Udc, Luciano Ciocchetti. Del resto che l’inchiesta potesse allargarsi era chiaro sin dal primo giorni dell’arresto per la reale genesi dell’inchiesta (l’intercettazione di un ex boss della banda della Magliana) e per la presenza di numerosi omissis nell’ordine ci cattura. s

Il costruttore “pur cercando di ridimensionare la portata delle sue condotte” avrebbe dunque ammesso non solo la casa di fatto regalata a Marra con un giro di assegni circolari ma fatto la lista di tutti coloro che avrebbero ricevuto la stessa cortesia. “Le motivazioni che lo avevano condotto alle dazioni – scrive il gip nel provvedimento di scarcerazione – e il contesto nel quale si sono realizzate (…)” sono “necessitate dall’esigenza di perseguire i propri interessi imprenditoriali”. Anche per Marra Scarpellini aveva dichiarato di aver agito perché – avendo molte pratiche in Comune – voleva evitare grane. Intanto oggi i legali di Raffaele Marra hanno depositato istanza al  Tribunale del Riesame probabilmente per effettuare una discovery sugli atti in mano agli inquirenti.

Non è escluso che nel corso dell’atto istruttorio, l’imprenditore possa avere fornito anche ulteriori dettagli sul suo rapporto con Marra e i relativi punti di contatto con la macchina amministrativa comunale. Tutte tracce su cui i pm, dopo la pausa dovuta alle festività natalizie, imbastiranno ulteriori approfondimenti. Ed è proprio con l’inizio dell’anno nuovo che i vari filoni avviati in Procura, tra cui quello legato alle nomine fatte dal sindaco Raggi, potrebbero subire nuove accelerazioni. Proprio l’altro giorno la prima cittadina ha affermato di essere “pronta ad andare in Procura” in caso di convocazione. I magistrati potrebbero contestarle il reato di abuso di ufficio in relazione alla nomina di Renato Marra, fratello del suo ex braccio destro, a capo del dipartimento turismo del Comune. Una nomina in “palese conflitto di interessi” secondo l’Anac.

(fonte)

#LaFrattura: come si sono spezzati Sud e Nord

Ne scrive Leonardo Palmisano per i Quaderni di Possibile:

Mai come prima nella storia del secondo novecento il Sud è stato tenuto così distante dal Nord. Una distanza che aumenta anno dopo anno e che ci consegna la fotografia di una Italia ferma a due velocità: un Nord statico e un Sud in dinamica negativa. Lo dice il dato recente sul Pil, che vede il Sud attestarsi sui 17mila euro a testa, il Nord sui 33mila. Un divario di quasi il 50 per cento che tradotto in termini metaforici indica che un bambino meridionale ha la metà delle opportunità economiche di un coetaneo settentrionale.

Questa differenza è aggravata dalla lontananza storica tra i servizi presenti al Nord (i trasporti in testa) e quelli del Sud. Una distanza che nessuna inaugurazione autostradale può compensare, perché quel che manca in Calabria, per restare sul territorio della celebre autostrada, sono le strade per raggiungere gli ospedali, sono i treni per raggiungere gli altri Sud così vicini e così lontani. Quando parliamo di ritardo del Meridione, commettiamo l’errore di pensare a questa porzione d’Italia come a un tutt’uno. La verità è un’altra: noi meridionali siamo dei separati in casa.

(continua qui)

«Forse Giulio poteva essere utile al nostro mondo senza essere un simbolo di tanto dolore».

«La tragica uccisione di Giulio è qualcosa che la nostra mente europea, da un punto di vista cognitivo ed emotivo, non è attrezzata a comprendere. Quindi il dolore è un dolore che deve ancora trovare le parole e le forme per essere espresso. È difficile pronunciare la parola “tortura”, ma questo è stato. Molte madri mi hanno raccontato dei loro lutti ma tutte sono state concordi nel dire “questo è inimmaginabile per madri italiane!” Stiamo parlando di una morte provocata da azioni violente per mano di persone che hanno minato la dignità psicologica e fisica di Giulio: un figlio come tanti cresciuti in Italia. Per riprendere le parole di un’amica, “un nativo democratico”. Forse Giulio poteva essere utile al nostro mondo senza essere un simbolo di tanto dolore».

