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beppe sala

Bravi, mi raccomando: un esercito in ogni cantone

Ma vi ricordate come si accartocciavano indignati ogni volta che qualche leghista o destrorso a Milano invocava l’esercito per garantire la sicurezza in città? Vi ricordate i dibattiti sulle ronde, sulla strumentalizzazione della paura, sulla Lega che proponeva soluzioni militari perché incapace di elaborare soluzioni politiche? Bene, non vale già niente, sappiatelo. Anche in questo campo si cambia verso tornando indietro.

Così mentre il sindaco Beppe Sala invoca l’esercito in via Padova succede che Salvini abbia la soddisfazione di notare come la sinistra arrivi «sempre troppo tardi sulle nostre stesse soluzioni» mentre il parlamentare milanese Fiano (Pd) dichiara di essere «sempre stato contro l’esercito ma ora ho cambiato idea», dalla Regione Lombardia i democratici (insieme ai compagni di Ambrosoli) dichiarano che è una «scelta di buon senso» e che l’esercito «è un deterrente», Stefano Boeri dice che «l’esercito è una dimostrazione di attenzione verso i cittadini» e così via in una serie di dichiarazioni di questo tenore.

La nuova regola è “se diciamo noi le cazzate degli altri allora vale”. E chissà cosa ne pensano quei democratici che provarono ad avanzare la stessa proposta tempo addietro e vennero additati di fascismo (Penati, ad esempio). Ma la nuova linea porta con sé un messaggio ancora più sottile: l’esercito non serve ma non riusciamo a farlo capire e allora mettiamo l’esercito. Si chiama arrendevolezza arraffaconsensi: è lo stesso vizio dei populisti anche se qui viene articolato come se fosse davvero una cosa seria.

Così nel grigio della giornata alla fine splende il pensiero diamantino di uno che la sicurezza la studia per professione: Roberto Cornelli è professore di criminologia, ex sindaco e dirigente del Partito democratico e sul suo profilo Facebook scrive che si può «provare a reagire alle emergenze con progetti strutturati ed evitando di ricorrere sempre e solo a “sedativi sociali”, tanto facili quanto spesso inefficaci».

Per chi fatica a intendere aggiunge anche una postilla:

«Sintesi per la stampa: la richiesta dell’esercito è un sedativo sociale, in grado di rassicurare sul brevissimo periodo e a dosi minime (se non diventa cioè una richiesta ricorrente). Per il resto (per ridurre la violenza o assicurare alla giustizia gli autori) serve a ben poco. Può essere addirittura dannoso se concepito come LA soluzione.»

E si torna a respirare. Per fortuna. In tempi di cialtroneria il buonsenso diventa una vetta altissima, del resto.

(il mio buongiorno per Left è qui)

Expo 2015? Flop nel 2015 e bluff nel 2016

(Non le manda a dire Massimo Donelli. Eccolo qui)

L’Expo 2015?

Un simbolo del made in Italy.

Nel bene.

E nel male.

Il bene è presto detto.

Lo scorso anno, per sei mesi, da maggio a ottobre, il Belpaese ha messo in mostra i suoi gioielli: arte, design, cultura, cibo, grande ristorazione, fashion

Petto gonfio, applausi, inno nazionale, un po’ di sano sciovinismo.

E premio finale per Giuseppe Sala, detto Beppe, passato in men che non si dica dalla poltrona di commissario a quella di sindaco.

Evviva!

Il male?

Il male c’è, eccome.

Ma se ne parla poco.

Quasi niente.

Con fastidio.

Eppure è merce attualissima.

Vediamo…

Tanto per cominciare, passato un anno intero, non si è fatto niente.

Niente.

Un milione e centomila metri quadri perfettamente raggiungibili con i mezzi pubblici da Milano sono lì inutilizzati.

Certo, c’è il progetto Human Technopole, voluto fortemente da Matteo Renzi in persona: un grande centro di ricerca guidato dal direttore dell’Istituto italiano di tecnologia, il professor Roberto Cingolani

E, certo, c’è anche il progetto di realizzare lì il nuovo campus dell’Università statale di Milano.

