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RADIO MAFIOPOLI 6 – La partita del segreto di stato

IL TESTO:

COMUNICATO SINDACALE DELLE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA DEGLI SPOSTAMORTI.
Interrompiamo le trasmissioni a nome delle associazioni di categoria dei casciamortari di Palermo. L’associazione denuncia la recente crisi del settore a causa del recente abbassamento del tasso di mortalità che rallenta notevolmente la produzione delle nostre famose  scatolette di faggio a misura d’uomo. Siamo lontani dai tempi di bum bum Bagarella e il famoso pistolero Pino Greco detto  “Scarpuzzetta” per il suo famoso odoro di piedi tra il cavallo dei jeans. In occasione della recente riorganizzazione dell’attività mafiopolitana e dei nuovi aspiranti capetti Matteo Messina Denaro per gli amici Matteo Mafiopoli Soldino, e Domenico Raccuglia della stirpe dei Caccuglia, la nostra associazione si augura che tutte le forze sindacali (sindaco in testa e tutti quelli in testa al sindaco) si sforzino di essere di sostegno ad un’attività barevole che ha portato Mafiopoli sulle vette del mondo con prestigiosi riconoscimenti (non ultimo l’ambito premio de “La bara che bara” al festival di  Giuliano per l’anniversevole anniversario di Sportella la Ginestra). Vogliamo poter contare fiduciosi in un futuro di serenità per tutte le famiglie dei lavoratori del settore. Grazie. Prego. Tornerò. Bum bum.

Settima settimanevole a Mafiopoli: tutti pronti per il grande appuntamento annuale dell’ultima giornata di Coppa del Binnu a sancire la nuova squadra campione. La nostra inviata per il prepartita:
–    Grazie studio… qui fuori dallo stadio “Salvatore e Angelo La Barbera” di Palermo il clima è effervescente e i tifosi stanno arrivando in massa per la partita Latitanti contro Prescritti. La squadra dei Prescritti è arrivata puntuale allo stadio a bordo delle auto blu anche se ci sono dei dubbi sul tesseramento del terzino Vasa Vasa Cuffaro che dichiara di essere certo della proprio prescrizione poichè ha ricevuto una parola d’onore. La FIGCP (federazione internazionale gioco carte processuali) sta indagando sull’accaduto con la solita celere parsimonia. A parte questo inghippo il capitano dei prescritti Andrea Otti ha rilasciato delle dichiarazioni prepartita in cui ha manifestato tutto il suo ottimismo. E tutti i tifosi astanti si sono toccati pensando al suo precedente ottimismo sulla squalifica del mediano Moro. Qualche piccolo incidente, ma niente di grave, un tifoso Giovanni Bucaro è stato massacrato e ucciso a bastonate nel quartiere Arenella da quattro uomini probabilmente legati al tifo organizzato del boss Gaetano Fidanzati. Il Bucaro infatti era fidanzato della figlia di Fidanzati e come si sa, sopra la panca la capra crepa. A parte questo si attendono i giocatori della squadra dei Latitanti che arrivano abbastanza alla spicciolata con un ritardo che preoccupa non poco la curva dei tifosi che per ricordare i vecchi tempi ha intanto esposto lo storico striscione “unti con il 41 bis, Berlusconi dimentica Mafiopoli” come ai vecchi tempi di palermo-ascoli. Per quanto riguarda la formazione dovrebbe debuttare finalmente un iovine della primavera detto Antonio. Antonio Iovine andrà a coprire la fascia destra con il veterano Zagaria suo compaesano di San Cipriano. Tra gli addetti della stampa si dice che su quella fascia i due potrebbero fare il botto. In porta lo straniero Strangio Giovanni di Siderno difenderà i pali, mentre con il numero 10 non poteva non esserci il fuoriclasse Pellè Antonio di San Luca. Sulla linea difensiva Di Lauro, Nicchi, Miceli e Motisi e punta dovrebbe essere Messina Soldino che come si evince dal cognome è il vero uomo mercato….
–    Scusa vi interrompo dal carcere San Giuliano di Trapani perchè c’è gioco fermo. Alcuni secondini e guardalinee hanno interrotto il pranzo davanti alla tivù di quattro appartenenti al tifo organizzato del clan Di Lauro proprio mentre si preparavano nel loro carcere pay per view ad apparecchiare il famoso pranzo in clima partita. I quattro in cella nella tribuna distinti stavano eseguendo una respirazione bocca a bocca ad una aragosta per preservarne la freschezza e sono stati ammoniti per banchetto fraudolento, a te la linea….
–    Si dicevamo della squadra dei Prescritti…
–    Scusami vi interrompo dagli spogliatoi perchè abbiamo in diretta la vecchia gloria Michele greco che vuole rilasciare una dichiarazione per l’arbitro della partita [DICHIARAZIONE MICHELE GRECO]
–    Grazie al papa Greco riprendiamo la linea per i prescritti in porta ovviamente ci sarà il sempreverde Silvio do Santos zizinho detto Cacchiavellico capitano grazie alle ben 6 prescrizioni prescritte, sulla linea difensiva Aldo Brancher, Carmelo Briguglio, Giuseppe Ciarrapico e Antonio Del Pennino. A centrocampo Gaspare Giudice (un giudice prescritto è come la panca che capra…), Luigi Grillo e Maurizio Japicca con Roberto Calderoli sulla destra. In attacco la coppia del gol Ciriaco De Mita e Andrea Otti. In panchina Pierluigi Castagnetti,Massimo D’Alema (che per protesta al ruolo di riserva sta creando una propria corrente all’interno dello spogliatoio),Giovanni Lolli, Rigoni Andrea e Bobo Craxi che grazie al nome è anche la mascotte pelosa della squadra che ballerà a centrocampo nell’intervallo…. come potete notare il vivaio dei Prescritti è sempre invidiabile e folto…
–    Scusa studio Borgetto in vantaggio! Tutta la curva balla al coro “chi non salta Niccolo Salto è!” in onore del Salto trivellato settimana scorsa! Un tripudio! Qualcuno dei Fardazza boy in panchina si commuove, a te studio…
–    Scusa qui Roma dallo stadio “Fatebenitofratelli” Lupa in vantaggio! Grande azione di Alemagno appena fuori area e poi gol con i suo classico tocco da calcio balilla. I tifosi sugli spalti esultano al grido di “boia chi melma!”.

