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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Il senso delle dimissioni di Montanari

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Sarebbe bello che qualcuno trovasse il coraggio di scriverlo che si incrociano nomi altisonanti che sottovoce confessano di non essere nella condizione di poter contraddire il potere. Sarebbe bello ricordarsi che gli intellettuali (o accontentandosi: gli operatori culturali) anticipano la Storia, ne prevedono le nefandezze, ne annusano profeticamente i bisogni e non sono i leccapiedi ludici del potere. Sarebbe bello, insomma, riconoscere che i forbiti allineati sono portavoce. Tutt’altra cosa.

Per questo anche il piccolo gesto di Tomaso Montanari merita di essere sottolineato: lo storico dell’arte ha deciso di dimettersi dal proprio ruolo di membro di commissione del Ministero dei Beni Culturali con una lettera indirizzata direttamente al ministro Franceschini.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

E intanto il No scompare dalla Rai

RIFORMA-COSTITUZIONALE

(l’intervista a Alessandro Pace di Carlo Tecce per Il Fatto Quotidiano)

Alessandro Pace ha un’agenda satura d’impegni: “Mi spiace, il tempo è scarso”. Il professore emerito di Diritto costituzionale presiede il Comitato per il No che intende bloccare la riforma della Carta. A ottobre ci sarà il referendum confermativo, ma la campagna elettorale è adesso. In piazza e sui media.

Professore, la presenza sui canali Rai del comitato la soddisfa?

Mi fa una domanda ingenua, è retorica?

Anche retorica.

Per la Rai siamo inesistenti. Io non mi sorprendo, non mi aspettavo trattamenti degni di un servizio pubblico aperto al dibattito. Ma la realtà supera le mie più fosche previsioni. Ho contato i secondi.

I secondi?

Con i minuti facciamo troppo presto. Ascolti, le fornisco i dettagli. Il Tg3 mi ha intervistato per circa tre minuti, ma in onda sarà andato un pezzetto. Il programma Bianco e Nero su Radio1 mi ha interpellato per un paio di minuti o 120 secondi, scelga lei.

E il resto?

A memoria ricordo Gaetano Azzariti a La7 da Lilli Gruber, e poi sempre a Otto e Mezzo nei prossimi giorni ci saranno altri esponenti. Ma noi parliamo di Rai, le nostre statistiche riguardano la Rai, esatto?

Sì, professore.

Perché abbiamo capito che il tallone di Matteo Renzi è La7, l’unica rete che ospita le idee di chi non è schierato con il governo sul referendum. La7 fa servizio pubblico.

E che fa Viale Mazzini?

Quello che fa da sempre: tutela gli interessi del governo. In questa circostanza – e mi stupisco ancora – con maggiore attenzione. Con Berlusconi c’era addirittura più spazio per le opposizioni. Oggi la situazione è peggiorata.

A chi vi appellate, come reag i te?

Abbiamo scritto e riscritto al professore Angelo Cardani, il presidente dell’Autorità garante per le Comunicazioni.

Co s ’è accaduto?

Niente.

Per voi il confronto pubblico fra le ragioni del sì e del no è impari?

Ammetto che da un punto di vista oggettivo è una battaglia persa.

Perché, professore?

In tv non compariamo e non abbiamo quattrini. Ho chiesto due pareri agli avvocati e sono riuscito a ricavare 30 mila euro dall’associazione “Salviamo la Costituzione”.

Allora è rassegnato?

No, per carità. I ragazzi che incontriamo ai convegni ci trasmettono un’energia preziosa, proseguiamo con vigore, andiamo avanti. Abbiamo 285 comitati locali, l’11 e il 12 giugno lanceremo una manifestazione in cento e più città con la speranza di accelerare la raccolta delle firme. A Milano abbiamo riempito tre sale di Palazzo Marino, a Bergamo c’era gente in piedi, così pure alla Sapienza di Roma.

Ma chi se n’è accorto?

Osservazione corretta: non c’era una telecamera.

E sui giornali va meglio?

C’è chi ospita dei nostri interventi e chi osteggia il comitato per il no. Un cronista di un quotidiano nazionale ci ha definito “forza antisistema”. È una etichetta assurda, tremenda e, soprattutto, di una falsità eclatante. Noi difendiamo la Carta con passione, difendiamo i principi dell’articolo 138. Non possiamo tollerare degli insulti gratuiti.

La Francia lotta e intanto qui giochiamo con le figurine di Almirante.

