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“No al Sala bis”: il M5S Lombardo chiude le porte alla ricandidatura del sindaco di Milano

Il sindaco di Milano Beppe Sala annuncia la sua candidatura per il secondo mandato alla guida del Comune di Milano ma dal Movimento 5 Stelle in Regione Lombardia arriva subito una netta e decisa presa di distanze. TPI.it ha intervistato Dario Violi, consigliere regionale del M5S e candidato presidente nel 2018.

Violi, Beppe Sala annuncia la sua candidatura…
“Ah. Quindi alla fine non ha trovato niente di meglio?” (Sorride)
In che senso?
“È un’evidenza dei fatti: Sala ha preso tempo solo perché gli andava stretta la sua candidatura a sindaco. Qui a Milano lo sanno tutti.”.
E voi come Movimento 5 Stelle cosa ne pensate della sua ricandidatura?
“A noi cambia davvero ben poco. I gruppi locali stanno lavorando da mesi a un programma con tanti punti importanti, per una città che sia più verde e molto diversa da quella che ha in testa Sala. I gruppi locali lavoreranno sicuramente in quella direzione”

Però al governo nazionale siete con il Partito Democratico, perché non dovrebbe ripetersi quello stesso paradigma anche su una città importante come Milano?
“Io sono autonomista nell’anima, soprattutto in queste cose. Va rispettato il territorio e le decisioni che prendono i gruppi del territorio. Con Sala abbiamo discusso politicamente e in modo acceso per l’opera di cementificazione che ha in mente in zona Porta Romana, sarebbe incoerente: lo contestiamo fino a un giorno prima e poi ci andiamo insieme? E poi anche se coì fosse la scelta deve essere dei territori e non deve essere una scelta di comodo e di Palazzo che arriva da Roma”.
Quindi voi avete un giudizio negativo sull’operato di Sala come sindaco?
“Questo andrebbe chiesto ai consiglieri comunali, io direi molto negativo. Le nostre sensibilità su ambiente, sviluppo sostenibile, mobilità sono molto distanti”.

Calenda e Richetti hanno fatto gli auguri a Sala chiedendo al PD di non allearsi con voi. Che ne pensa?
“Quelli dello zero virgola devono parlare male del Movimento 5 Stelle per esistere. Se dicessero “in bocca al lupo a Sala” e basta non se li filerebbe nessuno”.
Quindi nessuna possibilità nemmeno di trattativa con il Partito Democratico?
“Per me è un tema di territorio e non un tema di persone e di partiti. Per me e per tanti di noi. Noi non “trattiamo” con nessuno ma al massimo valutiamo la condivisione dei programmi. Sala l’abbiamo contrastato per 5 anni. La vedo dura. Anche se non sono mai stato uno che dice di no a prescindere”.
E se da Roma vi chiedessero di farlo per la tenuta del governo?
“Sarebbe ridicolo che un governo dipenda da un’alleanza in un comune, anche se importante come Milano. Quel governo non avrebbe senso di esistere”.
A proposito, e gli accordi per le elezioni su Roma?
“Noi andiamo avanti con Virginia Raggi. A quanto pare il PD non vuole. Quegli altri (Calenda e soci) vogliono che vadano con loro. Per noi Virginia Raggi ha lavorato bene in una città in cui si fa molta fatica e con molti interessi anche esterni. Noi abbiamo cercato di portare la città e i suoi conti sulla buona strada”.

Leggi anche: 1. Beppe Sala a TPI: “Se tornassi indietro, parlerei di meno. Non so se mi ricandido a sindaco di Milano” / 2. Esclusivo TPI – Beppe Sala risponde alla lettera del M5S: “Dialoghiamo per la Milano del futuro” / 3. Esclusivo TPI – Milano, la lettera del M5S a Sala: “Confrontiamoci sui programmi contro le destre”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Esclusivo TPI – Beppe Sala risponde alla lettera del M5S: “Dialoghiamo per la Milano del futuro”

TPI pubblica in esclusiva la lettera scritta dal sindaco di Milano, Beppe Sala, in risposta a Massimo De Rosa, capogruppo del Movimento 5 Stelle lombardo, che ieri – sempre in esclusiva su TPI – aveva a sua volta indirizzato una lettera al primo cittadino milanese in cui auspicava un confronto sui programmi per combattere insieme le destre.

La lettera del M5S lombardo muoveva dalle dichiarazioni fatte nei giorni scorsi da Sala sui Cinque Stelle (li aveva definiti “poco competenti“). Nel 2021 nel capoluogo lombardo si terranno le comunali e proprio qualche mese fa il sindaco di Milano aveva incontrato il garante del Movimento Beppe Grillo.

Esclusivo TPI – La lettera di Beppe Sala al M5S lombardo

“Caro Massimo,
ho letto con attenzione la tua lettera. Il Movimento 5 Stelle è un soggetto vivo, complesso e variegato. L’altro giorno, quando ho fatto riferimento al tema delle competenze, ho semplicemente sottolineato che i milanesi le apprezzano e le pretendono dalla politica, ma non intendevo certo denigrare o sottovalutare un movimento giovane che sta facendo esperienze importanti e passi in avanti nella formazione dei suoi gruppi dirigenti.

Come sai, ho sempre guardato con rispetto la strada intrapresa dal Movimento 5 Stelle e non è un mistero che già in tempi non sospetti io auspicassi un dialogo virtuoso tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. Lo dicevo proprio perché ero consapevole che su tanti temi l’elettorato di sinistra e una parte consistente dell’elettorato del Movimento si “parlassero” già, tanto da essere spesso vicini e persino coincidenti. Condivido ciò che dici sulle competenze: esse passano sicuramente dalle battaglie che si fanno, ma anche dalle esperienze e dalle capacità personali, che si formano nel percorso di vita di ciascuno di noi.

Noi riteniamo di avere le idee chiare sulla Milano del futuro, ma ciò non toglie che vogliamo confrontarci rispetto alla costruzione di una città policentrica e in continuo dialogo con le metropoli europee, una città che valorizzi sempre di più il lavoro e che accompagni, con azioni coraggiose e di medio-lungo periodo, la transizione ambientale e la transizione digitale. La nostra amministrazione in questi anni è andata in questa direzione.

Su questi argomenti come su tanti altri ascolterò con piacere le vostre proposte. Confrontiamoci, come peraltro spesso già avviene in Consiglio Comunale, per il bene della città, anche se non siamo parte della stessa coalizione.