Tempi floridi quelli del prepartita giù a Mafiopoli, tra gli studi pirlamentari e televisivi che si confondono per credere a Babbo Natale. Tempi di eroi prescritti e condonati, condannati e poi scarcerati, eroi di figurine che si collezionano fuori dalle scuole alla manganellata dell’intervallo. Eroi di quelli di cui Mafiopoli ha d’esser fiera. Eroi da collezione [MANGANO]
Poi ci sarebbe la partita, dopo le parole ci sarebbe l’azione. Ma il risultato, mafiopolitani, non si sa. La partita è trasmessa sul canale criptato: il canale del segreto di stato. All’italiana.

Cronache da Bengodi – W la squola e il qulo della Gelmini

Cara maestra Germini,
le sscrivo questa lettera letteraria dalla mia classe a forma di qulo perché ci tienevammo tanto a ringraziargliela a lei che è ministra e a tutta la sua squadra (che penso ma cielo devo chiedere alla mamma che oramai sia la Scuadra 13 o 14 visto che ce la fanno all’ora di televissore  al doppocena da quando mio nonno era banbino ). La voglio tanto dirgli grazie perchè oggi Santo Gabibbo protettore degli ignoranti ci ha portato in dono la nostra nuova squola e per la nostra classe è tutta un’artra musica. Allora abbiamo scritto nella lettera quello che ci piace. Anche perchè quello che non ci piaceva ci hanno detto di non scrivercelo a lei e di non preoccuparglielo, che tanto quello che non ci piace della nostra nuova squola poi arriva a sfollarlo il vigile urbano con l’oglio di Ricino. Allora, tutti in coro, come gli alpini. Ci piace:
•    Ci piace tantissimo la nuova aula con tutti questi tagli e anche i ritagli. E anche la lavagna con tutti i tagli è bellissima che sembra un quadro di Fontana. Chissà Sgarbi che pugnette… signora Germini…
•    Ci piace tantissimo la nostra maestra Unica. Che anche la mia nonna Gina dice che solo il signore può essere uno e trino ed è giusto che i maestri la smettano di essere sacrileghi. La nostra maestra Gina Unica c’ha una faccia che dà tristezza anche solo a guardarla di spalle in fotografia. Ma lei ci ha detto che il suo Modello Unico è peggio, che infatti non ha mai capito nemmeno chi si è ciucciato il Modello Unico in parlamento per fare carriera nella moda.
•    Ci piace tantissimo la maestra Gina Unica sia specializzata in Tutto Lo Scibile Umano, come i papà rompicoglioni dei miei compagni terroni. Deve vederla, cara Germini, come ci fa ridere la nostra maestra con i pantaloni della ginnastica e il piffero in bocca della lezione di musiqa e il mappamondo sottobraccio della lezione di geografia dopo averci spiegato il passato remoto del verbo sfanqulare  ci porta tutti insieme nell’aula di matematica a insegnarci gli avverbi al quadrato. Per fortuna che Gina Unica almeno non deve ramazzare il corridoio: perchè per quello ci sono settemila hosties dell’Alitalia. Una per metro quadrato.
•    Ci piace tantissimo essere in una classe di centotrenta bambini. Perchè basta essere un po’ furbi e ci si riesce a farsi interrogare una volta a quinquennio. E quel giorno lì averci per finta il mal di pancia. Così quando ci danno la licenza elementare ci avremo l’ars oratoria di Calderoli e magari ci fanno sindaci. E ci piace essere in tanti perchè i i miei compagni delle ultime file riescono a fare dei lungometraggi con i videofonini senza essere visti. Io recito la parte del Gabibbo. Uno spasso, signora Gelmini.
•    Ci piace tantissimo andare in gita al cesso per i tagli del governo. Io mi sono fatta la foto ricordo vicino al bidet insieme al mio amico Marco. Che in verità Marco si chiama Mohamed ma non lo dice a nessuno altrimenti gli tocca dare l’esame di quinta sulla digestione dei  leoni e sull’elasticità delle liane che sono le materie delle classi dei negri.
•    Ci piace tantissimo avere la nuova foto dietro la cattedra di cartone al posto del vecchietto di prima. Questo nuovo ci ha il toupet di cascmìr, gli stivaloni neri da pescatore, le medaglie d’oro alle barzellette e quel sorriso ebete che ci mette subito di buon’umore al mattino. Tranne a Ciro: ma lui è un comunista terrone.

