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Brescia

Diosssina: Taranto è in provincia di Brescia

brescia-675A Taranto è tutto transennato. A Brescia, nei parchi alla diossina ci giocano i bambini. Tra il quartiere Tamburi di Taranto – a ridosso dell’Ilva – e il sito inquinato nazionale “Caffaro” di Brescia, gravemente contaminati dai cancerogeni Pcb e diossine, la sproporzione è tutta nei dati e nelle decisioni prese dalle autorità per proteggere la popolazione.

A Taranto, ad esempio, in un giardino con 0,283 microgrammi di Pcb/kg di terra il sindaco ha vietato l’accesso a tutti gli abitanti; a Brescia invece, nei parchi con 0,400 mg/kg di Pcb possono entrare anche i bambini, con alcune limitazioni che hanno scatenato le polemiche dei comitati di genitori e ambientalisti come il “divieto di scavo e asportazione del terreno” considerato improprio e difficile da far rispettare ai più piccoli. Il confronto è ancora più allarmante per le diossine: nel quartiere Tamburi, all’ombra dell’Ilva, sono vietate le aree verdi con 24,12 ngTEQ/kg(tossicità equivalente alla diossina di Seveso); mentre a Brescia l’ordinanza del sindaco, scritta sulla base di un parere della Asl, consente l’accesso nei parchi con 80,8 ngTEQ/kg di diossine, una concentrazione quasi quattro volte superiore.

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Lo denunciano una serie di comitati ambientalisti bresciani insieme a Medicina Democratica e al comitato Sos Scuola, chiedendo al sindaco di Brescia Emilio Del Bono e alle autorità sanitarie “il rispetto della legge”. Al centro della polemica l’ordinanza emessa dal sindaco Pd a pochi giorni dall’insediamento, il 24 luglio 2013, che ha dato il via libera all’accesso in aree con concentrazioni superiori ai limiti di legge per i Pcb e le diossine, zone contaminate che prima erano formalmente interdette con ordinanza “contingibile e urgente” reiterata ogni 6 mesi, anche se il divieto spesso non veniva rispettato dai bresciani, come mostrato dalle telecamere della trasmissione di Riccardo Iacona “Presa Diretta” nel 2013.

Per l’inquinamento dei suoli la legge prevede delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC). Per i siti ad “uso verde pubblico, privato e residenziale” – secondo quanto stabilito dal D. lgs 152/2006 – i livelli massimi di Pcb e diossine sono di 0,06 mg/kge 10 ngTEQ/kg. Soglie superate sia nel caso di Brescia che in quello di Taranto, per cui è necessaria una “analisi di rischio sanitario e ambientale” per “valutare gli effetti sulla salute umana derivanti dall’esposizione prolungata all’azione delle sostanze presenti”. Analisi di rischio che a Taranto ha portato alla chiusura delle aree verdi del quartiere Tamburi con un’ordinanza del giugno 2010 per far fronte a un “rischio sanitario non accettabile in caso di esposizione prolungata nel tempo, a seguito di contatto dermico ed ingestione accidentale”, disposizione peraltro in vigore “fino all’ultimazione dei lavori di bonifica”.

A Brescia invece, dove le concentrazioni soglia sono molto al di sopra di quelle di Taranto (la chimica Caffaro, che ha prodotto i Pcb “cancerogeni certi” per lo Iarc dal 1936 al 1984, ha inquinato terreni e rogge con il veleno “puro”) l’Asl ha deciso – senza analisi di rischio “sito-specifica” – di dividere il sito inquinato in tre aree: blu, gialla e rossa. Nella “zona rossa” l’accesso è “interdetto a qualsiasi uso” (parchi di via Nullo, Passo Gavia, via Parenzo nord, via Sorbana nord, campo Calvesi), in quella gialla è consentito “con limitazioni” (parchi di via Fura, via Livorno, via Parenzo sud, via Ercoliani, via Sorbana sud, via Cacciamali). Ma nell’area gialla, dove giocano anche i bambini, ci sono concentrazioni di Pcb e diossine da due a quattro volte superiori rispetto a quelle di Taranto e oltre ai veleni chimici, a Brescia in quei terreni sono presenti anche metalli pesanti come mercurio, arsenico e rame. “A Taranto la legge che dovrebbe valere su tutto il territorio nazionale è stata applicata, a Brescia no – denunciano i comitati – e a trasgredire in modo così clamoroso sono le istituzioni pubbliche”.

