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Cosa ci siamo persi durante le elezioni: la condanna di Pepè Flachi

carabinieri_perquisizione_giorno--400x300La vicenda la ricuce con cura il bravo Massimiliano Perna:

Pepè Flachi, il boss della Comasina (un quartiere di Milano), uno dei capi ‘ndrangheta storici della Lombardia, è stato condannato dal tribunale di Milano a venti anni e quattro mesi di reclusione per estorsione, smaltimento illecito di rifiuti e associazione a delinquere di stampo mafioso. Alla moglie del boss, i magistrati hanno anche sequestrato una polizza vita che prevedeva un premio di 25 mila euro l’anno.

Una condanna pesante per uno dei capiclan più influenti, arrestato due anni fa insieme ad altre 34 persone nell’ambito di un’operazione diretta a sgominare il potere delle ‘ndrine in Lombardia. Un potere ramificato che aveva portato il clan Flachi a controllare diversi settori dell’economia lombarda, a partire dalla movimentazione terra e dalla gestione della security dei locali e dei negozi in metropolitana, fino al ramo delle estorsioni ai danni delle paninoteche ambulanti. Un impero che è finito nel mirino dei giudici milanesi, che, nella sentenza di condanna (che ha riguardato il boss e altre 15 persone), hanno perfino previsto per Flachi e per altri affiliati la misura dell’assegnazione ad una colonia agricola per 3 anni dopo la fine della pena.

Una sentenza esemplare, in un momento in cui in Lombardia si afferma nuovamente il centrodestra, seppur con una guida diversa da quella che ha colonizzato il Pirellone negli ultimi 17 anni. La Lega Nord e il Pdl, dunque, nonostante i ripetuti scandali e la fine della legislatura per via del caso Zambetti e del voto di scambio con le ‘ndrine, sono di nuovo al potere, insieme, compatti. La politica: l’elemento cruciale con cui si dovrebbe dar seguito all’azione di pulizia che la magistratura, da qualche anno anche in Lombardia e nel resto del Nord, cerca di portare a compimento con sacrificio e dedizione.

Una politica che anche Pepè Flachi e i suoi guardavano con grande interesse, se è vero che in occasione delle scorse elezioni regionali avevano deciso di sostenere la candidata del Pdl, Antonella Maiolo (non indagata per mafia, ma per peculato nell’inchiesta sui rimborsi in Regione), poi eletta. Chiaramente sono indagini, voci, ipotesi, ma ci sono anche i fatti che ci raccontano che in questa regione il controllo della ‘ndrangheta sull’economia, sulla politica e sui meccanismi del consenso è elevato, radicato, forte. Persino l’omertà, caratteristica che per anni è stata vergognosamente etichettata come patrimonio “etnico” dei meridionali, è radicata e funzionale al mantenimento del controllo.

Lo dimostrano le reticenze, le complicità nascoste, ma anche le dichiarazioni a verbale ritrattate per paura da ben 23 testimoni nel corso delle indagini che hanno portato alla nuova condanna di Flachi (adesso ai domiciliari per via del suo stato di salute). La memoria, il senso delle istituzioni, la legalità sono utopia anche in questa regione che tanto lontana  si sente da certe nefandezze. Lo snobismo culturale dei milanesi e dei lùmbard duri e puri si frantuma nei risultati di un voto che in Lombardia ha conservato la stessa fisionomia del potere. Dopo tutti gli scandali e la sfacciata gestione Formigoni, il popolo lombardo ha deciso di non cambiare, di mantenere, di riproporre. Probabilmente perché il voto di scambio è forte anche qui, è entrato nelle vene di una democrazia drogata dalle convenienze, dagli affari che fruttano, dalle mastodontiche brame di chi è pronto a tuffarsi nel pentolone d’oro e fango dell’Expò.

 

Beppe Grillo deposita il marchio “DIO”

Anzi, ci prova con la domanda n. GE2003C000100 (che trovate qui, vedere per credere sul sito dell’Ufficio Brevetti).

