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ancora

19 anni dopo, i temi del G8 di Genova sono più attuali che mai

Chissà quando avremo gli occhi per rivederlo, quel G8 a Genova, quella manifestazione che certa retorica squadrista continua a raccontare come un’orrida sequela di tafferugli (dimenticandone chirurgicamente le responsabilità), raccontando di una città messa a ferro e a fuoco e proiettando un film che non rispetta la realtà. Andrebbe rivisto, quel G8, per raccontare come una grave sospensione della democrazia (parole usate dall’Onu e riprese da importanti organizzazioni internazionali) possa passare sotto traccia ed essere normalizzata negli anni successivi.

Ma, no, questo non vuole essere un pezzo sui picchiatori seriali ben ammaestrati in divisa e nemmeno sulle forze di pubblica sicurezza che fabbricano prove false per giustificare la propria violenza. Dico, ve li ricordate i temi di quel G8? C’erano qualcosa come 300mila persone (che non sono i like su Facebook) che avevano preso i mezzi da tutto il mondo per arrivare a Genova a evidenziare una serie di problemi che per loro sarebbero stati lo scacco matto del futuro del mondo.

A Genova si contestavano il neoliberismo furioso, la concessione di veri e propri paradisi fiscali, la vittoria della finanza sull’economia, l’aumento della disuguaglianza sociale e soprattutto dell’ingiustizia sociale, l’impoverimento irrefrenabile delle classi medie, la sbagliata e ingiusta distribuzione di ricchezze nel mondo, la visione privatistica del mondo al danno del pubblico, il consolidamento delle lobby di potere e delle grandi multinazionali come inquinamento delle decisioni politiche, la redditizia instabilità del mondo mediorientale. Si parlava dell’ambiente prostituito al profitto e delle enormi conseguenze che ci sarebbero state a livello planetario, si parlava dell’aumento della diffusione di xenofobia e di razzismo.

Avevamo ragione noi, a Genova. Aveva ragione quel documento finale del Social Forum di Porto Alegre (lo trovate qui) del 2002 che oggi risuona ancora come agenda assolutamente contemporanea del mondo in cui siamo. Sono passati quasi 20 anni e i mali del mondo sono ancora gli stessi.

Quei temi non sono stati sfondati dai manganelli (a differenza delle teste e dei denti) e dimostrano che, no, non era violenza sistematica per zittire qualche contestazione ma era un pugno di ferro contro un cambiamento di un mondo che non vuole cambiare e che continua a crollare ogni giorno dei medesimi mali. Avevamo ragione noi, a Genova, in piazza, e oggi i grandi del mondo parlano quella stessa lingua. Solo che qualcuno ci ha rimesso qualche osso.

Leggi anche: 1. In Italia 13mila infetti, ma gli “untori” sono i migranti: signori, gli sciacalli sono tornati (di G. Cavalli) / 2. Caro Conte, l’unica opera strategica per l’Italia è investire nella scuola. Che cade a pezzi (di G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Fratoianni a TPI: “Governissimo con Berlusconi? Non con noi. Ci sono interessi economici dietro”

Il rifinanziamento della Guardia Costiera libica ha spaccato il governo. Sono in molti a lamentare un cambio di rotta sull’immigrazione. Ne abbiamo parlato con il deputato Nicola Fratoianni di Leu, per TPI.it.

Fratoianni, ancora una volta l’Italia finanzia quelli che sono considerati quasi universalmente dei veri e propri aguzzini. Non le sembra che la gestione di questo Governo, in tema di immigrazione, non si discosti molto dalla gestione con Salvini al ministero dell’interno?
Per la verità non è cambiato molto nemmeno con quello che è successo con i governi precedenti al primo governo Conte: sono stati loro ad avviare la collaborazione con le autorità libiche. Piuttosto la votazione di ieri, con i voti contrari di 14 senatori e 23 parlamentari, indica che i numeri di chi si oppone a questa politica in campo migratorio sono decisamente più alti. Il rifinanziamento è passato con un voto trasversale che ha coinvolto anche i partiti all’opposizione.

