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carlo lucarelli

Puglia. La mafia dimenticata. (di Carlo Lucarelli)

Già è la parola ad essere fuorviante. Faida. Per carità, tecnicamente è giusta, anzi, è stata usata anche per le mattanze calabresi degli Anni 80 e 90, però anche allora dava un’impressione sbagliata.

 

Faida. Una serie di vendette familiari che si tramandano nel tempo e che riguardano una comunità ristretta, famiglie appunto, gruppi di amici, al massimo clan. Viene da pensare istintivamente ad un paio di cose, anzi, tre. Ad una causa scatenante, così persa nella profondità del tempo e magari futile come un furto di galline o l’occhiata sbagliata ad una ragazza, che nessuno se ne ricorda più. Viene da pensare ad una situazione degradata e lontana, da frontiera selvaggia, violenta e senza legge, dove ci si fa giustizia da soli con la pistola al cinturone. E viene da pensare che in fondo si ammazzano tra loro, per cui vabbè.

 

In provincia di Foggia, in questi giorni, per la cosiddetta «faida del Gargano» sono state ammazzate quattro persone. Sono le ultime di una lunga lista che solo dall’inizio dell’anno conta ben diciassette morti, più due scomparsi per quella che chiamiamo letterariamente lupara bianca e che di solito significa comunque essere ammazzato. In Puglia, in quella regione ricca, bella e organizzata, che con il Far West ha in comune soltanto l’essere chiamata «la California del Sud». E non si ammazzano neanche tra di loro e basta, dal momento che nell’ultima strage, oltre a due uomini ritenuti parte di un clan criminale ci sono due contadini che passavano semplicemente di là e hanno visto quello che non dovevano vedere, e che così si aggiungono ai più quaranta nomi di pugliesi letti ogni anno tra più di novecento nel Giorno della Memoria e del Ricordo delle vittime innocenti per mafia. Perché per quanto tecnicamente sia giustissimo chiamarle faide, di questo comunque si tratta.

Guerre di mafia. Eppure, non è che quello che sta accadendo in parte della Puglia, e mica solo dalla fine dell’anno, abbia suscitato tanto scalpore. O almeno, non abbastanza, perché chi le cose le vive direttamente se ne è accorto da un pezzo e di denunce e iniziative anche istituzionali ce ne sono state, ma a me sembra, appunto, non abbastanza. In una regione ricca e piena di interessi, quando la criminalità organizzata spara e ammazza dovremmo immediatamente pensare ad obbiettivi che fanno paura e invece pare che a livello nazionale, dall’opinione pubblica ma anche da parte delle istituzioni, la situazione venga percepita come la normale fisiologia di una mafia minore, già sconfitta a suo tempo.

Mafia minore. È così che è sempre stata considerata la mafia pugliese, la cosiddetta Sacra Corona Unita, nonostante le decine di morti ammazzati, le bombe, le stragi da film di gangster come quella del Circolo Bacardi di Foggia nell’86, la testa mozzata di Nicola Laviano fotografata e mostrata in giro, i miliardi – prima di lire e poi di euro – derivati dai traffici e dal controllo di attività illecite ma anche lecite, almeno apparentemente. Una mafia giovane, nata artificialmente in carcere e colonizzata dalle cosiddette mafie maggiori, Cosa Nostra, Camorra, ’Ndrangheta. Mafia minore, insomma. E forse sta anche qui la mancanza di attenzione attuale ad un fenomeno che avrebbe dovuto farci paura da un pezzo, ancora prima che arrivassero – solo tra gli ultimi – due fratelli che passavano di lì per caso con il loro furgoncino, e uno dei due, che corre disperato inseguito dai killer per i campi, come il giudice Rosario Livatino ad Agrigento. Perché alle mafie, dal punto di vista mediatico ma anche politico, succede quello che accade ai delitti di cronaca. Ce ne sono alcuni più «fortunati» – tra virgolette – che per il tipo di vittima o di assassino, per il luogo o il momento in cui sono avvenuti, colpiscono l’immaginazione, si guadagnano un nome – Cogne, via Poma, la strage di Erba – ed entrano a far parte di una narrazione mediatica che va oltre le inchieste e le motivazioni delle sentenze.