(fonte)

L’usura a Brescia

Quattordici arresti, di cui otto in carcere e sei ai domiciliari, dalle prime luci dell’alba in Lombardia. I carabinieri e la guardia di finanza di Brescia, coordinati dalla Procura, hanno sgominato un’associazione a delinquerededita a usura, truffa aggravata, ricettazione, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, porto e uso di armi clandestine. I militari hanno anche sequestrato case, società, auto e disponibilità finanziarie per un importo di oltre cinque milioni di euro.

Terrorizzavano gli imprenditori edili
Le indagini hanno permesso di ricostruire le attività della `banda´, composta da cittadini residenti per lo più in provincia di Brescia ma di origine calabrese e vicini ad ambienti di stampo mafioso. Ambienti normalmente dediti alla gestione di aziende del settore edile: carabinieri e finanzieri hanno documentato condotte usurarie ed estorsive ai danni di imprenditori edili lombardi che hanno consentito agli arrestati di accumulare ingenti disponibilità finanziarie. Gli indagati avevano la disponibilità di numerose armi da fuoco, utilizzate per la riscossione dei crediti. Appurato anche il sistematico ricorso ad atti intimidatori come danneggiamenti e esplosioni notturne di colpi di arma da fuoco all’indirizzo di uffici ed esercizi pubblici. Sono ancora numerose le perquisizioni in corso.

(fonte)

Come si muore a Brescia, Caffaro. E non solo.

Si continua a registrare un ”eccesso” di mortalità, ricoveri e casi di tumore nei siti di interesse nazionale per le bonifiche (Sin), a rischio per l’inquinamento ambientale, mentre nei luoghi dove vi è stata lavorazione dell’amianto aumentano i casi tumorali di mesotelioma pleurico polmonare. Da Casale Monferrato a Taranto, da Gela a Broni, si conferma dunque alto il rischio per la salute dei cittadini. Il dato emerge dall’aggiornamento del Rapporto Sentieri sugli insediamenti a rischio da inquinamento, finanziato dal ministero della Salute e coordinato dall’Istituto superiore di sanità (ISS).

 I siti Sin analizzati, spiega il direttore del Dipartimento Ambiente-Prevenzione dell’Iss Loredana Musmeci, ”sono stati 18 sul totale di 44, poiché si sono potuti prendere in considerazioni solo i siti per i quali sono disponibili i Registri tumori, ad oggi ancora non uniformemente presenti su tutto il territorio nazionale”. La mortalità è stabile rispetto al Rapporto 2010-11, ha sottolineato l’esperta, ”ma la novità di questo rapporto, pubblicato sul sito dell’Associazione italiana di epidemiologia, sta nell’aver analizzato anche altri parametri come, appunto, le schede di dimissioni ospedaliere e l’incidenza generale dei casi di tumore”. Emerge, avverte, ”un eccesso di morti, ricoveri e tumori in tutti i 18 Sin considerati, con un aumento dei tumori ‘da amianto”’. Dati che evidenziano l’urgenza di azioni mirate poichè, afferma Musmeci, ”c’è un rischio per la salute della popolazione”. Per questo, rileva, ”bisogna procedere quanto prima alle bonifiche ambientali in tutti i siti, anche se va precisato che l’eccesso nei casi di tumori può essere dovuto a più fattori e non solo a quello dell’inquinamento ambientale”.