Ma, come nel gioco delle tre carte (altra specialità made in Italy), nel testo ufficiale della legge finanziaria inviato al Quirinale se i fondi per Human Technopole ci sono (628 milioni, più gli 80 già stanziati, fino al 2022; 140 milioni dal 2023 in poi), quelli per il campus (138 milioni) sono spariti.

Non basta.

Ci sarebbe da chiudere la Expo 2015 Spa.

Ma servono 23 milioni e 690 mila euro.

Il governo ne aveva promessi 9.

E anche quelli sono stati cancellati.

Così come non è stato nominato un commissario straordinario liquidatore.

Ora, a parte il rischio (concreto) del fallimento, l’aspetto più inquietante riguarda aziende e lavoratori: dodici mesi dopo la chiusura, infatti, in molti debbono ancora essere saldati.

Brutta faccenda.

Così, smascherato il bluff e piovute da Milano critiche e minacce, il governo ha immediatamente riaperto l’ombrello delle promesse.

Stavolta il cerino, pardon il manico, è rimasto in mano al sottosegretario Claudio De Vincenti, non proprio un esponente di primo piano della squadra renziana.

Intervistato dal Corriere della sera, De Vincenti ha sdrammatizzato facendo su una bella insalata di parole.

Cui, naturalmente, si spera seguano i fatti (“Non possiamo permetterci tempi morti” ha avvertito Sala).

Ma, per ora – stando ai fatti, appunto – non c’è un euro.

Mica è finita.

Il quadro, già così triste, è divenuto addirittura tragico quando, negli stessi giorni della manfrina governativa, l’Expo 2015 è stato sporcato da velenosi liquami gudiziari.

Luigi Ferrarella, che sul Corriere della sera racconta le inchieste penali con rigore e imparzialità, ha cominciato così il suo articolo intitolato “Irregolarità nell’appalto Expo. Deregulation per fare in fretta”: “«Nonostante gli sforzi investigativi non si è giunti a provare l’esistenza» di tangenti, anche se «nell’aggiudicazione del principale appalto di Expo 2015», la «Piastra» da 272 milioni sulla quale sono stati costruiti i padiglioni, «vi sono state numerose anomalie e irregolarità amministrative sia nella fase della scelta del contraente» (la Mantovani che nel 2012 vinse con un ribasso del 42% sulla base d’asta, «non idoneo neppure a coprire i costi»), sia «nella fase esecutiva del contratto», quando le originarie obbligazioni contrattuali furono «modificate consentendo all’appaltatore di entrare in una anomala trattativa “al rialzo” con il committente, ponendo come contropartita la cessazione dei lavori, la cancellazione dell’evento e la credibilità del Paese»”.

Capito?

E non è tutto.

Ancora Ferrarella: “Il manager Expo Carlo Chiesa, sui «rapporti che Sala intratteneva con il presidente della Mantovani», nel 2014 disse ai pm che «Sala ripeteva che “in questo contesto l’unica cosa che non manca sono i soldi”, facendo capire la disponibilità della stazione appaltante a liberare risorse a favore dell’appaltatrice» Mantovani (a cui fu ad esempio affidata per 4,3 milioni la fornitura di 6.000 alberi che le costarono in realtà 1,6 milioni). E sulla scelta di Expo di non fare la verifica di congruità sull’offerta ribassata del 42% da Mantovani, è l’ex manager Ilspa Rognoni ad aver affermato nel 2014 che «Sala mi rispose» che l’orientamento era non farla «perché non avevamo tempo per poter verificare se l’offerta fosse anomala»”.

Insomma, pur di fare in fretta non si è badato a spese.

Letteralmente.

Salvo che, come abbiamo visto, i conti non tornano.

Per nulla…

Lo sospettavamo da tempo.

Lo abbiamo anche scritto.

Giusta intuizione, purtroppo.

Ma, come sempre, non tutti i mali vengono per nuocere.

Ora, per esempio, risulta chiaro perché il bilancio finale dell’Expo 2015 è stato avvolto a lungo nel mistero: a livello cassa, trattasi di flop.

