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I rider di Uber Eats erano schiavizzati: la compagnia commissariata per caporalato

L’inchiesta su Uber Italy che vede coinvolte 10 persone per caporalato tra cui la manager di Uber Gloria Bresciani è la perfetta fotografia di un momento storico, al di là poi della rilevanza giudiziaria: sistematizzare le disperazioni per poterle spolpare fino all’ultimo centesimo appoggiandosi sulle povertà e nascondendosi dietro l’algoritmo di una piattaforma è il comandamento degli sfruttatori del 2020, gli schiavi non sono più solo nei campi con le schiene spezzate ma macinano chilometri sotto il sole o sotto la pioggia per la miseria di una lavoro sottopagato a cottimo come nelle peggiori storie di secoli fa.

È uno schiavismo scintillante, quello del delivery che ci porta comodamente i cibi a domicilio, che una certa narrazione è riuscito addirittura a rivenderci come una conquista. Solo che nel vocabolario impolverato dei diritti ormai sembra essersi smarrito il senso che una “conquista” lo è se porta vantaggi a tutti e invece qui ci troviamo di fronte a lavoratori, ancora una volta, stretti nella morsa di azienda e clienti.

Tra gli indagati anche Danilo Donnini e Giuseppe e Leonardo Moltini, amministratori della Flash Road City Srl e della Frc Sr, che andavano a cercare carne da macello da fare salire in bicicletta nelle sacche più in difficoltà delle storture politiche: i “pericolosi” immigrati in attesa di protezione umanitaria, quegli stessi che vengono già mangiati da certa propaganda politica, tornavano utilissimi per diventare manovalanza. Sono perfetti, se ci pensate, per un certo tipo di capitalismo: si ritrovano in una posizione di debolezza per reclamare diritti e hanno troppa fame per rinunciare a un lavoro.

Si legge nelle carte del pm di Milano Paolo Storari che gli indagati “approfittavano dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo dimoranti nei centri di accoglienza straordinaria, pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale” e li destinavano al lavoro per il gruppo Uber “in condizioni di sfruttamento”. Pagamenti a cottimo per 3 euro a consegna, indipendentemente dalle distanze da percorrere e dalla fascia oraria, mance dei clienti che venivano sottratte, punizioni arbitrarie: “Abbiamo creato un sistema per disperati, ma i panni sporchi si lavano in casa”, diceva intercettata al telefono la manager di Uber. Consapevoli di essere degli schiavisti e sicuri di poter ambire all’impunità. Forse sarebbe il caso di imparare presto i nuovi riferimenti per riconoscere le nuove schiavitù. In fretta.

Leggi anche: Rider sfruttati, Uber Italia commissariata dal tribunale

L’articolo proviene da TPI.it qui

BRESCIANI RETICENTE SUL PROTOCOLLO ALZHEIMER DI MILANO

“A Milano sono circa 20 mila le persone affette da demenza, di cui il 60% con malattia di Alzheimer. La Asl ha recentemente elaborato e diffuso un protocollo, il Percorso preventivo-diagnostico-terapeutico-asistenziale-riabilitativo (Pdtar), per questi pazienti. Sul documento, per quanto il tentativo di sensibilizzare e informare i medici di famiglia sul tema sia apprezzabile, si segnalano evidenti criticità. Di queste abbiamo chiesto conto con un’interrogazione all’assessore Bresciani. Il quale oggi, in Commissione Sanità, ha fornito risposte del tutto insoddisfacenti, perché generiche e ben lontane dal merito dei quesiti posti. Non ci ha dato insomma alcuna spiegazione convincente sulla carenza di analisi dell’iter assistenziale, né sul ritardo diagnostico e terapeutico che il diagramma decisionale suggerito ai medici di base introduce, né tantomeno sulla sistematica esclusione dal trattamento farmacologico dei soggetti in fase iniziale di malattia, con un’ingiustificata discriminazione dei pazienti milanesi. E, soprattutto, l’assessore Bresciani si è ben guardato dal comunicarci se sia stata avviata una verifica di appropriatezza ed equità sull’impostazione di questo percorso, prodotto da un gruppo di lavoro che ha coinvolto Asl, medici di medicina generale e specialisti, ma ha incomprensibilmente escluso rappresentanti dei pazienti, delle famiglie e delle società scientifiche. Troviamo che tutto ciò sia molto grave. E di certo non lasceremo cadere la questione”.