Parliamoci, pubblicamente, sui tanti temi che riguardano il futuro dei milanesi. Dialoghiamo, consapevoli delle differenze e dei rispettivi ruoli ma anche dei punti e valori che ci vedono uniti: questo sarà davvero utile per la nostra città, più che ogni discussione a tavolino sulle alleanze elettorali”.

Leggi anche: 1. Esclusivo TPI – Milano, la lettera del M5S a Sala: “Confrontiamoci sui programmi contro le destre”; // 2. L’unico governo oggi possibile (di Giulio Gambino)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Quei migranti che il Governo e l’Europa considerano carne da macello. Proprio come Salvini

Fuori da quelle navi dovrebbero attaccarci un cartello, avere il coraggio di farlo davvero, e scriverci su “carne da maneggiare con cura”. Le persone che continuano a essere alla deriva in questo Mediterraneo così tristemente uguale a se stesso non sono persone come tutti gli altri, non sono gente con un passato e con un presente o chissà perfino un futuro, quelle persone sono carne che non è buona nemmeno da mangiare ma che torna utilissima per il carpaccio della retorica politica e per essere lanciata a fette contro l’avversario di partito.

Se arrivano in Italia, come accade da 12 giorni alla Ocean Viking con a bordo 180 persone, allora sono carne pronta per essere addentata da Salvini e dai suoi amici per raccontare la solita invasione che non c’è e che non c’è mai stata, il tutto condito anche con il terrore del Covid che intanto viaggia per tutto il Veneto nella tasca di un dirigente d’azienda che ha giocato a fare il super eroe. Ma sono carne da macello anche per i partiti di governo, per quelli che vigliaccamente hanno paura di essere considerati troppo buoni, per quelli che invece i migranti li vorrebbero usare come fa certa destra ma non possono per equilibri di governo. E sono carne da macello anche per il presidente del Consiglio, che non riesce a trovare nessuna opportunità fotografica per potersi permettere di parlarne.

Sono carne da maneggiare con cura anche per la ministra Lamorgese, quella che ha usato la ferocia invisibile sui social per contrastare il feroce che è dappertutto sui social: stessi temi, stessi modi, stesso punto di vista ma atteggiamenti diversi che vorrebbero essere rivenduti come una qualità. Che qualità vacua, invece. Sono carne da maneggiare con cura anche i 52 migranti che sono a bordo del mercantile Talia che ha avuto l’ardore di ritardare la consegna del carico per salvare le persone, pensa un po’.

Quella foto di un macchinista che sorregge sulle braccia uno scheletrico profugo molle come un orologio di Dalì è il manifesto dell’Europa che tace e acconsente, che continua a fare i conti per i soldi da sparpagliare in giro ma che non ne vuole sapere di quella carne che arriva dal mare, quella carne che, disdetta, scappa ai carnefici libici che pure paghiamo così tanto e così bene. Non sono più persone, non sono più nemmeno numeri: sono carne da conservare perché non diventi rancida e non puzzi troppo alzando lo sdegno e sono carne a cui trovare un angolo dentro il congelatore senza spostare troppo tutto il resto.

Leggi anche: 1. Salvini e i suoi poliziotti: ma mio figlio ha il coraggio delle sue idee (di Selvaggia Lucarelli) / 2. Beppe Sala a TPI: “Se tornassi indietro, parlerei di meno. Non so se mi ricandido a sindaco di Milano” / 3. Stabilimenti balneari, il Parlamento si inventa il “condono”: concessioni a prezzi irrisori e senza gare

4. Meloni a TPI: “Mentre gli italiani muoioni di fame, il governo pensa a regolarizzare i clandestini” / 5. In Italia crolla la vendita di mascherine: “Calo di due terzi, mentre i contagi aumentano” / 6. Camici per medici forniti da ditta della moglie di Fontana: Procura indaga per turbativa d’asta

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Expo. Di cosa è indagato Beppe Sala. Spiegato bene. E le carte della Procura.

Tanto per capire di cosa stiamo parlando. E, come spesso succede, vale la pena riprendere l’articolo di Affari Italiani. Qui c’è il pdf della Procura: l’avviso di conclusione delle indagini.

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Il sindaco di Milano Beppe Sala e’ accusato di falso materiale e ideologico e turbativa d’asta in relazione alla gara dell’infrastruttura piu’ importante di Expo, la Piastra. I dubbi, secondo quanto si apprende, sarebbero sulla fornitura delle piante per l’Esposizione universale 2015, costate alla ditta 1,6 milioni anziché i 4,3 milioni stanziati.

SALA HA “ADERITO A PRESSIONI DI POLITICI DELLA REGIONE LOMBARDIA” – Stando a quanto si legge nell’avviso di chiusura delle indagini, atto che di norma precede la richiesta di processo, Beppe Sala e’ accusato di turbativa d’asta (articolo 353 comma 2) in concorso con l’ex dg di Infrastrutture Lombarde Antonio Rognoni e con l’ex responsabile dell’Ufficio gare della stessa societa’, Pierpaolo Perez, per “avere turbato la gara cosiddetta della Piastra indetta da Expo 2015 spa con bando in data 20/12/2011 con base d’asta 272.100.000″. A Sala e agli indagati per questa vicenda viene anche contestata l'”aggravante di essere per legge preposti alla gara suddetta”.

Beppe Sala, Pierpaolo Perez e Antonio Rognoni avrebbero turbato la gara piu’ importante di Expo, quella sulla Piastra, per avere “aderito anche su pressione di esponenti politici della Regione Lombardia, ente socio di Expo 2015, nella misura del 20% alle richieste dell’associazione Lombarda Florivivaisti effettuate con lettera del 16 novembre 2011 inviata al Presidente della Regione Lombardia e all’a.d. di Expo 2015 finalizzata all’affidamento della fornitura delle essenze arboree da utilizzare nel sito dell’Espozione Universale 2015 a una o piu’ ditte aventi sede in Lombardia”.

La nuova accusa per Sala, quella di turbativa d’asta, si riferisce a una una fornitura di 6mila alberi che sarebbe stata scorporata dall’appalto principale sulla Piastra dei Servizi in cui era inserita originariamente. Il contratto viene affidato nel luglio 2013, senza gara, alla Mantovani per un importo di 4,3 milioni, 716 euro a pianta. Nel novembre successivo la Mantovani stipula un contratto di subfornitura con un’impresa vivaistica per 1,6 milioni, 266 euro a pianta. Sala e’ inoltre accusato di falso ideologico e falso materiale, per aver retrodatato due verbali per la sostituzione di due commissari di gara che avevano il compito di scegliere l’azienda vincitrice. La Mantovani spa si impose nell’agosto 2012 offrendo, con un ribasso del 42 per cento, soltanto 165,1 milioni: una cifra che “non era idonea neppure a coprire i costi”, annotavano gli investigatori della Guardia di Finanza, segnalando anche “numerose anomalie e irregolarita’ amministrative”, sia nella “scelta del contraente”, sia “nella fase esecutiva”.