Questo è tutto signora Germini. Ci tienevamo a ringraziarla e a farcelo sapere. Perchè abbiamo saputo che lei se l’era un po’ presa e voleva oscurarci Paperissima. Ma adesso sappiamo che con la nostra lettera sarà più tranquilla.

I bambini di Bengodi.

RadioMafiopoli 5a: “Il Carcere duro di Saviano e i fax di Sandrocan”

A Mafiopoli è una settimana di brezza fresca e di attività multiforme. E questo è strano. Ma neanche troppo. Perché con l’arrivo dei primi freddi quei quattro stracci di neuroni orfani mafiusi si sgranchiscono le gambe e si registra un’impennata di attività cerebrale. Rispetto al nulla, quel nulla storico che portava a progettare quelle idee meravigliose: la Sicilia in provincia dell’America, Salvatore Giuliano chierichetto a Portella della Ginestra o Cianciamino sindaco illuminato. Quelle idee meravigliose che hanno portato lo Stato di Stallo dello Stato Stallo contemporaneamente in cima al mondo e in fondo ai cassetti del segreto di stato. E allora questa settimana di invenzioni balistiche e ballistiche c’è quella frizzantezza, quella frizzantezza come di ortiche nelle mutande, che solo con “il cervello di gallina” di zio Binnu ci eravamo abituati a commentare.
– Comunicazione di servizio: a causa degli evidenti limiti di comprensione dovuti al mezzo radiofonico comunichiamo che l’espressione “cervello di gallina” rivolta a zu binnu Bernardo Provenzano viene radiofonicata con un virgolettato attribuibile con certezza ad una dichiarazione del ligio Liggio. Ed è quindi inquerelabile. Riponete la vostra penna di osso nel borsello e buon proseguimento.
Settimana di neuroni che fanno il bagno nudi a mezzanotte anche per le cape marce dei capi dei Capalesi. Gomorra si sveglia con qualche arresto di periferia, uno addirittura si pente. E quando l’Oreste Spagnuolo dei capalesi si pente per i Capalesi ma per tutti i cittadini di Mafiopoli arriva dritta una stretta al cuore. Perché il pentimento e la dissociazione, lo dice anche Riina U’Curtu, sono sempre cose da non dire e da non fare.
– R: Questi Signori Pentiti sono gestiti
– G: da chi?
– R: lei mi può dire da chi? Da chi ha il comando di gestirli, Signor Presidente. Chi ha il comando di gestirli li gestisce. E li gestisce in un modo tale che quello che dice uno, dicono tutti, perché sono abbraccio, perché camminano a braccetto, perché c’è chi li gestisce. Lei se mi dice a me chi li gestisce, ma questo io non lo so chi li gestisce, ma certament ,sono gestiti. Quindi un giorno, diciamo tanti anni fa, erano nel terrore questi, oggi mettono una firma,lei sa, che con una firma si esce di carcere, si prendono i soldi, si prendono i mesati, si prendono le schifezze, si prendono le ville, quindi certamente tutti cercano di fare i pentiti o tutti cercano di pentire accusando agli altri innocentemente. Signor Presidente, qua bisogna invece guardare e scendere nel profondo dei pentiti, i pentiti devono portare riscontro Signor Presidente, i pentiti non servono a dire, oppure lei mi viene a dire a me, ma è più di uno che lo dice, Signor Presidente. Ma cos’è più di uno che sono tutti abbraccio, che sono gestiti.

