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detenuti

Il welfare di Cosa Nostra

“Le indagini fanno emergere ancora una volta la grande attenzione degli affiliati liberi nei confronti dei detenuti. Una vera e propria ossessione, perché questa cura consente a Cosa nostra la tenuta del sistema”.

Lo ha detto il colonnello Pierangelo Iannotti, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo, durante la conferenza stampa convocata per illustrare i dettagli dell’operazione Iago, che stamani ha portato in carcere otto boss.

“Allo stesso tempo – ha aggiunto – abbiamo verificato la grande capacità di cosa nostra di rigenerare i propri assetti con i detenuti che influenzano dal carcere le decisioni delle famiglie mafiose. Un altro elemento è la continua ricerca di fonti di finanziamento, perché il pizzo a causa della crescente crisi economica non riesce più a soddisfare le necessità dell’organizzazione. Da qui il ricorso a nuove fonti di guadagno, come i centri scommesse o la droga”.

(Adnkronos)

La lezione dei detenuti ai commentatori (online)

Ai commenti idioti siamo abituati. Ai commentatori stupidi pure (e mica solo online).  Mantenere la discussione sul confronto senza offesa è un’impresa sempre più ardua per una serie di concause che contribuiscono al decadimento culturale generale su cui abbiamo tanto scritto e continuiamo tanto a leggere. Per esperienza personale devo ammettere che il luogo di pubblicazione cambia moltissimo il tono dei commentatori presenti e proprio per questo mi colpisce piacevolmente la risposta dei detenuti di Rebibbia ai commentatori de Il Fatto Quotidiano online. Una lezione di umanità, certo, ma soprattutto una lezione di utilizzo più maturo della parole (sul web): il potere scrivere di getto non toglie la possibilità di essere letti con calma.

E ancora, per l’ennesima volta, vogliamo ringraziare anche il signor Paolo. Quest’ultimo, nel suo messaggio al sito, non si limita agli insulti. Ma tenta un ragionamento. Dice che la difesa dei detenuti non deve appartenere alla cultura del Fatto Quotidiano e aggiunge che temi come questi, al massimo, possono trovare spazio su l’Unità. Una risposta ce l’aspettiamo anche da parte della redazione del Fatto, ma intanto noi una cosa al signor Paolo la vorremmo dire. Ricordandogli che è laCostituzione che dovrebbe obbligare i responsabili al reinserimento dei detenuti nella società. E il rispetto della Carta Costituzionale non crediamo che appartenga ad una sola parte politica, ma dovrebbe essere un elemento che
unisce tutti i partiti, tutte le culture, tutti gli orientamenti. O no? E infine, una parola su ‘leuciscus’. Lui ci vuole ben chiusi qui dentro. E chiede che si butti via la chiave. Noi non sappiamo chi sia che si nasconde dietro questo nomignolo. Magari è una persona integerrima, quelle “tutte di un pezzo”. Però le persone, tutte le altre persone al mondo, non sono fatte così. Capita nella vita di sbagliare. Capita di sbagliare molto e gravemente. Il diritto ad avere un’altra occasione,  dopo anni passati qui dentro, non sarà una norma prevista dalle leggi, ma crediamo debba essere un imperativo morale. Almeno per le persone che vogliono restare umane.
Sì, la cosa che più ci ha colpito della stragrande maggioranza dei commenti è proprio questa mancanza di umanità. E un mondo senza umanità è orrendo. Per chi sta in cella, ma anche per chi sta fuori.

La cella “zero”

A proposito di diritti e di carceri:

“Erano le dieci e mezza di sera. All’improvviso, senza motivo sono stato portato giù nella cella zero: le guardie mi hanno fatto spogliare nudo, mi hanno picchiato, mi hanno umiliato”. A Fanpage.it parla un ex detenuto del carcere di Poggioreale che, con la Garante dei Detenuti della Campania, ha sporto denuncia. E ha segnalato anche la famigerata “cella zero”: “E’ una cella del piano terra dove ti puniscono, ti picchiano, è isolata da telecamere e da tutto”. L’ex detenuto ha denunciato, così, ai media e alla magistratura. Ha rilasciato un’intervista alla tv privata Piùenne e poi a Fanpage rivelando questa denuncia gravissima. Nel merito è intervenuta anche la Garante dei detenuti della Campania, Adriana Tocco: “Davanti a queste denunce io ho il dovere di portare tutto all’attenzione della magistratura. E’ un reato penale grave e ovviamente devo comunicarlo nel frattempo al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Poi ricorda di aver presentato “da tempo una denuncia firmata da 50 detenuti per maltrattamenti, e ancora non è accaduto nulla”. “Ho sentito parlare molte volte – aggiunge – del piano zero. Io non l’ho mai visto ma prossimamente chiederò”.

 

Chissà cosa ne pensa la Cancellieri.