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Mentre in Francia il Paese scopre la voglia di fare muro ad una riforma del lavoro che scippa diritti ai lavoratori (e che comunque rispetto al nostro jobs act sembra un accordo sindacale) qui nelle ultime ore siamo riusciti a infangare Ingrao, Berlinguer e in ultimo riesumare Almirante.

L’immagine di per sé rende perfettamente l’idea di una politica (la nostra) che è diventata lo spasmodico rincorrere il guizzo che permetta di ottenere un ritaglio di giornale: la visibilità non è più direttamente proporzionale allo spessore delle soluzioni proposte quanto piuttosto riferibile al livello di popolarità dell’ennesima scanzonata provocazione.

Un progetto di legge frutto della paziente concertazione tra parti sociali e studi approfonditi non riuscirà mai ad ottenere un decimo dello spazio che si dedica alla cazzata quotidiana del Salvini di turno o chi per lui. Così, a forza di formare parlamentari specializzati titolisti delle proprie dichiarazioni, il dibattito pubblico si misura sulla lunghezza e profondità dell’indignazione quotidiana. Alla fine votiamo il miglior gestore della propria immagine dando per scontato che porterà benefici anche alla nazione: il presidente del Consiglio ideale quindi sarebbe la sezione della Pro Loco sotto casa nostra.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

In Francia combattono per i diritti dei lavoratori. Pensa te.

A Parigi accade qualcosa che sembra troppo sconveniente raccontare qui da noi: migliaia di persone sono in piazza da giorni per protestare contro una riforma del lavoro che, per l’ennesima volta in Europa, decide di spostare la bilancia dei diritti dalla parte dei padroni. Il turbocapitalismo europeo che soffia di questi tempi passa anche per la Francia ma lì trova un muro semplice, civico, quasi banale: la gente. Perché la battaglia francese non è solo politica e nemmeno ad appannaggio dei sindacati, ma tiene insieme i lavoratori in una rappresentanza più larga di qualsiasi sigla: è la battaglia sociale che si fa argine.

Perché l’Italia non riesce a girare lo sguardo dalla parte dei francesi? Perché a vederli da qui, quelle 3000 sentinelle che ogni sera presidiano Place de la République a Parigi e i lavoratori che bloccano l’accesso alla raffineria della Esso vicino a Marsiglia, sono probabilmente uno schiaffo all’indolenza italiana che supinamente ha già accettato il nuovo corso di un capitalismo che involve i cittadini in manodopera a prezzi (e diritti) stracciati.
Come racconta bene Michele Azzu nel suo articolo la riforma del lavoro voluta dal governo francese (e adottata, guarda un po’, senza passare dal Parlamento) è in molti aspetti addirittura più democratica del nostro chiacchierato Jobs Act…

(il mio articolo per Fanpage continua qui)

Giovanni Falcone sulle gambe degli immigrati di Ballarò

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C’è un Paese con le fasce tricolori che inaugura vie, sale e monumenti. C’è un Paese per cui Giovanni Falcone è una tappa commemorativa obbligatoria tutti gli anni, come al Monopoli ogni volta che si passa dal via e si ritirano le ventimila lire. Parole e impegno che durano il tempo delle riprese dei telegiornali e poi si spandono in un effluvio di comunicati stampa tutti uguali, tutti gli anni, ogni anno.

Poi c’è una di quelle storie che ti viene da pensare che forse, a Falcone e Borsellino, avrebbero acceso un sorriso dello stesso sapore di quella foto di loro due che sorridono e che rimbalza dappertutto. Quando ridono, Falcone e Borsellino, hanno il sorriso luminosissimo di chi prende terribilmente sul serio il proprio mestiere: quel sorriso lì che fa il giro di tutta la faccia.

E l’alba di Ballarò, quartiere storico e maledetto di una Palermo impigliata tra i denti della mafia, ieri è stata un’alba da incorniciare, da farne un libro di storia: una decina di arresti tra gli esattori del pizzo nel quartiere. Soldatini prepotenti e scontati di una mafia che succhia la fragilità degli altri per farne sostentamento economico. In più le vittime questa volta non sono nemmeno italiane: commercianti arrivati dal Bangladesh che subiscono la violenza mafiosa con una punta di razzismo. Figurati se si ribellano ‘sti negri, avranno pensato questi quattro picciotti sgarrupati che vivono come zecche sulle schiene del lavoro degli altri.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

La differenza tra partigiani e fiancheggiatori

Poi a fine giornata lei, la ministra dei paninari arrivati al governo, ha cercato di minimizzare dicendo di essere stata fraintesa. Al solito: è difficile cercare l’ecologia delle parole in chi ha fatto del bullismo lessicale una matrice. Così la Boschi dice che ci sono partigiani veri e partigiani falsi. Partigiani millantatori. Come riconoscerli? I veri sono quelli che concordano con il suo capo Renzi. Gli altri? Partigiani da discount. Partigiani gufi.