E la colpa di chi è?

Beh, fate voi…

(fonte: Tv Svizzera, qui)

Beppe Sala e Letizia Moratti a cena con Renzi per finanziare il sì

A proposito di cattive compagnie e della differenza tra il “votare come” e il “governare con”:

Cena privata con interlocutori sceltissimi, a capotavola il presidente del Consiglio Matteo Renzi: i convitati hanno sborsato fino a 30mila euro a testa per partecipare e conversare con il premier a casa di Francesco Micheli, uomo di finanza e di cultura. Sabrina Cottone ricostruisce per Il Giornale come intorno al tavolo, tra gli altri, fossero seduti il noto commercialista Roberto Spada, molto vicino a Stefano Parisi in campagna elettorale. E poi Davide Campari e Luca Garavoglia, Paolo Basilico, gestore del gruppo finanziario Kairos. E ancora Ernesto Pellegrini, l’ex presidente dell’Inter adesso attivo nel catering sociale con il ristorante Ruben per i senzatetto.

La coppia brilliant è Letizia Moratti con il consorte Gianmarco. La garbata Letizia ha scambiato molte carinerie con il premier, che le ha fatto i complimenti non solo per Expo ma anche per Porta Nuova. Sorrisi anche con il successore Giuseppe Sala, anche lui ospite della tavolata, e d’altra parte il sindaco era capo di Gabinetto quando la sciura Moratti era a Palazzo Marino.

L’idea alla base della serata era presentare persone importanti ma sconosciute a Renzi piuttosto che farlo trovare di fronte ai soliti noti.

Al posto delle critiche costruttive ha ricevuto qualcosa di altrettanto utile quando si tratta di far politica: cospicui finanziamenti.  Possono sembrare somme enormi e lo sono. Un po’ meno se si pensa al parterre di ospiti scelti per gustare il risotto con borlotti e verdure, principe del menù, e la conversazione a base di politica estera, molte elezioni americani e tante critiche all’Europa cattiva con l’Italia. Volano parole come «rovesciare il tavolo» dell’Ue, «non sopportarne più le angherie economiche».

 

(fonte)

Sempre a proposito della favola di Expo perfetto e senza mafia

Ma che ne dicono le diverse commissioni antimafia di Pisapia che hanno tirato la volata all’elezione di Beppe Sala sull’onda di un Expo che dovrebbe essere andato meravigliosamente bene? Ecco l’articolo di Lucio Musolino:

I padiglioni della Cina e dell’Ecuador sarebbero stati realizzati dalla‘ndrangheta. L’ombra delle cosche sull’Expo 2015 emerge nell’operazione Rent della guardia di finanza calabrese che ha sequestrato beni per oltre 15 milioni di euro alle famiglie mafiose Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica e Piromalli-Bellocco di Rosarno. Un blitz che ha coinvolto diverse province d’Italia tra cui Milano, Reggio Calabria, Catanzaro, Catania, Bergamo, Bologna, Brescia e Mantova. La Dda reggina contesta agli indagati i reati di associazione mafiosa, riciclaggio, estorsione, induzione alla prostituzione, detenzione illecita di armi da fuoco con l’aggravante del metodo mafioso.

L’inchiesta riguarda, in sostanza, un gruppo criminale calabrese che si sarebbe infiltrato nella realizzazione di opere importanti. Si tratta di un sodalizio, dedito al controllo di diverse attività economiche (fittiziamente intestate a soggetti compiacenti) che si sarebbero aggiudicate numerosi appalti e sub-appalti in Lombardia. Nel decreto di sequestro, infatti, compaiono anche alcune “anonime società del nord Italia”  che si sono occupate della realizzazione dei padiglionidella Cina e dell’Ecuador, delle opere di urbanizzazione e delle infrastrutture di base nella fiera Expo 2015, del subappalto per la societàFerrovie del Nord, dell’ipermercato di Arese e del consorzio di Bereguardo(Pavia).