E intanto rimangono lì anche i decreti sicurezza…
La discussione sui decreti sicurezza si sta svolgendo con un altro tratto e alla luce del lavoro che stiamo facendo mi sento di dare un giudizio prudentemente positivo perché da quel che vedo credo sia possibile ottenere un risultato assai significativo rispetto all’obiettivo che ci eravamo dati, ossia cancellare gli aspetti più regressivi che quei decreti avevano introdotto in materia di immigrazione.

Cosa ha pensato quando ha letto la notizia di quel cadavere rimasto per 15 giorni in acqua, avvistato ben 4 volte e con nessuna autorità che si è mossa?
Ho pensato che che il comportamento dell’Europa di fronte alla vicenda migratoria che ormai da troppi anni investe il Mediterraneo centrale resta un comportamento ipocrita e troppo spesso indifferente. Io sono stato in quel mare più di una volta, su diverse navi, e so che significa stare su una barca, in condizioni precarie, quando si ha l’impressione che non ci sia nessuna possibilità di arrivare sull’altra sponda.

Possiamo però dire che gli elettori che hanno a cuore la solidarietà possono essere ben poco soddisfatti di questo governo?
Certo non possono essere soddisfatti fino in fondo perché io credo che affrontare in modo radicalmente diverso le politiche migratorie sia la strada migliore per sconfiggere la destra peggiore di questo Paese. Serve un’alternativa radicale molto maggiore di oggi. Nello stesso tempo non sono tra quelli che pensa che le politiche migratorie siano le stesse del governo precedente: non lo sono nelle scelte concrete, nel rapporto con le ONG e nella gestione di porti. E spero di poter dire ben presto, forse a settembre, che non lo sarà più neanche sul terreno della legislazione.

Prodi e De Benedetti invocano addirittura Berlusconi. Che ne pensa?
Il rientro di Berlusconi è una vecchia tentazione che torna in alcuni momenti della politica italiana, la tentazione della trasversalità dell’unità nazionale intesa però come trasversalità di interessi. Penso che sarebbe un errore strategico e per quanto mi riguarda incompatibile con la nostra presenza.

Leggi anche: Rifinanziamento Guardia costiera libica, 23 dissidenti Pd e LeU votano contro il governo; 2. [Retroscena] – Nel Pd è saltato l’asse Zingaretti-Franceschini: ora il governo rischia davvero (di Luca Telese)

L’articolo proviene da TPI.it qui

A volte ritornano

Dove vuole arrivare Prodi quando strizza l’occhiolino al suo acerrimo nemico? Come mai il Pd non si scompone più di tanto di fronte all’ipotesi di una “alleanza” di governo con Berlusconi? Ecco perché le manfrine di Palazzo di queste settimane sono un (brutto) film già visto

Lo sapete cosa accade quando partiti hanno il terrore mettersi davanti allo specchio degli elettori, quando hanno paura di dover cominciare considerare i possibili effetti di un possibile voto e quando soprattutto cominciano a sentire che il governo in carica ha problemi di tenuta nella percezione popolare? Iniziano a frugare dentro, tra gli anfratti dello scacchiere parlamentare, si lanciano in merletti e alambicchi di strategia che da fuori appaiono come spericolate ipotesi senza capo e senza coda e tengono in mano la calcolatrice per immaginare altre pericolanti maggioranze che restino in piedi giusto il tempo di riorganizzarsi di nuovo. Una burocrazia di maggioranze che ottiene di solito l’effetto di disgustare ancora di più gli elettori (di qualsiasi parte politica) che per anni sono stati scagliati contro i giochi di palazzo e che fa schizzare i populisti nei sondaggi. Poi, quando accade, quando ci si mette tutti insieme in un’accozzaglia di partiti che hanno come unico punto quello della loro autopreservazione, insistono nel dirci che l’hanno fatto per senso di responsabilità, di solito mettono come presidente del Consiglio quello che si definisce un tecnico e di solito danno vita a tutte le misure impopolari che hanno succhiato la vitalità del Paese (il governo Monti, per dirne una facile facile, ve lo ricordate?).