Secondo questa impostazione dell’accusa, le pressioni dei politici sarebbero avvenute per non escludere i vivaisti lombardi determinando lo ‘scorporo’ dell’appalto per la fornitura di alberi da quello per la Piastra. A quel punto, tolta la parte relativa al ‘verde’, si sarebbe dovuta rifare tutta la gara della Piastra consentendo in linea ipotetica ad altre imprese di partecipare, quelle escluse in un primo momento perche’, per esempio, non erano in grado di occuparsi anche delle piante. I vivaisti non furono pero’ in grado di far fronte a livello finanziario alla fornitura e alla fine Expo ricorse all’affidamento diretto alla Mantovani che cosi’ si accapparro’ sia la gara per la Piastra che quella per gli alberi. Cosi’ il pg Felice Isnardi ricostruisce la vicenda: “Il 15 marzo 2012 viene individuato nella ditta Peverelli l’affidatario della fornitura (tanto che una prima bozza di gara era formulata con l’indicazione di requisiti tarati sulle caratteristiche della ditta in questione) da eseguire in associazione con un socio finanziario, ovvero uno sponsor, a sua volta individuato nella Sesto Immobiliare spa”. Societa’ che, secondo questa ricostruzione, in cambio, avrebbe avuto dalla Regione la Convenzione per la realizzazione della ‘Citta’ della Salute’. In questo contesto, a Sala viene addebitato di avere turbato le procedure con “mezzi fraudolenti” perche’ “il 23 marzo 2012, senza un provvedimento formale, stralcia la fornitura delle essenze arboree dal bando per la Piastra, scaduto il 20 gennaio 2012”.

“VERBALE RETRODATATO NELLA SUA ABITAZIONE” – Beppe Sala avrebbe falsato un verbale di Expo “nella sua abitazione”. E’ quanto emerge dall’avviso di chiusura delle indagini sulla Piastra di Expo notificato al sindaco con le accuse di turbativa d’asta in relazione a una fornitura di 6mila alberi al sito dell’Esposizione e di falso materiale e ideologico per avere retrodatato dei verbali. Secondo le indagini, Angelo Paris, titolare del procedimento sulla Piastra, avrebbe “fatto recapitare presso l’abitazione di Sala” il presunto atto falsamente datato “per la firma”. Stando alla ricostruzione della Procura Generale, il 15 maggio 2012 viene formalizzata la nomina della commissione aggiudicatrice della gara per la Piastra, l’infrastruttura su cui poi sorgera’ l’Esposizione. Tra i 5 commissari figurano anche l’ingegner Alessandro Moliaioni e il manager Antonio Acerbo, che poi verra’ arrestato per altre vicende. Tre giorni dopo, la commissione si riunisce per la prima volta, si accorge delle due incompatibilita’ e informa Sala che firma “l’annullamento del verbale di nomina della Commissione del 15 maggio e riporta la data falsa del 17 maggio”. Stando a a quanto era emerso dagli accertamenti della Guardia di Finanza, il 30 maggio per ‘salvare’ l’appalto a cui era legato il destino di Expo si sarebbe deciso di preparare un nuovo atto di nomina retrodatandolo al 17 maggio. Per farlo, era necessario l’intervento dell’attuale sindaco che avrebbe cosi’ sottoscritto l’annullamento del vecchio verbale redatto dai tecnici di Infrastrutture Lombarde motivando il provvedimento con l’esistenza di un “errore materiale consistente nella mancata nomina dei commissari supplenti e tacendo invece l’esistenza di una causa di invalidita’ che avrebbe comportato l’annullamento della procedura di gara”. Sempre l’allora Commissario avrebbe poi siglato il nuovo atto dove compaiono anche i due supplenti datandolo falsamente 17 maggio, anche se in realta’ si era al 30 maggio. La nuova nomina sarebbe stata portata dunque a casa di Sala su iniziativa di Paris che poi venne arrestato per altre vicende.

Sala ha saputo dell’indagine dai giornali? Sì, perché il suo avvocato non ha aperto le mail.

(Manuela D’Alessandro per Giustiziami)

Metà del messaggio postato su Facebook in cui Beppe Sala annuncia di voler tornare a fare il sindaco è dedicata al suo “stupore” nell’aver appreso dalla stampa di essere indagato. “Giovedì sera nessuna comunicazione ufficiale al riguardo mi era stata fatta, nessun avviso di garanzia mi era stato notificato (…). Mi direte, non è certo la prima volta. Vero, ciò nondimenno dobbiamo tutti insieme fare uno sforzo per non considerare la cosa ‘normale’. Non lo è se riguarda un cittadino e non lo è se riguarda il sindaco di Milano”.

Questa versione del sindaco sembrerebbe prefigurare una clamorosa violazione del segreto istruttorio a suo danno, con la ‘soffiata’ di una irrispettosa procura generale al cronista di turno. La realtà è ben diversa.

Giovedì sera, la magistratura ha notificato una mail con la richiesta di proroga dell’indagine sulla Piastra di Expo all’avvocato d’ufficio Luana Battista. E’ quello che accade al qualsiasi “cittadino” da lui evocato che non ha già un legale perché non è mai stato coinvolto in quell’inchiesta. Sala dimentica di raccontare che ha saputo dai giornali di essere accusato per la presunta falsificazione di due verbali solo perché l’avvocato d’ufficio non ha aperto la sua posta elettronica, come da lei candidamente ammesso (“Non c’erano nomi noti nella prima pagina, sembrava una nomina come le altre”). Nel frattempo, i giornalisti hanno dato risalto a un atto non più segreto in quanto (in teoria) già conosciuto dall’indagato.

Forse al sindaco da’ fastidio aver saputo troppo tardi che l’accusa a suo carico era ‘solo’ quella di falso.  Quando sono uscite le prime notizie, racconta chi è gli è stato vicino, il suo timore era di essere accusato di turbativa d’asta, il reato attorno a cui ruota l’inchiesta sul più ricco appalto di Expo. Di qui il tono infastidito verso stampa e procura generale: se avesse saputo che doveva rispondere ‘solo’ di avere retrodato dei verbali non si sarebbe cacciato nel limbo scivoloso dell’autosospensione.

Ehm, scusate: il braccio destro di Sala, invece, l’hanno già arrestato ai tempi di Expo. Per dire.

Ma non se lo ricorda più nessuno?