L’azienda “DIO” dovrebbe occuparsi di:

Codice Elenco prodotti o servizi
44 servizi medici;servizi per l’agricoltura,orticultura,silvicultura
45 servizi personali e sociali per il soddisfacimento di bisogni personal i

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Gli altri ripensano il lavoro. E noi no.

Albino_Lucatello_Mondine_al_lavoroQuando nel 2009 la GlaxoSmithKline annunciò che avrebbe chiuso il suo impianto a Sligo, in Irlanda nord-occidentale, i dipendenti rimasero per un po’ sotto choc. Erano increduli, mai avrebbero pensato che sarebbe toccato a loro. Fu un trauma simile a migliaia di altri che in questi anni si sono propagati fra i Paesi colpiti dalla crisi del debito. 

Quello stabilimento farmaceutico esisteva dal 1975, quando fu aperto dal gruppo tedesco Stiefel, e niente di tutto quello che stava accadendo in Irlanda sembrava doverlo interessare così da vicino. I 180 operai e tecnici vedevano bene che l’economia nazionale si stava piegando sotto il peso della bolla immobiliare e bancaria, ma Sligo credeva di vivere in un altro pianeta. In fabbrica dominava l’idea che quel posto fosse troppo importante per essere toccato: un impianto tradizionale, una struttura paternalistica e con poche opportunità, ma se non altro un posto per la vita. Fino all’annuncio dei nuovi azionisti di Glaxo. 

Passano tre anni e ora la casa madre fa sapere che ha cambiato idea: Sligo non chiude, ma verrà riconvertita alla cosmetica. Nei tre anni fra i due annunci – dalla chiusura al rilancio – i dipendenti hanno affrontato una trasformazione emblematica di una certa Europa in recessione almeno quanto lo fu l’incapacità iniziale di capire cosa stava accadendo. La crisi poteva investire professionisti specializzati, non solo i manovali della porta accanto. A Sligo, i manager e gli addetti hanno deciso di non cedere facilmente. Si sono impegnati a incontrarsi ogni mese per fare il punto e discutere gli intoppi di produzione, per migliorare insieme. In poco più di due anni la quota di lotti difettosi è scesa dal 5% all’1,5%, l’assenteismo dal 4% al 2%, i casi di perdita di tempo in fabbrica dal 6 all’1%. La produttività è salita del 40%, ha riconosciuto la Glaxo. Prima ancora che l’Irlanda uscisse dalla recessione, tutti i posti erano salvi.

Quella di Sligo è una storia a lieto fine di un’Europa in viaggio dal mondo di prima, quando il debito copriva ogni inefficienza, a un sistema per molti versi più duro: capace però di creare lavoro, competenze, tenuta delle imprese su basi più sane. Non tutte le vicende hanno lo stesso lieto fine, ma alcune contengono semi esportabili anche in altri Paesi colpiti dal contagio. Sempre in Irlanda, nel settore dell’ottica alcune imprese hanno ridotto l’orario e la paga fino al 40%. Per anni si è lavorato solo tre giorni la settimana, ma tutti. Nessun posto è andato perso e il ritorno della domanda dall’estero ha riportato gli addetti verso salario completo e a tempo pieno. Anche il governo di Dublino ha offerto un’idea che a molti in Italia parrebbe lunare: i disoccupati vengono mandati in fabbrica o negli uffici a fare «tirocinio» – a lavorare – finanziati dall’assegno di mobilità del governo più un indennizzo di 50 euro al mese. Chi ha perso il lavoro non perde contatto con il mondo produttivo, mentre le imprese integrano manodopera gratis e aumentano così la competitività. 

Non che in Italia non esista qualcosa di simile, ma si consuma nell’illegalità e nella corruzione. Nel Mezzogiorno non è raro che certi sindacalisti chiedano all’imprenditore il 10-15% del costo dell’ultima busta paga di un cassaintegrato, che resta in azienda a produrre, in cambio della garanzia che non ci sarà ispezione dell’ufficio del lavoro.