Ecco, quello che sta accadendo in Italia in questi giorni convulsi in cui si torna a parlare di un possibile ingresso nel governo di Silvio Berlusconi corrisponde esattamente alla fase iniziale di un momento del genere, con parte del Partito democratico che non riesce proprio a trattenersi da un filo-destrismo che non riesce proprio a scrollarsi di dosso; con i renziani di Italia Viva che invece Silvio Berlusconi (o meglio: i moderati di destra) lo corteggiano da un bel po’ (quindi niente di nuovo sotto al sole) e con il Movimento 5 stelle che ancora una volta prova le vertigini che procura la sensazione di perdere il potere. Tutto parte da Romano Prodi, icona di un centrosinistra che ha bisogno di idoli in mancanza di classe dirigente, che nel suo ruolo di souvenir del centrosinistra che c’era ci fa sapere che non sarebbe «un tabù l’ingresso di Forza Italia». Dicendolo come ci ha abituato a dire le cose Romano Prodi, a lato di qualche altro evento o mentre viene incrociato per caso da qualche giornalista durante la sua passeggiata mattutina. L’innesco funziona perfettamente: è tutto un profluvio di riabilitazioni politiche e di venute in soccorso verso il Cavaliere caduto in disgrazia con frasi che superano la semplice circostanza e che addirittura mostrano una sfrenata volontà di riabilitare in fretta quella classe dirigente che fu senza l’impiccio del Movimento 5 stelle e senza i populismi di Salvini e di Meloni: il sogno di un centrosinistra e di un centrodestra che rimangano soli nell’arco elettorale e che fingano di farsi la guerra lavorando sotto traccia per la pace è il desiderio recondito di molti dirigenti che ancora non hanno fatto pace con ciò che è successo in Italia negli ultimi dieci anni. In mancanza di un vocabolario per leggere e per scrivere il presente preferiscono rimettere in piedi quel passato in cui nuotavano così agilmente.

Ma, seriamente, cos’è tutto questo baccano sulla riabilitazione di Berlusconi? Proviamo a fare due conti, passo passo, analizzando le diverse situazioni dei personaggi in commedia. Prodi, innanzitutto, è quello che nemmeno troppo segretamente aspira alla presidenza della Repubblica e sa benissimo che per riuscirci ha bisogno dei voti di un centrodestra che in tutti questi anni l’ha demonizzato e l’ha indicato come la causa di tutti i mali europei: per assurdo…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 17 luglio

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La preghiera dell’odio

Un parroco in un paese della Puglia ha organizzato una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. E la sindaca si è ribellata

Siamo a Lizzano, paese in provincia di Taranto, dove il parroco, don Giuseppe, ha pensato bene di organizzare una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia (il disegno di legge Zan è già stato approvato in Commissione Giustizia) che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. L’oscurantismo del resto va molto di moda tra alcuni leader politici e figurarsi se non prende piede anche tra i parroci di provincia dove con un arzigogolato ragionamento si riesce a mettere insieme la famiglia con l’odio verso i gay: sono quei pensieri deboli e cortissimi che prendono molto piede dove l’ignoranza regna sovrana. Evidentemente per don Giuseppe il suo dio vuole che si continui a odiare e discriminare perché le famigliole possano stare tranquille. Contento lui.

Il punto che conta però è che in molti (per fortuna) si sono ribellati a questa pessima iniziativa e soprattutto la sindaca del paese, la dott.ssa Antonietta D’Oria, pediatra di famiglia, mamma di quattro figli che lavora a Lizzano da trent’anni ed è impegnata in varie associazioni di ambito sociale, ambientale e culturale decide di prendere carta e penna e di rispondere. Potrebbe essere la solita diatriba tra parroco e sindaca ma di questi tempi le parole sono preziose. Ecco la risposta:

“È notizia ormai rimbalzata su tutti i social media che il parroco di Lizzano, il parroco della nostra Comunità, il nostro parroco ha organizzato un incontro di preghiera contro le insidie che minacciano la famiglia, tra cui, prima fra tutte, cita la legge contro l’omotransfobia.
Ecco, noi da questa iniziativa prendiamo, fermamente, le distanze.
Certo non sta a noi dire quello per cui si deve o non si deve pregare, ma anche in una visione estremamente laica quale è quella che connota la attuale Amministrazione Comunale, la chiesa è madre e nessuna madre pregherebbe mai contro i propri figli.
Qualunque sia il loro, legittimo, orientamento sessuale.
Perché, come ha scritto meglio di come potremmo fare noi, padre Alex Zanotelli, quando ha raccontato la propria esperienza missionaria nella discarica di Corogocho, la Chiesa è la madre di tutti, soprattutto di quelli che vengono discriminati, come purtroppo è accaduto, e ancora accade, per la comunità LGBT.
A nostro modestissimo parere e con la più grande umiltà, ci pare che altre siano le minacce che incombono sulla famiglia per le quali, sì, sarebbe necessario chiedere l’intervento della Divina Misericordia.
Perché non pregare contro i femminicidi, le violenze domestiche, le spose bambine?
Perché non celebrare una messa in suffragio per le anime dei disperati che giacciono in fondo al Mediterraneo?
Perché non pregare per le tante vittime innocenti di abusi?
Ecco, senza voler fare polemica, ma con il cuore gonfio di tristezza, tanti altri sono i motivi per cui raccogliere una comunità in preghiera.
Certo non contro chi non ha peccato alcuno se non quello di avere il coraggio di amare.
E chi ama non commette mai peccato, perché l’amore, di qualunque colore sia, innalza sempre l’animo umano ed è una minaccia solo per chi questa cosa non la comprende”.

Che bella quando prende posizione, la politica.

Come dice la scrittrice Francesca Cavallo: «iniziative come questa non devono passare sotto silenzio, per il bene di tutti quegli adolescenti che leggono di un’iniziativa come questa e pensano di essere sbagliati. Io sarei potuta essere tra loro».

Buon giovedì.

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In Italia 13mila infetti, ma gli “untori” sono i migranti: signori, gli sciacalli sono tornati

Seguitemi un secondo: in Italia in questo momento ci sono 13.179 persone ufficialmente positive al Covid-19. 13.179 persone che sono potenzialmente infettive e pericolose per la salute pubblica. In Lombardia, tanto per fare un esempio partendo dalla regione più colpita, sono 8.004 di cui ben 7.813 in isolamento domiciliare. Avete letto bene: in Lombardia 7.813 persone sono a casa propria (o in una struttura messa a disposizione) a convivere con il virus e si spera che tutte le 7.813 persone rispettino l’isolamento e non scorrazzino in giro, non mettano nemmeno il naso fuori dalla porta visto che è dal naso che il Coronavirus prolifica e si moltiplica.

In Piemonte quelli in isolamento domiciliare riconosciuti positivi sono 859, in Emilia Romagna sono 1.077 e, per andare sulle regioni meno colpite, in Campania sono 233, in Sicilia 118, in Abruzzo 128 e in Calabria 53. Tutti numeri di cui la politica nazionale e la stampa parla poco o quasi niente: in effetti sono numeri risibili rispetto a quello che abbiamo passato nei mesi peggiori e del resto si spera che i controlli e il senso di responsabilità prevalgano, sempre. È bastato vedere quanto si sia arrabbiato il presidente della Regione Veneto Luca Zaia quando un suo cittadino, con i sintomi Covid, ha deciso allegramente di partecipare a feste, compleanni e funerali fregandosene di tutto e di tutti e mettendo a rischio decine di persone.

La situazione è molto delicata e anche un’equilibrata narrazione (da parte dell’informazione e della politica) può evitare allarmismi e troppa leggerezza, tenendo quel sottile equilibrio che permette di non trasmettere fobie ma allo stesso tempo di tenere alta la guardia sui pericoli della pandemia.

Bene, ora andiamo a Roccella Jonica, Calabria, dove tra alcuni migranti sbarcati sono stati trovati 28 positivi al Covid che proprio in queste ore sono stati distribuiti sul territorio. Anche questa è una soluzione delicata: bisogna garantire sicurezza ai cittadini e bisogna organizzare un isolamento che garantisca sicurezza a tutti. Ora provate ad ascoltare come questi 28 (paragonati ai numeri generali) siano raccontati da certa stampa e da certa politica. Ricordatevi anche che in Italia, purtroppo, è iniziata la pandemia occidentale e ricordatevi per quante settimane siamo stati noi gli untori agli occhi del mondo. È il solito caos strumentale su alcune situazioni particolari che non tiene conto della situazione generale. È il solito sciacallaggio che riformula la realtà per un pugno di voti. E ancora una volta ci ricadiamo.