Le fiamme gialle hanno eseguito perquisizioni e sequestrato beni immobili (appartamenti e locali), mobili, mobili registrati (autoveicoli di lusso, motoveicoli e autocarri), società, polizze assicurative e conti correnti bancari e postali, per un valore di oltre 15 milioni di euro. Complessivamente una trentina gli indagati. I soggetti principali sono Salvatore Piccoli, Giuseppe Gentile, Antonio Stefano (già in carcere traffico internazionale di sostanze stupefacenti), Graziano Macrì (pronipote del defunto Antonio Macrì, il boss dei “due mondi” conosciuto con il nome di Barone) e Pasquale Giacobbe.

Erano loro, secondo l’inchiesta coordinata dal procuratore Federico Cafiero De Raho, dall’aggiunto Gaetano Paci e dal sostituto Antonio De Bernardo, gli uomini della ‘ndrangheta che venivano mandati al nord Italia per rilevare società decotte o sull’orlo del fallimento. Stando alla ricostruzione fatta dagli uomini del colonnello Nicola Sportelli, comandante del gruppo Locri della guardia di finanza, una volta in mano alle cosche, queste società (che rimanevano formalmente intestaste ai vecchi proprietari) iniziavano ad accaparrarsi appalti per milioni di euro. Dalle intercettazioni, inoltre, era emerso il metodo mafioso che gli indagati adottavano ogni volta che avevano problemi di natura imprenditoriale.

Società che operavano non solo in Italia ma anche all’estero. Procura di Reggio Calabria e guardia di finanza (guidata dal colonnello Alessandro Barbera) è riuscita a monitorare i lavori per la realizzazione di un complesso turistico-sportivo, a Arges Pitesti (Romania) e del resort Molivişu, per un valore di 80 milioni di euro di cui 27 a carico dell’Unione Europea, nonché di un immobile in Marocco. Tutti soldi sui quali avrebbero messo le mani soggetti ritenuti vicini alle cosche Aquino-Coluccio e Piromalli-Bellocco.

Alcuni dei destinatari del provvedimento di sequestro sono stati già coinvolti nell’inchiesta “Underground” della Dda di Milano che il 3 ottobre scorso ha arrestato 14 persone che erano riuscite ad ottenere in subappalto i lavori, dal valore di circa 5 milioni di euro, per il collegamento ferroviario tra il Terminal 1 e ilTerminal 2 di Malpensa versando mazzette a Davide Lonardoni, il dirigente di Nord_Ing che progetta e coordina la realizzazione di tutti gli interventi di potenziamento infrastrutturale e di ammodernamento della rete ferroviaria e degli impianti di Ferrovie Nord.

 

Ma di Sala ne possiamo parlare?

Gianni Barbacetto per Il Fatto Quotidiano:

Un appello appassionato, quello di Basilio Rizzo, consigliere comunale della sinistra a Milano. Tema: gli incarichi e le nomine per lo staff del sindaco e per il vertice dell’amministrazione. A Roma sono state per settimane la croce di Virginia Raggi. E nella Milano di Giuseppe Sala? Rizzo distingue due piani: quello del “controllo della legge, che spetta ad altre istituzioni”, e quello della “buona politica e della buona pratica amministrativa, che è più esigente e chiede di più: esistono comportamenti, scelte, atti che forse non sono reati ma che, non per questo, sono raccomandabili”.

Primo esempio: è stata “nominata segretario generale una persona che si sapeva indagata”. È Antonella Petrocelli, che cinque giorni dopo la nomina ha dovuto lasciare il posto ed essere sostituita, perché era addirittura già rinviata a giudizio immediato dal giudice di Como per turbativa d’asta.

Più arzigogolata ancora la nomina del capo di gabinetto del sindaco: prima viene cambiato il regolamento sull’ordinamento degli uffici, per poter chiamare per le vie brevi un professionista, Mario Vanni, che è stato prezioso a Sala in campagna elettorale; poi, per non infrangere la legge, è stato fatto un avviso pubblico, si sono illusi i partecipanti alla gara, è stata messa in piedi una commissione esaminatrice che – indovinate un po’ – come capo di gabinetto ha infine scelto Vanni. A questo punto, nuova modifica del regolamento per tornare alla situazione iniziale. “È questo un esempio di buon governo?”, si chiede Rizzo. “È una procedura surreale, in cui prima prendi la decisione finale e poi monti un percorso ad hoc per mostrare un simulacro di legittimità”.

