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corruzione

Tangentopoli che non è mai esistita e non è mai finita

Vogliono farci credere che Tangentopoli sia un incidente di percorso di una politica sostanzialmente onesta che è inciampata più per presunzione e disattenzione piuttosto che per una naturale inclinazione al compromesso. Ci hanno raccontato che l’accanimento dei magistrati “rossi” e “antropologicamente diversi” ha dipinto un quadro dai toni troppo accesi rispetto alle buone pratiche lombarde. Fior fiore di giustizialisti hanno esercitato l’arte del giudizio bifronte passando sottovoce dalle condanne urlate ad alta voce contro Craxi & co. ad una nuova era di memoria: intitolazione di piazze e mani giunte di fronte al carisma dello Statista.

Così, come in ogni involuzione morbida di questo Paese, oggi nella coscienza permeabile lombarda la corruzione è un capitolo di storia nemmeno troppo contemporanea buona per i ripassi nei circoli politici; un’ombra di “qualcosa che (forse) è stato” che galleggia in mezzo alla gente, nei mercati, sopra alla testa dei pendolari, con l’indifferenza che conviene alle cose superate e nemmeno troppo importanti.

Eppure nell’ultimo anno in Lombardia gli indagati e arrestati illustri non mancano. Sottovoce.

Sono stati arrestati (e hanno patteggiato) l’illustre Prosperini e l’ex assessore a Pavia Rossana Gariboldi (finita in carcere per riciclaggio).

A Como il rieletto consigliere regionale Rinaldin ha un appuntamento in agenda per il 6 luglio: dovrà presentarsi in tribunale per l’avvio del processo, accusato di avere intascato tangenti per appalti per i lavori del lido di Menagagio, Rinaldin respinge fin da subito ogni accusa.

A Trezzano sul Naviglio l’ex sindaco PDS Tiziano Butturini e il consigliere comunale PDL Michele Iannuzzi (quando si dice “larghe intese”) sono stati arrestati con l’accusa di avere favorito alcune società nella distribuzione degli appalti. L’ex sindaco Butturini è il marito del primo cittadino (dimissionario) di Trezzano e presidente di TASM spa e di AMIACQUE srl, due aziende pubbliche di tutela e gestione di risorse idriche. Per non farsi mancare niente dietro agli arresti si sente anche puzza dei soliti noti della ‘ndrangheta calabrese della cosca Barbaro-Papalia.

Il prossimo mese anche Giuseppe Grossi (leader indiscusso delle bonifiche)  ha l’agenda occupata dall’inizio del processo per il caso Montecity-Santa Giulia. Grossi è accusato di avere gonfiato i costi per lo smaltimento dei rifiuti.

A Rho due finanzieri infedeli sono stati condannati a 4 anni per concussione: sono accusati di essersi “ammorbiditi” per la modica cifra di 300 mila euro.

Senza dimenticare il fuoriclasse Milko Pennisi che è stato pescato con un pacchetto di sigarette senza sigarette ma con un bel mazzo di 5 mila euro dentro. Poi dicono che il fumo nuoce gravemente alla salute.

Le banconote nel pacchetto di sigarette ricordano tanto i lingotti e i rubli di un tale Poggiolini. Ma sarà malafede. Sarà questa mia nostalgia canaglia per le bustarelle che non sono ma esistite e non esistono più.

Che fine ha fatto Prosperini?

«Ecco, sappiate che non desidero che vada più niente in onda se non c’è la mia presentazione… perché a ottobre si vota e… l’opportunità sono io che la giudico, e dico che è opportuno che il dottore (Prosperini parla di se stesso, ndr) ci sia sempre… se noi adesso facciamo una cosa, è per la campagna elettorale… non per far vedere la cosa bella!».  P.G. Prosperini

Sul suo sito malinconicamente languono le sue ultime crociate politiche: raccolte firme per il crocifisso, la castrazione e il fiore all’occhiello di quell’articolo 52 bis da inserire nel codice penale perchè “La difesa legittima in luoghi privati e loro pertinenze adibiti ad abitazioni ed esercizi pubblici deve essere considerata sempre possibile indipendentemente dai metodi, dalla condotta e dai mezzi usati da colui che pone in essere la necessità di difendersi.: i resti (deliranti) dell’attività politica di un Ras in salsa padana.

Che Pier Gianni Prosperini abbia ricevuto da Babbo Natale un bel paio di manette accusato di corruzione e turbativa d´asta (oltre ad altre amene irregolarità come l’avere fatto pagare agli elettori lombardi i manifesti elettorali dell’onorevole La Russa) è fatto arcinoto. Forse si sa un po’ meno che l’assessore Prosperini è stato sostituito dalla deputata Pdl – e oggi neoconsigliere regionale lombardo- Paola Frassinetti, avvocato genovese di 53 anni, che si è subito messa in luce chiedendo l’istituzione di un albo nazionale per le associazioni autorizzate a parlare nelle scuole della tragedia delle foibe per evitare che «come purtroppo è già successo in passato, negli istituti a parlare del dramma dei confini orientali vadano associazioni comuniste che, avvalorando tesi riduzioniste, arrivino al paradosso di cercare di dar ragione agli aguzzini anziché alle vittime». Ma non è questo il punto.

Pier Gianni Prosperini è stato assessore in Regione Lombardia e quindi uomo di fiducia di Roberto Formigoni: quello stesso Formigoni che oggi si ripresenta con il sorriso al borotalco sui manifesti per l’ennesimo mandato elettorale di un sultanato lombardo che ha superato i tempi fisici del “mandato” per sfociare in “un’epoca” di governo, coccolato da Comunione e Liberazione e il suo ramo confindustriale Compagnia delle Opere. La decisione di un arresto cautelare non può (e non deve) essere un timbro di colpevolezza assodata; certo pone degli interrogativi che sono almeno politici. Mentre Formigoni e le truppe pidielline colgono la palla al balzo per la solita accusa di giustizia ad orologeria, mentre il centro destra si interroga se sia il caso o no di permettere la candidatura all’ex assessore, rimane di fondo una domanda: qualcuno si è accorto che oggi, come nel 1992, c’è in carcere un assessore accusato di quegli stessi reati dei bei tempi craxiani? E’ possibile che l’esercizio lombardo alla distrazione sia riuscito a non chiedere risposte (o almeno opinioni) politiche al sempreverde Formigoni? Lui dirà: tocca alla magistratura dare risposte. Quella magistratura che però secondo la sua stessa tesi non è credibile perchè politicizzata.

E così ricomincia il gioco sadico di del Lombardismo: accuse, spot (strapagati con soldi e ombre), propagandismo e sempre nessuna presa di responsabilità  politica. Alle solite.

Intanto Prosperini è stato “licenziato” (come nei partiti azienda che si rispettino) da una nota di Palazzo Chigi del 21 gennaio scorso. Formigoni l’ha ufficialmente scaricato nella seduta del Consiglio Regionale del 18 dicembre dihiarando “Infine, come il Presidente De Capitani ha dato notizia, ho trasmesso al Presidente De Capitani nella giornata di ieri il Decreto da me firmato che dispone l’assunzione da parte mia dell’esercizio di tutte le funzioni e le attività connesse all’ambito delle materie oggetto dell’incarico attribuito al sig. Piergianni Prosperini”. Comunque vada a finire l’inchiesta e il processo, l’obbligo di un Presidente regionale dovrebbe essere  altro che dettare comunicati stampa contenitivi.