Ipse dixit Riina Totò sui pentiti piaga sociale del welfare di Mafiopoli. Pentiti di qua pèntiti di là. Questa libera circolazione di pentiti proveniente dalla Cina sta distruggendo la nostra economia.
Ma Sandrocàn Schiavone non sembra preoccupato del pentimento di Spagnuolo. Dal suo carcere di minima sicurezza quattro vani più cucina abitabile invia fax e comunicati stampa per minacciare di minacciare Saviano di villipendio alla camorra. E nel suo ufficio presidenziale delle patrie galere invia messaggi di distensione e ostensione che i giornalicoli riprendono senza sosta. Tempi d’oro per mafiopoli dove i boss si offendono per villipendio, tempi memorabili a diramare ansa e preparare per il Saviano il cappotto di legno. “ E’ giusto così!” urlano i cittadini antisavianesi mentre nuotano nel muco capalese, “è giusto così!, Saviano se l’è cercata! Il suo libro Gomorra ha rovinato l’immagine del paese, ha abbassato le vendite di cornetti al mattino e per colpa di Gomorra ha anche piovuto meno! Abbasso Gomorra!” gridano i giovani mitomani del vecchio Iovine fuori dalla scuola istituto professionale per diventare picciotti e merda in quattro anni. E Sandrocàn e tutti i cerebrolesi dei capalesi ridono. Ridete, ridete. Avete sputato su Gomorra e siete quasi promossi a Gomerda.
Intanto nella capitale di Palermo della Sicilia provincia di Mafiopoli c’è preoccupazione. Perché i dipendenti pubblici si sono infiltrati nelle famiglie e a forza di riempire gli uffici dai cugini di primo grado fino agli amanti del panettiere di fiducia, alla fine negli uffici della regione ci è toccato triplicare le macchinette del caffè. Problemi grossi. Sembrava impossibile fare meglio di Vasa Vasa Cuffaro, il bacetto rotante più pericoloso del west, ma Lombardo (che come si evince dal cognome è un mafiopolitano mitteleuropeo) sta facendo meglio. Il buon Giovanni Ilarda (detto altresì il Brunetta di Sicilia per l’impegno antifannullonico ma soprattutto per le dimensioni…) mentre si distrae per soffiarsi il brunetto naso d’inciampo per sbaglio fa assumere la figlia. “A Mafiopoli le distrazioni si pagano care!” si difende. Ma le pagano sempre gli altri, dice il proverbio. Il sindaco Cattarratta della famigli di Cammarata scivola su una buccia di banana e ci butta dentro il figlio, e poi una Misuraca (parlamentare) e uno Scoma (assessore di Lombardo), con un Davola (ex autista di Polverina Micciché) e con un Mineo (figlio di un deputato regionale). Quasi tutti sono negli staff degli assessori. E per completare in bellezza e senza schifo sopra alla torta c’è pure Rosanna sorella dello Schifani. Tempi floridi tra le macchinette del caffè.
A Milano in provincia di Mafiopoli invece la mafia non esiste. L’aveva detto il prefetto Rossano fin dal 1992. Tant’è che il ligio Liggio era a Milano solo perché voleva bersi un campari in galleria. E ancora oggi non esiste ripete lieta la Letizia sindaco. “Milano che lavora!” dicono gli amministranti amministratori sul palco della piazza con due fustini al posto di uno. “ma allora perché il Marras (che sulla sfighina penale ci ha tentato omicidio, sequestro di persona, furto e rapina), perché il Marras stava con la ruspa nel cantiere del parcheggio tra la piazza del conDuomo fiscale e la Scala? Nel cantiere del Gavio autostradale? Perché” chiede lo scemo del villaggio con il berrettino per la moneta in mano.
A Milano che lavora scende il silenzio. Un silenzio breve. Di quelli milanesi. Un silenzio fast food con doppio bacon.
“non c’entra nulla!” urla il principe Cacchiavellico mentre poggia la prima pietra per l’inaugurazione del ponte da Messina all’ex banca Rasini. “Il Marras ha preso un senso unico e stava facendo manovra per l’inversione a u!” e giù un applauso a reti mafiopilotate.
A Partinico in provincia di Mafiopoli è finalmente tornato all’ovile Michele Ditale della stirpe di Fardazza. E il comitato di benvenuto ha stappato quattro bottiglie del vino quello doc di Partinico, che più invecchia e più si fà buono, fino addirittura all’ergastolo. Quattro tappi in aria per il benvenuto. E intanto lì di fianco a Borgetto quattro colpi entrano nella camicia del saltellante Salto (delfino di Caccuglia della stirpe dei Raccuglia). Sarà un caso? Chiedono i maligni. Sarà un caso? Chiedono i benigni. Fatevi i cazzi vostri. Rispondono in coro gli ambasciatori mafiopilotati.
Settimana ricca a Mafiopoli, settimana di brezza fresca e di attività multiforme. “Non preoccupatevi!” dice il principe cacchiavellico, “è solo una settimana d’ansia! Normalizzeremo tutto quanto prima!” e torneremo tutti insieme a mangiare carne, cavalcare carne e comandare carne. Alla Mafiopolitana.

4a Puntata – La storia bavosa dei capalesi di Gomorra

L TESTO:

Nella regione centrale di Mafiopoli ci sta un quadrato di terra, un fazzoletto di regione che una volta era Campagna e che adesso in onore della Gomorra (una particolare specie di monnezza umana che ci cammina sopra a quel fazzoletto) adesso il Principe di Mafiopoli l’ha chiamata Campania, dal passato remoto di campare. Campania in provincia di Mafiopoli è l’isola che non c’è, è la terra del rovescio: Campania in provincia di Mafiopoli è quello che non ti aspetti. Arrivi e ti aspetti di arrivare su una strada, perché no magari in un di quelle belle strade tutte riasfaltate con la mano saggia di Michelino Aiello (che a forza di saggiare strade tra Monreale e Altofonte è diventato benemerito ed è riuscito a regalarci una prostata nuova in inox a Zio Binnu Provenzano), e invece nella terra di Gomorra le strade non ci sono. Te le aspetti? E speri. A Gomorra con l’asfalto ci pettinano i negri e le serrande dei rivoltosi e le strade sono tutte di bel percolato, che è la scia bavosa dei Capalesi, i reucci del posto. Quel paio di mulattiere aiellamente asfaltate portano alle reggie dei reucci, lì sì, perché costa pulire le ruote del mercedes dalla polvere e dalla scia che lasciano i compari. Un magico sistema di strade, anzi il magico ‘o sistema di strade. Tant’è che uno dei reucci primi lo chiamano mica per niente Sandrocàn perché ci pare una scimmia e balzella felice sulle liane. Anche se non si chiama Sandro ma i Capalesi dicono che è una licenzia poetica. La terra di Gomorra è nata da poco, è terra giovane figlia di raccolta differenziata: storie di Romolo, Remolo e Cutolo. Si comincia dentro una carrozzeria, perché per fondare le nuove regioni a Mafiopoli bisogna essere capaci di sfasciare e sistemare, sistemare le frecce addolcire le frizioni. Il Bardellino è carrozziere serio e provato e lo sa bene, lui che vuole aggiungerci la sua nuova regione Gomorra sulla cartina insieme al vecchio compare Iovine. Perché a Mafiopoli i giovani ci vogliono cambiare vita, e per cambiare vita se non ci hai le poppe per fare la velina allora devi inventarti un onesto lavoro di rappresentanza sul territorio: rappresentanza capillare, a porta a porta, professionale, regolare e continua, pressante senza farlo pesare come i venditori di enciclopedie, insomma. È che il vecchio cumulo Cutolo attaccato alla lupa ci voleva rimanere lui. E allora a Gomorra l’aria diventava elettrica. Che alla Società dell’Energia Mafiopolitana si chiedono ancora oggi come ci fa ad essere per terra così tanta elettricità e così pochi pagatori di bollette, che ci hanno 3000 contenziosi su 4500 utenze. Ma i Mafiopolitani dicono che l’elettricità e la scossa sono un dono di Dio, ed è immorale andare in posta a pagarli. E così è, se vi pare, amen. Ed è per questo che a Cutolo ci hanno messo una bomba sotto la sua residenza di Ottaviano. Perché i Capalesi sono morali. E così è, se vi pare, amen. E comincia a sbocciare la terra florida e fiorente dei Capalesi di Gomorra. A Mafiopoli la storia di Gomorra si studia in seconda elementare e i bambini imparano subito a segnarci sul mappamondo quella bella terra differenziata in tutta la zona che ci hanno chiamato “mazzoni” dal passato remoto di mazzate nella zona di Campani dal passato remoto di campare della repubblica di Mafiopoli. Dove tutto va la rovescio. Va tutto così storto che al Casale del Principe ci hanno fatto anche due record del guinnes dei primati (nel senso di primati e mica di primi) che a un giro di elezione su 30 consigliori comunali 17 erano semi-capalesi; che a Bardellino bardellinavano gli occhi di soddisfazione a pensarci. E la sagra dello sparo sventagliato ha portato la pro loco dei Capalesi sulla bocca di tutto il mondo, e a Gomorra è sempre una panettona e televisiva nevicata di spari. Una gioia, una paranza, un tripudio di civiltà.
“siamo in guerra e non lo sappiamo!” – disse un giorno lo scemo del villaggio con la fisarmonica sbilenca e il cappello dell’elemosina. “non è vero!” risposero in coro Sandrocàn, Zagaria e il vecchio Iovine. “È il suono dolce dei fuochi artificiali!” dissero in coro come Qui, Quo e Qua.
Ma se c’è una fierezza dell’ambasciatore di Gomorra, se c’è una cosa che è nei cataloghi dei souvenir di tutto il resto di mondo è la gestione dei riufiuti. Di tutti i rifiuti. I rifiuti delle botteghe a cucirsi il pizzo sugli orli della giacca è cosa rara ma ben differenziata: per gli umidi i kalashnikov e per i secchi le pistole 9×21 (che le chiamano così perché sono 10 anni che ci provano a fare la somma). Per i rifiuti del water e del lavandino ci applicano la differenziata, differenziano ora questo ora quello conto corrente. Lavoro fino da ragionieri ragionevoli e ragionati. Per i rifiuti tossici, dicono i reucci dei Capalesi che i rifiuti tossici sono una vergogna, e siccome loro sono i paladini della moralità con un’azione forte li hanno fatti finire sotto terra.
“siamo immersi nella monnezza e non lo sappiamo!” disse un giorno lo scemo del villaggio con la fisarmonica sbilenca e il cappello dell’elemosina. “non è vero!” rispose il Principe cacchiavellico mentre smonnezzava con lo scopino sotto il tappeto, come Qui, Quo e Qua.
“ma allora perché i Capalesi hanno ucciso Michele Orsi?” richiese lo scemo del villaggio con la fisarmonica sbilenca e il cappello dell’elemosina. “Perché proprio lui che ci teneva l’aziendina che aveva vinto l’appalto per la mescolanza dei rifiuti? Perché Gomorra se l’è trivellato?” insisteva curioso. “non è verò” urlò il principe Cacchiavellico all’inaugurazione del nuovo ponte da Messina al cesso di Sandrocàn, “non gettiamo fango su Gomorra! Amico di Orsi era anche di qualcuno del Bertolaso, lo sceriffo delle mescolanze monnezzare!, Bertolaso è al soldo dello stato! Mica di Gomorra!”
Mafiopoli su quella risposta rimase così, così mezza mezza come si rimane sulle risposte mezze mezze. E intanto scendeva la sera, e con la sera il nero del buio e il nero dei neri sparati per esercitazione. Una meravigliosa giornata di mezze risposte e senza domande: molto free, liberty, e mafiusy. All’Americana.