Dal Corriere.

Le chiacchere stanno a zero

bersani-grillo-120521210519_bigOggi Patrick Fogli riflette e rilancia:

Le chiacchiere, come dicevo qualche giorno fa, stanno a zero anche e soprattutto per lui.
Se quello che conta sono le proposte (lo dice ogni due per tre) allora ci sono già negli otto punti, ne il PD nè il M5S hanno bisogno di Berlusconi. I voti ci sono.
Di più, sia il PD che il M5S hanno l’occasione di chiudere politicamente la stagione di SB in Italia. Basta una legge sul conflitto di interessi, per esempio. O sull’incandidabilità dei condannati in primo grado. Non una legge contra personam, ma una legge ad iustitiam.

E ancora di più: un Parlamento come questo ha la possibilità di votare secondo ragione quando – e capiterà – qualche Procura chiederà di agire nei confronti di Berlusconi & C. Archiviare definitivamente una stagione. Di fatto, anche se in maniera confusa, il voto lo chiede, lo urla.
Si può ascoltare la richiesta (qualcuno = tutti) o tapparsi le orecchie (qualcuno / tutti)

E’ troppo facile votare le proposte che ti piacciono e contemporaneamente poter urlare all’inciucio PD/PDL fino alla prossima campagna elettorale.
Tra l’altro, se ai montiani l’idea Bersani piacesse, a Grillo basterebbe uscire dall’aula al Senato. Cambiare le cose vuol dire anche prendersi la responsabilità di farlo.
Altrimenti (per usare il suo stesso linguaggio) è solo una paraculata e vale la pena dare credito all’idea di Emiliano. Il governo lo fa Grillo e gli altri decidono se votarlo.

Ho visto Nina volare

Rachel Hulin è una fotografa e scrittrice statunitense che vive tra Providence, Rhode Island e New York. Il suo ultimo lavoro è Flying Henry, la storia di un bambino che sviluppa per magia l’abilità di volare. Consapevole del suo dono eccezionale, Henry esplora la sua casa, la natura ma anche i posti meno familiari, dove si ritrova in grandi avventure. La sfida non riguarda solo misurare i propri limiti in nuove esperienze ma anche confrontarsi con la solitudine causata dal suo potere.

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Perché la Siria non va di moda?

Aleppo_bombing_CTVNews_2013“E’ una tragedia che ci porteremo sulla coscienza e per la quale saremo giudicati”.

Lo ha affermato pochi giorni fa il commissario Onu Pillay. E’ proprio così. Da due anni l’Unicef denuncia le torture, le violenze, le mutilazioni e le uccisioni cui sono sottoposti i bambini siriani. Sono 70.000 i civili uccisi in una guerra che si protrae ormai da oltre 700 giorni. Tra loro tanti, troppi bambini, vittime innocenti di un conflitto che non hanno voluto e che oggi più che mai osserviamo da lontano come se questa tragedia non ci appartenesse.

I due milioni di bambini colpiti dal conflitto hanno un disperato bisogno di assistenza umanitaria, di cure sanitarie, servizi igienici o idrici nonché di grande supporto psicosociale. Sono esposti quotidianamente ad abusi, sfruttamento e malattie. Più questo conflitto andrà avanti più acute diventeranno tali esigenze. E’ tardi.

Lo scrive Andrea Iacomini dopo l’ennesima strage.

Perché non si riesce (capisco il caos qui, per carità) a sentire unaparolauna sulla Siria?