Presidente Formigoni, che fine ha fatto (politicamente) Prosperini?

Due parole e qualche fatto su “via Bettino Craxi”

“Più sono le leggi, più sono i ladri”
Bettino Craxi

Attenzione: la patetica idea dell’ormai prevedibile sindaco Moratti di intitolare a Bettino Craxi una via in Milano non è meramente un problema solo politico: è lo specchio di un’impunità culturale che in tutti i campi è diventata un trofeo con tutto intorno una sonnolenza scoraggiata e martellata secondo le regole della prostituzione pubblicitaria piuttosto che quelle della memoria politica di un paese. Già la proposta avanzata dal sindaco Moratti indica che il limite della dignità verso la memoria è stato superato; al di là degli esiti pratici è un’onta che puzza di sugo rancido che ci teniamo sulla giacca di questa città già imbrattata.

Quella stessa parte politica che ultimamente scalcia goffa ululando al rispetto delle istituzioni oggi ci dichiara chiaramente che la Memoria di questo paese (quella con la M maiuscola che è figlia unica della storia) non è affidata ai Fatti ma alle opinioni di pessimi opinionisti prestati a tempo indeterminato al mestiere indegno di apriporte o lucida ottoni al servizio degli interessi di pochi.


E allora non stupisce che si decida di dedicare una via proprio a colui che per primo trasformò in Sistema quel meccanismo infame di corrotti e corruttori che premia il miglior offerente a scapito del più capace. Quel sistema che ha trasformato la meritocrazia in un privilegio piuttosto che un diritto. E quando i diritti diventano privilegi da supplicare significa che qualcuno insieme ai soldi si è rubato anche le regole del gioco, che la partita è impari, che la democrazia è diventata un souvenir.
Craxi è stato condannato con sentenza passata in giudicato a: 5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo Eni-Sai il 12 novembre 1996; 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le mazzette della metropolitana milanese il 20 aprile 1999. Per tutti gli altri processi in cui era imputato (alcuni dei quali in secondo o in terzo grado di giudizio), è stata pronunciata sentenza di estinzione del reato a causa del decesso dell’imputato. Fino a quel momento Craxi era stato condannato a: 4 anni e una multa di 20 miliardi di Lire in primo grado per il caso All Iberian il 13 luglio 1998, pena poi prescritta in appello il 26 ottobre 1999; 5 anni e 5 mesi in primo grado per tangenti Enel il 22 gennaio 1999; 5 anni e 9 mesi in appello per il Conto Protezione, sentenza poi annullata dalla Cassazione con rinvio il 15 giugno 1999; 3 anni in appello bis per il caso Enimont il 1° ottobre 1999. Bettino Craxi morì condannato “volontariamente sottratto alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora o ad un ordine con cui si dispone la carcerazione” : Bettino Craxi morì latitante secondo l’articolo 296 del Codice di Procedura Penale.
Un grande statista (ma anche un mediocre politico) deve (almeno) affrontare i processi, piuttosto accetta di diventare un collaboratore di giustizia, contribuisce in maniera decisiva al risanamento etico e giuridico della classe politica italiana; e piuttosto responsabilmente accende una stagione di prosperità e rigore che lo può vedere protagonista, ruolo a cui il suo “pentimento”  gli darebbe piena legittimazione. Invece il piccolo Craxi è fuggito ed ha vissuto i suoi ultimi anni in latitanza eludendo di fatto le leggi del suo Paese.
E allora mi scuserà la sindachessa se proprio non riusciamo ad esserne orgogliosi, in una Milano che mentre lascia la mafia sotto il tappeto e gli operai sopra i tetti si preoccupa di mettere in strada un monumento a Bettino. Un riconoscimento all’anti-memoria che, per amor del vero, esiste già non solo in altre città ma ci viene propinato tutte i giorni a tutte le ore su quelle televisioni figlie del craxiano “decreto Berlusconi” varato per salvare l’allora imprenditore Silvio Berlusconi dalla decisione dei pretori di Torino, Roma e Pescara di oscurare i canali televisivi della Finivest. Quelle televisioni che sono lo spot pubblicitario continuo dell’omicidio della meritocrazia imprenditoriale in questo paese. Quelle televisioni che per uno strano gioco di uguaglianze sono figlie (nella modalità della nascita) non di una democratica di discussione in Parlamento ma di un monocratico voto di fiducia; nello stesso modo innaturale e antiparlamentare con cui opera abitualmente questo attuale governo.
Mi scuserà il sindaco Moratti se mi permetterò di raccontare ai miei figli, prima di chi fosse Bettino Craxi, che questa è la città di Guido Galli, di Ambrosoli, di Alessandrini e molti altri. Se mi permetterò di raccontargli che Craxi oggi esce ingigantito solo per il paragone con i nani dell’attualità. Mi scuserà se mi viene da sorridere pensando che addirittura Bobo Craxi (che a 25 anni era già segretario del Psi milanese per discendenza diretta) arrivò a dire “Non mi sono mai considerato craxiano” (10-9-92).
L’aforisma di un anonimo arabo dice: Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero.
E allora se davvero come disse Silvio Berlusconi il 21 settembre del ’94 “io a Craxi non devo nulla. Ho sempre riconosciuto il ruolo dei magistrati nella lotta al sistema perverso della Prima Repubblica. TV e giornali della Fininvest sono sempre stati in prima linea a difendere i magistrati e in particolare Di Pietro!” non cerchi oggi di chiedere scusa con una via.
Non dico per rispetto di Giustizia, non dico per Memoria; almeno per Dignità, se ne è avanzata un po’.

No alla vendita dei beni confiscati. Niente regali alle mafie, i beni confiscati sono cosa nostra

FIRMA L’APPELLO

niente_regaliTredici anni fa, oltre un milione di cittadini firmarono la petizione che chiedeva al Parlamento di approvare la legge per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Un appello raccolto da tutte le forze politiche, che votarono all’unanimità le legge 109/96. Si coronava, così, il sogno di chi, a cominciare da Pio La Torre, aveva pagato con la propria vita l’impegno per sottrarre ai clan le ricchezze accumulate illegalmente.

Oggi quell ‘impegno rischia di essere tradito. Un emendamento introdotto in Senato alla legge finanziaria, infatti, prevede la vendita dei beni confiscati che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. E’ facile immaginare, grazie alle note capacità delle organizzazioni mafiose di mascherare la loro presenza, chi si farà avanti per comprare ville, case e terreni appartenuti ai boss e che rappresentavano altrettanti simboli del loro potere, costruito con la violenza, il sangue, i soprusi, fino all’intervento dello Stato.

La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle istituzioni.