Cosa Nostra è un vero e proprio marchio internazionale e basta pronunciarlo per pensare ad una serie di cose che vanno dalla Trattiva alle stragi al sigaro cubano di Luciano Liggio e al Sacco di Palermo, passando per «Il Padrino», gli orrendi ristoranti spagnoli che utilizzavano il nome della Mafia e al piccolo Santino Di Matteo sciolto nell’acido. Un mondo, col quale abbiamo una familiarità che fa subito scattare un immaginario, con tutte le informazioni, le sensazioni e le emozioni che si porta dietro.

Prima di Gomorra e di Roberto Saviano, per esempio, c’era a Casal di Principe una mafia sconosciuta e totalmente oscurata da una star del crimine come Cutolo, che nessuno avrebbe potuto nominare neanche uno dei suoi boss. Oggi Sandokan Schiavone, per esempio, lo conosciamo tutti, e la pericolosità pervasiva e massiccia dei Casalesi, anche questo vero e proprio marchio di fabbrica, ci fa abbastanza paura.

Ora, non è che bastino gli scrittori a cambiare il mondo, la mafia pugliese è anche stata raccontata da film come «Galantuomini» di Edoardo Winspeare o da romanzi come il bellissimo «L’estate fredda» di Gianrico Carofiglio, solo per citarne alcuni, ci sono stati processi e inchieste – tra cui quelle dello stesso presidente della Regione, Michele Emiliano – che veramente l’hanno quasi sconfitta, ci sono stati articoli e saggi, eppure quello che sta accadendo adesso in Puglia a me sembra non abbia ancora la visibilità e la concreta inquietudine che merita. Sono io che mi sbaglio? Per mia personale e banale disinformazione, per esempio?

Insomma, cosa sta succedendo nella bella, ricca e organizzata Puglia – aggettivi che uso con affetto e convinzione- una fisiologica attività criminale? Morti che fanno male come tutti i morti ammazzati, ma che restano nell’ambito di una «faida»? O una inquietante, pericolosa e ancora non compresa guerra di mafia?

(fonte)

Il colpevole dimenticato: Persinsala sullo spettacolo ‘L’innocenza di Giulio’

Riportare in prima pagina la verità e rispolverare la memoria degli italiani. L’intento di Giulio Cavalli, attore sotto scorta e consigliere regionale lombardo tra le fila di Sinistra Ecologia e Libertà, è chiaro. E, dopo un’ora e mezza di rappresentazione civile di cinquant’anni d’Italia, emerge trasfigurando l’essenza di un mondo che è stato e che forse ancora è. In L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto, l’unico attore – ben spalleggiato dalla regia di Renato Sarti – sente il dovere morale di far presente la colpevolezza del sette volte primo ministro della Dc, nel parlamento italiano da più di sessant’anni: dall’Assemblea costituente a oggi. Rivive, in questo capolavoro di teatro impegnato, la faccia spesso occultata di Andreotti, l’alter ego dell’uomo in impermeabile e con la battuta sempre pronta. Cavalli chiede al pubblico, alla fine abbondante negli applausi e colpito fino alla commozione, una “collusione di dignità” per attraversare la vita del torbido timoniere e riportare alla luce quella condanna per associazione a delinquere con Cosa Nostra spazzata via in secondo grado, e poi in Cassazione, soltanto dalla prescrizione. Che ha sventato la sentenza, ma non cancellato i fatti.
“Occorre puntualizzare sempre”, non si stanca di ripetere Cavalli, impegnato in un monologo su un palco abbastanza disadorno: soltanto un video che proietta nomi e date e un inginocchiatoio su cui, Bibbia alla mano, genuflettersi per far scivolare via ogni accusa. “Altrimenti si tende a legittimare una politica che tesse rapporti con il malaffare”. Cavalli, che dello spettacolo ne ha poi fatto un libro (“L’innocenza di Giulio” – Edizioni Chiarelettere), rivanga il passato del Divo ricostruendo i suoi rapporti stretti con la Sicilia mafiosa, il suo comportamento sfuggente in occasione del rapimento di Aldo Moro, gli incroci con le peripezie del banchiere Sindona, gli ingranaggi tra politica, mafia e Vaticano, la sua estraneità all’omicidio del generale Dalla Chiesa, seguita dall’assenza al funerale. “Ma soltanto perché a questi preferisco i battesimi”, si affrettò a respingere le illazioni Andreotti.
Il video delle vittime della mafia dalla fine degli anni ’70 alle soglie del 2000, accompagnato da “I cento passi” dei Modena City Ramblers, è la più cruda e asciutta ricostruzione storica che non cita mai Belzebù, ma dà agli spettatori l’idea che la sua mano nella regia di questi omicidi ci sia stata, eccome. L’ultimo spettacolo del Teatro della Cooperativaè una completa ricostruzione storica della politica degli ultimi decenni. Peccato, però, che la situazione di oggi non sia poi tanto diversa.