E infatti Sala dichiarò: «”Svolgo da sempre la mia attività professionale credendo nel lavoro di squadra e nella lealtà dei comportamenti. Oggi questa fiducia appare sorprendentemente tradita da una delle persone di Expo” ha detto il commissario unico. “Dal mio punto di vista – ha aggiunto – non intendo sottrarmi alla responsabilità che comunque è sempre in capo a chi guida una società”.

[Qui un articolo per rinfrescarsi la memoria:

Una cupola un po’ di destra e un po’ di sinistra sugli appalti dell’Expo 2015, ma anche sulla sanità lombarda (ancora una volta). Un patto tra chi è stato comunista e chi è stato democristiano con chi, più giovane, gestisce ora gli affari dell’esposizione internazionale di Milano del prossimo anno. Erano garantite “le imprese riconducibili a tutti i partiti” dicono i magistrati dell’inchiesta che oggi, 8 maggio, ha portato a 7 arresti (6 in carcere e uno ai domiciliari).  E nel pomeriggio La Direzione investigativa antimafia ha perquisito per un’ora la sede della società Expo 2015 in via Rovello a Milano. Società che ha convocato un cda straordinario alle 18 per discutere la situazione dopo i nuovi arresti.

Se sia una nuova Tangentopoli, nata all’ombra del grande evento lombardo, è presto per dirlo. Di certo c’è che i protagonisti della storia arrivano da quello che sembrava il passato remoto. La fotografia di gruppo dell’inchiesta assomiglia a una Polaroid ingallita che improvvisamente riprende colore. A finire in cella, infatti, non è solo il direttore della pianificazione acquisti di Expo, Angelo Paris, ma anche personaggi che hanno punteggiato la bufera di Mani Pulite: l’ex segretario regionale della Dc lombarda e parlamentare di Forza Italia (pluricondannato) Gianstefano Frigerio, lo storico esponente del Pci Primo Greganti (il “compagno G”) e l’imprenditore Enrico Maltauro. Gli altri a essere stati raggiunti da un ordine di custodia cautelare in carcere sono stati l’intermediario genovese Sergio Catozzo (ex Cisl, ex Udc infine berlusconiano) e l’ex senatore del Pdl Luigi Grillo, già coinvolto in numerose inchieste (la più nota quella sulla Banca Popolare di Lodi, alla fine della quale è stato assolto in appello). Ai domiciliari, infine, Antonio Rognoni, direttore generale di Infrastrutture Lombarde, già arrestato due mesi fa per presunte irregolarità negli appalti delle opere pubbliche.

La cupola aveva contatti molto in alto – agli atti ci sono le telefonate degli arrestati con Silvio Berlusconi, Cesare Previti e Gianni Letta -, prometteva avanzamenti di carriera e protezioni politiche ai manager, incontrava direttori di aziende ospedaliere, copriva e proteggeva le imprese “riconducibili” a tutti i partiti, comprese “le cooperative”. E appena si verificava un vuoto di potere il gruppo sembrava pronto a riempirlo con qualcuno di “fidato” per poter compiere altri reati, tanto da mandare raccomandazioni al leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, al presidente della Regione Roberto Maroni e al suo vice Mario Mantovani. “Ho mandato un biglietto a Berlusconi, non chiamo nessuno per telefono – dice Frigerio al telefono – Un biglietto per Berlusconi e uno a Mantovani dicendo ‘ma la soluzione migliore si chiama Paris per la direzione’. Una “strategia” per sostituire proprio l’ex dg di Infrastrutture Lombarde Rognoni. E il 3 febbraio, scrive il gip, proprio Paris partecipa a una cena ad Arcore.

La cupola che proteggeva “le imprese riconducibili a tutti i partiti”
In Lombardia sarebbe esistita una vera e propria “cupola per condizionare gli appalti”, alcuni dei quali relativi anche ad Expo, come hanno spiegato i magistrati. La “cupola” prometteva “avanzamenti di carriera” grazie a “protezioni politiche” a manager e pubblici ufficiali. Racconta il pm Claudio Gittardi che Paris in un’intercettazione telefonica agli atti dice in sostanza: “Io vi do tutti gli appalti che volete se favorite la mia carriera”. E il “compagno G”? Secondo gli inquirenti “copriva e proteggeva le cooperative”: la “saldatura” tra Greganti e Frigerio “proteggeva le imprese riconducibili a tutti gli schieramenti politici”. Nelle carte dell’inchiesta compaiono, a quanto si è appreso, i nomi di Silvio BerlusconiCesare Previti e Gianni Letta, che però non risultano indagati. L’inchiesta che ha portato anche ad una serie di perquisizioni da parte della Guardia di Finanza  e della Dia milanese, vede al centro i reati di associazione per delinquerecorruzioneturbativa d’astarivelazione e utilizzazione del segreto d’ufficio.

“Viavai continuo di imprenditori, dg di Asl, politici”
La “sede sociale” dell’associazione per delinquere che avrebbe “inquinato” gli appalti era un’associazione culturale intitolata a Tommaso Moro, lo scrittore umanista autore di “Utopia”. “Neanche la sua fantasia sarebbe arrivata a tanto”, ha affermato il procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati. Frigerio era il presidente del Centro Culturale Tommaso Moro e alcuni imprenditori, secondo i pm, avrebbero anche dato “soldi per una pubblicazione riferibile al figlio di Frigerio”. Nel centro, secondo il pm Gittardi, “c’era una viavai continuo di imprenditori, dg di aziende ospedaliere, personaggi di rilievo politico” e poi una serie di incontri si svolgevano anche “in alberghi, ristoranti, nel corso di cene a Milano e Roma”. Gli incontri si svolgevano, come ha spiegato il pm D’Alessio, “anche a Roma ogni mercoledì”. La “struttura” associativa, come ha sottolineato Bruti Liberati, “ruotava attorno a Frigerio, Greganti, Grillo come organizzatori dell’associazione” e aveva per “partecipi Cattozzo, Paris e Maltauro”. Frigerio, invece, aveva a disposizione, in particolare, una “squadra” di dg di aziende ospedaliere lombarde. Questa, hanno sottolineato i pm, “non è un’indagine sull’Expo, ma è anche un’indagine sull’Expo”.