Per queste ragioni chiediamo al governo e al Parlamento di ripensarci e di ritirare l’emendamento sulla vendita dei beni confiscati.
Si rafforzi, piuttosto, l’azione di chi indaga per individuare le ricchezze dei clan. S’introducano norme che facilitano il riutilizzo sociale dei beni e venga data concreta attuazione alla norma che stabilisce la confisca di beni ai corrotti. E vengano destinate innanzitutto ai familiari delle vittime di mafia e ai testimoni di giustizia i soldi e le risorse finanziarie sottratte alle mafie. Ma non vendiamo quei beni confiscati che rappresentano il segno del riscatto di un’Italia civile, onesta e coraggiosa. Perché quei beni sono davvero tutti “cosa nostra”

don Luigi Ciotti
presidente di Libera e Gruppo Abele


Tra i primi firmatari:  Andrea Campinoti, presidente di Avviso Pubblico – Paolo Beni, presidente Arci – Vittorio Cogliati Dezza, presidente Legambiente – Andrea Olivero, presidente ACLI – Guglielmo Epifani, segretario CGIL –  Luigi Angeletti, segretario UIL – Francesco Miano, presidente Azione Cattolica – Filippo Fossati, presidente UISP – Marco Galdiolo – presidente US Acli, Paola Stroppiana e Alberto Fantuzzo, presidenti del comitato nazionale Agesci – Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace – Loretta Mussi, presidente di “Un ponte Per” –  Michele Curto, presidente di FLARE (Freedom, Legality and Rights in Europe) – Michele Mangano, presidente Auser –  Doriano Guerrieri, presidente nazionale CNGEI – Gianpiero Calzolari, Presidente di “Cooperare con Libera Terra” – Oliviero Alotto, presidente di Terra del Fuoco – Giuseppe Gallo, segretario generale FIBA Cisl – Don Nandino Capovilla, coordinatore Pax Christi – Giuliana Ortolan, Donne in Nero di Padova – Giulio Marcon, portavoce campagna Sbilanciamoci – Aurelio Mancuso, presidente Arcigay – Lucio Babolin, presidente CNCA – Fabio Salviato, presidente di Banca Etica – Mario Crosta, Direttore Generale di Banca Etica, Giuseppe Gallo, segretario generale FIBA Cisl –  Tito Russo, coordinatore nazionale UDS (Unione degli Studenti), Claudio Riccio, referente Link-coordinamento universitario, Sara MartiniEmanuele Bordello – presidenti FUCI, Giorgio Paterna, coordinatore Unione degli Universitari – Umberto Ronga, Movimento Eccesiale di Impegno Culturale.

E inoltre: Nando Dalla Chiesa, Salvo Vitale, Rita Borsellino, Sandro Ruotolo, Roberto Morrione, Enrico Fontana, Tonio Dell’Olio, Pina Picerno, Francesco Forgione, Luigi De Magistris, Raffaele Sardo, David Sassoli, Francesco Ferrante, Rita Ghedini, Petra Reski, Esmeralda Calabria, Vittorio Agnoletto, Vittorio Arrigoni, Giuseppe Carrisi, Jasmine Trinca, Yo Yo Mundi, Sergio Rubini, Modena City Ramblers, Gianmaria Testa, Libero De Rienzo, Livio Pepino, Elio Germano, Subsonica, Vauro, Claudio Gioè, Roberto Saviano, Daniele Biacchessi, Giulio Cavalli, Elisabetta Baldi Caponetto, Moni Ovadia, Ottavia Piccolo, Giancarlo Caselli, Ascanio Celestini, Alberto Spampinato, Salvatore Borsellino, Federica Sciarelli, Haidi Giuliani, Fausto Raciti, Francesco Menditto, Antonello Ardituro, Benedetta Tobagi, Il Coro dei Minatori di Santa Fiora, Simone Cristicchi, Roberto Natale, Agnese Moro, Tana De Zuleta, Lella Costa, Armando Spataro, Maurizio Ascione, Nicola Tranfaglia, Franco Cassano, Marco Delgaudio, Carlo Lucarelli  …

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COMUNICATO STAMPA AVVISO PUBBLICO

Nel pomeriggio di oggi, nell’ambito del maxi emendamento presentato dal governo alla Legge Finanziaria, l’Aula del Senato ha approvato a maggioranza il provvedimento che introduce la possibilità di vendere i beni confiscati alla criminalità mafiosa (Emendamento 2.3000, relatore Maurizio Saia, PDL).

Il nuovo provvedimento stabilisce che se trascorsi i 90 giorni che devono intercorrere tra la data della confisca e quella dell’assegnazione – previsti dalla legge 575/65 – i beni non sono stati assegnati, essi possono essere venduti.

La competenza viene affidata al dirigente del competente ufficio del territorio dell’Agenzia del demanio che dovrà espletare il procedimento di vendita entro sei mesi. In questo modo la competenza in materia di beni confiscati passa dal Ministero dell’Interno al Ministero dell’Economia, per evidenti ragioni di natura economico-finanziaria: le risorse incamerate dalla vendita andranno a finanziare i bilanci del Ministero degli Interni e del Ministero della Giustizia.

Il dirigente del competente ufficio dell’Agenzia del demanio – secondo quanto previsto dall’emendamento approvato – richiede al prefetto della provincia interessata ogni informazione utile affinché i beni non siano acquistati, anche per interposta persona, dai soggetti cui furono confiscati ovvero da soggetti altrimenti riconducibili alla criminalità organizzata.

L’Aula del Senato ha approvato a maggioranza due emendamenti proposti dall’opposizione (Emendamento n. 2.3000/35 e n. 2.3000/36), in base ai quali si prevede che il dirigente del competente ufficio dell’Agenzia del demanio deve obbligatoriamente tenere conto del parere del Commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni mafiose e del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Secondo il Presidente di Avviso Pubblico, dottor Andrea Campinoti e il Coordinatore del gruppo di lavoro dell’Associazione sul tema dei beni confiscati, Cosmo Damiano Stufano, il provvedimento approvato oggi al Senato indebolisce la lotta alle mafie in quanto genera uno stravolgimento inaccettabile di quanto previsto dalla legge 646 del 1982 – Legge Rognoni – La Torre, pagata con la vita da Pio La Torre – e del principio di utilizzo sociale dei beni sottratti alla criminalità organizzata previsto dalla legge 109/96.

La legge 109/96 è stata la prima legge di iniziativa popolare contro le mafie, votata dal Parlamento all’unanimità, sostenuta dalla raccolta di un milione di firme di cittadini a suo tempo curata dall’Associazione Libera.

Confiscare i beni ai mafiosi e utilizzarli per finalità di carattere sociale è fondamentale se si vuol portare avanti una seria e concreta lotta alle mafie da parte di uno Stato credibile e autorevole. Fondamentale perché si sottrae quella ricchezza illecita e quel consenso sociale che sono due pilastri portanti della forza e della prepotenza mafiosa.

L’uso sociale dei beni confiscati è uno strumento formidabile di grande valore e impatto simbolico, utile sia per costruire un tessuto sociale e istituzionale capace di riconoscere realmente i diritti dei cittadini, liberandoli dall’oppressione mafiosa, sia per porre le basi di uno sviluppo economico legale concreto, come testimonia il lavoro delle Cooperative sociali del circuito Libera – Terra.