Lo spettacolo continua: Teatro della Cooperativa
via Hermada, 8 – Milano
fino a sabato 16 giugno
orari: da mercoledì a sabato, ore 20.45

Produzione Bottega dei mestieri teatrali – Teatro della Cooperativa presentano:
L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto
di e con Giulio Cavalli
con la collaborazione di Giancarlo Caselli e Carlo Lucarelli
regia Renato Sarti
musiche originali Stefano “Cisco” Bellotti

da persinsala

Vittime di mafia dimenticate dallo Stato

Ho aderito subito e con forza all’appello di POLITICAMENTE SCORRETTO in difesa delle vittime di mafie e contro l’incosciente taglio di ben dieci milioni di euro (su dodici) dei fondi destinati a chi ha subito reati di stampo mafioso (compresi racket e usura). Uno Stato che non riesce a proteggere i propri uomini migliori, coloro che sono disposti a mettere in gioco la tranquillità e la sicurezza propria e della propria famiglia è uno Stato che non ha nessuna credibilità istituzionale, nessun futuro etico e morale e che inevitabilmente risulta essere il miglior deterrente alla denuncia contro le organizzazioni criminali. La paura è un costo sociale che questo nostro paese non si merita e il silenzio degli onesti, in questo caso, rischia di essere la migliore forma di favoreggiamento. Vi chiedo di parlarne e farne parlare, di leggere e fare leggere di non stare inermi di fronte a questo scempio.

Da IL FATTO QUOTIDIANO
Quasi all’asciutto le vittime di mafia e i loro famigliari che, con la legge di stabilità per il 2012, si sono visti tagliare 10 milioni di euro sui 12 fino a quel momento destinati al fondo destinato a chi ha subito reati di tipo mafioso, compresi racket e usura. La notizia viene diffusa nel corso di Politicamente Scorretto, manifestazione giunta alla sua settima edizione. Il suo patron, lo scrittore e autore televisivo Carlo Lucarelli, lo annuncia a Casalecchio di Reno, il comune alle porte di Bologna in cui ogni anni si tiene la manifestazione culturale.

E rilancia con un appello condiviso da don Luigi Ciotti, il sacerdote antimafia fondatore del Gruppo Abele e di Libera. Con lui e Lucarelli anche Paola Parenti, presidente di Casalecchio delle Culture, istituzione promotrice della manifestazione, che sta trattando con la Regione Emilia Romagna perché la manifestazione che parla di criminalità organizzata (anche al nord), società civile, cronaca e letteratura, possa continuare ad avere un minimo di fiato economico per le prossime edizioni.

“La lotta alle mafie”, ricordano i promotori della rassegna emiliana, “dovrebbe essere considerata una priorità dell’azione di qualunque governo in questo Paese. Il prezzo che l’Italia paga alla criminalità organizzata in termini civili, morali, politici ed economici è tale da rappresentare uno degli ostacoli principali del nostro sviluppo”.

In un periodo di difficoltà critiche e ricostruzione, questo sforzo economico deve essere considerato “un investimento, non un costo”, si legge nell’appello che da Casalecchio viene lanciato. E ha aggiunto lo stesso Lucarelli: “Dai tagli alle risorse non può nascere mai niente di buono, a meno che non si tratti di quelli agli sprechi. Questi invece sono taglia alla legalità ancor prima che alla cultura”.