Commissione esaminatrice al di sopra di ogni sospetto: formata dal direttore generale del Comune, Arabella Caporello (fondatrice del circolo Pd della Pallacorda e ospite alla Leopolda), dal direttore relazioni istituzionali, Gianni Confalonieri (già interfaccia comunale di Sala durante Expo), e dal direttore risorse umane, Domenico D’Amato.

“Lo stesso modello ad personam è stato reiterato per numerosi altri incarichi”, continua Rizzo. Esempio: una delle ragioni fondanti per scegliere Caporello come direttore generale, è “la specifica conoscenza del gruppo Comune di Milano, conseguita quale membro del cda di Sea spa”. Curioso: a nominare Caporello alla Sea è stato lo stesso Comune nel maggio 2016, cioè un mese e mezzo prima della nomina a direttore generale. È chiaro che è un passaggio fatto apposta per poter poi giustificare il salto al vertice dell’amministrazione di Palazzo Marino.

“C’è poi la trasposizione a Palazzo Marino, passo dopo passo, della squadra di comando della società Expo”, denuncia Rizzo. Stefano Gallizzi, efficiente uomo-stampa dell’esposizione e poi della gara elettorale, ora è portavoce del sindaco. Roberto Arditti e Marco Pogliani, uomini di pubbliche relazioni di Expo e poi della campagna per Sala sindaco, sono stati premiati con due ricchi contratti di consulenza. “Mi è venuto da pensare: senza l’infortunio dell’arresto per Expo”, si chiede Rizzo, “che numero di maglia avrebbe avuto l’ingegnere Antonio Acerbo in questa squadra?”.

Sala ha voluto attorno a sé uomini di sua stretta fiducia. Eppure “nei Comuni non è previsto lo spoil system, andrebbe anzi tutelata la separazione tra politica e amministrazione. Se si costruisce invece un’ossatura di persone di stretta provenienza politico-partitica, non si altera la natura terza e indipendente della struttura comunale? Se si costituisce un canale privilegiato e parallelo di assunzioni, slegato dalle usuali procedure concorsuali, non si mortificano le aspettative di uguaglianza nella ricerca del diritto al lavoro? Se si impiegano significative risorse economiche da un monte che è limitato, non si frustrano legittime speranze dei lavoratori estranei a quel circuito di fortunati?”.

Così s’interroga Rizzo, a proposito dei tanti fortunati chiamati da Sala e dal Pd in forza dell’articolo 90 del Testo unico enti locali: gli addetti stampa dei vari assessorati, un paio di ex consiglieri comunali non rieletti (Anna De Censi e Luca Gibillini), perfino un ex vicesindaco, quello di Cormano, Fabrizio Vangelista. “Quanti sono i collaboratori che il sindaco può scegliere? Stabiliamolo prima, almeno ‘costituzionalizziamo’ in modo trasparente i cerchi magici”.

Valentina Morelli, che in campagna elettorale teneva l’agenda di Sala, è stata scelta dal solito trio Caporello-Confalonieri-D’Amato, tra sette partecipanti alla gara, “quale soggetto idoneo per l’incarico di alta specializzazione di responsabile del servizio relazioni con la città del gabinetto del sindaco”. Con superstipendio e “indennità ad personam commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale” che spetterebbe però a una laureata, mentre Morelli ha solo una laurea breve (a proposito: che cosa ha scritto nel curriculum consegnato al Comune? Non siamo riusciti a saperlo).

A Roma, è stata polemica per un dipendente del Comune, Salvatore Romeo, che si è messo in aspettativa per farsi riassumere con stipendio maggiorato come capo della segreteria del sindaco. Anche a Milano esistono casi identici. Sono almeno cinque, tra cui Francesca Carmela, ex funzionaria, ora dirigente Erp (case popolari).