La vendita dei beni confiscati alle cosche, così come prevista dal provvedimento approvato oggi al Senato, non garantisce pienamente che ad impossessarsene non saranno più i mafiosi. È notorio, infatti, come da tempo queste organizzazioni criminali, dotate di ingenti risorse finanziarie, si avvalgano di prestanome incensurati per infiltrarsi nel tessuto economico-produttivo-finanziario legale: questo non solo nel Mezzogiorno ma a livello nazionale.

Avviso Pubblico ritiene che un concreto sostegno economico-finanziario alla magistratura e alle Forze dell’ordine può derivare da un serio contrasto alla corruzione, alle mafie e all’evasione e all’elusione fiscale, non dalla vendita dei beni confiscati alla criminalità organizzata.

In tema di beni confiscati è necessaria la costituzione di un’apposita Agenzia nazionale che si occupi in modo specifico della materia, riducendo sensibilmente i tempi che intercorrono tra la fase di sequestro, confisca, assegnazione e destinazione dei beni, favorendone il loro uso sociale, così come dichiarato anche nel Manifesto finale di Contromafie 2009.

Avviso Pubblico si dichiara contraria alla scelta legislativa approvata oggi dal Senato e chiede che alla Camera dei deputati il provvedimento sia ritirato. Affinché questo si realizzi l’Associazione si mobiliterà pubblicamente nelle forme e nelle sedi che riterrà più opportune.

Andrea Campinoti
Presidente di Avviso Pubblico

Cosmo Damiano Stufano
Coordinatore Gruppo di lavoro su
beni confiscati di Avviso Pubblico

Un appello per non essere barbari in mezzo ai Barbaro partendo dal palco di Buccinasco

GERMANY SHOOTINGSDomenica 15 novembre sarò in scena a Buccinasco alle 21,15 presso l’auditorium Fagnana (Via Tiziano 7) a mettere in scena A 100 PASSI DAL DUOMO. Per un teatrante dovrebbe essere una buona notizia. Normale. Ma quella domenica non è una data normale. Anche se è una buona notizia.

Normalmente un Arlecchino arriva in piazza, sbuffa la polvere dai costumi e soffia sulla maschera; non conta le uscite della sala mentre si matematica in testa le proiezioni delle facce dei presenti.

Normalmente un Arlecchino tende sgraziato con il sorriso, si curva e urla, gioca a sversare le pance e gli occhi, prima dell’inchino piegato in due e il giro tra il pubblico con il berretto; non tiene in mano le sentenze stropicciate per uno spettacolo di legittima difesa in una regione in cui le analisi sono masticati come beceri allarmi.

Normalmente un Arlecchino divide il suo pubblico (con la chiarezza banale di un colino) tra divertiti, indignati e sdegnati; non sogna nemmeno negli incubi peggiori che ci siano armi.

Normalmente un Arlecchino recita, sorride e inquadra il certo semplicemente in modo diverso; non svela.

Normalmente un Arlecchino non suda per preservare la dignità; dovrebbe ruzzolarsi superficiale nello sterco.

E invece lo sterco ce lo siamo ritrovati nella tazza ogni mattina. Per una normalità della dignità che per demeriti di altri diventa addirittura eroica ed eccezionale. Per un gioco continuo a delegare a pochi la responsabilità della solidarietà che dovrebbe essere di tutti.

Perchè per un gioco malato di responsabilità che crescono come gli arbusti delle favole, sei tu che devi vomitare lo sterco cercando di restituirlo.

Per questo domenica non è una data normale. Perchè domenica è la “riunione condominiale” degli affezionati alla giustezza prima ancora di questa giustizia dagli emendamenti illegali. Quelle serate in cui lo spettacolo è solo un pretesto per contarci e guardarci negli occhi con la bellezza di essere “noi” e “insieme”.

Perchè il negazionismo e la superficialità nell’osservazione hanno garantito la carsicità di un fenomeno peloso e pavido come quelle manciate di ‘Ndrine che si spompinano con Cosa Nostra. E in un gioco di saliva e sugo hanno partorito le uova delle generazioni successive molto più professionali nell’apparire degne o almeno civilizzate.

Ma con la parola non vi salveremo. Osserveremo i barbari dei Barbaro, Sergi e Papalia e tutti gli altri in giro per la Lombardia. Perchè la nostra parola è l’uncino per alzare la coperta e mostrarvi ridicoli e nudi. Confiscando la vostra banalità per una parola ostinata. E degna.

Per urlarvi in faccia che siete “sotto osservazione” da parte di una società civile che non vi offre più il caffè.

Giulio Cavalli

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Come ci racconta puntualmente Arianna Cascione su blogosfere sull’ultima operazione PARCO SUD la ‘ndrina Barbaro-Papalia è radicata nell’hinterland sud di Milano da 30 anni. L’operazione è il risultato di un’indagine durata due anni. Sotto accusa anche il traffico di stupefacenti e di armi e numerosi episodi estorsivi e intimidatori ai danni di imprenditori che non accettavano di piegarsi alle richieste del clan.

Il procuratore capo di Milano Manlio Minale ha parlato di un’operazione “che ha accertato per la prima volta come alcuni imprenditori lombardi si siano sottomessi all’associazione mafiosa, l’abbiano fiancheggiata, approfittando per propri fini”.

Come segnala Repubblica infatti tra i soggetti arrestati ci sono imprenditori edili e immobiliari che hanno accettato le logiche mafiose e un perito arrestato di corruzione dopo aver accettato una mazzetta per agevolare un’operazione economica della cosca. Risultano indagati alcuni dipendenti di amministrazioni comunali addetti al rilascio di pratiche edilizie e un cancelliere del tribunale.

Gli arrestati appartengono alla cosiddetta ‘terza generazione’. L’organizzazione aveva il monopolio del movimento terra e dello smaltimento rifiuti. Era infiltrata anche in cantieri come il raddoppio della Milano-Mortara e la Tav.

L’imprenditore Andrea Madaffari diceva in una intercettazione:

“Tu sai meglio di me, nell’edilizia bisogna spesso rispettare degli equilibri. A volte devi dare la possibilità di fare delle demolizioni a qualcuno, altre volte la costruzione all’altro… è un discorso di reciproche soddisfazioni…La comunità calabrese è assolutamente ben radicata e quindi siamo circondati, a parte che siamo noi tutti calabresi.. quelli che fanno gli scavi è gente di Platì”

Il Madaffari e il socio Alfredo Iorio (presidente del Cusago calcio) puntavano all’acquisto e alla ristrutturazione del castello di Cusago, dove riciclare milioni di euro. Ne parla anche GiornaleLibero.com.