Più nel dettaglio, a venire meno saranno “Per esempio il risarcimento per le spese processuali”, dice ancora lo scrittore. “Per essere vittima in maniera civile, ci vogliono delle armi, che sono le battaglie legali. E queste armi hanno un costo, come insegna la storia delle stragi, che è la storia delle vittime che si sono date da fare per avere una verità”.

Ma il problema, è a monte, secondo Lucarelli, perché “vittime si diventa, quando lo stato è assente”. E allora, per spiegare le ragioni di questi tagli, occorre innanzitutto capire se “esiste una volontà politica di combattere la lotta alla mafia. Se la mafia fa politica, la fa proprio in questo modo, asciugando le risorse. Ma in questo caso non credo ci sia stata un’intenzione mirata quanto piuttosto l’ignoranza nel pensare che queste siano questioni secondarie per il nostro Paese e forse anche l’antipatia che certa politica ha nel trattare questi argomenti”.

Ecco che nasce dunque l’appello congiunto che già annovera tra le altre le firme di Pina Maisano Grassi (vedova di Libero Grassi), del magistrato Gian Carlo Caselli, di Nando dalla Chiesa, del giornalista Lirio Abbate, dello storico Enzo Ciconte, dell’attore Giulio Cavalli (finito sotto scorta per i suoi spettacoli teatrali sulla ‘ndrangheta al nord) e di Dario Vassallo, fratello di Angelo, il sindaco di Pollica ucciso nel settembre 2010.

“Il fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura”, si legge, “rappresenta non solo il doveroso intervento dello Stato a fianco di cittadini che già hanno sofferto e spesso contrastato la criminalità organizzata, ma anche uno degli strumenti più efficaci per combatterla. Al nuovo governo chiediamo che venga rivista tale decisione e che il Fondo venga ripristinato”.

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“Nebiolo N. 5”, profumo di teatro

da ILCITTADINO

Tra i big Bergonzoni, Baliani e lo stesso direttore Cavalli con la sua dura pièce su Andreotti 