 Il precedente Rapporto 2010 aveva documentato un eccesso di incidenza per cancro in tali aree pari al 9% negli uomini e al 7% nelle donne. Alcuni esempi: nel nuovo rapporto, per il tumore della tiroide in alcuni SIN sono stati rilevati incrementi per quanto riguarda sia l’incidenza (Brescia-Caffaro: + 70% per gli uomini, +56% per le donne; Laghi di Mantova: +74%, +55%; Milazzo: +24%, +40%; Sassuolo-Scandiano: +46%, +30%; Taranto: +58%, +20%) sia i ricoveri ospedalieri. Sempre grazie alle analisi dell’incidenza oncologica e dei ricoverati, inoltre, a Brescia-Caffaro sono stati osservati eccessi per quei tumori che la valutazione della Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS (IARC) del 2013 associa certamente (melanoma) o probabilmente (tumore della mammella e per i linfomi non-Hodgkin) con i PCB (policlorobifenili), principali contaminanti nel sito. L’incidenza di melanoma, infatti, rivela un eccesso del 27% e del 19% rispettivamente tra gli uomini e le donne, mentre i ricoveri ospedalieri per la medesima malattia fanno registrare un eccesso del 52% nel sesso maschile e del 39% in quello femminile.

(via)

Il carotaggio antimafia

f0a2793d3438f26915dd8a1bf3983fbaE alla fine a Brescia i rifiuti tossici sostengono l’autostrada A4. La Terra dei Fuochi è a forma di stivale e nasconde il veleno nel suo ventre molle mentre in molti si preoccupano della bella posa e della buona pettinatura. Forse qualche protocollo o commissione antimafia in meno e qualche soldo per un carotaggio in più farebbe meno rumore ma molto “onore”. Perché, in fondo, delle parole in superficie i mafiosi se ne fottono da sempre: la storia ce lo insegna.

dal Corriere della Sera:

L’autostrada A4: la terza corsia è stata realizzata negli anni OttantaIn uno dei territori più inquinati d’Italia mancava solo un’autostrada dei veleni. L’Agenzia regionale per la protezione ha scoperto che la terza corsia della A4 nel tratto di Castegnato (Bs) è nata sopra una montagna di scorie industriali altamente tossiche. Il velenoso regalo di Natale è arrivato durante la realizzazione di un sottopasso per la linea ad alta velocità.

L’IPOTESI DI ALTRE SCORIE, FINO A MILANO – I tecnici dell’Arpa hanno trovato concentrazioni di cancerogeno cromo esavalente 1400 volte oltre i limiti di legge (per la falda il limite è di 5 microgrammi/litro). La scoperta apre ad interrogativi ancora più inquietanti: sotto l’asfalto della Serenissima, da Brescia fino a Milano, si nascondono altri veleni? «Domanda più che lecita» commenta la direttrice dell’Arpa Brescia, Maria Luisa Pastore: «È possibile ma per dirlo si dovrebbero effettuare nuovi carotaggi sotto altri punti dell’infrastruttura mentre ci sono analisi solo su Castegnato».Analisi che a breve potrebbero essere imposte dalla Procura di Brescia, che ha ricevuto una doppia denuncia da parte del Comune di Castegnato e dalla stessa Arpa. Se oggi è possibile utilizzare scorie industriali -opportunamente inertizzate – come sottofondi stradali, il timore di tecnici e amministratori è che nel passato, proprio per risparmiare alla voce «smaltimento rifiuti» delle aziende del territorio abbiano deciso di sbarazzarsi dei propri veleni nascondendoli sotto l’asfalto delle nascenti strade.

E’ un pentito ma lo arrestano come latitante

Succede davvero, per sbaglio. Ne parla qui Linkiesta.

Ma soprattutto è Luigi Bonaventura. Sì avete letto bene: quel Luigi Bonaventura che ha dato il via all’inchiesta sul presunto progetto di morte ai miei danni. Ora vorrei sapere anche da voi come vi sentireste in un momento così.