Per convincere gli imprenditori a stare dalla loro parte, come riporta il Corriere, la cosca utilizzava metodi ben precisi:

“auto­mezzi fatti saltare in aria, agen­zie immobiliari bruciate, gente dubbiosa persuasa da colpi di pistola sparati alle finestre del­la camera da letto, un perito del Tribunale corrotto per comprare a prezzo straccia­to un prezioso terreno alle aste giudiziarie. E imprenditori mezzo terrorizzati e mezzo col­lusi con chi tra l’altro dava asi­lo a un latitante in fuga dal­l’Aspromonte; seppelliva detri­ti non nelle apposite discariche ma in un cantiere sulla linea ferroviaria Milano-Mortara; e in una Lancia Lybra nascosta in un box di Assago custodiva un arsenale di mitragliatori, pisto­le semiautomatiche, fucili, bombe a mano di fabbricazio­ne jugoslava”

Ilda Boccassini lancia un appello ben preciso:

“Gli imprenditori devono capire che devono stare con lo Stato o contro lo Stato”

“MILANO: TROPPO VICINA ALLE MAFIE”

Da quel “buco”, da quella non partecipazione al funerale, parte il silenzio-assenso di Milano alla mafia.
Ha dichiarato il figlio, Umberto Ambrosoli a Beppe Grillo (su www.beppegrillo.it): «Sì, papà era – usiamo un eufemismo – un po’ solo, e il suo funerale è la celebrazione di quella solitudine. Vi parteciparono necessariamente in forma privata i magistrati che con lui seguivano le indagini per la bancarotta della Banca Privata Italiana, vi partecipò l’allora governatore onorario della Banca d’Italia Guido Baffi, che assieme a Sarcinelli che era il direttore generale della Banca d’Italia di allora aveva da poco subito una delle aggressioni più vergognose che la storia democratica del nostro Paese ricordi. Fu la celebrazione di una solitudine».

Qualcosa è cambiato?
Sì certo, di Ambrosoli, oggi, se ne parla (è anche uscito il bel libro del figlio Umberto: Qualunque cosa succeda. Storia di un uomo libero, Sironi, 2009).
Ma, come recita il titolo dello spettacolo (imperdibile per i lombardi e non solo) di Cavalli, la mafia è arrivata A cento passi dal Duomo.

Lo spettacolo, che ha debuttato in ottobre al Teatro della Cooperativa di Milano, è stato scritto, assieme a Cavalli, dal giornalista Gianni Barbacetto, autore di alcuni dei reportage e dossier più scottanti di questi ultimi decenni, su mafie, corruzione politica e malaffare.

L’elenco delle collusioni, dei traffici loschi, dei legami tra i politici e imprenditori lombardi con le cosche meridionali è impressionante.

E a chi ancora nega (come ha fatto il sindaco di Milano Letizia Moratti nella trasmissione Annozero) che la mafia sia un’emergenza a Milano, basti solo pensare alle minacce arrivate a Cavalli come pure a tutti gli amministratori locali che hanno cercato di opporsi alla sempre più capillare presenza della ‘ndrangheta.

La mafia a Nord non uccide? Anche questo è un errore (d’ignoranza?).
E Cavalli, a fine spettacolo (le musiche sono di Gaetano Liguori), ricorda un caso del tutto dimenticato: l’assassinio di Bruno Caccia, un coraggioso magistrato piemontese, ucciso mentre portava a spasso, da solo, il cane la sera del 26 giugno 1983.
All’epoca le indagini puntarono sulle Brigate rosse. In effetti il procuratore stava indagando anche su di loro, oltre che sulla criminalità organizzata.
Ma il mandante era stato il boss della ‘ndrangheta Domenico Belfiore, condannato all’ergastolo nel 1993 e scoperto solo perché si era vantato dell’impresa con un “pentito di mafia”.

Lo spettacolo sarà il 7 novembre a Bolzano; il 13 a Pescarenico (Lecco); 15 novembre a Corsico e Buccinasco in occasione dell’arrivo della Carovana Antimafie. Tutte le date sono sul sito di Giulio Cavalli: www.giuliocavalli.net.

 

DA http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/016058.aspx

Operazione MATASSA nel Lodigiano: arrestati due funzionari pubblici. L'adulterio tipico è servito.

SEDEITALIA90Adesso tutti sanno, tutti sapevano e ricomincerà pronto il circo dei profeti muti che l’operazione “Matassa” l’avevano annusata già da tempo. Perché è innegabile che, soprattutto a Sant’Angelo Lodigiano, girasse quella strana voce di metodi non convenzionali di qualcuno della società “Italia 90” nel “tirare giù dai camion quelli della Meco per dirgli di smetterla” oppure di uno strano profumo di mafia per una società che si arricchiva tanto in fretta. Eppure oggi, calmate le acque, risuonano gli spigoli di una vicenda che affila una gestione dei rifiuti dubbia e spesso sottovalutata e soprattutto il solito noioso vizio antico di proclamare sorpresa verso un fenomeno che pretende invece coscienza e programmazione:

Tra gli arrestati ci sono un dirigente e un funzionario del comune di Sant’Angelo Lodigiano (Giuseppe Tacchini, ora rinchiuso nel carcere di Lodi, e Stefano Porcari, agli arresti domiciliari); secondo le accuse il dirigente del comune Tacchini avrebbe avuto un intenso scambio epistolare con Claudio Demma (procuratore speciale, nonché unico proprietario delle quote di “Italia 90”) per calibrare l’offerta e intascarsi l’appalto con il vecchio trucco delle due buste (con offerte diverse) da estrarre dal cilindro al momento opportuno. Questo a ricordare come l’infiltrazione mafiosa attecchisce lì dove la pubblica amministrazione apre uno spiraglio e la politica non vigila se addirittura non nega. E suona simpatico che proprio Sant’Angelo Lodigiano sia il feudo di un sindaco sceriffo (perfetta incarnazione della fanteria leghista) che ha come parole d’ordine “Sicurezza Pulizia Ordine Territorio” e che si ritrova beffato da una filo che parte proprio dalla pulizia e finisce sul territorio; per di più con il placebo della sicilianità dell’azienda coinvolta rovinosamente sfumato dal sangue sant’angiolino del proprio dirigente. Oggi il sindaco Domenico Crespi dice solo: “Sicuramente non posso che esprimere il mio rammarico. Naturalmente non posso che occuparmi anche del lato umano della vicenda, esprimendo attenzione per le persone coinvolte e le loro famiglie”. Amen.

Il presidente della Provincia di Lodi Pietro Foroni parla di un “preoccupante livello di infiltrazione mafiosa che ha raggiunto il Lodigiano e Cremona” e assicura di avere sempre guardato con sospetto “Italia 90” precisando di “non averli mai incontrati di persona”. I comuni di Mulazzano e Zelo Buon Persico più semplicemente avevano notato il certificato antimafia “sospetto” di Italia ’90 segnalandolo in procura. Il territorio ha forze sane e guardinghe che, forse, meriterebbero di essere stimolate con l’informazione e la sensibilizzazione.

Appropriarsi dei valori di “ordine e sicurezza” in campagna elettorale per delegarle completamente, ad elezioni vinte, alle forze dell’ordine e alla magistratura è un giochetto politico da vigliacchi.

