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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Contenuti e contenitori

 Anche io, personalmente, da elettore di centrosinistra senza ancora le idee chiare, vorrei che i candidati si prendessero la pena di rispondere, non solo alle domande poste dall’associazione Laicità e Diritti (qui: http://www.laicitaediritti.org/). Mi piacerebbe capire in modo chiaro che tipo di mercato del lavoro propongono (perché – per esempio – a me il “modello Ichino” convince molto poco) che tipo di rapporti intenderebbero tessere con il mondo dell’imprenditoria (perché – per esempio – mi provoca l’orticaria sentire più d’un candidato di una coalizione di centrosinistra magnificare il “modello Marchionne”), che tipo di modello di tassazione si intende perseguire (perché la Costituzione – se non sbaglio – già indica la via della progressività, che altro non è se non la declinazione del principio redistributivo della ricchezza). Giusto per iniziare. Giusto per capire. Anche perché fino ad ora queste primarie hanno parlato poco di contenuti e troppo di contenitori.

Francesco per Non Mi Fermo. E la risposta che aspettiamo per credere che le primarie siano iniziate sul serio.

Memento Rostagno semper

In questi giorni sto lavorando ad un pezzo su Mauro Rostagno (il sociologo e giornalista italiano, come lo definisce wikipedia, ucciso dalla mafia il 26 settembre 1988) per l’evento a Milano che lo vuole ricordare 24 anni dopo. In molti campi Mauro è stato un innovatore pagandone il dazio come spesso succede con l’isolamento che concima l’attentato e poi innaffia il silenzio. Appartengo ad una generazione che su Rostagno ne sa poco, che vede il ’68 come un lungo happy hour molto floreale e che ha bisogno di poche ma rassicuranti vittime di mafia. Con morti certi, assassini identificati e un certo analfabetismo sui mandanti.

Ho ritrovato un pezzo uscito su Il Manifesto ormai più di un anno fa che traccia bene della morte di Rostagno la confusione e la banalizzazione successive. Mi colpisce quella solita zona molle e grigia che una certa semplificazione anche politica oggi cerca di dissipare in questo sempiterno gioco di buoni da una parte e cattivi dall’altra, di Stato in perenne lotta contro la mafia e mai pezzi di Stato consapevolmente o meno al suo servizio. Vale la pena rileggerlo, sul serio:

In fondo, anche quella dell’uccisione di Mauro Rostagno è stata una storia semplice. Cosa Nostra uccise, nel lontano settembre 1988, a Trapani, un giornalista perché le faceva molta paura. Molti erano al corrente che questa sarebbe stata la sua sorte e si adoperarono per facilitare il compito di Cosa Nostra, prima e dopo l’uccisione.
Tra questi, diversi esponenti dell’arma dei carabinieri; magistrati; uomini politici, leader dell’opinione pubblica. Ora che, a distanza di 23 anni, si celebra finalmente un processo contro mandanti ed esecutori, alcune delle circostanze vengono fuori e confermano quanto, in Sicilia, la dissimulazione sia sempre stata un’abitudine; la menzogna ben accetta; la connivenza con la mafia ben più vasta e profonda di quanto sia logico immaginarsi. Per il lettore del manifesto, che è sicuramente già molto informato, riassumo qui alcuni passaggi simbolo della vicenda.