Ma quella della Boschi non è una scivolata, tutt’altro: non può essere sdrucciolevole un concetto come quello dell’appartenenza. E sull’appartenenza questi, costituzionalisti allo sbaraglio, hanno costruito tutta la tessitura politica che ci ha ricamato questa classe dirigente di ex compagni del liceo che si ritrovano per il consiglio dei ministri piuttosto che la cena di fine anno. E per questo il concetto di partigiano (cioè di qualcuno che sa esattamente da che parte stare piuttosto che “con chi” stare) alla Boschi proprio non sembra riuscire ad entrarle in testa: l’appartenenza a un ideale è un valore troppo rarefatto per chi tra padri, testimoni di nozze, ex collaborazionisti e fratelli di dialetto ha costruito una banda chiamandola “partito”.


(il mio buongiorno per Left di ieri continua qui)

Non li voglio vedere (di Salvo Vitale)

Salvo Vitale

Salvo Vitale è lo storico compagno di Peppino Impastato. Quello vero, mica quello del film. E ha scritto un pensiero prima delle straboccanti commemorazioni di domani. Vale la pena leggerlo:

«Stanno preparando il vestito buono per la festa.
Passeranno la notte a lustrarsi le piume.
E domani, l’uno dopo l’altro, 
con una faccia
che definire di bronzo è un eufemismo,
correranno da una parte all’altra della penisola
cercando i riflettori della tivvù,
il microfono dei giornalisti,
per inondarci della loro vomitevole retorica
su twitter, facebook, e in ogni angolo della rete;
loro, tutti loro, gli assassini di Giovanni Falcone,
della moglie, e dei tre agenti della sua scorta,
saranno proprio quelli
che ne celebreranno la memoria.
Firmandola. Sottoscrivendola.
Faranno a gara per raccontarci
come combattere ciò che loro proteggono.
Spiegheranno come custodire
l’immensa eredità di un magistrato coraggioso;
loro, proprio loro
che ne hanno trafugato il testamento,
alterato la firma,
prodotto un perdurante falso ideologico
che ha consentito ai loro partiti
di rinverdire i fasti di un eterno potere.

Li vedremo tutti in fila, schierati come i santi.
Ci sarà anche chi oserà versare qualche calda lacrima,
a suggello e firma dell’ipocrisia di stato,
di quel trasformismo vigliacco e indomabile
che ha costruito nei decenni
la mala pianta del cinismo e dell’indifferenza,
l’humus naturale dal quale tutte le mafie attive
traggono i profitti delle loro azioni criminali.

Domani, non leggerò i giornali,
non ascolterò le notizie,
non seguirò i telegiornali,
e men che meno salterò come una pispola allegra
da un mi piace all’altro su facebook
a commento di striscette melense e ipocrite
che inonderanno la rete
con una disgustosa ondata
di piatta e ipocrita demagogia.

Domani, uccideranno ancora Giovanni Falcone,
sua moglie e la sua scorta.
E io non voglio farne parte.
Per questo ne parlo oggi, con un giorno di anticipo.

Seguitano a ucciderlo, ogni giorno,
nella società civile e in parlamento.
Per questo vogliono museizzarlo,
trasformandolo in una specie di santino
da usare ad ogni buona occasione.
Perché sono proprio loro gli eterni assassini,
questa è la verità,
altrimenti non ci ritroveremmo, venti anni dopo,
nella stessa identica situazione di allora.

Domani, vestiti a festa,
faranno a gara a chi lo commemora e piange di più.
Tutti i funzionari pubblici della repubblica,
anche quelli del più piccolo e povero comune,
tutti quelli che hanno preso tangenti
privilegiando l’interesse personale
a quello del bene pubblico,
sono quelli che seguitano ogni giorno ad assassinare
Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta.
Quelli che hanno reso vana e vacua la loro morte.