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Decidere di non decidere

Sul ponte di Genova si consuma un errore politico che abbiamo vissuto più volte e che tutte le volte sembra che ci dimentichiamo con facilità: promettere, parlare, dire e ridire, accusare e poi non fare

Blocchiamo subito tutti quelli che ci dicono che con quegli altri (Salvini e compagnia cantante) sarebbe stato molto peggio: lo sappiamo, lo sappiamo benissimo ma non ci basta per stare zitti e non vogliamo stare zitti. Sul ponte di Genova si consuma un errore politico che abbiamo vissuto più volte e che tutte le volte sembra che ci dimentichiamo con facilità e ci incagliamo di nuovo: promettere, parlare, dire e ridire, accusare e poi non fare.

Decidere di non decidere è comodissimo, mica solo in politica, proprio nella vita: c’è gente che decide di non decidere, di rompere amicizie che andrebbero rotte e se le trascina per anni e ogni volta che accade qualcosa ritira fuori dal cilindro tutte le colpe degli anni precedenti. Accade anche nei rapporti di coppia. È il metodo perfetto per incancrenire le relazioni e per distruggere chirurgicamente tutto quello che è stato. Non si decide di prendersi le proprie responsabilità ma si rimane comodamente nella posizione di chi può in qualsiasi momento recriminare. Bello comodo, eh?

Sul decidere di non decidere poi, se ci pensate, si gioca anche la vita di molti incompiuti: sono quelli che per non fare accadere le cose, perché non ne hanno il fegato, fanno in modo che le facciano accadere gli altri. In pratica: non faccio succedere qualcosa ma faccio di tutto perché succeda ma non se ne possa dare a me la responsabilità.

Sul ponte di Genova è accaduto lo stesso: mentre quelli costruivano il ponte si diceva che i Benetton erano sporchi e cattivi ma nel frattempo nessuno si dedicava a sistemare le carte e le regole perché le cose cambiassero.

Così ci ritroviamo qui: il ponte di Genova, il nuovo ponte, è finito e i concessionari sono ancora gli stessi ritenuti colpevoli del disastro. Sappiano i nostri politici che possono fare tutto il chiasso che vogliono ma qui da fuori tutto risulta goffo, inutile e piuttosto ridicolo.

Buon giovedì.

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Caso Regeni: l’Egitto ci prende in giro e il governo fa finta di niente

Ma cosa deve succedere ancora? L’Egitto deve bombardarci? Devono mandarci un figurante che finge di essere Giulio Regeni e fa “ciao ciao” con la manina in un video finto mandato in mondovisione? Devono accusare di terrorismo i magistrati romani? Devono raccontarci che il giovane ragazzo italiano è stato rapito dagli alieni e ucciso in una battaglia interstellare? Cosa deve succedere ancora perché uno, uno solo, uno qualsiasi degli esponenti del governo, cominci a alzare la voce e prendere un provvedimento che sia uno, uno solo, che non passi dalla vendita tutta compiaciuta di armi e navi?

Ieri i magistrati egiziani, dopo più di un anno, si sono presentati in videoconferenza ai magistrati italiani che indagano sul barbaro omicidio di Giulio Regeni e sono riusciti a non dare mezza risposta che sia mezza alle richieste. Dopo 14 mesi, non c’è nemmeno l’elezione del domicilio dei cinque indagati, tutti appartenenti ai servizi di sicurezza egiziana. E non solo: il procuratore egiziano Hamada Elsawy ha avuto anche l’ardire di chiedere (lui a noi) cosa ci facesse Regeni in Egitto, quasi alla ricerca di una giustificazione di quel massacro.

Addirittura la Procura egiziana emette un comunicato in cui sostiene che “Roma toccherà con mano la nostra trasparenza“, fingendo di non sapere che proprio alcuni giorni fa la famosa trasparenza egiziana ha inviato dei presunti effetti personali di Giulio Regeni che si sono rivelati falsi.