Una ventina di indagati: “Squadra di direttori generali degli ospedali a disposizione della cupola”
Sono 12 le misure cautelari rigettate per un totale di circa 20 indagati. Il pm Antonio D’Alessio parla di “ramificazioni in diversi settori dell’amministrazione e agganci politici” di qualsiasi schieramento. Era una struttura, continuava il magistrato, capace di “avvicinare il pubblico ufficiale per ottenere anticipi di bandi e di procedure di gara” ad esempio relativi al progetto delle Vie d’acqua o all’area parcheggi per Expo. In questo senso è “sorprendente la disponibilità” di Paris “di mettere a disposizione informazioni riservate”. Un’organizzazione che si “rivolge a pubblici ufficiali promettendo avanzamenti di carriera in cambio di protezione politica” e che ha dalla sua parte – aggiunge il pm Gittardi – una “capacità impressionante di interventi in appalti sanitari, con una squadra di direttore generali e amministratori a sua disposizione“. C’è un richiamo “fortissimo a far parte di una squadra, la capacità di coprire tutte le aziende operative con collegamenti e protezioni” riferibili “a qualsiasi schieramento politico”, conclude. Gli inquirenti milanesi stanno indagando anche su ipotesi corruttive relative a forniture sanitarie a favore, tra le altre, delle aziende ospedaliere di Melegnano e Pavia, per le quali risultano indagati Patrizia Pedrotti e Paolo Moroni, rispettivamente direttore amministrativo e generale del presidio di Melegnano, e Daniela Troiano direttore generale dell’azienda ospedaliera di Pavia.

“Condizionati appalti sui servizi e sull’area parcheggi”
I pm titolari dell’inchiesta – il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, i sostitutiClaudio Gittardi e Antonio D’Alessio, assieme a Bruti Liberati – hanno chiarito che l’associazione per delinquere “operativa da un anno e mezzo o due” avrebbe condizionato o tentato di condizionare almeno da metà del 2013 alcuni appalti dell’Expo, tra cui la gara per “l’affidamento per le architetture di servizi”, che sarebbe stata pilotata a favore dell’imprenditore vicentino Enrico Maltauro, anche lui finito in carcere. Maltauro, sempre secondo i pm, avrebbe versato “30-40mila euro al mese” in contanti o come fatturazione di consulenze alla “cupola degli appalti”. Paris, importante manager dell’Expo e, in particolare, responsabile dell’Ufficio contratti, avrebbe dimostrato “a partire dal settembre-ottobre 2013 piena disponibilità nei confronti del sodalizio” e sarebbe stato “totalmente a disposizione”, tanto che, sempre secondo i pm, “avrebbe fornito notizie riservatesulle gare d’appalto e pilotato le assegnazioni”. Al centro dell’inchiesta ci sono poi alcuni altri appalti “minori” di Expo come quello “dell’area parcheggi”. Le indagini poi avrebbero accertato anche la presunta aggiudicazione illecita di appalti per alcune “aziende ospedaliere lombarde” e del progetto “Città della Salute”, nuovo polo che dovrebbe sorgere a Sesto San Giovanni e che dovrebbe riunire il “Besta” e l’istituto tumori. Ma non solo: la “cupola” secondo i pm è riuscita anche a condizionare un appalto con al centro Sogin per lo smaltimento di scorie nucleari.

L’indagine è nata da un’altra inchiesta che nei mesi scorsi aveva portato all’arresto dell’ex consigliere lombardo, Massimo Gianluca Guarischi (ora sotto processo), per presunte tangenti nella sanità lombarda, un filone questo che vede indagato in una tranche (distinta dall’inchiesta scaturita nel blitz di stamani) anche l’ex presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni.

Frigerio, il parlamentare di B. graziato dal Parlamento
Gianstefano Frigerio
, attuale collaboratore dell’ufficio politico del Ppe a Bruxelles, è stato condannato definitivamente a tre anni e nove mesi per le mazzette sulle discariche lombarde (corruzione) e a due anni e undici mesi in altri due processi della Tangentopoli milanese (concussione, corruzione, ricettazione, finanziamento illecito), salvo per prescrizione nel processo Enel (corruzione), diventa deputato di Forza Italia nel 2001 (ha un posto sicuro in Puglia, col nome cambiato in “Carlo” per camuffarlo meglio), ma non riesce a entrare alla Camera perché lo arrestano subito. Mentre il presidente Pierferdinando Casini inaugura i lavori della 14esima legislatura invocando la Madonna di San Luca, i giudici di Milano provvedono all’arresto dell’onorevole pregiudicato. Poi ottiene un ricalcolo della pena, con un congruo sconto, e accede ai servizi sociali. Che riesce a scontare in Parlamento. Nel 2006, privo del diritto di voto a causa dell’interdizione dai pubblici uffici, non viene ricandidato. Ma rimane responsabile dell’Ufficio dei dipartimenti di Forza Italia e collaboratore del Giornale di Paolo Berlusconi, che negli anni Novanta gli pagava le tangenti. Il suo caso in Parlamento dette qualche speranza proprio a Berlusconi quando – a pochi mesi dalla condanna definitiva per la frode fiscale di Mediaset – l’ex Cavaliere tentava in tutti i modi di rimanere senatore, evitando non solo la decadenza – poi avvenuta con il voto di Palazzo Madama – ma anche l’interdizione dai pubblici uffici.

Il compagno G, 21 anni dopo
L’ex Compagno G, ex cassiere di Pci e Pds, classe 1944, fu tra i pochi a rifiutare ogni collaborazione con i magistrati ai tempi di Tangentopoli. Era il primo marzo 1993 quando Greganti venne arrestato in esecuzione di un ordine di custodia firmato dallo “storico” gip di Mani Pulite Italo Ghitti su richiesta del pm Antonio Di Pietro, con l’accusa di corruzione, per aver ricevuto in Svizzera, tra il 1990 e il 1992, 621 milioni dal gruppo Ferruzzi per appalti Enel. Denaro che, secondo la magistratura, rappresentava la prima delle due quote riservate al Pci-Pds delle tangenti concordate con il sistema dei partiti (l’1,6 per cento sul valore delle commesse). A fotografare quella ripartizione di mazzette ai magistrati milanesi era stato Lorenzo Panzavolta, amministratore della Calcestruzzi di Ravenna, l’uomo che fece materialmente i versamenti estero su estero. In seguito i versamenti accertati “lievitarono” a tre: 621 milioni depositati il 21 novembre 1990 sul conto “Gabbietta” intestato a Greganti alla Banca di Lugano; 525 milioni nel settembre 1992 sul conto 294469 alla Banca del Gottardo di Zurigo, sempre nella disponibilità di Greganti; 100 milioni consegnati personalmente nello stesso 1992 al compagno G. Il quale negò sempre ogni addebito e continuò a ripetere che si trattavano di consulenze personali. Alla fine di un’inchiesta “contrastata” che vide gli inquirenti milanesi dividersi e scontrarsi sul capitolo Pci-Pds, Greganti venne condannato a 3 anni e 7 mesi per finanziamento illecito al suo partito, pena successivamente patteggiata e ridotta a 3 anni e confermata dalla Corte di Cassazione nel marzo 2002, ulteriormente ridotta di sei mesi dopo che Greganti aveva già scontato in regime di carcerazione cautelare a San Vittore durante le indagini. Del “compagno G” in seguito si è saputo poco o nulla. Solo che aveva “abbandonato” la politica e si dedicava ad affari privati. In passato ha anche difeso la “rivoluzione” giudiziaria milanese sostenendo che “seppur con errori ed eccessi, senza quell’inchiesta saremmo finiti come l’Argentina”.