OPERAZIONE MATASSA

1. Nel corso dell’aprile del 2008 militari del Nucleo Operativo Ecologico hanno ricevuto diverse notizie confidenziali relative a sospette attività poste in essere dal management della società “ITALIA 90 s.r.l.” (con sede legale in Palermo via dello Spasimo n. 62-64 e sede operativa in Ospedaletto Lodigiano (LO) via Fermi) in relazione ad eccessivi ribassi nell’ambito dei procedimenti di aggiudicazione delle gare d’appalto per la raccolta e gestione di rifiuti urbani in diversi comuni della provincia di Lodi e Cremona. Oltre a tale scenario – che faceva asseritamente riferimento ad ipotesi di riciclaggio di denaro e violazioni ambientali (smaltimenti illeciti) – le fonti indicavano atteggiamenti intimidatori posti in essere da uno dei soci verso potenziali concorrenti delle gare d’appalto che si sarebbero dovute aprire. Primi elementi di riscontro acquisiti e relativi alla mappatura degli appalti attualmente in corso di esecuzione dalla “ITALIA 90 s.r.l.” hanno permesso di comprendere come la società operasse in diversi comuni della provincia di Lodi (10 comuni tra cui Maleo, Zelo Buon Persico, Sant’angelo Lodigiano) ed in quasi i due terzi della provincia di Cremona (38 comuni) per un ammontare totale superiore a Euro 8.000.000 di fatturato distribuiti nel corso degli anni in cui vigevano i contratti con le pubbliche amministrazioni. La stessa ITALIA 90 srl conduceva appalti anche in alcuni comuni della regione Liguria.

2. Ulteriori approfondimenti esperiti nel corso dell’estate 2008 hanno permesso di rilevare come nel giugno di quell’anno il comune di Mulazzano (LO) depositava presso la locale Procura della Repubblica una denuncia nei confronti della società relativa a ipotesi di falso documentale riferita alla correttezza dei requisiti soggettivi del procuratore (assenza di precedenti penali) nelle autocertificazioni prodotte per l’aggiudicazione della gara d’appalto bandita. La conseguente analisi, estesa agli appalti in corso di esecuzione nella provincia di Lodi, ha consentito di evidenziare che, rispetto a diverse gare, la società aveva prodotto atti falsi in relazione alla sussistenza delle qualità soggettive ed oggettive necessarie alla aggiudicazione dei contratti.

3. In relazione a quanto sopra è stata depositata una informativa presso la Procura della Repubblica di Lodi a carico del management della “ITALIA 90 srl “, per le ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione di atti pubblici, turbativa d’asta e corruzione. Il quadro indiziario è stato condiviso dalla Procura della Repubblica di Lodi che ha concesso l’emissione di decreti di intercettazione telefonica nei confronti delle utenze mobili in uso ai procuratori ed amministratori della società, nonché al Dirigente dell’Area Tecnica del comune di Sant’Angelo Lodigiano (LO) sospettato di mantenere improprie relazioni, verosimilmente di natura corruttiva, con almeno uno degli indagati.

4. La prosecuzione della manovra investigativa ha permesso di individuare una gara d’appalto bandita dal comune di Sant’Angelo Lodigiano avente per oggetto l’affidamento dei servizi di raccolta integrata dei rifiuti urbani e dei servizi di igiene urbana per un importo complessivo a base d’asta di 5.159.091,00 euro (oltre IVA ) per una durata di 5 anni a partire dal 01.01.2009, servizio già condotto dalla società “ITALIA 90 srl” dal 2003. Gli elementi probatori acquisiti nel corso dalle attività tecniche in ordine a tale appalto, hanno permesso di accertare come il procedimento di formazione del capitolato speciale veniva in parte condiviso tra il Pubblico ufficiale responsabile del procedimento amministrativo e il titolare di fatto della società “ITALIA 90 srl”. Tra la data di pubblicazione del bando di gara e la data di presentazione delle offerte (1° dicembre 2008) il grado di collusione tra i due soggetti diventava più evidente, come testimoniato dai diversi incontri effettuati presso gli uffici comunali tra il Dirigente dell’Area Tecnica e l’imprenditore della “ITALIA 90 srl”. Nel corso del monitoraggio tecnico era infatti emerso il ricorso, per lo scambio di informazioni particolareggiate, anche all’uso di fax “civetta” e linguaggi telefonici criptati. Inoltre, la documentazione di gara presentata da “ITALIA 90 srl” e rinvenuta nel corso degli accertamenti appariva da subito incompleta ed inesatta: in tale contesto il titolare di fatto della società “ITALIA 90 srl” veniva continuamente avvisato sulle verifiche in corso e indirizzato su come aggirarle e/o comunque acquisire quella documentazione mancante utile alla assegnazione della proroga del contratto di appalto avente termine il 28 febbraio 2009.

5. L’apertura dell’offerta economica evidenziava ancor di più come quella proposta da “ITALIA 90 srl” fosse inaccettabile dalla Pubblica amministrazione del Comune di Sant’Angelo Lodigiano anche alla luce della offerta effettuata dalla concorrente società “MECO srl” (con sede in Trapani via Generale Ameglio n. 37). Il tutto portava all’aggiudicazione provvisoria dell’appalto a favore di quest’ultima società che avrebbe dovuto iniziare il servizio di smaltimento rifiuti a partire dal 1 marzo 2009. Venivano messe in atto dal titolare di fatto della società “ITALIA 90 srl” una serie di “pressioni” anche attraverso minacce nei confronti degli aggiudicatari dell’appalto; l’indagine ha permesso di evidenziare come – prima della formalizzazione dell’affidamento del servizio – presso un’importante società di fornitura di automezzi industriali per la raccolta degli rsu palermitana, la “MAVI spa” (con sede in Palermo viale della Resurrezione n. 83), fosse stato tenuto un incontro tra il management della società “ITALIA 90 srl” e quello della “MECO srl”. Nel corso della riunione i responsabili di quest’ultima avevano esternato la volontà di recedere dall’appalto e concordato le modalità di uscita dalla gara senza subire danni economici per la mancata esecuzione dell’appalto, pensando anche ad un possibile ricorso “pilotato” al TAR.

6. Successivamente è stato verificato che la “MECO srl” aveva effettivamente formalizzato la richiesta di recessione dal contratto ad esito della aggiudicazione provvisoria dell’appalto. Il comune di Sant’Angelo Lodigiano dapprima affidava in urgenza il servizio di smaltimento dei rifiuti alla società “Astem Gestioni srl” e successivamente garantiva in via definitiva l’appalto alla società “ITALIA 90 srl”.

7. L’attenzione investigativa si è appuntata anche sulla gara pubblica bandita nel mese di ottobre 2008 dal comune di Zelo Buon Persico per l’affidamento del servizio di igiene urbana dell’importo a base d’asta di 255,000.00 euro l’anno per 5 anni, servizio di appalto già condotto da “ITALIA 90 srl” nel corso di svariati anni. Dopo l’aggiudicazione provvisoria a favore della citata società, unica partecipante alla gara, il comune ha richiesto la prevista certificazione antimafia alla Questura di Palermo. L’esito della richiesta ha evidenziato “infiltrazioni mafiose“ (come risulta da dati di fatto acquisiti nel corso dell’indagine, sono state verificate relazioni di parentela (fratelli) tra la consorte dell’amministratore di fatto della società Italia 90 srl – che ricopre la qualifica formale di procuratore speciale della stessa – ed Abbate Luigi, nato a Palermo il 18.04.1958 detto “Gino u’ mitra” ed Abbate Ottavio, nato a Palermo il 08.07.1966, considerati rappresentanti di spicco della famiglia mafiosa di Porta Nuova del rione “Kalsa” di Palermo.): il comune di Zelo Buon Persico ha avviato pertanto immediatamente il procedimento di annullamento dell’affidamento provvisorio della gara.