Chi guadagna sulle carceri-lager

Lirio Abbate per L’Espresso:

NU_appello_madre_figlio_carceratoMentre in galera le condizioni sono sempre più disumane, emergono le spese folli dei super dirigenti: foresterie con Jacuzzi in terrazzo, tivù da sessanta pollici e tappeti persiani (ma anche scopini da bagno pagati 250 euro l’uno)
Il vitto di un detenuto costa allo Stato meno di quattro euro al giorno, una somma che dovrebbe garantire tre pasti quotidiani. Ma non sempre le imprese che si aggiudicano gli appalti per cifre così basse riescono a garantire quantità e qualità del cibo che viene distribuito nelle celle. E così i reclusi devono arrangiarsi, con i viveri che ricevono dalle famiglie o con le merci acquistate a carissimo prezzo negli spacci delle case di pena.

Una situazione che condiziona la vita delle oltre 65 mila persone rinchiuse nelle prigioni italiane, in strutture che dovrebbe ospitarne al massimo 47 mila. Allo stesso tempo, però, alcuni magistrati al vertice dell’amministrazione penitenziaria godono di benefit scandalosi: hanno diritto ad appartamenti anche nel centro di Roma con un canone di sei euro al giorno, acqua, luce, gas e pulizie compresi, che non tutti però pagano. Un privilegio che, come nel caso di Gianni Tinebra da sette anni procuratore generale a Catania, mantengono anche dopo avere lasciato l’incarico. E per arredare queste foresterie non si risparmia sui lussi: sul tetto-terrazza di una è stata installata una Jacuzzi con idromassagio, in salotto ci sono tv da sessanta pollici costate duemila euro, sui pavimenti tappeti persiani e si arriva alla follia di far pagare 250 euro lo scopino di un bagno.

L’elenco di queste spese “fuori norma” è stato depositato ai pm di Roma e alla Corte dei Conti che hanno avviato indagini. Ma è solo uno dei paradossi di un sistema carcerario che continua a essere una vergogna italiana. I nostri penitenziari sono una discarica di esseri umani dove non solo è negata ogni possibilità di rieducazione ma viene umiliata anche la dignità delle persone. «Più volte ho denunciato l’insostenibilità di queste condizioni ma i miei appelli sono caduti nel vuoto», ha dichiarato il presidente Giorgio Napolitano nella storica visita a San Vittore del 7 febbraio. Il dramma è stato praticamente ignorato dalla campagna elettorale, con l’unica eccezione dei Radicali, soli a portare avanti una battaglia di civiltà per l’amnistia: un provvedimento che il capo dello Stato ha detto di essere stato pronto a firmare «non una ma dieci volte».

A testimoniare quanto sia paradossale la situazione bastano pochi dati: ogni anno lo Stato destina due miliardi e ottocento milioni per l’amministrazione penitenziaria, ma l’88 per cento finisce negli stipendi del personale. Un altro 7,3 per cento viene impegnato per il vitto dei detenuti e così rimane meno del 5 per cento per qualunque altra necessità: 140 milioni per la benzina, le vetture, le divise, gli arredi, la manutenzione e le ristrutturazioni. Insomma, non ci sono fondi per mettere mano alle terribili condizioni delle prigioni, spesso ancora ospitate in monasteri ottocenteschi o vetuste fortezze. Se si investisse poco meno di 200 milioni di euro sulla ristrutturazione, come spiegano funzionari del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria, si potrebbero ottenere subito nuovi posti per garantire spazi a 69 mila detenuti, solo per il circuito maschile: basterebbe puntare su un ampliamento degli istituti, senza impegnarsi nella costruzione di altre carceri.

La direzione generale risorse del Dap ha fatto un calcolo di quanto servirebbe per fronteggiare l’emergenza edilizia. La proposta è stata illustrata nei mesi scorsi al Consiglio d’Europa che si è svolto a Roma. Secondo il Dap oggi il valore convenzionale degli immobili è di circa cinque miliardi di euro: ci vorrebbero 50 milioni l’anno per la manutenzione ordinaria e 150 per quella straordinaria. La cronica carenza di stanziamenti oggi ha azzerato gli investimenti per nuovi padiglioni e l’assenza di manutenzione ha determinato la chiusura o il completo abbandono di intere sezioni che «attualmente si trovano in condizioni strutturali e igieniche assolutamente incompatibili con le finalità penitenziarie per cui gli spazi a disposizione dei detenuti si sono ulteriormente ridotti».

Ma invece di fare passi avanti, si continua a precipitare nel baratro. Perché sulla carta c’è «un numero eccessivo di istituti»: sono 206, ma di questi 120 hanno meno di duecento posti e 63 addirittura meno di cento. E le strutture piccole si trasformano in uno spreco di risorse, richiedono un numero più alto di agenti e personale rispetto al numero di reclusi. In teoria, l’Italia ha il miglior rapporto tra metro cubo di edifici e detenuti, senza però che questo dato statistico si trasformi in un miglioramento delle condizioni. Tutt’altro: secondo le analisi del Formez ci sono in media 140 reclusi per cento posti letto. Persone obbligate a vivere per ventidue ore al giorno in celle claustrofobiche, con tre-quattro brande sovrapposte, bagni minuscoli e pochissime docce.