Ha preso forma la nuova stagione della ribalta di Tavazzano 

Come una fragranza storica e preziosa, per intenditori. E in cui si mescolano ingredienti diversi, dalla prosa, alla musica, al cinema, fino alla serate di memoria e di impegno, come quelle dellormai tradizionale Centro di documentazione del teatro civile. Si chiama Nebiolo n°5, come quello Chanel che ha fatto la storia del profumo, la nuova rassegna del teatro Nebiolo di Tavazzano, gestita per il quinto anno consecutivo dalla lodigiana Bottega dei mestieri teatrali, con la direzione artistica dell’autore e attore Giulio Cavalli. Il “profumo” che si respira intorno alla sala via IV novembre è sempre lo stesso, «quello di un progetto che a piccoli passi ci ha portato lontano – spiega lo stesso direttore artistico Giulio Cavalli – , a cui si aggiungono nuove soddisfazioni, come quella di un approccio produttivo in piena collaborazione e sintonia con il Comune e la parrocchia di Tavazzano, con molte associazioni del territorio e con realtà gemelle come il teatro Alle Vigne di Lodi e il teatro di Casale». Tra le novità di quest’anno, infatti, c’è anche il primo segnale di una sorta di un sistema a tre, per esempio con l’inserimento nel calendario di uno spettacolo della stagione del teatro alle Vigne (Urge di Alessandro Bergonzoni, il 23 febbraio all’auditorium Bpl di via Polenghi Lombardo) e la possibilità di pagare il biglietto ridotto esibendo l’abbonamento di una delle altre due sale. Nella prosa, il canto sociale di Vittorio Vaccaro e delle sue Voci del Po (12 novembre), ritratto vivido di uno spazio che è vita e viaggio, lavoro e sopravvivenza di una larga fetta del popolo del Nord; e ancora la Milano degli anni Settanta di Walter Leonardi e Paolo Trotti (Milano 70 Allora, 11 febbraio), finestre di dialoghi “anarchici” e comici, in cui si intrecciano poesia e musica di un periodo ancora buio e a tratti incompreso; fino al “cabaret” di autore unico come Alessandro Bergonzoni (23 febbraio, nella stagione delle Vigne e valido solo per gli abbonati) e alla prosa di narrazione di uno dei più apprezzati attori della scena teatrale italiana come Marco Baliani che porterà a Tavazzano il suo Kohlhaas (2 marzo), scritto con Remo Rostagno e tratto dall’opera Micheal Kohlhass di Heinrech von Kleist, sul difficile destino di un contadino allevatore che solleva domande importanti sulla natura della giustizia umana e divina. In cartellone al Nebiolo anche L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto (19 maggio) di Giulio Cavalli, scritto con collaborazione di Giancarlo Caselli e Carlo Lucarelli. Non mancherà la musica, quest’anno un doppio appuntamento con Munfrà degli Yo Yo Mundi, storie e canzoni d’amore e di festa dei dintorni di Monferrato (10 dicembre) e con i nostrani Aka Beicho che presenteranno il loro nuovo album intitolato A (17 marzo). Due gli appuntamenti anche con la filodrammatiche e la rassegna “Teatro che passione”, che ospiterà ll Pioppo di Luciano Pagetti (con 3 atti e un prologo di Achille Campanile, 14 aprile) e Il Malato immaginario della compagnia Teatro Indirigibile (21 aprile). Novità del 2011, il cinfeforum con quattro appuntamenti organizzati con la collaborazione della commissione cultura, e le serate di storia e memoria stilate insieme al Comune di Tavazzano. Tra gli eventi, Le canzoni di Garibaldi (4 novembre), L’incontro (27 gennaio, con la compagnia Il sipario in scena per narrare la vita di un sopravvissuto a Birkenau) e Tavazzano si racconta, ciclo di serate sulla memoria storica del paese che coinvolgerà direttamente i cittadini. Ad aprire le danze, la serata inaugurale del 29 ottobre con la presentazione della prossima produzione di Giulio Cavalli, sulla corsa e la vita dell’atleta Dorando Pietri. Rossella Mungiello

La denuncia “civile” ancora sul palco  con Dalla Chiesa, Caserini e Biacchessi 

La strage di Bologna e il dolore di chi è rimasto, la testimonianza di Nando Dalla Chiesa e gli intrecci tra mafia e politica nella seconda repubblica, la Resistenza vista da Daniele Biacchessi e le vite dei partigiani lodigiani raccontate dall’Anpi provinciale, la responsabilità dell’uomo davanti al “riscaldamento globale” del pianeta raccontato da Stefano Caserini. Torna anche quest’anno la rassegna di incontri del Centro di Documentazione per un teatro civile, nato al Nebiolo e inserito nel progetto di residenza teatrale finanziato da Fondazione Cariplo. Uno spazio unico in Italia, nato per raccogliere esperienze e testimonianze di denuncia e che dalla sua fondazione porta a Tavazzano le vicende di chi ha fatto dell’impegno civile un modo di vivere e di intendere l’arte. Scrittori, attori, giornalisti, magistrati; tanti i volti di chi è passato nella cornice intima del Nebiolo per raccontare un pezzo, spesso indigesto, d’Italia. E che a breve sarà anche aperto al pubblico come archivio, in cui sono stati raccolti libri e copioni. «Abbiamo concluso da poco la raccolta del primo lotto di materiale – spiega il direttore artistico Giulio Cavalli – e saremo pronti per l’apertura alla consultazione già entro la fine della stagione». Una “fucina” di riflessioni che quest’anno aprirà il suo percorso con la testimonianza del lodigiano Stefano Caserini (18 novembre), della sezione ambientale del Politecnico di Milano, che esplorerà il tema del riscaldamento globale e delle responsabilità, spesso ignorate, dell’uomo. Sul palco del Nebiolo anche Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, a Tavazzano il 20 gennaio, mentre Nando Dalla Chiesa porterà il suo libro “La convergenza” sui legami oscuri tra mafia e politica negli ultimi vent’anni di storia italiana (23 marzo), mentre il giornalista Daniele Biacchessi tornerà al Nebiolo con il suo nuovo volume, “Orazione civile per la Resistenza” (28 aprile), in una serata organizzata in collaborazione con l’assessorato alla pace del comune e l’Anpi. E in cui ci sarà spazio anche per narrare dei tanti lodigiani che hanno combattuto dalla parte dei partigiani tra il 1943 e il 1945. (R.M.)