8. Nel corso delle indagini è stato individuato anche un traffico illecito di ingenti quantità di rifiuti prodotti presso il cimitero di Sant’Angelo Lodigiano ed illecitamente smaltito con falso codice CER presso un impianto di trattamento rifiuti di Montanaso Lombardo. Sono state, altresì, evidenziate una serie di truffe perpetrate dalla società “ITALIA 90 srl” nei confronti di alcuni comuni del lodigiano, consistenti nell’indebita attribuzione del costo di smaltimento di alcune tipologie di rifiuto – che avrebbe dovuto sopportare la stessa società per via del contratto d’appalto – ad ignari amministrazioni comunali.

9. Il gip presso il Tribunale di Lodi, concordando con le risultanze investigative prodotte da NOE di Milano ed in conformità alla richiesta avanzata dal Pubblico Ministero, ha emesso n. 9 (nove) misure cautelari personali restrittive (2 in carcere e 7 agli arresti domiciliari), in base alla sussistenza dei reati di:

  • Turbativa d’asta aggravata;
  • Traffico illecito di rifiuti;
  • Falso ideologico;
  • Associazione a delinquere finalizzata ai reati di falso e truffa.

Nel corso dell’operazione sono stati eseguite complessivamente 9 ordinanze di custodia cautelare. Cinque di queste sono state eseguite a Palermo, più precisamente quattro agli arresti domiciliari ed una in carcere.

I quattro soggetti tradotti agli arresti domiciliari sono:

1. Madonia Mario, titolare della concessionaria autocarri 1. Renault MAVI s.r.l.

2. Abbate Maria, dipendente della società ITALIA 90 s.r.l.;

3. Gatti Tiziana, impiegata amministrativa della società ITALIA 90 s.r.l.;

4. Ingargiola Susanna, amministratore unico della società ITALIA 90 s.r.l..

Demma Claudio, socio della società ITALIA 90 s.r.l. ma di fatto gestore della citata società, è stato invece tradotto presso la Casa Circondariale Ucciardone di Palermo.

Sicurezza Pulizia Ordine Territorio

Milano prostituita: LA CITTA’ DEGLI UNTORI di Corrado Stajano

untoriRaccontarlo facendone una cronaca sarebbe ingiusto per la quadratura di una narrazione sempre così lucidamente di marmo senza perdere la poesia. Conoscevo poco Stajano da lettore anche se ho sempre un foglietto con la notizia del suo abbandono del Corriere della Sera nel 2003 “per protesta in difesa del giornalismo libero”.

Di certo Milano ammuffisce prima del passaggio dall’estetista per il ballo dell’Expo, eppure è così difficile da descrivere che inevitabilmente Stajano che ci riesce in punta di penna è un’ostia sconsacrata, sconsacrante e liberatoria.

Milano scoperta inginocchiata dentro un cesso mentre lecca la cerniera della ‘ndrangheta e di Morabito per guadagnarsi un pass Sogemi ai boss che ortofruttano cocaina dentro l’Ortomercato.

Milano che si gratta l’inguine indecisa per una via a Craxi mentre dimentica indultata il senso di giustizia mite e irremovibile dei suoi magistrati migliori: Guido Galli, ma anche Vittorio Bachelet, Occorsio, Emilio Alessandrini, ucciso dai presunti rivoluzionari delle Br e dai loro fratelli minori (ma ugulamente assassini) di Prima Linea.

Milano che si è venduta per spot il feretro di Piazza Fontana e che avvita dentro un carillon Giuseppe Pinelli. Tutto dentro un cofanetto anestetizzato e anestetizzante nel suo essere strenna.

Milano che ci tiene ad essere antifascista una volta all’anno ma che non disdegna di esserlo stata: dalla genesi tutta bianco e nero nel palazzo di San Sepolcro, a Villa Triste  tendone circense delle gesta del putridume nero della banda Koch, a via Santa Margherita dove si esibiva nel suo numero preferito del pavido eroe fascista Theo Saewecke, fino al capolinea di Piazzale Loreto. Così famoso per l’appeso e così meravigliosamente dimenticato nella veste di pozzanghera dei 15 italiani resi liquidi e carne dalla Legione Ettore Muti nell’agosto del ’44 su ordine della Gestapo.

Milano che si rinnova, come la sua memoria che ciclicamente formatta la precedente.

Milano di Mani Pulite e i piedi ancora nella merda.

Milano con la schiena dritta nel giornalismo nell’accezione giornalistica del termine: Ferruccio Parri e Giulio Alonzi.

Milano che non è mai riuscita a sverginarsi dall’onta della Colonna Infame. Con la peste che le è rimasta nei capelli mentre s’incipria per uscire.

La città degli untori, appunto.

Il protagonista di questo intenso saggio in forma di narrazione di Corrado Stajano si aggira sgomento per le strade di una città che vorrebbe amare, che nella sua storia è stata anche amabile, ma che nell’oggi sembra solo respingere: Milano. In questo peregrinare la realtà contemporanea dischiude il suo passato e Milano diventa il centro concreto e insieme emblematico di un cupo trascorrer di tempi. La città lucente di acque magnificata da Bonvesin da la Riva si trasforma nella “città degli untori” e dalla peste rimane contagiata per sempre; un susseguirsi ininterrotto di oscene violenze connota la storia di Milano fino a piazza Fontana e agli anni del terrorismo e dei servizi segreti infedeli. Alla violenza si accompagnano poi la decadenza della borghesia, parallela alla drammatica e quasi repentina fine della classe operaia, il tramonto del cattolicesimo democratico, che pure a Milano aveva radici profonde fin dagli anni del modernismo, e – nuova peste – la corruzione. Qui nasce il fascismo, qui gli ideali storici del socialismo si barattano per cupidigia, qui trovano terreno grasso il prevaricante populismo berlusconiano e l’assordante grettezza leghista. Allora la peste, nella sua realtà storica e nella sua valenza simbolica di morbo morale, che avvelena la vita delle persone e delle cose, diventa la chiave di lettura che attraverso stratificazioni storiche e metamorfosi di costume può cogliere una lunga durata di vergogna e sofferenza.

Titolo La città degli untori
Autore Stajano Corrado
Prezzo € 16,60
Prezzi in altre valute
Dati 2009, 254 p., rilegato
Editore Garzanti Libri (collana Nuova biblioteca Garzanti)

A CENTO PASSI DAL MUNICIPIO – Milano capitale della mafia

A CENTO PASSI DAL MUNICIPIO – Milano capitale della mafia
di Gianni Barbacetto
da L’Unità, 9 ottobre 2008

I boss stanno a cento passi da Palazzo Marino, dove il sindaco di Milano Letizia Moratti lavora e prepara l’Expo 2015. O li hanno già fatti, quei cento passi che li separano dal palazzo della politica e dell’amministrazione? Certo li hanno fatti nell’hinterland e in altri centri della Lombardia, dove sono già entrati nei municipi.