Gli imprenditori che partecipano alle gare
sostenendo che bisogna pagare le tangenti
se si vuole sopravvivere sul mercato.
I direttori editoriali responsabili delle case editrici,
delle società di produzione cinematografica,
televisiva e radiofonica,
che riconoscono e accolgono come autori
solo persone presentate, suggerite, spinte ,
imposte dalle segreterie dei singoli partiti politici
che poi provvederanno a fornire i loro buoni uffici
facendo piovere su di loro sovvenzioni statali
pagate con le nostre tasse.
Loro, nessuno escluso, sono gli assassini di Falcone,
di sua moglie e dei tre agenti della scorta.

Io non li voglio vedere.
Non voglio vedere le loro facce ipocrite.
Sono assassini tutti quelli, nessuno escluso,
che dicono “lo fanno tutti, che cosa ci vuoi fare?”.
Così come lo sono tutti coloro che si trincerano
dietro il “ma io ho una famiglia”
e fingono di non sapere che in italiano esiste la frase
“no, io queste cose non le faccio”.

Gli assassini sono tutti i cittadini italiani
che nel silenzio garantito dalla privacy,
cautelati dal fatto di non avere testimoni,
nel segreto della cabina elettorale,
mettono una crocetta su un certo simbolo,
su un certo nome,
perché sanno che quella lista e quella persona,
domani, a elezioni avvenute (e vincenti)
mi risolveranno il mio problemino,
o daranno il posto a mio figlio,
o sistemeranno mia sorella.

Sono decine di milioni
Perché la mafia non è una persona,
non è una cosa astratta.
La mafia è un’idea dell’esistenza.
La mafia è una interpretazione della vita,
e chi vi aderisce è un mafioso.
Anche se non lo sa.
Anche se non se lo vuole dire.
Sempre mafioso è.

L’intera classe politica di questo paese,
intellettuale, mediatica, imprenditoriale,
ha partecipato al processo di delegittimazione
di Giovanni Falcone,
isolandolo, diffamandolo,
voltandosi dall’altra parte
quando sapevano che stavano arrivando i killer.
Così come fecero poi con Paolo Borsellino
e con tutti coloro che ebbero l’ardire
di armarsi di coraggio
e combattere contro la mafia attiva.
Le stesse persone che allora scelsero di non guardare,
oggi sono in prima fila
a commemorarne la scomparsa.
Sono tutti loro i veri assassini.
Io non li voglio né vedere né ascoltare.

Perché i dirigenti mafiosi sono affaristi,
e non corrono il rischio di mettersi nei guai
uccidendo gli affari, se non sanno di avere
un territorio amico che li sorregge.
La mafia, di per sé, non esiste, esistono i mafiosi.
La mafia è la somma dei singoli comportamenti
che ne determinano l’esistenza.
E noi siamo un paese con troppi mafiosi.
Purtroppo, non è uno stereotipo, è la tragica realtà
con la quale noi tutti dobbiamo a fare i conti.
Perché questi sono i veri conti,
non lo spread, che è una invenzione astratta.

Potete aderire a qualunque ideologia,
essere, anarchici o democratici,
conservatori o progressisti,
amanti di Keynes, di Marx
o della teoria della Moneta Moderna.
Non cambia nulla,
finchè non cambieremo il nostro comportamento
individuale, quotidiano, esistenziale,
e non prenderemo atto di ciò che siamo,
per poterci evolvere e liberarci da questo cancro

Ogniqualvolta un cittadino italiano
rinuncia ad esercitare il libero arbitrio,
e rinuncia all’ambizione e al tentativo,
anche se estremo e disperato ,
di farsi valere per i propri meriti,
per le proprie competenze tecniche,
privilegiando la facile e sicura strada
della mediazione politica e della malleveria,
per prendere la scorciatoia del sistema del malaffare,
il registratore di cassa della mafia segna un incasso.
Perché sa che, domani,
quel cittadino sarà un mafioso sicuro.
Anche se non lo sa.
E’ una porta alla quale andranno a bussare,
sicuri che verrà subito aperta.
Loro, lo sanno benissimo, che è così.
Lo sappiamo tutti.

Io non li voglio vedere i loro telefilm celebrativi
interpretati da attori raccomandati,
prodotti da aziende mafiose,
e distribuiti alla nostra visione
da funzionari mafiosi in doppiopetto.
Proprio no.
Perché sono tutti assassini di Giovanni Falcone,
di sua moglie e dei tre agenti della scorta.

Domani, dedicherò la giornata
al tentativo di ripulirmi spiritualmente,
cercando di fare ordine interiore,
per eliminare ogni residuo di retro-pensiero mafioso,
che alligna dentro di me,
come dentro la mente di ogni singolo italiano,
anche quando non lo sa.
Perché il paese è così.
Altrimenti, non staremmo,
dopo venti lunghi anni,
e una caterva di governi inutili,
nella stessa identica situazione di allora.»