Politicamente scorretto

Anche quest’anno ci vediamo a Casalecchio di Reno, con “L’Innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto” che andrà in scena il25 novembre e che aprirà la rassegna teatrale “Politicamente Scorretto va a teatro” in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione. Il programma come sempre è ricchissimo e l’evento lo potete seguire anche in streaming. Carlo Lucarelli, don Luigi Ciotti, Giuseppe Pignatone, Giancarlo Caselli, Pina Maisano Grassi alcuni tra gli ospiti della VII edizione che accenderà in particolare i riflettori sulle infiltrazioni mafiose al Nord.

Quante verità, quanta poca credibilità

“In Italia esistono almeno quattro verità. La verità giudiziaria, l’unica che si può raccontare senza venire querelato. Ma mica è detto che sia la verità. Poi c’è la verità storica. Ma viene revisionata. Poi c’è la verità del buon senso. Tipo Pasolini che diceva che lui sapeva anche se non aveva le prove. Infine la verità politica. Un bel macello. Come si fa a dire che c’è una storia di cui si sa tutto? Se pensi che non ci si può mai fidare di nessuno, nemmeno degli organi preposti all’accertamento della verità.” [Carlo Lucarelli]

Giulio Cavalli a Carpineti con Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

Magistrati in prima linea, esperti di mafia, giornalisti. Esperti di grandissimo profilo nazionale e internazionale per un pomeriggio davvero straordinario, in cui si discuterà di Mafia, di infiltrazioni mafiose, di lotta alla criminalità con protagonisti della vita italiana del calibro di Antonio Ingroia, Gian Carlo Caselli e Concita De Gregorio.

Domenica 6 giugno è in programma una delle giornate principali – e più attese – di Duemiladieci – Il tempo delle storie, i luoghi per raccontarle”, il ciclo di eventi in programma a Carpineti, paese appenninico in provincia di Reggio, sino al 4 luglio, con giornalisti, magistrati, attori, fumettisti di spessore internazionale. In totale si parla di 35 eventi e 64 ospiti di grande respiro da Milena Gabanelli a Marco Travaglio, da Pier Luigi Celli a Carlo Lucarelli, da Gian Carlo Caselli a Antonio Ingroia, da Concita De Gregorio a Giancarlo Mazzuca, da Carlo Bonini e Daniele Biachessi a Silver. Il tutto organizzato dal Comune di Carpineti con il patrocinio della regione Emilia Romagna e della provincia di Reggio Emilia e la direzione artistica di Patrick Fogli, scrittore noir bolognese.

Domenica 6 Giugno si affronterà il tema della mafia e delle infiltrazioni con un parterre davvero prestigioso. Si parte alle 15 con Parliamo di cosa nostra, che vedrà come ospiti i magistrati Antonio Ingroia e Gian Carlo Caselli e il direttore dell’Unità Concita De Gregorio. Alle 16.30 Nicola Biondo e Alfonso Sabella discuteranno de Il patto, mentre alle 18 si ragionerà su L’infiltrazione della mafia al nord con Giulio Cavalli, Enrico Bini, Nicola Gratteri, Antonio Nicaso, Maino Marchi e Cristina Zagaria. I tre incontri si svolgeranno in Piazza Matilde di Canossa, nel centro di Carpineti, e sono a ingresso libero. In caso di maltempo, è previsto il trasferimento alla struttura coperta del Parco Matilde, a poche centinaia di metri di distanza.

Conclusione a sera, alle 21.45, con lo spettacolo di Giulio Cavalli A cento passi dal duomo, in Piazza Matilde di Canossa (e in caso di maltempo al Parco Matilde), con ingresso a 5 euro.