Comunque, a Milano e fuori, hanno già stretto buoni rapporti con gli uomini dei partiti. «Milano è la vera capitale della ’Ndrangheta», assicura uno che se ne intende, il magistrato calabrese Vincenzo Macrì, della Direzione nazionale antimafia. Ma anche Cosa nostra e Camorra si danno fare sotto la Madonnina. E la politica? Non crede, non vede, non sente. Quando parla, nega che la mafia ci sia, a Milano. Ha rifiutato, finora, di creare una commissione di controllo sugli appalti dell’Expo. Eppure le grandi manovre criminali sono già cominciate. Ne sa qualcosa Vincenzo Giudice, Forza Italia, consigliere comunale di Milano, presidente della Zincar, società partecipata dal Comune, che è stato avvicinato da Giovanni Cinque, esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena. Incontri, riunioni, brindisi, cene elettorali, in cui sono stati coinvolti anche Paolo Galli, Forza Italia, presidente dell’Aler, l’azienda per l’edilizia popolare di Varese. E Massimiliano Carioni, Forza Italia, assessore all’edilizia di Somma Lombardo, che il 14 aprile 2008 è eletto alla Provincia di Varese con oltre 4 mila voti: un successo che fa guadagnare a Carioni il posto di capogruppo del Pdl nell’assemblea provinciale. Ma è Cinque, il boss, che se ne assume (immotivatamente?) il merito, dopo aver mobilitato in campagna elettorale la comunità calabrese. Ne sa qualcosa anche Loris Cereda, Forza Italia, sindaco di Buccinasco (detta Platì 2), che non trova niente di strano nell’ammettere che riceveva in municipio, il figlio del boss Domenico Barbaro. Lui, detto l’Australiano, aveva cominciato la carriera negli anni 70 con i sequestri di persona e il traffico di droga. I suoi figli, Salvatore e Rosario, sono trentenni efficienti e dinamici, si sono ripuliti un po’, hanno studiato, sono diventati imprenditori, fanno affari, vincono appalti. Settore preferito: edilizia, movimento terra. Ma hanno alle spalle la ’ndrina del padre. Cercano di non usare più le armi, ma le tengono sempre pronte (come dimostrano alcuni bazooka trovati a Buccinasco). Non fanno sparare i killer, ma li allevano e li allenano, nel caso debbano servire. Salvatore e Rosario, la seconda generazione, sono arrestati a Milano il 10 luglio 2008. Eppure il sindaco Cereda non prova alcun imbarazzo. Ne sa qualcosa anche Alessandro Colucci, Forza Italia, consigliere regionale della Lombardia. «Abbiamo un amico in Regione», dicevano riferendosi a lui due mafiosi (intercettati) della cosca di Africo, guidata dal vecchio patriarca Giuseppe Morabito detto il Tiradritto. A guidare gli affari, però, è ormai il rampollo della famiglia, Salvatore Morabito, classe 1968, affari all’Ortomercato e night club («For a King») aperto dentro gli edifici della Sogemi, la società comunale che gestisce i mercati generali di Milano. È lui in persona a partecipare a una cena elettorale in onore dell’«amico» Colucci, grigliata mista e frittura, al Gianat, ristorante di pesce. Appena in tempo: nel maggio 2007 viene arrestato nel corso di un’operazione antimafia, undici le società coinvolte, 220 i chili di cocaina sequestrati. Ne sa qualcosa anche Emilio Santomauro, An poi passato all’Udc, due volte consigliere comunale a Milano, ex presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino ed ex presidente della Sogemi: oggi è sotto processo con l’accusa di aver fatto da prestanome a uomini del clan Guida, camorristi con ottimi affari a Milano. Indagato per tentata corruzione nella stessa inchiesta è Francesco De Luca, Forza Italia poi passato alla Dc di Rotondi, oggi deputato della Repubblica: a lui un’avvocatessa milanese ha chiesto di darsi da fare per «aggiustare» in Cassazione un processo ai Guida. Ne sa qualcosa, naturalmente, anche Marcello Dell’Utri, inventore di Forza Italia e senatore Pdl eletto a Milano. La condanna in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa si riferisce ai suoi rapporti con Cosa nostra, presso cui era, secondo la sentenza, ambasciatore per conto di «un noto imprenditore milanese». Ma ora una nuova inchiesta indaga anche sui suoi rapporti con la ’Ndrangheta: un altro imprenditore, Aldo Miccichè, trasferitosi in Venezuela dopo aver collezionato in Italia condanne a 25 anni per truffa e bancarotta, lo aveva messo in contatto con la famiglia Piromalli, che chiedeva aiuto per alleggerire il regime carcerario al patriarca della cosca, Giuseppe, in cella da anni. Alla vigilia delle elezioni, Miccichè prometteva a Dell’Utri un bel pacchetto di voti, ma chiedeva anche il conferimento di una funzione consolare, con rilascio di passaporto diplomatico, al figlio del boss, Antonio Piromalli, classe 1972, imprenditore nel settore ortofrutticolo con sede dell’azienda all’Ortomercato di Milano. Sentiva il fiato degli investigatori sul collo, Antonio. Infatti è arrestato a Milano il 23 luglio, di ritorno da un viaggio d’affari a New York. È accusato di essere uno dei protagonisti della faida tra i Piromalli e i Molè, in guerra per il controllo degli appalti nel porto di Gioia Tauro e dell’autostrada Salerno-Reggio. Qualcuno si è allarmato per questa lunga serie di relazioni pericolose tra uomini della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l’emergenza è quella dei rom. O dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). La mafia a Milano non esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. Che importa che la cronaca, nerissima, della regione più ricca d’Italia metta in fila scene degne di Gomorra? A Besnate, nei pressi di Varese, a luglio il capo dell’ufficio tecnico del Comune è stato accoltellato davanti al municipio e si è trascinato, ferito, fin dentro l’ufficio dell’anagrafe, lasciando una scia di sangue sulle scale. Una settimana prima, una bottiglia molotov aveva incendiato l’auto del dirigente dell’ufficio tecnico di un Comune vicino, Lonate Pozzolo. Negli anni scorsi, proprio tra Lonate e Ferno, paesoni sospesi tra boschi, superstrade e centri commerciali, sono state ammazzate quattro persone di origine calabrese. Giuseppe Russo, 28 anni, è stato freddato mentre stava giocando a videopoker in un bar: un killer con il casco in testa, appena sceso da una moto, gli ha scaricato addosso quattro colpi di pistola. Alfonso Muraro è stato invece crivellato di colpi mentre passeggiava nella via principale del suo paese affollata di gente. Francesco Muraro, suo parente, un paio d’anni prima era stato ucciso e poi bruciato insieme alla sua auto. L’ultimo cadavere è stato trovato la mattina di sabato 27 settembre in un prato di San Giorgio su Legnano, a nordovest di Milano: Cataldo Aloisio, 34 anni, aveva un foro di pistola che dalla bocca arrivava alla nuca. A 200 metri dal cadavere, la nebbiolina di primo autunno lasciava intravedere il cimitero del paese, in cui riposa finalmente in pace, benché con la faccia spappolata, Carmelo Novella, che il 15 luglio scorso era stato ammazzato in un bar di San Vittore Olona con tre colpi di pistola in pieno viso. Milano, Lombardia, Nord Italia. È solo cronaca nera? No, Gomorra è già qua. Ma i politici, gli imprenditori, la business community, gli intellettuali, i cittadini non se ne sono ancora accorti.