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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Guarda un po’ dove stava Carmelo Bruzzese

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Carmelo Bruzzese

Era latitante dall’operazione Crimine, lontano 2010, quando anche la Lombardia ha scoperto di essere terra di mafia (ma non se ne sono accorti tutti nemmeno ora).

Partecipò ad alcune delle più importanti riunioni che portarono alla nomina del capo Domenico Oppedisano, agendo in stretto raccordo con il sidernese Giuseppe Commisso (ù Mastro) e con Rocco Aquino, quest’ultimo capo ‘locale’ di Marina di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria), anche lui fuggito alla cattura e poi arrestato dai carabinieri il 10 febbraio 2012, così come i suoi due fratelli, latitanti, Giuseppe e Domenico Aquino, arrestati sempre a Marina di Gioiosa il 31 luglio e il 14 settembre dello stesso anno.

Era un importante uomo di raccordo tra la Calabria e il Piemonte e la Lombardia (appunto). E latitava in Canada. Antonio Nicaso prova a dircelo da anni, del resto.

A proposito di acqua e bene comune

Un referendum sull’acqua che è finito tra le maglie delle compartecipate e le loro poltrone che fanno a gola a tutti. Un Governo che si incaglia su B. mentre succedono cose così:

L’assalto al Parco del Pollino da parte delle multinazionali delle acque minerali va ad aggiungersi allo sfruttamento del territorio da parte di quelle dell’energia. Proprio sul Mercure insiste una centrale Enel a biomassa che nel luglio scorso aveva visto svilupparsi un pericoloso principio di incendio; al di là dell’episodio in sé, l’interrogazione presentata alla Camera dai deputati Ferdinando Aiello e Antonio Placido, ha posto dubbi gravi riguardo lo smaltimento e la presenza di amianto all’interno dell’impianto. La centrale rimane però in funzione nonostante il Tar debba pronunciarsi in merito.

Negli anni Ottanta, la popolazione della valle del Mercure accolse con grandi proteste lo sfruttamento delle acque del San Giovanni, le cui sorgenti, successivamente, in parte sfruttate dall’acquedotto pubblico, vennero assoggettate al regime di acque minerali per l’imbottigliamento e la vendita con decreto del ministero della Salute del 29 gennaio 2007. Ancora, nel 2006, Coca-Cola HBC Italia, insieme a Coca-Cola Italia, acquistò l’azienda Fonti del Vulture, situata a Rionero in Vulture (Pz): è dunque una vera e propria vendita a rate quella che interessa il Parco del Pollino.

Perché la sinistra oltre a non riuscire ad essere di sinistra non riesca nemmeno ad avere una coscienza ambientale?

Buongiorno

L’ex sindaco di San Procopio, Rocco Palermo, di 52 anni, due imprenditori ed un commerciante figurano tra le sette persone arrestate dalla squadra mobile di Reggio Calabria e dello Sco di Roma nell’ambito di un’operazione contro la cosca Alvaro. Palermo era già stato arrestato nel giugno del 2010, ed è ritenuto dagli investigatori un uomo di fiducia del boss Cosimo Alvaro. In seguito all’arresto di Palermo, il Comune di San Procopio fu poi sciolto per infiltrazioni mafiose, nel dicembre 2010, dal Consiglio dei Ministri.
I due imprenditori arrestati, secondo quanto si è appreso, sono accusati di essere inseriti a pieno titolo nella cosca degli Alvaro. In particolare sarebbe stato proprio grazie alla loro attività che la ‘ndrina riusciva ad ottenere gli appalti.

Oltre all’ex sindaco Rocco Palermo, in manette sono finiti i vertici della cosca Alvaro. In particolare la squadra mobile di Reggio ha arrestato Cosimo AlvaroDomenico AlvaroGiasone ItalianoDomenico Laurendi e Antonio Alvaro. Quest’ultimo è accusato anche di intestazione fittizia. Al centro delle indagini, coordinate dai pm Di Palma e Sottosanti, infatti, c’è il ristorante il “Tocco di Bacco” a Villa San Giovanni.  Giasone Italiano, figlio di quello che gli inquirenti descrivono come il defunto mammasantissima di Delianuova, è accusato solo di concorso esterno in associazione mafiosa.

L’inchiesta, denominata “Xenopolis”, ha svelato il monopolio della cosca nella gestione degli appalti pubblici attraverso amministratori locali e imprenditori compiacenti. L’ex sindaco Rocco Palermo era stato già arrestato nel luglio 2010 nell’ambito dell’operazione “Meta”. Anche in quell’occasione, la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria aveva contestato al politico di essere espressione della cosca Alvaro.