Gian Carlo Caselli è attualmente a capo della Procura di Torino, dopo una carriera che lo ha visto in prima linea nelle inchieste contro la mafia e il terrorismo. Antonio Ingroia, procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo, è cresciuto nel pool antimafia di Falcone e Borsellino. Dialogheranno della loro grande esperienza sul “mondo mafia” con Concita De Gregorio.

Alle 16.30 Nicola Biondo, giornalista, e Alfonso Biondo, presenteranno il loro libro “Il Patto”, dedicato agli intrecci e alle decennali trattative fra Stato e Mafia, tornate di attualità negli ultimi tempi.

Alle 18.30, infine, tavola rotonda sulle infiltrazioni mafiose al Nord con Enrico Bini, presidente della Camera di Commercio di Reggio e fra i primi a denunciare queste infiltrazioni, il parlamentare reggiano del Pd Maino Marchi, l’attore, regista e politico Giulio Cavalli, Antonio Nicaso, ricercatore e uno dei massimi esperti internazionali di ‘ndrangheta, Nicola Gratteri attualmente Procuratore aggiunto al Tribunale di Reggio Calabria, e Cristina Zagaria, scrittrice, autrice de “L’Osso Di Dio” con Dario Flaccovio, storia vera di ‘ndrangheta.

A sera, conclusione teatrale con “A cento passi dal Duomo”, scritto da Giulio Cavalli assieme al giornalista Gianni Barbacetto (prossimo ospite di Duemiladieci), dedicato alle infiltrazioni mafiose a Milano e le vicende della finanza lombarda.

“Quella di domenica 6 giugno è una delle giornate principali della nostra rassegna, un momento davvero importante con personalità di grandissimo respiro. Siamo onorati e contenti che abbiano accettato il nostro invito e che abbiano gradito la nostra proposta. Non è certo evento da tutti i giorni avere nomi di questo calibro riuniti tutti insieme, e per di più in un paese dell’Appennino come Carpineti. Siamo davvero orgogliosi. E i gli argomenti di cui si parla sono sempre, purtroppo, di grande attualità: basta sfogliare i giornali ogni giorno. Con Duemiladieci vogliamo raccontare il presente e fare riflettere, e una giornata come il 6 giugno è sicuramente importante in questo senso”.

DAhttp://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp?titolo=Carpineti,+si+parla+di+lotta+alla+mafia&idSezione=14268

Due foto nel portafoglio: come si latita in Lombardia. Domenico Papalia e Antonio Perre

da sinistra Domenico Papalia e Antonio Perre
da sinistra Domenico Papalia e Antonio Perre

Guardate bene questa foto. Tenetela nel portafoglio. Mettetela tra le memoranda insieme alle chiavi, l’abbonamento e l’accendino: sono Domenico Papalia e Antonio Perre, due arresti mancati e mancanti dell’ultima operazione PARCO SUD.

Domenico potrebbe essere la “mente” della ‘ndrangheta pelosa in Lombardia, nonostante quel suo sguardo sgarruppato da guappo di periferia. Sentiva il fiato sul collo degli uomini della Dia di Milano e aveva pensato bene già da qualche giorno di sommergersi come gli hanno insegnato bene i suoi tutori criminali di San Luca, di cui è originiaria anche la sua giovane moglie oggi “vedova” da latitanza.

Antonio Perre detto Toto ‘u cainu è sfuggito per un pelo cavalcando veloce la sua auto al galoppo, latitante per una manciata di secondi con la forma di un Sancho Panza in fuga al trotto dal box sotto casa.

Sono partiti dai campi duri della Calabria per arrivare fino ad una luccicante agenzia immobiliare nella milanesissima via Montenapoleone, la “Kreiamo”.

Hanno le facce nere degli aspiranti boss, hanno fiancheggiatori tra Surrigone e Bubbiano nella zona di Vigevano e con i Trimboli fino a Casorate Primo. Sarebbero da dare in pasto a Carlo Lucarelli per una bella puntatona da guardarsi svaccati sul divano con una mezza birra rimasta in frigo. E invece latitano (probabilmente) al piano di sotto.

E nella regione incartata per l’Expo sono una notizia al massimo per una breve di cronaca.

Naturalmente senza foto.