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Radiomafiopoli alza il tiro

www.radiomafiopoli.org

Radiomafiopoli continua e alza il tiro. Ci eravamo presi una settimana per provare a fare un po’ di conti, almeno per guardarci in faccia e pesare l’assurdità di un paese che vorrebbe addirittura negare il diritto allo sberleffo contro persone che non meriterebbero nemmeno di comparire nei titoli di coda di un paese civile. Perché vogliono convincerci, vogliono convincervi che parlarne è male e che peggio ancora riderne è peccato mortale. Ci è bastato poco per assaggiare le nostre motivazioni e soprattutto sentire la vicinanza di così tanti amici (non degli amici degli amici ma gli altri…) e allora Radiomafiopoli cresce e ride e insieme denuncia. Adesso cominciamo a fare i nomi e i cognomi, adesso vi raccontiamo le cose che rimangono negli interstizi di pochi articoli a fondo pagina di pochi giornali. Senza la pretesa di essere esaustivi ma prendendoci la responsabilità (che a Mafiopoli fa rima con rischio) di instillare dubbi. Ridendo a modo nostro. Di questi comici disperati che latitano da poverini.

Giulio Cavalli

Plenilunio d’acqua. Favola acquatica in atto unico.

E la canzone dell’acqua
è una cosa eterna.
È la linfa profonda
che fa maturare i campi.
È sangue di poeti
che lasciano smarrire
le loro anime nei sentieri
della natura.
Che armonia spande
sgorgando dalla roccia!
Si abbandona agli uomini
con le sue dolci cadenze.
Il mattino è chiaro.
I focolari fumano
e i fiumi sono braccia
che alzano la nebbia.
Ascoltate i romances
dell’acqua tra i pioppi.
Sono uccelli senz’ala
sperduti nell’erba!
Gli alberi che cantano
si spezzano e seccano.
E diventano pianure
le montagne serene.
Ma la canzone dell’acqua
è una cosa eterna.
(F.G. Lorca)