Sono le parole di Paola Regeni nella sua intervista per D. Un’intervista da leggere. Tutta. È qui.

Su Formigoni, il morigerato

Immodesto. Lo si dice di chi abbia un’alta stima dei propri meriti e scarsa considerazione per i meriti altrui.
(Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911)

Così, di corsa, solo per avvisarvi che sul buon Formigoni ne ho scritto qui per Fanpage con un ricordo quasi personale e qui nel mio buongiorno per Left di oggi. Così, se vi va di passare.

 

Finalmente nominato il commissaro straordinario antiracket e antiusura

L’avevamo chiesto, avevamo preparato un’interrogazione (trovate tutto qui) e ora finalmente la situazione si è sbloccata:

Il Consiglio dei ministri ha deliberato:

1.su proposta del Presidente Paolo Gentiloni,

-nomina del prefetto dott. Domenico CUTTAIA a Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura, a norma dell’articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n.400;

Ah, tra le le altre cose il figlio di Poletti copia gli articoli degli altri. Anche.

(ne scrive Claudio Paudice per Huffington Post):

Parole che però suonano come già sentite. Perché identiche a quelle usate dall’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro nel suo articolo del 16 dicembre 2008 sulla morte dell’imprenditore Carlo Caracciolo, fondatore della Società Editoriale La Repubblica che ha dato il via alle pubblicazioni del quotidiano di Largo Fochetti. Scriveva Ezio Mauro:

Perché (Carlo Caracciolo, ndr) conosceva […] quella chimica arcana con cui il giornale dà quotidianamente forma a se stesso, dal primo abbozzo del mattino all’urto pieno e aperto con i fatti, infine al momento in cui gli avvenimenti esterni e la cultura interna si fondono in una selezione, creano una gerarchia, diventano un disegno, formano un’idea: e danno vita non a un fascio di notizie stampate, ma ad una ricostruzione organizzata e a una reinterpretazione appassionata della giornata che abbiamo attraversato, della fase che stiamo vivendo.

ezio mauro

Nel suo articolo Manuel Poletti copia l’intero passaggio, riferendolo non a Caracciolo (morto il mese prima) ma alla sua nuova esperienza editoriale. E infatti l’unica differenza sta in “giornata” che nell’editoriale del figlio dell’attuale ministro del Lavoro si trasforma in “settimana” (dal momento che si tratta di un settimanale).

poletti

È solo uno dei casi che avrebbero fatto guadagnare, secondo chi ha avuto modo di lavorare con lui, la fama di “Mr Copia e Incolla” a Manuel Poletti, figlio del ministro finito nell’occhio del ciclone per le sue frasi su quei giovani andati all’estero alla ricerca di opportunità che a volte “è meglio togliersi dai piedi” . Frase poi definita “infelice” dallo stesso ministro che si è scusato per aver usato quell’espressione.

Poletti jr, prima di diventare direttore dei settimanali delle Coop, ha fatto la “gavetta” come tanti altri giornalisti. Nel 2004 era in forze alla redazione di Bologna dell’Unità. Il 22 ottobre di quell’anno al suo caporedattore arrivò una lettera (di cui l’Huffington Post è in possesso) in cui veniva segnalato un plagio a firma Manuel Poletti. La segnalazione era stata inviata da un giornalista di un settimanale locale e denunciava un copia e incolla pressoché integrale di un suo articolo pubblicato il 16 ottobre 2004 e apparso quasi identico su L’Unità tre giorni dopo, il 19 ottobre. Non solo: veniva fatto notare come lo spiacevole inconveniente si fosse ripetuto più volte in passato.