Mauro Rostagno: una storia semplice

SUBITO PRIMA DEL DELITTO

Nel 1988 Mauro Rostagno, una delle icone del ’68, gestisce alle porte di Trapani una comunità per il recupero di tossicodipendenti e alcolisti. A questa attività associa quella di giornalista televisivo, con trasmissioni in cui cui si parla di mafia e corruzione politica, come mai è stato fatto in Sicilia (e non sarà mai fatto dopo): nomi e cognomi, filmati, inchieste vanno in onda ogni giorno dell’emittente locale RTC con ascolti altissimi. All’inizio dell’anno Rostagno è andato dai carabinieri di Trapani a denunciare quanto ha appreso su Licio Gelli e una potentissima loggia massonica in cui convivono i capimafia, i politici e le istituzioni della città e ha ottenuto che la sua denuncia fosse trasmessa in Procura. E’ andato a Palermo a parlare di altre sue scoperte (traffico d’armi all’aeroporto di Kinisia) con il giudice Giovanni Falcone, e a Roma alla direzione del Pci.
Nel luglio 1988, Leonardo Marino, il “pentito” che i carabinieri del colonnello Umberto Bonaventura istruiscono da settimane, dichiara che Mauro Rostagno, insieme ad altri, era al corrente del delitto Calabresi avvenuto nel 1972 ad opera di Lotta Continua. L’attività antimafia di Rostagno viene così resa pubblica, la sua immagine pubblica pesantemente colpita. In tutto il lunghissimo processo Calabresi si scoprirà che, da parte degli inquirenti, non ci fu mai nulla che giustificasse quell’avviso di garanzia. Rostagno chiede inutilmente di essere interrogato. Il 26 settembre 1988 viene ucciso.

IL DELITTO

E’ un agguato in una strada di campagna. L’illuminazione pubblica è stata tagliata. L’automobile usata è stata rubata mesi prima a Palermo e subito dopo viene trovata bruciata. Per la polizia, guidata dal vicequestore Rino Germanà capo della Squadra mobile, ovviamente si tratta di un delitto di mafia. Movente: far tacere Rostagno. Per i carabinieri di Trapani, invece, la mafia non c’entra per nulla. Rostagno è rimasto vittima di spacciatori di droga, oppure di una faccenda di corna. Per la magistratura di Trapani, in città la mafia non esiste (e dire che tre anni prima a venti chilometri di distanza è stata scoperta la raffineria d’eroina più grande d’Europa). All’obitorio, i carabinieri diffondono la voce che nella macchina di Rostagno c’erano rotoli di dollari e siringhe per eroina.

A TRAPANI, SUBITO DOPO

Il capitano dei carabinieri Elio Dell’Anna del Reparto Operativo invia alla procura trapanese un rapporto riservato in cui afferma che il giudice istruttore Lombardi (inchiesta per il delitto Calabresi) gli ha comunicato, a Milano, che «il Rostagno era al corrente di tutte le motivazioni, compresi esecutori e mandanti, concernenti l’omicidio Calabresi; il Rostagno aveva rotto i ponti con i suoi ex compagni di lotta e forse aveva intenzione di dire la verità».
La sua informativa verrà riscontrata come falsa.

A MILANO, CINQUE ANNI DOPO

Nel novembre del 1993 al processo d’appello per l’omicidio Calabresi (dove Sofri. Bompressi e Pietrostefani verranno assolti), l’avvocato di parte civile Luigi Ligotti dichiara: «… Mauro Rostagno non è morto per lupara … è stato fatto tacere dai suoi compagni di un tempo, loro sì mafiosi». (Luigi Li Gotti diventerà poi senatore per l’Italia dei Valori e sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Prodi).

A TRAPANI, OTTO ANNI DOPO

Il procuratore capo Gianfranco Garofalo convoca, gioioso e spavaldo, una conferenza stampa per annunciare la risoluzione del «caso Rostagno». L’ha fatto uccidere la sua compagna Chicca Roveri, che viene arrestata come mandante, per questioni adulterio, gelosie e traffici di droga. «Cosa Nostra non doveva essere gratuitamente incolpata» afferma solennemente. La sua inchiesta crolla miseramente in due settimane, ma questo non impedisce la pubblicazione di un libro di un certo successo: «Rostagno, un delitto in famiglia», edizioni Mondadori.
Se l’iniziativa del procuratore fosse ispirata alla malafede, o semplicemente frutto della sua vanità, o della sua insipienza, ancora oggi non è dato sapere.