Insomma: se Roma piange, Milano non dovrebbe ridere. Ma chi si occupa di Milano, a parte qualche povero ossessionato che pensa che le regole debbano valere per tutti?

 

Beppe Sala e le aziende fallite per colpa di Expo

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Il servizio video sui ritardati pagamenti di Expo non è un editoriale o il pezzo di penna di un opinionista incattivito: Expo 2015 ha affossato alcune delle eccellenze industriali italiane contravvenendo in toto il proprio mandato. E anche se il ministro Martina promette di intervenire “per quanto possibile e il prima possibile” (una frase sempre in tasca al governo di ogni tempo ed ogni colore) lo stallo attuale che lascia per strada 150 famiglia ha un nome e cognome: Giuseppe Sala.

Se è vero che il super manager dovrebbe essere il condensato del “grande successo internazionale di Expo” come si spingono a dirci il premier Renzi e il Partito Democratico (che mica per niente l’hanno incoronato candidato sindaco ideale di Milano) allora è proprio Sala che ci deve rispondere su tutti gli aspetti correlati e Expo 2015 ha bisogno di almeno tre valutazioni: comunicativa, finanziaria e etica.

Expo comunicativo. Ecco il capolavoro di Beppe Sala: trasformare un agglomerato di interessi, cemento e soldi in una vetrina di operosità, ottimismo e internazionalità. Expo è stato il perfetto compagno di viaggio della narrazione renziana che ha bisogno di superare ostacoli, gufi e pessimismo per brillare nella vittoria. E così la manifestazione internazionale è diventata la clava ideale per bastonare i contrari, i disillusi e la sinistra. La comunicazione, del resto, è stata la priorità di Expo e non è un caso se le spese di rappresentanza sono state considerate una priorità nei pagamenti ai fornitori. Quindi Sala è un comunicatore. Anche lui. Bene. Ma basta?

Expo finanziario. Una manifestazione senza bilancio. O meglio: un bilancio declamato in attivo ma smentito nei numeri […]

(il pezzo continua qui)

Perché il “voto utile” (con il PD) è una sciocchezza pazzesca

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Eccoci alla tiritera del voto utile. Dove rimbomba di più è Milano ma sono molti i comuni italiani che si preparano al voto in cui il centrocentrocentrosinistra (di solito raffazzonato con i residui di una stagione ormai conclusa) alza la voce per “non consegnare la città alla destra” oppure, meglio ancora, perché sarebbe (secondo loro) “irresponsabile dividersi”. Il voto utile è la ninna nanna del populismo in salsa intellettuale, quello proprio di una forma centrosinistra che non si accorge di essere finita. Il “voto utile” è la versione democratica dell’ultimo giapponese a cui non hanno detto della fine della guerra.

Così a Milano, ad esempio, bisognerebbe votare Sala “per non regalare Milano a Salvini” e fa niente se qualcuno trova discutibile qualche posizione del manager che s’è fatto campagna elettorale con l’Expo: “quelli là sono peggio”, ci dicono. Ma peggio di chi? Perché a vedere qualche faccia che spunta tra i sostenitori di BeppeSala (scritto tutto attaccato per dare un senso di modernità alle storiche clientele) sembra che l’era Pisapia (che sarebbe meglio cominciare a chiamare con il suo nome, «l’era delle speranze per Pisapia») sia stata un incidente di percorso.

Ma non è questo il punto. La questione politica è lapalissiana, semplice, quasi banale: si può in questo Paese così ostinatamente innamorato dal potere costituito fissare un linea di potabilità nei rapporti con le altre forze politiche? E se sì, cosa altro serve per ritenere questo PD ormai indigeribile per chiunque abbia a cuore un Paese egalitario, solidale e giusto? Io credo che il dado sia stato tratto da un pezzo, almeno dal momento in cui Possibile è diventata un’oasi necessaria per continuare a fare politica.