È accaduto a Massimiliano Boschi, per esempio. Anche lui, giornalista nel 2004 per il settimanale legato al mondo rosso delle coop Sabato Sera, ha pubblicato un articolo il 14 febbraio 2004 quasi integralmente “ricopiato” su L’Unità di Bologna quattro giorni dopo, il 18 febbraio. E anche questo portava la firma di Manuel Poletti. Contattato dall’Huffington Post, Boschi ha confermato la paternità dell’articolo e i “copia e incolla” operati dal figlio dell’attuale ministro.

Nel 2009 Manuel Poletti è diventato direttore del nuovo SetteSere, nato dalla fusione con Sabato Sera Bassa Romagna che pure aveva guidato fino a quel giorno. La decisione dell’editore, la cooperativa Bacchilega, di designare il figlio dell’attuale ministro e all’epoca presidente nazionale di LegaCoop, indusse una decina di giornalisti a fare armi e bagagli e a lasciare il settimanale nel quale avevano lavorato molti anni.

Andarono via dal giornale il direttore, quattro caporedattori e diversi collaboratori, sbattendo la porta. Nella lettera di commiato ai lettori scrissero:

“La fusione è stata decisa senza neppure presentare un progetto editoriale e un piano di fattibilità economica, forzando il voto dell’assemblea dei soci con tempi, modalità e scenari propri più di un blitz che non di una discussione serena. È stata una decisione presa rifiutando a priori, e spesso irridendo, qualsiasi tentativo della redazione faentina di formulare eventuali controproposte che salvaguardassero la qualità e la territorialità del giornale”.

(continua qui)

Le aziende criminali (e mafiosi) del nord Italia. E il silenzio.

Insisterò, scriverò, scriverò, scriverò finché non diventerà qualcosa di più di un’urgenza circolare ma sarà finalmente una priorità politica, sociale. Una priorità. Ecco il bell’articolo de il Bo:

Mafie sempre più aggressive nel campo economico e finanziario, che si appoggiano ai loro enormi fondi per falsare il mercato a danno soprattutto delle imprese pulite, ma anche per attrarre fondi pubblici sottraendoli a chi li meriterebbe. Una criminalità sempre più ‘acculturata’, capace di attrarre le professionalità del mercato per imporre le sue regole alla società civile. Sono i pericoli che emergono dalla ricerca condotta sulle cosiddette ‘aziende criminali’ nel centro-nord Italia da Antonio Parbonetti, docente di economia aziendale presso l’università di Padova, assieme a Michele Fabrizi, assegnista di ricerca, e a Patrizia Malaspina, dottoranda del dipartimento di Scienze economiche e aziendali ‘Marco Fanno’.

Si tratta di uno studio che parte dall’esame di tutte le sentenze emesse nel centro-nord Italia dal 2005 al 2014 per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, per un totale di 120. Da queste in seguito sono stati recuperati tutti i nomi dei condannati e successivamente si è risaliti alle aziende e ai loro bilanci, tramite le banche dati delle camere di commercio. Un lavoro lungo, che ha comportato l’esame di migliaia di pagine di documenti.

In seguito i ricercatori padovani hanno esaminato i bilanci delle aziende identificate in questo modo per un totale di 1.139: al primo posto per concentrazione di imprese criminali al nord è risultata la Lombardia con 425 (il 37,38% del campione esaminato), seguita dal Triveneto con 187 (16,45%) a dalla Liguria con 74 (6,51%). Impressionanti alcuni dati, a partire dal fatto che circa un quarto delle 1.567 persone condannate per mafia in primo grado di giudizio o successivo sarebbero azionisti o amministratori di società di capitali (Spa o Srl). Un numero alto, che denota quasi un mutamento genetico di una criminalità sempre più padrona degli strumenti economici e finanziari. “Allo stesso tempo ci ha stupito che queste aziende abbiano un ricavo medio di oltre 13 milioni, molto al di sopra della media – spiega al Bo Antonio Parbonetti –. Non si tratta quindi solo di piccole realtà nel campo dell’edilizia ma di aziende abbastanza grandi, che si occupano anche di industria e di servizi e sono praticamente diffuse in tutti i settori”.