Il multilevel marketing della mafia

Eh niente, Francesco in questi giorni è più lucido di me:

Bene.
Veniamo ad oggi, per spiegare terra terra due cose e per dare, a chi non conoscesse queste situazioni, una misura il più possibile aderente alla realtà di quello che succede.

Innanzitutto si è portati a pensare che in questo mondo, quello di mafia, antimafia, scorte e minacciati, ci sia una bella distinzione netta, tipo bianco e nero, o (meglio) buoni e cattivi.

In Italia niente è netto, tutto è sfumato, soprattutto questo.

Le Mafie, come scrissi proprio con Giulio in uno spettacolo di tanti anni fa, è un “multilevel marketing”. Ma dove generalmente questa forma di lavoro è una fregatura per chi viene tirato dentro a “vendere”, in questo caso la fregatura è per noi che ne siamo fuori. Orgogliosamente fuori, aggiungo.

Il post (da leggere) è qui.

Che sorpresa, i neofascisti temono le intelligenze. Anche in Grecia.

Savvas Michael-Matsas è un intellettuale e dirigente del Partito Comunista greco. Lo so, sembra impossibile che da quelle parti gli intellettuali facciano politica attiva, ma tant’è. Savvas Michael-Matsas è finito sotto processo per una denuncia del partito di estrema destra Alba Dorata.
“Sono ebreo e comunista, peccato che non sia omosessuale (ovviamente non mi creerebbe alcun problema) perché così verrei considerato dai fascisti la vittima ideale”, ha dichiarato poco dopo essere stato citato in giudizio da Alba Dorata.
Cosa è successo? Gli epigoni della dittatura dei colonnelli hanno denunciato Savvas Michaìl, in quanto colpevole – a loro avviso – di aver organizzato una manifestazione antirazzista in cui si chiedeva la chiusura degli uffici di “Chrysì Avghì”, Alba Dorata, appunto.
Siamo arrivati al rovesciamento delle parti in una situazione tragicomica che sarebbe stata incredibile fino a qualche anno fa: galleggiamo tra gli improperi razzisti e le minacce di morte mentre si vorrebbe fare passare l’antifascismo come reato e peccato capitale. Quando non si sa rispondere alle intelligenze si usa l’arma dell’intimidazione fisica e ora anche giudiziaria.
Nel l’aula di tribunale sono sfilati scrittori, registi e professori a difendersi soprattutto dall’ignoranza, come una surreale sfilata educazione civica e alla bellezza per salvarsi dall’analfabetismo culturale.
Tutto questo mentre in Italia qualcuno prova a fare notare che i fascisti uccidono ancora.

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Negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli

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Nel 1982 a Palermo arriva un uomo senza mezze misure. Questa storia, il processo a Giulio, è uno via vai tra persone insopportabilmente opposte. E qualcuno rimane sempre per terra. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa arriva a Palermo nel mese di maggio quando sbocciano i fiori. Prefetto contro Cosa Nostra, lo dicono tutti. “Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì” dice lui. Il Generale sa bene che per toccare il cuore di Cosa Nostra c’è da andare ad infilare il dito tra la piega melmosa dove mafia e politica si baciano con la lingua. Sul suo diario scrive del suo colloquio con Giulio del 5 aprile 1982. “Gli ho detto quello che so dei suoi in Sicilia”, annota, “sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori”. Se questa storia fosse solo un film Dalla Chiesa sarebbe il coraggioso che alla fine vince. Eppure, dice il generale, “ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla”. Se questa storia fosse un film il generale dovrebbe vincere, con un bel bacio sul finale. Da vivo. Ma questa storia è un’ombra. Un’ombra come un peccato originale. Un’ombra che lascia gente per terra in un campo dove gli opposti non possono convivere, e vivere nemmeno. Alle 21.15 del 3 settembre 1982 la A112 bianca dove viaggiava il Prefetto Dalla Chiesa e la moglie Emanuele Setti in via Carini viene affiancata da una BMW che sputa un Kalashnikov AK-47. Muoiono i coniugi Dalla Chiesa e l’agente di scorta Domenico Russo che seguiva pochi metri più indietro. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti” urla un cartello affisso il giorno dopo. Vengono condannati come mandanti Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. ll 5 settembre al quotidiano La Sicilia arrivò un’altra telefonata anonima, che annunciò : “L’operazione Carlo Alberto è conclusa”.