Greganti e il Pd
Ma Greganti ha davvero abbandonato gli ambienti del Pd? Il Pd si è davvero liberato di Greganti? Nel 2010 Europa raccontava che il compagno G raccoglieva soldi per il partito. O meglio: alla festa nazionale del partito, a Torino, era addetto al “coccardaggio“, cioè l’applicazione dell’adesivo sul petto dell’ospite in arrivo. Scrisse anche un libro (Scusate il ritardo) in cui difendeva il suo operato e quello del Pci. Sembrava scomparso, ma un mese e mezzo fa il suo nome è ricomparso al principale evento del Pd regionale: la candidatura di Sergio Chiamparino alla Regione Piemonte, dopo gli scandali che hanno contraddistinto l’ultima parte del mandato del presidente uscente Roberto Cota.

L’ex pm Colombo: “Dopo 22 anni nulla è cambiato”
“Dopo più di vent’anni questi arresti mi lasciano allibito” afferma all’Adnkronos l’ex pm di Mani Pulite, oggi consigliere Rai, Gherardo Colombo. Della “vecchia” inchiesta sul Pci-Pds, Colombo non si occupò direttamente e non interrogò mai Primo Greganti. Più volte però l’ex magistrato ha avuto modo di sentire Frigerio, anche lui coinvolto oggi nell’indagine milanese, come Greganti protagonista di Tangentopoli. “Sembra proprio – dice ancora Colombo – che la corruzione in questo Paese non finisca mai. Certo, la magistratura dovrà accertare quelli che al momento sono solo ipotesi di reato”. Ipotesi che però, se confermate, “danno un brutto polso dello stato di salute di questo Paese. Un Paese dove, dopo 22 anni, nulla è cambiato”. “Gli arresti di oggi – conferma in un tweet un altro ex pm di Mani Pulite – confermano la necessità di una nuova Mani Pulite. Il Parlamento si dissoci da coloro che hanno problemi di giustizia”.

(fonte)]

Expo, Sala e le indagini sul maxi appalto. Spiegate bene.

C’è il falso materiale e va bene. C’è quel documento retrodatato e una “commissione ombra” per non bloccare l’assegnazione dei lavori della Piastra di Expo. Per questo Beppe Sala rischia di finire a processo. E già domani forse si presenterà davanti al sostituto procuratore generale Felice Isnardi per farsi interrogare. Ma c’è qualcosa di più grave che emerge dalle carte dell’inchiesta avocata dalla Procura generale di Milano. Ovvero l’intera gestione del maxi appalto da 272 milioni, prima e dopo l’affidamento. C’è una condotta di Sala che tutto sembra tranne quella incentrata alla tutela del bene pubblico e alla gestione trasparente di un’opera strategica. Eppure, ed ecco il paradosso, per questo aspetto il sindaco di Milano ed ex ad di Expo spa non rischia alcuna imputazione. Partiamo dalla fine e dalle conclusioni della Guardia di finanza sulla vicenda Expo. “La condotta del management di Expo – si legge a pagina 672 – e in primis dall’ad Giuseppe Sala non appare né irreprensibile né lineare”, perché “attraverso condotte fattive ed omissive hanno comunque contribuito a concretizzare la strategia volta a danneggiare indebitamente la Mantovaniper tutelare e garantire, si ritiene, più che la società Expo, il loro personale ruolo all’interno della stessa”.

La vicenda Piastra svela un sistema che mette insieme interessi politici e carriere personali. Sala, in questo, risulta assoluto protagonista. Ecco allora i fatti. La Mantovani spa nell’estate del 2012 si aggiudica l’appalto con un ribasso di poco sotto il limite di legge e lo fa sorprendendo l’intero sistema Milano. Intercettazioni e verbali d’interrogatorio svelano che prima di Mantovani i favoriti erano da un lato Impregilo e dall’altro Pizzarotti. I loro padrini erano da un lato l’ex ad di Infrastrutture Lombarde Antonio Rognoni e l’ex governatore, oggi senatore, Roberto Formigoni. Vince, invece, Mantovani che pare godere di importanti appoggi politici, mediati, forse, dai soci della Socostramo, i fratelli Cinque molto vicini all’ex ministro dei Trasporti Altero Matteoli. L’azienda veneta mette così in allarme il sistema che reagisce. Da un lato con l’opera di Rognoni e l’accordo dello stesso Sala si aggiungono clausole economiche non previste per danneggiare Mantovani, dall’altro, però, viene evitata una più che dovuta verifica di congruità dell’offerta che avrebbe imposto una revisione completa del progetto allungando pericolosamente i tempi dei lavori.

Ed ecco il risultato dell’agire di Sala e dei suoi manager: “Pur mostrando una formale diffidenza – scrive la Finanza – si ottiene l’effetto di dare definitiva copertura a un’impresa illecitamente favorita”. Tradotto: le poltrone si tutelano limitando il raggio d’azione dell’intrusa Mantovani, che però va remunerata per non rischiare di far finire Expo a gambe all’aria. Mantovani grazie a forze politiche esterne e più potenti del sistema Milano sale su una carrozza che non è stata preparata per lei. Posizione ideale per battere cassa utilizzando il ricatto di “metter in discussione l’intero evento”. Di trasparente c’è poco. E così se da un lato Sala asseconda l’operato di Rognoni nell’ostacolare Mantovani, dall’altro apre la cassaforte di Expo all’ad di Mantovani Piergiorgio Baita. Ricordiamolo: il ribasso è del 41,8%, sull’importo iniziale si lima fino a 149 milioni. Nemmeno in grado di coprire le spese. Mantovani deve recuperare i soldi. Baita ne parla con l’ex dg di Expo, Angelo Paris. “In sostanza – riassumono i pm – l’imprenditore richiede che vengano riconosciuti ulteriori 50 milioni grazie alle riserve”. Il progetto doveva essere “elastico”, ovvero passibile di varianti. E così fu fin dall’inizio. Il giorno dell’aggiudicazione provvisoria, il responsabile unico del procedimento Carlo Chiesa dice a Sala: “Con il ribasso, lo sanno tutti che alla fine visto che devono fare delle varianti una parte la recuperano”.