(continua sui quaderni di Possibile qui)

Leggere la sentenza, magari, su Beppe Sala

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Insomma ci dicono che la questione dell’incandidabilità di Sala sia l’ennesimo bluff degli ennesimi gufi. Che in verità questa volta sono grilli (è il M5S) ma ormai il gufo è un animale onnicomprensivo. E anzi se spiate sulle bacheche Facebook dei candidati in sostegno a Sala vedrete che lamentano questa “perdita di tempo” che hanno dovuto sorbirsi. E allora forse vale la pena leggere la sentenza:

«L’ineleggibilità deve essere tenuta nettamente distinta dall’incandidabilità. Quest’ultima implica l’impossibilità di prendere parte, fin dall’inizio, alla competizione elettorale (T.A.R. Catania, sez. III, 25/03/2015, n. 843) e conduce alla nullità delle elezioni (si veda quale dato positivo in tal senso le disposizioni di cui al D.lgs. n. 235/2012), a differenza, invece, dell’ineleggibilità che non invalida l’ammissione della lista e comporta, quale unico effetto, la decadenza del solo candidato, senza ulteriori conseguenze sugli altri esiti del voto (T.A.R. Campobasso, sez. I, 19/02/2010, n. 134) […]

(il mio buongiorno per Left continua qui)

#Left cosa ci abbiamo messo dentro

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Left è in edicola. Il sommario del numero è qui.

Io mi sono occupato di Milano, di Beppe Sala, di Parisi e di Basilio Rizzo. Qui l’incipit del mio pezzo:

«L’ultimo inciampo è accaduto in zona Giambellino-Lorenteggio, periferia milanese da sempre serbatoio di voti del Pd. Beppe Sala è arrivato indossando la sua maschera da campagna elettorale, sorriso responsabile gigioneggiando disponibilità, alla Casetta Verde, sede del comitato di quartiere, pronto a tessere la solita rete di promesse per le periferie. Mentre si intratteneva con una storica abitante del luogo è stato contestato da un gruppo di residenti. Meglio: secondo lo staff di Sala si sarebbe trattato di “antagonisti organizzati” mentre loro, i contestatori, dichiarano di essere «semplicemente cittadini della zona che non dimenticano gli sgomberi e le politiche sulle periferie, oltre al bilancio di Expo che non arriverà prima delle elezioni».

Comunque le accuse devono aver colto nel segno se è vero che Sala sarebbe stato “cinturato” dai suoi collaboratori per evitare lo scontro fisico ed è stato necessario l’intervento della polizia. «Ci piace pensarti così, di corsa che scappi da chi non si fa prendere in giro e oggi ti ha sputato la verità in faccia»: hanno scritto sui social alcuni esponenti del Comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio.
Mister Expo che perde le staffe, comunque, è il sintomo di una campagna elettorale che vede contrapposti per la corsa alla poltrona da sindaco due manager – Beppe Sala per il centrosinistra e Stefano Parisi per il centrodestra – che sembrano poco avvezzi a una campagna elettorale che non si vincerà certo con le strette di mano o con l’altisonanza dei curricula.
I milanesi puntano sulla concretezza delle risposte chiare alle domande precise, nessun fumo, e se Beppe Sala ha pensato che bastasse la retorica di “Expo = grande successo” e la benedizione di Renzi per navigare tranquillamente verso la poltrona di Palazzo Marino, oggi si deve ricredere e cercare un cambio di passo. «Serve un Beppe più umano…», si ripete tra i suoi, «meno distante», e così la strategia del “manager vincente” oggi sembra avere esaurito la forza propulsiva.
Dall’altra parte, Stefano Parisi intanto guadagna punti e sorriso: secondo un sondaggio dell’Huffington Post avrebbe recuperato il gap iniziale e risulterebbe addirittura vittorioso al ballottaggio contro Sala. “I due candidati clone”, li chiamano i detrattori: anche Parisi, infatti, come Sala, viene dal mondo degli affari e della burocrazia senza “esperienza di partito”, eppure, se è vero che Sala è stato city manager di Milano con Letizia Moratti sindaco (così come Parisi lo fu con Gabriele Albertini prima di lui), il candidato del centrodestra ha una lunga frequentazione con la politica: a 28 anni era già consigliere del ministro del Lavoro socialista Gianni De Michelis (erano gli anni della “scala mobile”) che ha poi seguito agli Esteri. Siamo negli anni 80, nel pieno fulgore del craxismo in italia. Negli anni 90 invece, mentre tutto intorno crolla, Parisi avanza fino a Palazzo Chigi: capo del dipartimento Economia del premier Amato e poi del presidente del Consiglio “tecnico” Carlo Azeglio Ciampi: arriva Silvio Berlusconi e lui, il camaleonte Parisi, è sempre lì; poi arriva Prodi (e il governo dell’Ulivo) e Parisi rimane inamovibile. Solo nel 1997 approdò a Milano a seguito dell’allora sindaco Albertini, per diventare poi direttore generale della Confindustria con il presidente Antonio D’Amato. Una vita più di scontri che di mediazioni: a Milano aveva rotto con la Cgil sul patto del lavoro e fu uno dei collaboratori del giuslavorista Marco Biagi completandone il lavoro dopo l’omicidio: mentre Cofferati portava il sindacato in piazza, Parisi dialogava con Berlusconi e Maroni per inseguire tutt’altro modello economico. Ed è lì probabilmente che è scoccata la scintilla che ha convinto Berlusconi (ma anche Salvini) a puntare su di lui per la corsa a sindaco. Candidato di un centrodestra che, qui a Milano, è ben distante dal complicato scenario nazionale se è vero che alla presentazione della sua candidatura il parterre era composto da Salvini, l’ex ministro Lupi passando per La Russa e Gelmini: roba da fantascienza, in Parlamento.»