Una criminalità che dimostra anche una forte capacità di internazionalizzazione (la ‘ndrangheta e la camorra ad esempio hanno creato veri e propri network internazionali) con un’espansione che privilegia aree economicamente sviluppate e caratterizzate da buone condizioni istituzionali. Diverse le tipologie di imprese esaminate, che rispondono a differenti esigenze dell’organizzazione criminale. Le aziende di supporto ad esempio hanno spesso ricavi pari a zero e molti costi per servizi, mentre le cosiddette ‘cartiere’ (in gergo quelle che si occupano di riciclaggio) sono quelle più facilmente individuabili tramite un’indagine statistica, dato che sono caratterizzate da un andamento sincrono di costi e ricavi, dalla dimensione medio-piccola e da ricavi molto volatili. Ci sono poi le ‘aziende star’, le più grandi, che mostrano buone performance ma sono anche le più indebitate: si tratta di aziende ben visibili che servirebbero per infiltrare la longa manus criminale all’interno del sistema socio-politico.

La ricerca getta una luce su un fenomeno tristemente rilevante per la nostra società, ma finora poco studiato: “Adesso per la prima volta abbiamo un’analisi micro molto dettagliata, condotta sulle aziende in quanto tali e sui loro bilanci. Numeri veri insomma e non stime”. Ma non si tratterà solo della classica punta dell’iceberg? “Certamente la realtà dei rapporti tra criminalità ed economia è molto complessa, esiste una serie di piccole aziende, società di persone, terreni e patrimoni che per il momento non abbiamo potuto esaminare – riprende Parbonetti –. In questo studio abbiamo deciso di concentrare l’attenzione sulle società di capitali, che sono comunque quelle economicamente più significative”.

Cosa fare concretamente per contrastare il fenomeno? “Innanzitutto stiamo cercando di capire se è possibile identificare dai bilanci le connessioni con la criminalità almeno in via probabilistica. Ciò che in sostanza differenzia le aziende criminali si può sintetizzare in pochi evidenti parametri: ricavi quasi sempre pari a zero, il peso dei crediti verso i soci e l’andamento sincrono di ricavi e costi operativi”. C’è un rischio reale di infiltrazione della malavita, in particolare nel Nordest? “Nella misura in cui il sistema non sia preparato a capire la portata della sfida che ha davanti. Il centro-nord per molti versi è culturalmente estraneo al fenomeno delle mafie, che non è nato qui, quindi la società ha difficoltà a riconoscerlo nelle sue dimensioni e nella sua effettiva pericolosità. I pericoli di infiltrazione arrivano soprattutto da qui”.

‘Ndrangheta, preso Laudonio, che con la mafia insozzava (anche) l’arte

Gianluca Laudonio

Gianluca Landonio, 60 anni, latitante da luglio, è stato arrestato a Barcellona ieri sera intorno poco prima delle dieci di era. L’uomo era evaso dai domiciliari e dall’affidamento ai servizi sociali e deve scontare una condanna ad 11 anni in seguito all’inchiesta “Metallica” eseguita dalla Dda di Milano. Secondo gli inquirenti il suo compito sarebbe stato quello di riciclare il denaro della ‘ndrangheta investendo in opere d’arte.

Landonio è stato individuato dalla Sezione Catturandi dei Carabinieri del capoluogo lombardo insieme alle forze speciali spagnole (la Udev, Unidad de Delincuencia especializada y violenta di Madrid e la Udico – Unidad de droga y crimine organizado di Barcellona).

Il 60enne è figlio di Sergio (80 anni), altro personaggio considerato il rappresentante della ‘ndrangheta nel milanese. Da sempre gli interessi della famiglia sarebbero stati quelli del riciclaggio dei proventi dell’attività criminale in opere di alto valore artistico: artisti come Guttuso, Modigliani, Arman, Schifano, sono solo alcuni di quelli “trattati” (anche se non tutti originali e alcuni risalenti alle “scuole” di questi artisti) dal clan ramificato a Milano.