A PALERMO, DICIANNOVE ANNI DOPO

Il pubblico ministero Antonio Ingroia chiede il rinvio a giudizio di Vincenzo Virga, capo mafia di Trapani come mandante dell’omicidio; e di Vito Mazzara, suo killer di fiducia, come esecutore. L’accusa presenta una inequivocabile perizia balistica; rivela il movente attraverso le dichiarazioni dei maggiori esponenti di Cosa nostra (Brusca,Siino, Sinacori); rivela che l’uomo che tagliò la luce quella sera, tale Vincenzo Mastrantonio operaio Enel e autista di Virga, venne ucciso nel 1989 «perché sapeva troppo». Mostra che le armi in dotazione a Mazzara hanno ucciso altre persone, oltre a Rostagno.
Ricorda che il filone giusto fu quello della polizia di Stato, che subito indicò la pista mafiosa e che Rino Germanà fu oggetto di un attentato nel 1992, dal quale si salvò con coraggio rispondendo al fuoco. Per quanto riguarda Vincenzo Virga, egli è un ex contadino diventato imprenditore, monopolista del cemento trapanese, proprietario della più grande gioielleria della città. Sodale di Marcello Dell’Utri, per cui agisce come «recupero crediti»; fondatore del primo club di Forza Italia, latitante dal 1994, in carcere dal 2001.
All’udienza di ieri sono stati ascoltati l’allora capo del reparto operativo dei Carabinieri di Trapani, oggi generale, Nazareno Montanti e l’allora brigadiere dei CC, oggi responsabile degli stessi a Buseto Palizzolo (Tp), Beniamino Cannas.
Non si ricordavano quasi nulla, nemmeno le cose che si ricordano tutti.
Anche per loro era stata una storia piuttosto semplice. Routine.

La sindrome primaria per le primarie

L’appariscenza perfetta: Michele: No veramente non… non mi va. Ho anche un mezzo appuntamento al bar con gli altri. Senti, ma che tipo di festa è? Non è che alle dieci state tutti a ballare i girotondi ed io sto buttato in un angolo… no. Ah no, se si balla non vengo. No, allora non vengo. Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate “Michele vieni di là con noi, dai” ed io “andate, andate, vi raggiungo dopo”. Vengo, ci vediamo là. No, non mi va, non vengo. (Ecce bombo, 1978, di Nanni Moretti)

Sì, primarie ma a parte Berlusconi, che ci dite su Monti?

Scelte chiare, insomma.

Ecco, forse invece di attribuire a Renzi le inesistenti idee di Berlusconi, sarebbe interessante che tutti i candidati alle primarie si esprimessero chiaramente sulle concretissime idee di Monti, anche perché il Pd queste idee le ha tutte approvate in Parlamento.

Questo vorrei sapere, prima di tutto: da Renzi come da Bersani come da tutti gli altri.

Alessandro coglie il punto. Adesso magari che lo colgano anche i dieci candidati del PD.

Il disertore

E’ l’aggettivo che più di tutti rappresenta Formigoni in questo momento: non affronta il tema delle inchieste sulla sanità lombarda che definiscono Regione Lombardia “asservita agli interessi dei privati” (ma va?), straparla di macroregione con la Lega prendendo un paio di bacchettate con le mani aperte sulla cattedra e le orecchie d’asino in cartone e non riferisce all’aula in Consiglio Regionale.

Forse davvero è questione di coraggio come si diceva qualche giorno fa. E sul punto noi stiamo lavorando. Silenziosamente. Per essere presenti nel presente, appunto.

Vivisezione: gli animali hanno coscienza. Noi?

Mentre in Commissione Sanità stiamo discutendo il nostro progetto di legge “NORME PER LO SVILUPPO DI METODI SCIENTIFICI INNOVATIVI E TECNOLOGICAMENTE AVANZATI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA RICERCA BIOMEDICA E LA SOSTITUZIONE DELLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE” (lo potete trovare qui) il 7 luglio scorso è stata siglata da un gruppo di scienziati, alla presenza di Stephen Hawking, la “Dichiarazione di Cambridge sulla coscienza”, la quale afferma che molti animali sono coscienti e consapevoli allo stesso livello degli esseri umani:

We declare the following: “The absence of a neocortex does not appear to preclude an organism from experiencing affective states. Convergent evidence indicates that non-human animals have the neuroanatomical, neurochemical, and neurophysiological substrates of conscious states along with the capacity to exhibit intentional behaviors. Consequently, the weight of evidence indicates that humans are not unique in possessing the neurological substrates that generate consciousness. Non- human animals, including all mammals and birds, and many other creatures, including octopuses, also possess these neurological substrates.”

Ora manca solo che gli uomini prendano coscienza.