C’è una favola, una favola leggera sull’acqua che si intitola semplice “plenilunio d’acqua” e che la ritroveranno solo chissà fra quanti anni magari dentro una bottiglia di plastica tutta accartocciata. Perche fra chissà quanti anni qualcuno, magari qualcuno di molto importante, farà due conti in piazza un pomeriggio che ci saranno quasi tutti, e si riuscirà a dirlo forte che quella bottiglia accartocciata, che finisce accartocciata come tutte le bottiglie accartocciate negli angoli accartocciati del mondo, ecco lì in piazza (ma sara fra chissà quanti anni) si sentirà dire che quella bottiglia accartocciata e il camioncino che l’ha portata fin lì costano una fatica cento volte per l’acqua che c’è dentro. E allora la favola conviene cominciare a raccontarla adesso, mentre portiamo bottiglie accartocciabili di qua e di là senza preoccupazioni su e giù per il mondo, mentre usiamo per lavarci i denti gli stessi secchi d’acqua che in qualche angolo accartocciato e assetato del mondo basterebbero a tutta una famiglia per tutto un giorno, mentre ci occupiamo che il balcone sia in pendenza giusta per imbucare bene e presto la pioggia dentro i tombini. Perché poi magari succede come per tutto che l’acqua diventa una preoccupazione e la favola si avvera, e quando sono preoccupati si sa che la gente la prima cosa che smette di fare è ascoltare le favole:
C’era una volta uno stagno, uno stagno pulito, areato, con un bel sole di giorno e un’arietta fresca che lo accarezzava la sera, e dentro un’acqua così chiara e così fresca che ti viene sete anche solo a raccontarla. Nello stagno ci abitavano quattro famiglie di rane e ogni tanto di passaggio ci veniva per le vacanze un fenicottero e delle zanzare. La giornata era la tipica giornata come succede in tutti gli stagni del giorno: al mattino a sciacquarsi bene tra le zampe e sotto al gargarozzo nell’angolo a destra dove le mamme insaponavano i più piccoli, a mezzogiorno tutti insieme a cucinare in umido nell’angolo a sinistra che stava sotto l’ombra comoda degli alberi sull’argine, al pomeriggio ci si rincorre sulle foglie che galleggiano in tutto quello spazio in mezzo e poi la sera ognuno tornava a casa con i fratelli e i genitori nella propria casa di canneto. E le case di canneto erano così larghe e lunghe che ci avrebbero dormito in ognuna quasi cento rane sdraiate per il lungo. Un giorno una rana che voleva diventare sindaco convocò una riunione e prese un megafono di erba
–    Cari cittadini! (disse con la voce erbosa e megafona che rimbalzava sull’acqua) noi stiamo bene qui nel nostro stagno che tutti ci invidiano, questo lo so bene, ma io voglio farvi un regalo ancora più grande per stare più comodi e poterci stendere per il lungo nelle nostre case non cento ma quasi mille rane stese per il lungo. Ieri una zanzara mi ha parlato dei suoi viaggi sopra all’umido nel suo giro di mezzo mondo! C’è non lontano da qui, al massimo a mille salti da qui, uno stagno molto più grande del nostro, con un’acqua fresca che è azzurra come è azzurro l’angolo della bocca delll’airone. E gli orli di quest’acqua sono fatti di schiuma. Lì potremmo avere tanto spazio che ognuno di noi avrebbe un giardino fuori dalla porta grande come questo stagno! Venderemo il nostro stagno e ci compreremo una mare!
–    Evviva!
Gridavano tutti, tutti tranne il vecchio Ranonnno, che a lui questa storia proprio non lo convinceva. Il vecchio Ranonno ne aveva già viste di storie che partivano con il sogno di un lago e finivano nel buco del lavandino.
Il giorno dopo arrivò un contadino con un cappello rotondo di paglia sulla testa. La rana che voleva diventare sindaco gli aveva venduto l’angolo basso per piantarci del riso da risotto. E ci martellò nell’angolo una recinzione di un ferro mezzo verde ma tutto arrugginito cha faceva lì vicino un’acqua che sapeva di ferro come gli sciroppi per la tosse.
–    Non preoccupatevi! Disse alle quattro famigli la rana che voleva diventare sindaco e comprarsi un pezzo di mare – basterà stringerci un po’ durante la colazione!
Poi il giorno successivo arrivò un tubo. Sì proprio un tubo, di quelli arancioni e di plastica che a guardarlo con occhi da rana sembrava una galleria arancione ma senza la montagna sopra. La rana che voleva diventare sindaco e comprarsi un pezzo di mare aveva venduto l’angolo a destra dove le mamme insaponavano i piccoli ad una fabbrica che stava poco lontano e cominciò a sputare fuori dalla galleria a forma di tubo un’acquetta tutta solida che faceva una macchia bianca e tutta gommosa. E le rane a nuotarci vicino avevano un mal di pancia peggio di un’indigestione di cachi.
–    Non preoccupatevi! Disse la rana che voleva diventare sindaco e comprarsi un pezzo di mare. – basterà che una famiglia delle quattro si trasferisca un paio di giorni, una settimana al massimo, per racimolare i soldi che ci servono per firmare il contratto e comprarci il mare!
Venne deciso che la famiglia che doveva traslocare era quella del secondo canneto alla foglia numero tre, perché avevano sette figli e occupavano molto spazio. Al mattino quando partirono con tutte quelle valigie e scatoloni tutti legati nello stagno si alzò una nebbiolina leggera di tristezza che non si era mai vista e rimase incastrata tra la macchia gommosa del tubo e la recinzione di mezzo ferro per tutte le settimane dopo. Adesso però c’era un fastidioso problema: l’acqua che sapeva così tanto di acqua ormai piano piano cominciava ad avere un sapore dolciastro, a volte u po’ amarognolo e con una punta di carciofo. Le famiglie decisero che era proprio da ridere stare tutto il giorno in un’acqua che non sapeva di acqua, che rimbalzava come la gomma e arrugginiva come il ferro.
–    Non preoccupatevi! Disse la rana che voleva diventare sindaco e comprarsi un pezzo di mare. – traslocheremo per qualche giorno, al massimo una settimana, la famiglia del canneto all’ombra e chiederemo al fenicottero di portarci dell’acqua a forma di acqua e al sapore di acqua dallo stagno vicino, in cambio di una sua piscina personale nell’angolo all’ombra! Per noi ci basterà per qualche giorno, una settimana al massimo, smettere di giocare alla rincorsa sulle foglie e aspettare di comprarci il nostro mare!