Durante l’operazione “Metallica”, scattate nel 2008 ed in cui furono coinvolti sia il padre che lo stesso Landonio, gli furoo eseguite decine di arresti con accuse che spaziavano dall’impiego di denaro di provenienza illecita, al concorso esterno fino all‘associazione di stampo mafioso. Ben cinquantuno, poi, i quadri che furono recuperati e del valore di oltre sessanta milioni di euro.

Il clan di riferimento dell’orma ex latitante era quello di Giuseppe Onorato, detto “don Pepè”, storico rappresentante della ‘ndrangheta del nord, con interessi nel riciclaggio, nell’estorsione e nel recupero crediti. A sua volta il clan è fatto risalire al mandamento del quartiere Gallina di Reggio Calabria.

(fonte)

Il tramonto (giudiziario) dei berluscones

Se avesse la solennità della tragedia, dovrebbe suonare il Crepuscolo degli Dei. Siccome assomiglia più al grottesco, potrebbe diffondersi la musichetta finale di qualche spettacolo del Bagaglino. La foto di famiglia di Silvio Berlusconi perde uno dopo l’altro i soggetti principali, da Nord a Sud, da Roberto Formigoni – condannato a 6 anni per corruzione – a Giuseppe Scopelliti – 5 anni per abuso d’ufficio e falso. In un giorno solo finisce in pezzi l’ultimo residuo della classe dirigente che ha guidato l’Italia per anni, almeno 15. Dal comandante fino ai colonnelli, il centrodestra non vivrà di soli ricordi, ma anche di sentenze e di processi, spesso finiti male. Non solo il leader del partito e capo del governo, non solo ministri, non solo sottosegretari e viceministri, non solo “mele marce” tra i parlamentari. Ma anche presidenti di Regione, ex sindaci, coordinatori regionali del partito. In Lombardia Formigoni, in Campania Cosentino, in Liguria Scajola, in Calabria Scopelliti, in Sicilia Dell’Utri. Non solo amministratori, ma anche dirigenti di partito, che avevano il potere di formare altri politici, di fare nomine, di “produrre” altra classe dirigente.

Oggi è stata la giornata della condanna in primo grado dell’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, in appello dell’ex governatore in Calabria Giuseppe Scopelliti e anche della requisitoria del pm nel processo più complicato per Denis Verdini, in cui il magistrato in aula ha detto che l’ex braccio destro di Berlusconi, coordinatore di Forza Italia, è “un truffatore” che con la sua attività al Credito cooperativo fiorentino, che ha guidato per vent’anni, ha “rovinato” quella banca. Verdini, imputato in 5 processi, è già stato condannato per corruzione in primo grado per un’altra vicenda (quella della Scuola dei Marescialli di Firenze), pena poi prescritta in appello. Per il poco che vale sempre oggi un ex parlamentare del Pdl, Alfonso Papa, napoletano, è stato condannato a 4 anni e mezzo, in primo grado, per i reati di concussione e istigazione alla corruzione.

I veterani
Dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sanno tutti tutto: la frode fiscale, la condanna definitiva, la pena dei servizi sociali, l’espulsione dalla politica attiva attraverso la decadenza da senatore e l’incandidabilità fino al 2019. L’ex senatore Marcello Dell’Utri, ideatore di Forza Italia e principale consigliere del leader, è in carcere da tempo per la condanna definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e è indagato e imputato in altri svariati processi, con accuse che vanno dal peculato all’esportazione illecita di opere d’arte fino alla frode fiscale e alla bancarotta. E’ stato condannato definitivamente, nel 2007, anche l’ex ministro della Difesa Cesare Previti: un anno e 6 mesi per corruzione perché secondo i giudici partecipò alla corruzione di un giudice (Vittorio Metta) perché la Corte d’appello di Roma desse la maggioranza della Mondadori a Berlusconi anziché alla Cir di De Benedetti. Previti ha poi scontato la pena sotto forma di affidamento ai servizi sociali.