Rutelli, Tabacci e la piccola bottega degli orrori

L’assistente storica dai tempi del ministero di Francesco Rutelli, Ilaria Podda, da lunedì comincerà a lavorare per il Partito democratico a fianco diMatteo Orfini. Luciano Nobili, giovane organizzatore di tante battaglie, prima per la Margherita, poi con l’Api, giovedì era seduto in prima fila alla convention veronese di Matteo Renzi. Lo staff del leader dell’Api ha già cominciato le grandi manovre di riavvicinamento al Pd (che assicura contratti e stipendi dopo la liquidazione della Margherita) e ora anche lui prova a giocarsi l’ultima carta.

Ieri a Maratea, circondato da ex socialisti ed ex democristiani, Rutelli ha lanciato la candidatura ufficiale alle primarie del centrosinistra di Bruno Tabacci. Una strategia per provare a catalizzare voti al di fuori del suo partito e giocarseli al momento delle decisioni. “Non è l’ultima mossa possibile, è l’unica” spiega l’onorevole Luigi Fabbri, già socialista, già Forza Italia, eletto “ma mai iscritto” nelle file del Pdl, soprannominato da Silvio Berlusconi “il grillo parlante”. “L’ex premier? Mi lasciava parlare, parlare, e poi faceva come voleva – spiega il deputato oggi nell’Api – qui invece c’è molta più democrazia. Grazie al Terzo polo oggi quel governo non c’è più”. (da Il Fatto Quotidiano)

Poi succede che la domenica leggi articoli come questo e ti aspetti di rientrare in casa, accendere il televisore e vederlo in bianco e nero. Ma un bianco e nero nuovissimo, però.

Lo sfascio della lentezza: buon compleanno Salerno-Reggio Calabria

L’autostrada Salerno-Reggio Calabria festeggia i suoi cinquant’anni. E’ nata nel 1962, A 50 anni dovresti avere già qualche buona storia da raccontare ai tuoi figli, si ha già un buon campionario di cose buone e meno buone su cui arrovellarti per spremere un po’ di esperienza, un lavoro che forse ti è piaciuto tantissimo e comincia a non piacerti più, l’idea di come vorresti invecchiare. Tutte quelle cose lì. Invece l’autostrada Salerno-Reggio Calabria a 50 anni è ancora adolescente e incompiuta come sono incompiuti gli adolescenti. Anche sfrontata nella sua incompiutezza così esibita. La guardi e ti sembra dire “anche quest’anno non mi avete finito”, con un sorriso da finto reduce con gli amici al bar davanti ad un bicchiere di bianco. Io, che sono più giovane della Salerno-Reggio Calabria, potrebbe essere quasi mia madre o sicuramente una zia, sono decenni che sento parlare di infrastrutture. Mi siedo in un Consiglio Regionale, qui in Lombardia, dove ogni conferenza stampa magnifica le prossime infrastrutture, la TEM, la Pedemontana e infrastruttura delle infrastrutture EXPO 2015. Berlusconi ci diceva che le Grandi Opere avrebbero rilanciato il Paese, e prima di lui Craxi e dopo di lui quelli che sono venuti e quelli che verranno, probabilmente. Abbiamo assecondato visionari che sognano ponti, porti, autostrade a otto corsie, fiere cementificate e intanto ci teniamo l’autostrada che non finisce. Lì, una strada in mezzo alla strada come sfascio di una lentezza che sembra non sbloccarsi mai e sopravvivere ai governi. Come una statua in mezzo alla piazza a ricordarci che le cose, in Italia, a volte serve solo iniziarle per muoverci tutto quello che c’è dietro, poi finirle è un dettaglio trascurabile.

Omertà e ‘ndrangheta in Lombardia: intervista per Panorama

di Arianna Giunti (pubblicato su Panorama.it)

Sulla ‘Ndrangheta l’errore principale sa qual è? Che non riusciamo mai ad avere una visione di insieme. E ad uscire dalla classica trama da film”. Lui, invece, Giulio Cavalli, 35 anni, attore, scrittore, regista e soprattutto consigliere regionale del partito Sinistra Ecologia e Libertà, da sempre attivo nella lotta alla criminalità organizzata combattuta anche a colpi di piècesteatrali (e per questo sotto scorta da tre anni) un’idea ben precisa ce l’ha: “Cosa Nostra, con il fenomeno del pentitismo, ha perso credibilità agli occhi della criminalità organizzata straniera, in particolar modo con quella sudamericana. Che, allora, ha iniziato a fare affari con la ‘Ndrangheta. Reputando i boss calabresi più affidabili e – ai loro occhi – credibili”.