E così fu fatto. Altre valigie e scatoloni per la famiglia della famiglia del canneto all’ombra, fazzoletti bianchi alla stazione per i saluti con il fenicottero felice che portava acqua e avvitava il trampolini nella sua piscina recintata. E la nebbia incastrata della malinconia che sapeva di gomma e ferro si faceva sempre più densa. Così dopo una settimana le due famiglie che erano rimaste, e la rana che voleva diventare sindaco e comprarsi un pezzo di mare e Ranonno vivevano un po’ più stretti e inciampevoli nello stagno che una volta era pulito, areato, con un bel sole di giorno e un’arietta fresca che lo accarezzava la sera, e dentro un’acqua così chiara e così fresca che ti viene sete anche solo a raccontarla. Ma erano anche speranzosi che da lì a poco avrebbero abitato in un pezzo di mare tutto per loro. Solo il Ranonnno non era speranzoso, perché ne aveva già viste tante di storie che dovevano essere un lago e invece finivano nel buco del lavandino.
Finchè un lunedì mattina la rana che voleva diventare sindaco non disse che ormai si era vicini alla meta. Disse che mancava poco per definire il contratto del pezzo di mare, e con gli occhi che brillavano raccontò che il martedì sarebbe arrivata la balena che aveva comprato un bel pezzo di stagno per passarci le vacanze. Perché si sa che le balene hanno la testa tanto grossa che dentro ogni tanto rimbalzano delle idee che sono proprio strane.
–    Una balena? Ma non ci staremo mai! Dissero le due famiglie rimaste. Ma come faremo? Dovremo ammucchiare tutti i nostri mobili e le nostre cose in angolo come i sacchi della spazzatura?
Questa storia della balena proprio non li convinceva. La rana che voleva diventare sindaco provò a convincerli, ma non c’era proprio modo di farglielo capire. Le due famiglie fecero i bagagli e salirono sul primo treno.
–    Meglio così! Pensò la rana che voleva diventare sindaco e comprarsi un pezzo di mare. – sarò da solo tra le onde e starò largo come un re!
Anche il Ranonno fu la volta che andò via. prese il suo vecchio bastone e quei quelle quattro camicie che stavano nell’armadio e passò a salutare la rana che voleva diventare sindaco. Tirò fuori un foglio chiuso in quattro con un bollo di ceralacca e si raccomandò di aprirlo solo dopo l’arrivo della balena.
Il martedì la balena arrivò, con le sue sedici valigie e quattro cappelliere, che era ancora mattina presto. La rana che voleva diventare sindaco e comprarsi un pezzo di mare si mise nel suo angolo di stagno che ormai le era rimasto e che era piccolo come un fazzoletto piccolo e puzzolente come una schiuma puzzolente. La balena sistemò bene uno a uno tutti i suoi vestiti (quelli della festa, quelli per il tennis, quelli lavoro e sette vestaglie per la notte), poi indossò un costume giallo nuovo che aveva comprato per l’occasione e si tuffò con un tuffo a bomba nel suo nuovo pezzo di stagno in affitto. La rana che voleva diventare sindaco (che era ormai da sola a guardare la scena) dovette subito ritirare le zampe da quanto la balena le atterrò vicino e in quel momento pensò che è senza senso stare stretti in uno stagno in cui si è soli. Ma pensò al suo pezzo di mare e la tristezza per un secondo passò. Poi la balena si immerse sotto il velo d’acqua dello stagno, fece un respiro profondo e spruzzò con un fischio una torre d’acqua così alta che sembravano tre grattacielo uno in testa all’altro. E lo stagno cominciò veloce a svuotarsi; rimanevano le fogli e quei secchi dei rami secchi. E il grattacielo d’acqua continuava e diventava sempre più alto e il fischio sempre più fischio. E nello stagno oramai cominciava a vedersi il fondo fangoso e le cantine dei granchi e i chiodi del recinto che sapeva di ferro e il buco nero della galleria arancione a forma di tubo. Finchè lo spruzzo si spense, il fischio sfischiò un momento prima di spegnersi e la balena con il costumino nuovo all’asciutto cominciò a strepitare e ad urlare come un bambino inciampato. Poi si sistemò la frangia e continuando a a tutto volume disse alla rana che era stata truffata, che non avrebbe pagato e che anzi se l’avesse presa gliel’avrebbe fatta pagare.
La rana che voleva diventare sindaco e comprarsi un pezzo di mare cominciò a saltare tutta storta e spaventata per scappare dai passi della balena che cominciava ad arrivare e saltò più forte del forte che sapeva tutto il pomeriggio e poi tutta la sera fino al mattino dopo tra gli alberi, le montagne e la neve e il deserto, correva così forte e così tanto che pensava quasi di aver fatto mezzo giro del mondo. Al mattino sola, stanca e senza più nemmeno un fazzoletto a forma di stagno dove stare e senza le sue cose che erano rimaste nell’armadio asciutto trovò un ruscello, un torrentino che veniva da nessuna parte e non andava da nessuna parte. E fu triste a pensare che alla fine il suo mare aveva quella forma di ruscello timido e magro. E fu triste a pensare come si sta soli in un ruscello da soli e com’era triste aver traslocato gli amici.
In tasca aveva solo il foglietto del vecchio Ranonnno, che di tutta questa storia non era mai stato convinto perché ne aveva viste tante finire nel buco del lavandino. La rana che voleva diventare sindaco e comprarsi un pezzo di mare fu felice che almeno qualcosa era riuscita a portarsela via e seduta nel torrente che le arrivava alle ginocchia aprì la ceralacca. Dentro c’era un proverbio degli indiani Sioux Teton d’America e diceva:
Una rana non s’ingozza mai di tutta l’acqua dello stagno in cui vive.

CRONACHE DA BENGODI: COMUNICATO BREVE DEL BREVE SILVIO SVITACARTELLI

Comunicato ANSIA: La nostra economia è solida, è solida anche se per solidificare muri una volta bisognava andare nelle stanze degli autorizzatori politici con l’assegno in bocca. Per questo il reato è stato seppellito seppellendo le intercettazioni con un bel decreto che le seppellisce. Se si zittisce il reato, questo non si vede più ed è come se non ci fosse o al massimo come se fosse antani.
Per quanto riguarda le banche state tranquilli: la virulenta Gèrmini ha sistemato i banchi, le ronde dei Longombardi hanno ripulito le banchine e ora l’ottimistico Ministro Tramonti farà il resto. Voi non toccate i vostri risparmi! Servono per eventuali liquidazioni ai super manager della finanza italiana.
p.s. (abbiamo salvato Sancho Tanzi con un articolino piccolo piccolo in fondo ad un decreto come fanno i venditori di enciclopedie… questa sera al bar del Senato offro un giro di Santàl a tutti.)

il vostro Silvio Svitacartelli re di Bengodi