Un concetto che Sala semplifica nei colloqui riservati con il presidente di Mantovani: “I soldi non mancano”. E i soldi arrivano, perché Expo non può fare altrimenti. A testimoniarlo l’Audit interno di Expo. Si legge: “Sono stati riscontrati reciproche richieste tra i soggetti coinvolti, finalizzate a recuperare da un lato i ritardi accumulati e dall’altro i maggiori compensi con la conseguente introduzione di elementi negoziali non coerenti (…). Le opere complementari sono sprovviste di proposta formale del Rup”. Il pm chiede a Baita: “Come è possibile che Mantovani si sia fidata di eseguire lavori priva dei supporti autorizzativi?”. Risposta: “Mantovani si relazionava con Sala, e riceveva rassicurazioni”. L’appalto di 272 milioni, affidato a 149, è costato 290. Ovvero 20 milioni in più.

(Davide Milosa, fonte)

Ecco la moratoria della Procura su Expo (di Frank Cimini e Manuela D’Alessandro)

(dal sito giustiziami, che vale la pena tenere tra i preferiti, di Frank Cimini e Manuela D’Alessandro)

Chissà, magari Beppe Sala, il ‘sindaco della procura‘ ha provato a prendersi la palma del peggiore in questa storia di malagiustizia, inventandosi l’autospensione che tecnicamente esiste ma politicamente assomiglia molto a una pagliacciata. Ha provato ma non ci è riuscito, perché è fuor di dubbio che quella palma appartiene alla procura di Milano (non ai pm Robledo, Filippini, Pellicano e Polizzi che ci ‘provarono’), alla moratoria delle indagini su Expo che adesso con anni di ritardo per sei mesi cercherà di fare la procura generale dopo aver avocato il fascicolo.

Sala poteva restare al suo posto perché è un semplice indagato dopo essere stato archiviato per l’assegnazione a Oscar Farinetti senza gara pubblica oppure poteva dimettersi. Invece si è autosospeso dopo aver saputo di dover rispondere di concorso in falso materiale e ideologico, la retrodatazione del cambio di due componenti della commissione aggiudicatrice sulla piastra. Non è una quisquilia si parla di verbali di riunione falsificati.

Milano rischia di tornare al voto in primavera, pagando un prezzo salato alla celebrazione costi quel che costi di Expo. C’era fretta, non si potevano rispettare le regole, non c’era tempo. La stessa spiegazione fornita per l’affaire Farinetti. Con la procura di Milano che aderisce e di fatto copre. Ma la magistratura copre anche se stessa perché per i fondi di Expo giustizia non era stata indetta la gara pubblica e tutti possono ammirare da anni gli inutili schermi appesi per tutto il Palazzo acquistati con quei fondi.

Fin qui era andata bene alla procura e a Sala diventato sindaco di Milano perché le indagini non erano state approfondite. Non tutte le ciambelle riescono con il buco. Si mettevano di mezzo un gip che rigettava l’archiviazione per la piastra e la procura generale che avocava. I boatos del palazzo riferiscono che dietro ci sarebbe anche una storia di correnti in lotta tra loro. Quelle correnti che al Csm fanno da sempre il bello e il cattivo tempo. E del resto il Csm rifiutò di aprire una pratica al fine di verificare l’esistenza o meno della moratoria della quale questo umile blog aveva iniziato a parlare nell’aprile del 2015, molto tempo prima dell’inaugurazione di Expo. Una voce nel deserto. Adesso la moratoria è sempre più chiara. Matteo Renzi da premier ringraziò due volte l’allora procuratore Edmondo Bruti Liberati per il senso di responsabilità istituzionale inserito tra le ragioni del sucesso di Expo.

Comunque sia si indaga sia pure con ritardo e va considerato pure che a maggio Felice Isnardi il sostituto procuratore generale titolare del fascicolo compirà 70 anni e andrà in pensione. Magari prima di andare potrebbe anche convocare come testimone Renzi per chiedergli: “Scusi a che cosa si riferiva esattamente?”. (frank cimini e manuela d’alessandro)

Beppe Sala indagato per appalto Expo

Il sindaco di Milano Giuseppe Sala è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura del capoluogo lombardo nell’ambito dell’inchiesta sulla Piastra di Expo, l’infrastruttura più costosa realizzata nel sito di Rho Pero dalla ditta Mantovani. La notizia emerge dalla richiesta di proroga delle indagini inviata dal sostituto procuratore generale Felice Isnardi, che ha chiesto altri sei mesi di tempo per approfondire la vicenda, dopo aver avocato a sé l’inchiesta. La Procura, al contrario, puntava sull’archiviazione ma il gip Andrea Ghinetti si è opposto. Nell’atto firmato dal sostituto pg Isnardi, da quanto confermato a LaPresse dall’avvocato Federico Cecconi, legale di Antonio Acerbo (indagato insieme al presidente della Mantovani Spa), si parla di possibili “nuove iscrizioni” e della “necessità di sentire altre persone informate sui fatti” e in generale di approfondire ancora le indagini. Da quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, invece, tra gli indagati c’è anche un nome più illustre degli altri: quello del primo cittadino Pd di Milano.

Gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria, del resto, dopo che la Procura aveva iscritto nel registro degli indagati i primi nomi, avevano scritto tra le altre cose che anche l’allora amministratore delegato di Expo Giuseppe Sala, il responsabile unico all’epoca del procedimento Carlo Chiesa e l’allora general manager Paris non avrebbero tenuto un comportamento “irreprensibile e lineare”. Pur “con gradi di responsabilità diversi – chiariva la Gdf – attraverso le loro condotte fattive ed omissive hanno comunque contribuito a concretizzare la strategia volta a danneggiare indebitamente la Mantovani (impresa che vinse l’appalto con un ribasso di oltre il 40%, ndr) per tutelare e garantire, si ritiene, più che la società Expo 2015 Spa il loro personale ruolo all’interno della stessa”. Sala, poi, come ha messo a verbale l’ex dg di Infrastrutture Lombarde spa Antonio Rognoni, avrebbe detto al manager che “non avevano tempo per potere” verificare la congruità dei “prezzi che erano stati stabiliti da Mantovani” nel corso dell’esecuzione del contratto con l’inserimento di costi aggiuntivi, e “per verificare se l’offerta era anomala o meno”.