Dopo sette anni però un database non aggiornato della questura di Brescia porta la polizia ad arrestare per errore Luigi Bonaventura, salito a Brescia per partecipare ad un convegno promosso dalla locale università. Una volta in albergo arrivano i poliziotti, che in base ai dati del sistema della questura, ritengono Bonaventura latitante da dieci anni: effettivamente, nel 2003, Luigi Bonaventura, era stato latitante, per un mese, per essersi reso irreperibile. Da lì la segnalazione che ha portato al “quasi arresto” avvenuto il 6 dicembre scorso. Determinante è stata la telefonata di un magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro che ha scongiurato l’arresto del collaboratore di giustizia, che per altro ha un attivissimo profilo Facebook. Cosa sconveniente, fosse stato latitante. Tuttavia non tutti gli apparati dello Stato erano a conoscenza dello status di collaboratore di Bonaventura.

A Brescia sgozza la mafia

Quell’omicidio di Brescia del professionista Cottarelli e la sua famiglia di cui avevamo scritto nel 2008 (grazie al bel libro ‘Polo nord’ di Fabio Abati e Igor Greganti) è una strage di mafia secondo la Corte di Assise di Appello di Milano:

La Corte di Assise di Appello di Milano ha condannato all’ergastolo due cugini trapanesi, Vito e Salvatore Marino, 47 e 53 anni, originari di Paceco (Trapani). Il 28 agosto del 2006 fecero strage a Urago Mella (Brescia) di una intera famiglia. Secondo l’accusa, sgozzarono Angelo Cottarelli, la moglie Marzenne Topor di 41 anni e il loro figlio, Luca di 17. Tre delitti al culmine di una diatriba per soldi tra Vito Marino e Angelo Cottarelli, una discussione dove fece da scenario una maxi truffa che era stata ordita da Marino assieme con altri imprenditori trapanesi, ai danni dello Stato e della Regione. Una truffa che inghiottì quasi 40 milioni di euro.

A Vito Marino, Cottarelli aveva garantito, pur stando lontano dalla Sicilia, delle fatture false, ma a un certo punto a Marino venne a mancare un milione di euro, e andò a chiederli indietro a Angelo Cottarelli, svegliando lui e la sua famiglia di buon mattino nella loro villetta a Urago Mella, facendosi spalleggiare da suo cugino Salvatore, al quale secondo la ricostruzione dei pm toccò il compito di sgozzare le tre vittime. I due furono arrestati poco dopo i fatti perché a Trapani gli investigatori della Squadra Mobile si stavano occupando già della truffa e con i colleghi di Brescia ricostruirono i motivi della strage. A casa Cottarelli fu addirittura trovato quel denaro che Vito Marino rivoleva a tutti i costi.

Assolti in primo grado, condannati all’ergastolo in appello, l’anno scorso i due cugini erano tornati liberi per l’annullamento deciso dalla Cassazione. Vito Marino è stato arrestato dalla Polizia in aula dopo la lettura della sentenza. A Trapani i poliziotti della Mobile hanno arrestato suo cugino Salvatore. Spietatezza e brutalità in questa storia. Ma non solo. Vito e Salvatore Marino sono figlio e nipote di un boss ucciso da Matteo Messina Denaro nel 1985 e i vini commerciati da Vito Marino avevano eloquenti etichette, come “Baciamo le mani” con tanto di uomo in coppola e lupara.

Chernobyl, provincia di Brescia: il ritorno

La trasmissione Presa Diretta dell’ottimo Riccardo Iacona ha alzato il velo sulla situazione bresciana. La stessa situazione che sul blog (e in Aula) avevamo più volte sollevato anche grazie all’aiuto del sempre puntuale Andrea Tornago. Basta farsi un giro sul blog qui per trovare gli indizi (forse sarebbe meglio dire le prove, forse) di un lavoro faticoso di politica e di informazione che per molti mesi i comitati, i cittadini e le associazione bresciane hanno sostenuto completamente inascoltati dalle istituzioni.

Oggi qualcuno mi diceva che “è vergognoso che queste cose vengano scoperte dalla televisione e nessuno ne parli”. Chi me ne parlava è una persona mediamente informata e politicamente responsabile: una persona sopra la media, verrebbe da dire, dal punto di vista dell’attivismo di cittadinanza.