Il ministro per 17 giorni
Berlusconi fece ministro per 17 giorni e sottosegretario per un totale di 7 anni anche Aldo Brancher, condannato in via definitiva a due anni di reclusione per ricettazione e appropriazione indebita nel caso Antonveneta, pena non scontata grazie all’indulto. Nel caso di Brancher si arrivò all’impudicizia: solo 5 giorni dopo essere stato nominato ministro “alla sussidiarietà e il decentramento”, chiese la sospensione del suo processo per “organizzare il nuovo ministero”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intervenne spiegando che Brancher era ministro senza portafoglio e non c’era nessun ministero da organizzare. Alla fine, prima di una mozione di sfiducia e le proteste generali, Brancher si dimise.

Ex governatori e ex capi regionali di partito
Anche l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino è in cella da anni: di recente è stato condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione camorristica e in precedenza aveva preso altri 4 anni per corruzione (entrambe le sentenze sono arrivate in primo grado). Giancarlo Galan, ex presidente del Veneto ed ex ministro, ha patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi per corruzione nell’inchiesta sul Mose restituendo tra l’altro 2,6 milioni di euro (a petto, secondo i pm, di oltre 15 milioni). Claudio Scajola, più volte ministro, è sotto processo per il presunto favoreggiamento di un latitante, l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato a 3 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Ugo Cappellacci, ex presidente della Regione Sardegna, è stato condannato in primo grado a due anni e mezzo per bancarotta “per dissipazione e documentale”.

(fonte)

«Caro ministro Poletti, all’estero non l’avrebbero mai assunta»

di Andrea Casadio

“Se centomila giovani se ne sono andati dall’Italia, non è che qui sono rimasti 60 milioni di ‘pistola’. Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Quando ho letto queste parole pronunciate dall’improvvido ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ho provato una rabbia e una delusione profonda. Per tre motivi: perché sono un ex-cervello in fuga (ho lavorato per anni alla Columbia University di New York come neuroscienziato, scappando dall’Università italiana), perché ora sono un giornalista e in quanto tale mi occupo di dati e delle storie delle persone, e perché sono uno di sinistra, un progressista.

Poletti, compagno Poletti, ma come si fa a dire una boiata del genere? E non me ne frega nulla delle sue precisazioni tardive. Provi solo un secondo ad immaginare di avere di fronte un ragazzo che è dovuto scappare a Londra a fare il cameriere o il pizzaiolo per trovare un lavoro decente, o uno come me che è fuggito a fare ricerca alla Columbia University di New York perché di lavorare come ricercatore a 1000 euro al mese fino ai cinquant’anni non ne avevo nessuna voglia. Preferisce non averci tra i piedi? Forse ha ragione, perché se l’avessi davanti, io le vorrei porre alcune domande, il pizzaiolo forse le darebbe una randellata in testa con la pala per le margherite.

Caro ministro, ma lei conosce l’Italia, studia, si applica? Credo di no. Guardi questa tabella.

In Italia si laurea solo il 20 per cento della popolazione, meno della metà dei Paesi civili. Oltretutto, chi ha una laurea in Italia è costretto spesso a fare un lavoro che non c’entra niente coi suoi studi. Conosco una marea di giovani che sono laureati in Lettere e lavorano in un call center a 300 euro al mese, o in Legge che fanno i camerieri. Tra i miei amici statunitensi, tutti hanno un lavoro adeguato al loro corso di studi: chi ha la laurea in Ingegneria fa l’ingegnere, chi ha la laurea in Cinema lavora nel cinema, ecc.