(dallo spettacolo teatrale L’INNOCENZA DI GIULIO Andreotti non è stato assolto)

Vorrebbero sparare con il dubbio ma non ne sono capaci

La delegittimazione è l’arma del duemila, buona per ogni evenienza e applicata nelle sue due modalità: urlata o sotto traccia. “Mascariare” diceva Totò Riina, isolare, insinuare, rendere poco comprensibile, mescolare e coltivare il dubbio.

Starci dentro all’inizio è poco salutare: imbruttisce. Io mi sono incattivito e imbruttito moltissime volte in questi miei ultimi anni, ho ascoltato antimafiosi più mafiosi dei mafiosi, ho visto politici dal profilo accattivante impaurirsi per il terrore dell’inopportunità, ho conosciuto (e conosco) “buoni” che invece di nascosto parlano con i cattivi, cronisti d’inchiesta con invidie da sciantose e vezzi da vecchie suocere, ho incrociato abili banalizzatori e analisti fallimentari. C’è di tutto nella delegittimazione, quasi ti rincuora che almeno i cattivi di sicuro sono cattivi.

Le parole del pentito Bonaventura non sono ancora state riscontrate in nessuna Procura. Anzi, le parole del pentito Bonaventura erano già state dette e mai approfondite. E forse (udite, udite) non è nemmeno il solo a sapere. Pensa che sorpresa.

I puntini che Bonaventura mette insieme (che sia vero o no, che me lo dicano chi di dovere senza bisbigliarlo a nostra insaputa alla macchinetta del caffè della Redazione) sono fatti che comunque ho vissuto: pezzi di questo Stato sono in contatto con la criminalità organizzata. O abbiamo il coraggio di partire da qui o lasciatemi stare perché voi state giocando ad un altro gioco: il monopoli degli antimafiosi allo sbaraglio che scoperchiano gli esecutori e mai i mandanti.

Io so.

So che la gravità di questa situazione non è l’allarme di Bonaventura ma il mio diritto calpestato di subirne l’effetto senza che nessuno dia una risposta garantita.

So che pezzi istituzionali (so i nomi, so i cognomi) stanno giocando sulla “non credibilità” del pentito senza avere il coraggio di metterlo per iscritto.

So che gli informatori che servono alle mafie stanno informando come vorrebbero le mafie. E così escono particolari appena accennati su eventuali miei “errori” che non vengono mai raccontati. Per infilare il dubbio con un’informazione che teme i dubbi quasi più dei fatti. So chi sono, so perché lo fanno e so qual è il gioco “grande” che ci sta dietro.

So che piccole persone dall’animo piccolo si rotolano in tutta questa polvere per piccole vendette personali e non hanno nemmeno la faccia di non sorridermi quando mi incrociano.

So chi sono i pezzi della “classe dirigente” istituzionale e militare che stanno tremando per eventuali approfondimenti. So bene chi sono i politici che potrebbero essere collegati a questa storia, li tengo sempre a mente sulla punta delle dita.

So che le mafie sono un problema politico. L’ho imparato fin da piccolo. E che la politica ci è dentro fino al collo nelle responsabilità di considerare scassaminchia qualcuno convergendo (pur con altri stili) con i cattivi che almeno non fingono di non essere cattivi.

Io so che alcuni particolari svelati dal pentito Bonaventura erano di mia conoscenza già da mesi. Lo so io, lo sa chi ha verbalizzato e anche quelli che hanno finto di farlo e poi nascosto tutto. Anzi, adesso lo sanno anche loro.

So quali prefetture, quali altri graduati non avranno risposte convincenti su domande che galleggiano da anni. E che ora sono tema d’indagine.

So che minimizzare superficialmente è ciò che di meglio la mafia si aspetta e puntualmente arriva.

So, non è nemmeno difficile, capire la linea che porta dai De Stefano nella lontana Calabria a Buccinasco, Corsico, EXPO e qualche ex assessore. L’ho recitato e scritto. E’ tutto lì e continuerò a parlarne ancora più forte.

So anche che chi doveva raccogliere il mio invito lo sta facendo (i buoni) e ora vale la pena preparare il racconto di chi sembra zitto e invece parla con chi non dovrebbe.

E so che un pezzo non condizionabile di questo Paese ha il cuore pulito e la voglia di rialzare la testa.

Lavoriamo sodo, lavoriamo fitto.