Ecco, mi è venuto da pensare che forse abbiamo sbagliato anche noi, se non siamo riusciti a raccontare che quegli argomenti li abbiamo portati in commissione, in aula, negli uffici di Regione Lombardia con la costanza che abbiamo provato a mettere in campo. E forse è tempo di aprire una riflessione politica (ma seria) sulla rivalutazione del lavoro che in Aula e in Commissione i partiti (o i movimenti, fate voi) e i politici (che non sono tutti uguali, ahivoi) svolgono con piglio e professionalità. E allora smetteremo di giocare ai salvatori della patria, alle streghe, agli eroi e ai portatori di sogni e torneremmo a parlare di serietà dell’ impegno. E sarebbe una boccata di ossigeno per tutti.

La mafia a Brescia, la mafia in Lombardia: «Siamo tutti complici»

da BresciaToday

Parlare di mafia si fa sempre più complicato, i tentacoli della Piovra si fanno sempre più vasti, più di quanto si possa immaginare, “ce li abbiamo fin sotto casa“. Con la complicità di tanti, non solo la classe dirigente, con “i pentiti trattati come eroi”, e la Regione Lombardia che dentro di sé, quasi come una qualità oggettiva, possiede “il concime ideale per la proliferazione mafiosa”. A Castegnato il primo incontro del ciclo Mafie al Nord, con Giuseppe Giuffrida (direttore del Distretto Antimafia di Brescia e responsabile dei beni confiscati di Libera Brescia) e Giulio Cavalli (consigliere regionale di SEL), da sempre impegnati nel tenere alta l’attenzione, per non far chiudere gli occhi, per non “farti voltare dall’altra parte”.

In Lombardia e a Brescia, spiegano i relatori, “siamo stati bravi solo a nascondere tutto sotto la sabbia, a fare finta di niente”, giustificando “imprenditori e politici spericolati, giullari e prostitute” e, come detto, con responsabilità comuni. “Una Regione che ha già perso, la Regione dove si vende e si consuma un terzo della cocaina del Paese, dove le infiltrazioni mafiose cominciano dalle banche, si legano ai ricchi imprenditori ma anche ai poveri, con i ricatti, con l’usura”. Spuntano supermercati “come funghi”, strutture commerciali che “non hanno abbastanza clienti per mantenersi”, un fenomeno inarrestabile che allora “non è solo politico”, sale slot e videopoker “piazzati secondo zone d’interesse, fuori dalle leggi del mercato, come se ci fosse un suggeritore”, panettieri e panifici che “non hanno bisogno di vendere pane per guadagnare”, case e capannoni “prima costruite e poi invendute”.

E ancora le coincidenze che si ripetono, la storia di Daccò “con lo stesso odore di quelle di Fiorani e di Sindona”, i faccendieri “amici degli amici in grado di far valere quando serve il loro legame con quelli che contano”, quando la piccola Denise a soli 20 anni è già testimone di giustizia. Il riciclaggio, la memoria di comodo, problemi “culturali e morali”, il reato 416 in cui “tre o più persone cercano di accrescere il proprio bene privato a discapito del bene pubblico, giù al Nord quasi una costante”, o il 416/bis a cui si aggiungono “minacce e intimidazioni”.

Scelte suicide come “la spinta all’intolleranza verso i deboli e non verso i prepotenti”, frammenti di un puzzle davvero troppo grande di cui però bisogna sfatare i luoghi comuni, “perché sappiamo tutti che Provenzano e Riina erano solo ‘pezzi’, piccole parti di un apparato gigantesco, senza mai sapere chi fossero gli statisti quelli puri, abbiamo avuto paura delle loro ombre, di gente che neanche meritava considerazione”.

Una bruciante conclusione quella di Cavalli e Giuffrida: “La paura può essere lecita, l’indifferenza invece no. Chi non prende posizione è come se fosse un colluso, l’antimafia educata non esiste. La mafia non si combatte con l’impegno straordinario di pochi, si combatte con l’impegno quotidiano di tanti. Prima di tutto dobbiamo imparare a sconfiggere la mafia che c’è dentro di noi”.