La differenza tra Lega e nutelle

Stefano-Galli-capogruppo-Lega-al-PirelloneTre case sequestrate e un’accusa di truffa aggravata mediante erogazione indebita di fondi pubblici per l’ex capogruppo della Lega  nord in Regione Lombardia, Stefano Galli. Il provvedimento del gip Chiara Valori riguarda una consulenza da 200mila euro affidata dal politico leghista a suo genero. Galli è già indagato per peculato in merito ai rimborsi illeciti al Pirellone e di lui si era parlato nei mesi scorsi quando si era saputo che si era fatto rimborsare anche una ricevuta da oltre seimila euro per il banchetto nuziale della figlia. Poi l’ex capogruppo si era scusato con dichiarazioni pubbliche e aveva annunciato la restituzione di quei soldi

Il sequestro ai fini di un’eventuale confisca – richiesto dal procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo e dai pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio – è stato disposto per un importo equivalente alla presunta “finta consulenza”. Stando alle indagini, Galli, quando era capogruppo del Carroccio, ha affidato a suo genero Corrado Paroli (un operaio che ha come titolo di studio la terza media) una consulenza per la “valutazione dell’attività legislativa attinente i rapporti tra Regione ed enti locali con particolare attenzione alla provincia di Lecco a supporto dell’attività del consigliere Stefano Galli”. Valore, oltre 196 mila euro in due anni.

Chissà se siamo riusciti a raccontarle, le differenze.

Pippo scrive a Beppe

beppe-grillo-lodo-alfano-3-770x513Il dibattito di questi giorni sul ruolo del Movimento 5 Stelle è politica. Lo scrivo perché sembra che qualcuno voglia convincerci che siano chiacchere da bar: la politica è nelle scelte, non nelle campagne elettorali (quelle servono per raccontare le scelte fatte o non fatte, e infatti chi non sceglie succede che perda). Non credo che il Movimento 5 Stelle si prenderà la responsabilità di lasciare inerme un potenziale governo (anche solo “di scopo”) per lucrare sul proprio consenso tra qualche mese (anche perché, appunto, si tratterebbe di scegliere e di risponderne: fare politica insomma); credo però che alcuni dei presunti “pontieri” di questo dialogo con Grillo e il Movimento oggi forse si pentiranno degli sfanculamenti senza senso in risposta a sfanculamenti senza senso, dei sorrisini compiaciuti di scherno verso i “grillini” e di questa idea tutta antidemocratica che i voti per qualcuno valgano meno dei voti ad altri: l’avevo già scritto qui (che fortuna, la memoria della rete) che qualificarsi squalificando il Movimento 5 Stelle non era una grande strategia.

Oggi Pippo Civati (sì ,sempre lui, e allora?) scrive sul suo blog una lettera a Grillo che è più che tra questo vociare parla di politica, appunto:

Allora, caro Beppe, la situazione è quella che auspicavi: questa politica è stata presa a pallonate. La tua campagna elettorale, capace di sedurre gli elettori di tutti i generi e tipi, ha funzionato. Lo tsunami non è riuscito per un pelo, ma – come hai detto anche tu – è solo rinviato di qualche mese, perché poi lo tsunami ci sarà davvero, secondo le vostre previsioni ‘meteorologiche’ (rispetto alle quali è giusto conservare qualche dubbio, ma che vanno certamente osservate con rispetto, visto che le previsioni nostre erano così palesemente sbagliate).

Vorrei dire a te e ai tuoi che è legittimo pensarla così: siete stati votati e ora potete fare con i vostri voti quello che volete. Le forze che ti sostengono sono arrivate al terzo posto, sbaragliando la concorrenza del tecnico-che-saliva-e-che-è-un-po’-sceso e avvicinandosi nei consensi ai politici dei principali partiti.

Ciò che mi chiedo è però se non sia un azzardo buttarla in caciara, proprio ora. Certo, mi si può rispondere che in Italia l’azzardo paga sempre. E che hai vinto e, quindi, va bene la disintermediazione, va bene la rete, va bene che siete portavoce di una voce che di volta in volta svelerete prima di tutto a voi stessi e poi agli italiani. Abbiamo capito (qualcuno lunedì, qualcuno un po’ prima, diciamo così).