(Qui la petizione, se avete un minuto, eh)

A Marsala si spara

E quando si ricomincia a sparare non è mai una buona notizia. E la politica reagisce, vero?

È stata un’esecuzione mafiosa. A riferirlo sono gli investigatori della Squadra Mobile di Trapani, che tuttora sono al lavoro per scoprire il movente e soprattutto i mandanti dell’omicidio avvenuto questa mattina in contrada Samperi a Marsala. Si tratta di Baldassare Marino, un imprenditore del settore edile di 67 anni, con precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso. Marino è stato raggiunto al torace e alle gambe da numerosi colpi di fucile esplosi a distanza ravvicinata mentre si trovava a bordo della sua Opel Astra.

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti guidati dal Vice Questore Giovanni Leuci, l’uomo avrebbe cercato invano di scappare, in quanto lo sportello del lato guida della vettura era già aperto. Ad avvertire la polizia, sono stati i dipendenti dell’autofficina Car Diesel,  poco distante dalla zona dell’efferato delitto. Secondo i rilievi del medico legale, l’omicidio si è consumato nella notte.
Molto probabilmente, la vittima aveva un appuntamento nel luogo dove è stato ucciso, una sorta di incontro chiarificatore conclusosi in una vera e propria tragedia.
Le indagini sono coordinate dal pubblico ministero Antonella Trainito.
Ciò che veramente non possono trascurare gli investigatori, è una croce realizzata con tralci di viti, che verosimilmente potrebbe trattarsi di un segnale in codice mafioso.
Baldassare Marino era socio di una ditta di calcestruzzi sita in contrada Strasatti, una zona di periferia molto isolata.

Portarsi la speranza da casa

Questa mattina leggevo il bel post di Leonardo Tondelli:

Sta per ricominciare la scuola, ho fatto un piccolo esame di coscienza. Tra le tante competenze che dovrei trasmettere ai miei studenti c’è la speranza. Io in questi anni l’ho un po’ snobbata, all’inizio pensavo addirittura che non fosse il caso. In fondo sono ragazzini, mi dicevo, le speranze dovrebbero portarsele da casa: speranze immense, impossibili da gestire, al punto che credevo che il ruolo dell’adulto fosse quello di smorzarle un po’. Ricordavo certi miei insegnanti, appesi a speranze un po’ datate, speravo di sembrare un po’ più sgamato: ma la verità è che non saprei semplicemente spiegare che senso ha il mio insegnare, il loro apprendere, nel Paese in cui sempre più controvoglia abitiamo. Non voglio dire che una speranza non ci sia – non mi alzerei da letto se non ne avessi – ma la mia è così personale, così legata alla mia individuale esistenza che da dentro risulta così complessa e contorta che mi ci perdo e mi annoio io per primo – insomma io sono un tizio che si diverte, spero che un po’ si capisca dalle cose che finiscono pubblicate qui.

Mi piace imparare le cose, insegnarle, impararle di nuovo, mi piace cercare di capire, e litigare, soprattutto con gli sconosciuti sull’internet. Tutto questo divertimento, che vergogna, mi compensa evidentemente del vivere in un Paese che va in malora. Ma questo vale solo per me, non è una cosa che si possa dividere o condividere. I ragazzini avrebbero bisogno di speranze un po’ più sode; forse anche voi che leggete ne avreste bisogno. In giro ci sono solo quattro deficienti che promettono che senza l’euro o senza l’ici o senza gli africani o senza i magistrati comunisti l’Italia tornerà la quinta potenza industriale. A me basta star qui e dire che non è vero. Ma appena uno mi risponde: cosa proponi? io che posso dire. Propongo di restare qui, e continuare a dirvi che non è vero, che state soltanto dicendo fregnacce; che è prevedibile che le diciate, considerato il momento storico politico ed economico; è prevedibile ma non vi scusa. Forse avevo bisogno di un Paese di mediocri più mediocri di me, e l’ho trovato. Forse. Forse l’Italia è il Paese che mi merito.

Portarsi la speranza da casa è stata l’abitudine dei nonni, l’ingrediente naturale della forza dei nostri genitori e la molla dei grandi che leggiamo prima di addormentarsi. Portarsi la speranza da casa è una frase che da sola dà l’identità di un tempo e di un Paese. E adesso se ne perde l’abitudine, di portarsi la speranza da casa, perché vorrebbero vendercela a fette e dirci che li dobbiamo anche ringraziare.