L’inchiesta condotta dai pm Paolo FilippiniRoberto Pellicano e Giovanni Polizzi, poi avocata dalla procura generale di Milano, del resto riguarda l’assegnazione alla società Mantovani di un appalto per la realizzazione della Piastra dell’area di Rho Pero, dove si è svolta l’esposizione universale. La base d’asta era di 272 milioni di euro e la Mantovani si era aggiudicata la gara con un ribasso del 42% per 149 milioni di euro. Gli indagati per turbativa d’asta noti fino a ora sono cinque: Piergiorgio Baita (presidente della società Mantovani, già arrestato a Venezia per il Mose), due ex manager Expo già arrestati per altre vicende, Angelo Paris e Antonio Acerbo, e gli imprenditori della società Socostramo, Erasmo eOttaviano Cinque.

Data la mole del materiale raccolto e gli approfondimenti che devono essere ancora effettuati, il sostituto pg Felice Isnardi ha deciso di chiedere che gli vengano concessi altri sei mesi per indagare. Il gip Andrea Ghinetti, a fine ottobre, non avendo accolto la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura, aveva convocato le parti per la discussione della vicenda per poi decidere se archiviare o chiedere un supplemento di indagine o ordinare l’imputazione coatta. Nel frattempo, però, la Procura generale ha avocato il fascicolo e ha ottenuto un mese di tempo per nuove indagini, termine poi scaduto. Da qui la richiesta di proroga. Il fascicolo era stato al centro dello scontro tra l’ormai ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e l’ex aggiunto Alfredo Robledo, il quale, su decisione del primo, nel 2014 era stato di fatto estromesso dagli interrogatori ‘centrali’ dell’inchiesta. L’indagine sull’appalto più rilevante di Expo, vinto dalla Mantovani grazie ad un ribasso del 42% su una base d’asta di 272 milioni di euro, era partita nel 2012.

(fonte, ne scrive anche repubblica qui)

Perché votare No ce lo spiega (involontariamente) Beppe Sala

(un magistrale Stefano Catone, compagno di Possibile, ne scrive qui:)

Beppe Sala, in un’intervista video rilasciata un paio di giorni fa, spiega in un minuto e mezzo perché bisogna votare No al referendum costituzionale, e lo fa partendo dalla composizione del nuovo (si spera di No) Senato.

Il nuovo (si spera di No) Senato, infatti, sarà composto, oltre che da 74 consiglieri regionali eletti dai Consigli regionali, anche da 21 sindaci, uno per Regione e uno per la provincia autonoma di Trento e uno per quella di Bolzano (ma non dovevamo eliminarle, le province?). Anche i sindaci saranno eletti dai consiglieri regionali.

La prima domanda è: perché i consigli regionali devono eleggere a senatore un sindaco? Perché non sono i comuni a scegliersi il sindaco che li rappresenterà? La risposta non la sappiamo, ma possiamo intuire le distorsioni causate da un simile metodo di scelta: a) anche il sindaco rientrerà nel mercanteggiamento partitico tra gruppi consiliari e b) il sindaco non avrà un mandato rappresentativo dei comuni.

Lo spiega benissimo Beppe Sala, appunto, il quale dice che farebbe volentieri parte del nuovo Senato perché «sarebbe un altro modo per portare il contributo di Milano, […] la troverei una cosa giusta per poter rappresentare a Roma le nostre istanze». Caro Beppe, cari sindaci che comporrete il nuovo (si spera di No) Senato: stando alla lettura della riforma non si capisce cosa rappresenterete a Roma, ma siamo sicuri che avrete un occhio di particolare riguardo per la vostra città. E allora mi chiedo, da varesino: per quale motivo dovrei sentirmi rappresentato a Roma dal sindaco di Milano? Non è che il sindaco di Milano avrà interesse a far ricadere esternamente al proprio territorio, magari dalle mie parti, cose non esattamente gradevoli? Pensiamo solamente al rapporto che esiste tra l’aeroporto milanese di Linate e l’aeroporto milanese, ma su territorio varesino, di Malpensa, e quello (un po’ meno milanese), ma su territorio bergamasco, di Orio al Serio: quali interessi difenderà il sindaco di Milano?

Sala prosegue dichiarando che il sindaco di Milano potrebbe passare «massimo un giorno a settimana a Roma» e che quindi «dice di Sì, ma dopo aver capito cosa vuol dire l’impegno, però penso che un giorno a settimana si possa fare, di più diventa un po’ difficile». Lo spieghiamo un po’ noi, a Beppe Sala, cosa farà il nuovo (si spera di No) Senato. Il Senato mantiene piena funzione legislativa «per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, […]per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, […] per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni». E’ sufficiente? No, perché il Senato dovrebbe anche stabilire «le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea».

Tutto qui? No, perché comunque «ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti [una minoranza che volesse fare ostruzione quanto ricorrerà a questa possibilità? Tantissimo.], può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva». Il Senato dovrà poi necessariamente esaminare le leggi che fanno valere la clausola di supremazia (secondo la quale il governo si sostituisce alle regioni su materie di competenza di queste) entro dieci giorni dalla trasmissione, e le leggi inerenti al Bilancio entro quindici giorni dalla trasmissione.

Il Senato inoltre può «richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un disegno di legge» e «disporre inchieste su materie di pubblico interesse concernenti le autonomie territoriali». Il Senato partecipa all’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale (procedimenti che si esauriscono in un giorno alla settimana, come no…).

Sala non capisce se si possa fare bene il Senatore e il sindaco di Milano. Glielo diciamo noi: no, a meno che – grazie alla clausola di supremazia – non si decida di portare l’alta velocità direttamente a Palazzo Marino.

E cosa farebbe Sala se l’impegno richiesto fosse superiore a un giorno a settimana? «No, no, no… Io sono il sindaco di Milano e quindi in primis devo fare il sindaco di Milano… Se fosse una cosa… Allora a quel punto lì non potrei farlo… Ovviamente non ho nessun dubbio: privilegio Milano sopra ogni altra cosa».

Ecco, appunto.

Ultima nota di colore. Da più parti ci dicono che grazie alla riforma agganceremo gli emolumenti dei consiglieri regionali a quelli dei sindaci, e infatti si dice che questi saranno riportati «nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione». Peccato che l’indennità di carica di un Consigliere regionale lombardo sia pari a 75.924 euro lordi annui (cui si aggiungono circa 50mila euro di rimborsi ed eventuali indennità legate alle funzioni), e quella del sindaco di Milano a circa 9mila euro lordi al mese, che moltiplicato per 12 fa 108mila euro.