I genitori di Giulio, logorati da uno stillicidio continuo dal giorno della morte del figlio, hanno criticato l’atteggiamento egiziano “dopo quattro anni e mezzo dall’uccisione di Giulio e senza che nessuna indagine sugli assassini e sui loro mandanti sia stata seriamente svolta al Cairo”. E criticano ancora una volta il governo italiano per la sua linea della “condiscendenza”, del “stringere mani” e del “fare affari con l’Egitto”.

Perfino il presidente della Commissione d’inchiesta per la morte di Regeni, Erasmo Palazzotto, dice che “non abbiamo motivo di essere fiduciosi perché fino ad ora da parte egiziana sono arrivati soltanto tentativi di depistaggio e di coprire la verità”.

I genitori chiedono il ritiro dell’ambasciatore, il governo dice che ci pensa, una cosa è certa: a Giulio hanno massacrato la faccia, ma il governo italiano sembra volere fare tutto quello che serve per perderla. In tutto questo Patrick Zaky è prigioniero da 140 giorni, in attesa di un processo, mentre l’Italia fa finta di nulla. Quando finisce la pazienza?

Leggi anche: 1. I genitori di Giulio Regeni: “Un fallimento l’incontro tra pm italiani ed egiziani” / 2. Palazzotto a TPI: “Siamo in ritardo, ma vogliamo sapere la verità” / 3. Conte in audizione alla Commissione Regeni: “Da Al Sisi disponibilità, ora aspettiamo i fatti” / 4. L’Egitto acquista 2 navi militari italiane e tappa la bocca all’Italia sul caso Regeni

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Bisognerebbe avere avuto fame

È una questione di cui sembra non occuparsi nessuno eppure è uno dei mali endemici di questo tempo: l’incapacità di provare empatia permette il proliferare del razzismo, del bigottismo, del perbenismo, del cattivismo e di molti altri -ismi che continuano a infestare il nostro presente.

Così viene facile portare avanti il modello dell’italiano medio che si infastidisce per il povero o per l’affamato e che crede addirittura di difendere il proprio Paese. Il problema non è solo l’odio per gli stranieri, no, non è solo quello: a molti fa schifo la povertà, l’indigenza, ne hanno un terrore atavico e la allontanano perché sono terrorizzati solo dall’idea di incrociarla per strada. Come i bambini che strizzano gli occhi per scappare da un momento che faticano a sopportare questi non vogliono vedere, non vogliono sapere e così riescono addirittura a trovare maleducato e sconveniente avere fame, essere schiavi e essere poveri.

È tutta mancanza di esperienza e di empatia. È una società che ancora si illude di poter essere nata tra i “non poveri” e di non rischiare mai di finirci. Eppure sarebbe così diversa la politica, il giornalismo, la socialità, lo stare insieme se riuscissimo a immaginare cosa significhi avere avuto fame, non avere i soldi per pensare al giorno successivo, non avere un futuro di sicurezza e di libertà.

Qualcuno potrebbe pensare che dovremmo viverlo per potercene rendere conto eppure augurare una carestia per poter diventare un popolo migliore non sembra una via fattibile e nemmeno troppo responsabile.

E quindi come si empatizza? Studiando, studiando, studiando, leggendo, rimanendo curiosi, vedendo gli altri, ascoltando gli altri, smettendo di vedere il mondo dalla nostra unica personale lente d’osservazione. E sarebbe bello che qualcuno, anche della classe dirigente, avesse il coraggio di dirlo forte e chiaro, piuttosto che cincischiare per continuare a lisciare i perbenisti.

Buon giovedì.

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Hanno paura perfino della solidarietà

A Pescara il centrodestra ha respinto una mozione che esprimeva solidarietà alle vittime di un’aggressione omofoba e invitava il Comune a costituirsi parte civile nel processo

A Pescara un venticinquenne molisano la notte tra il 25 e il 26 giugno stava camminando sul lungomare insieme al suo fidanzato, un ventiduenne del posto. Ha incrociato un gruppo di ragazzi (tra cui una ragazza) che hanno cominciato a insultarlo (con insulti ovviamente omofobi) e poi hanno finito per pestarlo. In sette contro uno perché non tutti gli stronzi sono omofobi ma tutti gli omofobi sono stronzi. Il ragazzo è finito in ospedale con la mascella fratturata e ovviamente la notizia ha scosso la città. La colpa dei due ragazzi era quella di tenersi per mano.