Però c’è un però: un però che alla fine è questo Paese. Siamo sicuri che non far niente ora per farlo tra sei mesi sia la cosa più giusta da fare? Siamo sicuri che tutti siano uguali, in quel Parlamento, e che non ci sia proprio niente da fare di buono, per cambiare le cose, nelle condizioni date? E che sia il caso di chiamarsi fuori, di chiamare fuori i cittadini che vi hanno votato, per lasciare campo all’ennesima riedizione di un governo di larghe intese e, temo, di corte vedute. Capisco la tua libidine, ma un po’ mi preoccupa il quadro che si delineerebbe.

Te lo chiedo rivolgendomi al leader che sei, perché lo sei anche se fai finta di essere un capo-per-caso, e me lo chiedo, perché è del tutto evidente che se non si riuscisse, si tornerebbe a votare. E magari vinceresti tu, magari Berlusconi, magari il centrosinistra. O, più probabilmente, nessuno di questi. Perché nessuno di questi, nemmeno la prossima volta, avrà i numeri per governare. E ci ritroveremmo a scrivere la stessa identica cosa che sto scrivendo ora. Che è la cosa peggiore che possa capitare, soprattutto perché è già capitata.

Continua qui. E continua un filo e un dibattito da tenere alto.

Stare a passo di marcia con i cambiamenti

  • Mantenere lo stesso nome e la propria autonomia, strutturarsi in un partito vero e proprio e tentare di aumentare il consenso intorno al programma attuale.
  • Tentare di riunirsi con delusi del PD, gli sconfitti di Rivoluzione civile e altri movimenti in un partito unico della sinistra radicale.
  • Accentuare la componente ambientalista e europeista del proprio programma, avvicinarsi (come osservatore o membro) al Partito verde europeo, tentare di ottenere consenso al di fuori dello zoccolo duro della sinistra.
  • Confluire nel Partito democratico come ala sinistra.

Le quattro alternative di SEL che nessuno oggi ha il coraggio di dire. Le scrive (bene) Angelo Scotto sul suo blog con una conclusione chiara: Se non lo faranno, allora il declino che ha già travolto i comunisti e minaccia il PD toccherà anche noi e sarà irreversibile (per dirla in termini più concreti: i militanti che hanno dato tanto in questa campagna elettorale se ne andranno, me compreso).

Ecco, noi siamo qui.

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Le battaglie sono giuste anche quando si perdono

elezioni-regionali-lombardia-indagini“Le battaglie sono giuste anche quando si perdono” è la frase (bellissima) che Umberto Ambrosoli racconta di avere detto a suo figlio ed è la caratura di una persona che dal punto di vita etico, umano e di storia personale ha da insegnare molto, a tutti.

Poi c’è il lato politico, ma questo è meglio valutarlo appena si abbassa la polvere perché a caldo si rischia di non riuscire a vederne tutti i lati. Roberto Maroni ha vinto con più di 4 punti di scarto, sostenuto dalla tenuta di PDL, Lega e la sua lista civica mentre nel centrosinistra tiene il PD e la Lista Civica di Ambrosoli, Albertini sparisce e Il Movimento 5 Stelle incassa un 13,62 per niente inaspettato anche se più basso della media nazionale. La sconfitta non ha bisogno di appello ed è una sconfitta che arriva in una Lombardia che già si era sbriciolata nella credibilità: una traversa a porta vuota, mi scriveva ieri qualcuno.

SEL si attesta sul 1,80%: una percentuale con cui non si può fare politica. Punto. Al di là della scomparsa del partito dal Consiglio Regionale (quindi non sono stato eletto, no) rimane il senso del progetto politico che ora è da considerare sul serio. Abbiamo fatto una campagna elettorale difficile e intensa ma perdente e riconoscere la sconfitta è il punto da cui ripartire per un’analisi collettiva.

Io posso intanto ringraziare i tanti che mi hanno votato e dato fiducia e chi si è speso con tutte le forze ( penso a Odetta, Leonardo). Ora è il tempo di pensare. Con calma.