Il resto in edicola o in digitale qui.

Toh, il bilancio di Expo arriverà solo dopo le amministrative.

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Roba da non credere. Nonostante lo slogan da candidato sindaco “ogni giorno, ogni ora” Beppe Sala non trova un minuto che sia uno per farci vedere i conti di Expo. In comune a Milano hanno deciso di rinviare la presentazione del bilancio di Expo. Con l’ex presidente di Expo candidato. Chissà che rottura di palle dovere fare questa perdita di tempo delle elezioni, eh? Ecco il comunicato stampa di Milano in Comune:

«Nel pomeriggio odierno al termine della Commissione Comunale Congiunta Expo2015 e società partecipate, Basilio Rizzo ha risposto alle domande dei giornalisti confermando la propria indignazione, così come manifestata in commissione, per il fatto clamoroso che il bilancio di Expo2015 è rinviato al giugno del 2016.

Come se questo non bastasse sia Expo2015 che Arexpo non hanno fornito anticipazioni neppure sulle tre importanti transazioni in corso il cui esito può ulteriormente peggiorare il buco di bilancio per Expo2015 già stimato in fase di pre-consuntivo in una cifra compresa fra i meno 31-35 milioni di euro.
Precisissime sono invece state le nuove richieste di finanziamento ai soci di Expo2015 per una necessità di cassa stimata per il primo semestre del 2016 in 48 milioni di euro.
Stante le quote azionarie in Expo2015, per le finanze comunali questa richiesta è pari a 8 milioni di euro, 4 milioni pronta cassa e i restanti 4 milioni da versare o meno in relazione all’avanzamento del piano di messa in liquidazione della Società.
Basilio Rizzo ha così confermato che qualora fosse eletto sindaco e comunque anche dai seggi del prossimo Consiglio Comunale, la lista “Milano in Comune” proporrà di rivendere al MEF (Ministero Economia Finanze) le quote di proprietà del Comune di Milano in Expo2015, recuperando così a beneficio dei milanesi e delle periferie 31 milioni di euro.
Ugualmente opachi i conti di AREXPO che si trincera dietro l’assenza (ancora!!!) di una perizia giurata sull’effettivo valore dei terreni, valutazione in assenza della quale non è tutt’ora possibile stimare il valore effettivo delle quote dei soci e valorizzare l’entrata nella compagine azionaria del Governo.»