La ‘Ndrangheta si conferma ancora una volta come l’organizzazione criminale più capillare e silenziosa. Un “silenzio”, che lei ha sempre cercato di infrangere smuovendo le coscienze. Ma – le indagini lo dimostrano – sono sempre poche le persone che denunciano e che collaborano. Persino in Lombardia.

Ci dimentichiamo ogni volta che la grande forza della ‘Ndrangheta è quella di mimetizzarsi fra l’economia cosidetta “normale”, perché punta tutto sulla grande disposizione di liquidità. Parallelamente agli affari “sporchi”, come appunto il traffico di droga, ci sono quelli leciti. Che sono sempre lungimiranti.  Loro sanno sempre dove investire, individuano un attimo prima il settore in via si sviluppo che può essere più fruttifero. Pensiamo specialmente a quello delle sale gioco, il bingo, o le costruzioni. E poi, possono fare affidamento su avvocati scaltri e potenti, che trovano cavilli e scappatoie alle leggi. Vantano appoggi negli ambienti della massoneria e persino in quelli delleProcure.

E a quanto pare, viste le recenti inchieste, le infiltrazioni sono anche in campo politico.

A me farebbe comodo dire che queste “aperture” si sono manifestate più nell’area di centro destra che nel centro sinistra. Ma direi il falso. Loro cercano di corrompere chi governa, a prescindere dal colore. Questo è un problema politico, non partitico. Il fatto è che il Nord ormai è una terra di emergenza.

E cosa da dove si dovrebbe partire, secondo lei, per arginare l’impero della ‘Ndrangheta?

Innanzitutto, occorre fare un lavoro a livello capillare, sul territorio. La Prefettura, ad esempio, deve essere un presidio dello Stato nel territorio, e le leggi per contrastare la criminalità organizzata ci sono. Ma vanno applicate. Occorre che i prefetti siano più coraggiosi, e che non lascino gli atti eroici alle singole amministrazioni locali.

Solo pochi giorni fa gli investigatori hanno portato a segno l’ennesima operazione contro la ‘Ndrangheta al Nord, effettuando 37 arresti. Il procuratore aggiunto Ilda Boccassini ha sottolineato ancora una volta la pericolosa tendenza degli imprenditori lombardi a “piegarsi” al sistema mafioso. Senza denunciare.

Questo infatti è un quadro allarmante. Che, da padre, mi spaventa per il futuro dei miei figli. Dalle indagini emerge come i boss calabresi si sentano impuniti, tanto da poter agire quasi alla luce del sole, portando “stili” sempre più calabresi in Lombardia. Pensiamo solamente alla costruzione delbunker, che gli investigatori proprio nel corso di questa indagine hanno scoperto. Finora non si erano mai spinti a tanto. E – anche in maniera pratica –non è una cosa facile da fare. Occorrono deipermessi edilizi, imprese di costruzioni compiacenti, vicini di casa che fingono di non vedere cosa sta accadendo. Ripeto: il quadro è allarmante. Sul fronte degli imprenditori strozzati dalla crisi economica che chiedono prestiti agli usurai della ‘Ndrangheta, e non denunciano, però, il discorso è diverso: chiediamoci cosa facciamo noi, come Stato, per loro. E perché siamo arrivati a questo punto.

Ma, a livello sociale, c’è la speranza che l’opinione pubblica venga quantomeno sensibilizzata?

Certo che la speranza c’è. Ma il lavoro è difficile. E occorre che ognuno di noi faccia qualcosa, senza sentirci sempre vittime, senza subire. Dall’impiegato di banca che segnala l’apertura di un conto corrente “sospetto”, all’imprenditore vittima del racket che trova la forza di denunciare: ciascuno di noi può fare qualcosa.