Ministro, guardi i dati e mi spieghi, per favore. Da noi si laurea la metà o un terzo dei giovani che si laureano in Gran Bretagna o negli Usa. Lo capisce che se già il misero 20 per cento dei laureati non trova lavoro intellettuale vuol dire che in Italia i posti di lavoro per un lavoro intellettuale non ci sono? Quindi, il problema non è che ci sono troppi laureati (no, sono troppo pochi), è che il mercato del lavoro intellettuale non offre sbocchi, e per questo un giovane laureato è costretto a fuggire all’estero. In altre parole, siamo diventati un paese dove c’è bisogno solo di meccanici, contadini e pastori. Ma per fare quello ci sono già i marocchini, i nigeriani e i rumeni che paghiamo 3 o 4 euro l’ora, magari con i voucher o addirittura in nero. Cioè siamo diventati un paese retrogrado, di azienda manifatturiera, agricoltura e pastorizia, come il Bangladesh o la Colombia. Niente di male, ovviamente, ma basta saperlo.

Lo sa, caro ministro, che negli Usa il 50 per cento dei ragazzi si laurea e la disoccupazione giovanile è al 4 per cento, mentre da noi si laurea il 20 per cento, ma la disoccupazione giovanile è al 36 per cento?

E con il lavoro manuale non siamo messi meglio. Forse, caro ministro, doveva venire con me a Monfalcone, davanti ai cancelli della Fincantieri. Doveva incontrare l’operaio Giampaolo, 29 anni di lavoro sulle spalle, che in lacrime, mentre fiumane di lavoratori uscivano dalla fabbrica, mi ha confessato: “Questa sinistra non mi rappresenta più. Cos’è la sinistra oggi? Guarda: questi operai, oggi ci sono, domani non ci sono più. Chi ci pensa a noi?”. E mi ha spiegato che solo 850 – dei 10.000 operai di Monfalcone – sono assunti a tempo indeterminato direttamente da Fincantieri, mentre tutti gli altri lavorano in ditte terziste che ti assumono con i voucher o con contratti di un giorno, una settimana o un mese (la famosa flessibilità) per paghe da fame di 800-1000 euro al mese. Solo i tanti bengalesi, rumeni o croati possono accettare questi salari da fame, perché vivono in dieci in un appartamento o scappano appena possono a casa loro, oltre-confine. Per questo, molti ragazzi italiani fuggono da Monfalcone e vanno all’estero. E nel resto d’Italia è lo stesso.

In Italia, caro ministro, la scuola è fallita e il sistema lavoro fa ancora più schifo, lo sa? No, forse non lo sa. Perché ho come l’impressione che lei il mercato del lavoro non lo ha mai dovuto affrontare davvero. Guardi, questo è il suo scarno curriculum.

Niente laurea, lei è un perito agrario, ma mica è un problema, siamo abituati ai ministri non laureati. Ehi, non fraintenda: è perfino superfluo dire che io apprezzo e ammiro chiunque, laureato e non laureato. Don’t judge a book from its cover, direbbero all’estero. Capisce cosa vuol dire? Lo sa l’inglese? Credo di no. Mi pare di capire dal suo curriculum che il suo cursus honorum si è svolto tutto tra le protettive e accoglienti braccia del partitone emiliano, quello di sinistra, quello che pensava ai giovani e ai lavoratori. Forse lei non ha mai dovuto emigrare per trovare lavoro, non ha mai dovuto imparare in fretta una lingua straniera perché se non capiva le ordinazioni la licenziavano, non ha mai dovuto sottoporsi all’esame di una decina di spietati professori anglosassoni che valutavano i tuoi lavori scientifici con il crivello e poi ti dicevano di preparare una lezione in inglese in due ore.

Ecco, a uno come me, a uno come il mio amico Ottavio – che ora è professore alla Columbia University -, o al mio amico Giancarlo – che era lavapiatti e ora ha una catena di ristoranti e fa le tagliatelle più buone di New York, lei ha detto che: “E’ bene che stiano dove sono andati, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Che rispetto per i lavoratori, proprio da illuminato uomo di sinistra.

Sa cosa penso? Che uno come lei, per dire, alla Columbia University di New York (Usa) dove ho lavorato io, non l’avrebbero mai preso, e neanche al Ristorante Ribalta di New York, guarda caso. Caro compagno Poletti, ma non è che le brucia perché col suo curriculum le è già andata grassa che l’hanno preso alla Legacoop di Budrio (Italy) e poi è persino diventato ministro?