La notizia di per sé potrebbe sembrare solo l’ennesima notizia di aggressione omofobi ma c’è un altro particolare che conviene raccontare: nel consiglio comunale di Pescara le opposizioni presentano una mozione per dimostrare solidarietà al ragazzo e per chiedere che il Comune si presenti come parte civile nel processo. Dovrebbe essere normale che una città ci tenga a non essere identificata in un gruppetto di vigliacchi che hanno svergognato un’intera comunità.

E invece niente. Indovinate chi ha votato contro?

Antonelli Marcello – Lega
Carota Maria Rita – Lega
Croce Claudio – Forza Italia
D’Incecco Vincenzo – Lega
Di Pasquale Alessio – Forza Italia
Foschi Armando – Lega
Montopolino Maria Luigia – Lega
Orta Cristian – Lega
Rapposelli Fabrizio – Fratelli d’Italia
Renzetti Roberto – Forza Italia
Salvati Andrea – Lega

La mozione ovviamente è stata bocciata. Loro sono così: hanno una paura fottuta della solidarietà perché li mette con le spalle al muro sulle proprie posizioni. Con il giochetto del dire che bisogna esprimere solidarietà a tutti riescono a non esprimere solidarietà a nessuno. Del resto dalle parti del centrodestra non hanno ancora capito che i diritti sono spesso quelli degli altri. Finché un giorno non capiterà che gli altri saranno qualcuno di loro, di quelli privilegiati e comodi e allora vedrete che gran gazzarra.

Buon mercoledì.

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A Salvini è stato impedito di tenere un comizio? No, è lui che ha provocato i contestatori

Ieri c’è stata una mezza apparizione di Matteo Salvini a Mondragone, contestato da praticamente tutti tranne quelli che ha chirurgicamente ripreso mentre chiedevano un selfie per intossicare la narrazione della giornata, e Roberto Giachetti, deputato di Italia Viva sempre pronto a trollare per farsi notare, ha scritto sul suo Twitter: “Sarà un ciarlatano, un provocatore, un cazzaro. Ma non esiste al mondo che in un paese democratico ad un esponente politico (per di più il segretario del maggiore partito italiano) venga impedito di fare un’iniziativa politica”.

Curioso come San Tommaso sono andato a cercarmi i video che riprendono il comizio di Matteo Salvini per capire cosa possa essere successo perché il leader della Lega sia addirittura stato costretto a interrompere il suo comizio. È un’esperienza rivelatrice, provateci anche voi. Partiamo dal presupposto che su Mondragone si sta vivendo l’esplosione di una difficoltà endemica che parte dal lontano, semplicemente appuntita dalla pandemia e che fa rima con la povertà di molti abitanti e con le disastrose situazioni lavorative. A Mondragone si è accesa una guerra tra disperazione e andare a lucrare sul contesto per farsi notare è di per sé una bassa provocazione: a Mondragone i politici, tutti i politici, dovrebbero andarci per chiedere scusa e poi dovrebbero semplicemente fare, nei luoghi preposti, fare.

Matteo Salvini invece è arrivato a Mondragone con il suo solito copione di chi elogia le bellezze italiane senza dare sensazione di conoscerne i problemi e ha cominciato a accendere gli animi contro “i rom” (riferendosi alle famiglie di bulgari sfruttati da italianissimi imprenditori delle campagna casertane) e ha poi risposto alle contestazioni (che sono legittime, in democrazia) prima con le offese (“balordi”, “gente da centri sociali”) e poi addirittura invitandoli a lanciare ancora più acqua verso di lui (“così mi rinfresco che fa caldo”) finendo addirittura per accusare i contestatori di essere contigui alla camorra.

Vale la pena vedere un leader di partito comportarsi come un semplice provocatore. Vale la pena vedere le forze dell’ordine caricare su gente che alza le braccia e fa segno di allontanarsi volontariamente. Vale la pena mettere a confronto la serietà con cui si approccia la politica con la muscolosità di chi cerca lo scontro per farla diventare notizia. Vale la pena, prima di ogni valutazione.

Leggi anche: 1. Sfruttati e trattati da untori: i moderni schiavi di Mondragone, vittime del razzismo italiano / 2. Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura 

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