Per Renzi sarà durissima

Se l’apertura della campagna referendaria di Matteo Renzi ieri a Bergamo doveva essere la prova generale della strategia dei prossimi mesi non è andata benissimo, no. Le solite parole guida (inciucisti, gufi, cambiamento, sorriso) cominciano a cozzare contro una realtà che non si può continuare a pensare di potere nascondere e la spinta comunicativa del premier è apparsa a tratti addirittura caricaturale. E allora proviamo, con calma, a fissare alcuni punti.

Il portamento. Da non credere: ad un certo punto il premier (Presidente del Consiglio e segretario del partito più grande del Paese) ha scimmiottato l’opinione pubblica, i giudici costituzionali, i Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale, i giornalisti, i magistrati e tutti coloro che hanno osato mettere in discussione la bontà della riforma. Li ha imitati con la vocina stridula con cui ci si percula tra amici durante una partita di calcetto: se davvero Renzi considera la Costituzione (e le eventuali riforme) una cosa seria, beh, non è proprio riuscito a comunicarlo. Proprio no.

Gli inciuci. «Se le riforme non passano sarà il paradiso terrestre degli inciuci» ha dichiarato Matteo Renzi agitando per l’ennesima volta lo spettro del “non c’è alternativa”. Sfugge sinceramente come ci si possa liberare “dagli inciuci” (cit.) pensando ad un Senato che sarà figlio di un accordo tutto politico tra consiglieri regionali. La storia ci insegna che per evitare gli inciuci sia importante rafforzare le dinamiche di controllo; qual è l’azione di controllo che sostiene una democrazia? Le elezioni, appunto. Ed eleggere persone che poi si eleggeranno tra loro è un inciucio in piena regola.

Il sorriso. «Faremo una campagna con il sorriso. Cercheranno provocazioni, scontri, critiche» ha detto Renzi. E questo potrebbe anche poter essere vero poiché proprio sotto le mentite spoglie di un sorriso questo Governo è riuscito ad offendere intere categorie di persone senza rendersi conto che è un’aggravante. “Sorriso e buonumore” sono gli ingredienti di un premier che punta a “disneyficare” la campagna referendaria riducendola ad uno scontro tra pessimisti e entusiasti. Una banalizzazione che è un’offesa all’intelligenza e al buon senso, prima ancora che alla Costituzione.

(il mio pezzo per Fanpage continua qui)

Quando scappa una foto

Cultura politica in movimento: da Ravenna parte la biblioteca itinerante di Possibile intitolata ad Aylan Kurdi, per portare nei parchi, nelle piazze, tra le strade libri per l’infanzia e interculturali.
In nome e nel ricordo dei bambini che scappano dalla guerra e dalla miseria e troppo spesso non siamo in grado di accogliere. via Instagram http://ift.tt/27MPizS

Dai, davvero, basta.

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Guardatela bene la foto qui sopra. Lei è la candidata PD al comune di Napoli Valeria Valente, l’ennesimo prodotto renziano sotto vuoto spinto: per candidarla hanno dovuto compensare Gennaro Migliore con un posto da sottosegretario, per dire. Ha vinto delle primarie in cui qualcuno aveva in tasca le monete da un euro per far votare truppe cammellate. «Cortesia» ha detto lui per difendersi. E al posto di censurarlo l’hanno candidato consigliere comunale, quelli del PD.

A destra c’è Denis Verdini, uno dei più bavosi turboberlusconiani che ha deciso di lasciare Berlusconi quanto tutti i topi hanno cominciato a scappare. E lui con i topi, ovviamente. Verdini è quello che ci descrivevano (Renzi in primis) come uno che «non entrerà in maggioranza» e intanto oggi ha preparato il sentiero di bava per la candidata renziana. Il problema non è nemmeno Verdini; il problema è la gigantesca presa per il culo che ci viene proposta come genialità propedeutica da parte di questo governo di bugiardi certificati, minimizzatori con premeditazione: una banda di malfattori che malfanno. Questa foto di loro due che sorridono ha lo sfondo del digrignar di denti di chi crede di poter continuare impunemente a promettere promesse che sono sistematicamente smentite.

E noi qui. Ogni volta. A prenderne atto. E a dire che è troppo. Che davvero. E invece basta. Davvero. Basta.