(continua qui)

Carcere e diritti umani: chi ce lo fa fare?

penitenziario_progetto_Maria Fux_danzaterapia_danza_Valentina_Vano_Milano_riabilitazione_sociale_arti terapie_carcereUna riflessione del Comandante della Casa Circondariale di Chieti Valentino Di Bartolomeo che in carcere ci lavora e che vive la quotidianità di una situazione che ha bisogno di condanne europee per fare notizia una volta all’anno. Eppure in questi due anni eravamo proprio in pochi a visitare con insistenze le carceri lombarde (approdo facile, tra l’altro, di troppi nostri colleghi consiglieri regionali) e ogni volta è un dolore per un dramma che non riesce a soffiare all’esterno tra le sbarre. Una Lombardia più attenta e etica per il futuro non può non passare da un Garante che lo sia davvero e una commissione che costringa il Governo ad intervenire, almeno a dare una risposta. Una risposta diversa da un “eh, sì ci dispiace” recitato una volta all’anno.

Già mesi addietro avevo espresso le mie perplessità circa l’uso del termine sovraffollamento riferito al contesto carcerario italiano, perché a mio giudizio evoca la spontaneità dell’afflusso di persone verso luoghi di festa e quindi con l’espressione “sovraffollamento” si riesce ad edulcorare la situazione amara dei luoghi di pena della Penisola (le isole le hanno sconsideratamente chiuse da anni). Nel caso del carcere faremmo meglio ad esprimerci con il termine di “ammucchiamento”, perché i detenuti così stanno, “ammucchiati”. E’ infatti condivisibile la teoria secondo la quale le carceri scoppiano di gente solo perché la società “inventa” reati ed attua così il controllo sociale.

Oggi, 8 gennaio 2013, mentre da solo a casa consumavo un panino, il telegiornale mi ha informato, in prima notizia, che l’Europa ha condannato ancora l’Italia per violazione dei diritti umani nelle nostre prigioni, ove gli spazi sono angusti, le condizioni minime di dignità non sono garantite, i detenuti convivono ammucchiati. Non solo per una questione di metri quadri a disposizione, quanto per le carenze di attività, per quello che nel gergo carcerario si definisce “ozio forzato”. Gli addetti ai lavori ed i detenuti lo sapevano e lo sanno che nelle carceri si vive male.

Ascoltando il telegiornale però ho scoperto che anche il Ministro si aspettava che l’Europa ci condannasse, anche il Ministro condivide lo stigma verso le condizioni di detenzione, anche il Ministro si è messo nella posizione di coloro che hanno condannato le condizioni di vita in cui vengono costretti i detenuti.

Eppure mi hanno insegnato che il Governo, l’Amministrazione, i mega dirigenti, sono bravi se riescono a gestire bene con le risorse che hanno: economiche, umane, strutturali, normative. L’acqua usata da Pilato per lavarsi le mani, oggi è stata sostituita da una espressione semplice ed abusata: “Io lo avevo detto, io lo avevo previsto”. Quanto ci piacerebbe sentire: “Con il poco che ho, questo è quello che ho fatto”; facendo seguire all’incipit l’elenco del quanto fatto.

Io sono un addetto ai lavori. Sento solo slogan e frasi coniate: sorveglianza dinamica, regime aperto, riperimetrazione degli spazi. Nessuno che spieghi, con parole semplici, quale articolo dei Decreti abbia fatto modificare o proposto di modificare, quale circolare abbia elaborato, quale filosofia della pena condivida (se ancora esiste una filosofia della pena).

Ed anche: se la Corte di Strasburgo ci ha concesso un anno di tempo per adeguare il trattamento riservato ai detenuti agli standard europei di dignità, il Ministro e l’Amministrazione hanno un progetto o vorranno ancora lamentarsi di una presunta inerzia del Senato? E gli oltre 500 ricorsi già incardinati avanti la Corte europea dei diritti dell’uomo?

Non sono pervenute circolari a firma del Ministro, nemmeno del Sottosegretario. Non dico che avrebbero risolto il problema ma almeno lo avrebbero definito compiutamente, analizzato, fornito di legittimazione politica nelle proposte di soluzione. Macchè! La politica, anche questa politica dei tecnici, mi pare si tenga ben lontana dai problemi del carcere e del cosiddetto “sovraffollamento”. Si tiene lontana dalla dignità dell’uomo.

Ma, soprattutto, la governance, (come si fa chiamare oggi per non essere identificata), sconosce anche le buone prassi di chi veramente lavora e non le utilizza per evitarci le condanne dell’Europa. Ed allora, a lavorare bene senza che ci venga almeno riconosciuto, chi ce lo fa fare?

La pena utile

Parole come aria fresca. Finalmente. Quasi da paese civile. Le parole, per ora.

È, piuttosto, la capacità di rinnovarsi in relazione al modo di vedere il detenuto: non più come «peso morto» da tenere rinchiuso e guardare a vista 24 ore al giorno, non più come «zavorra inutile» per la società, ma piuttosto come risorsa. Risorsa che può e deve diventare concreta in tutti i casi – e non sono tutti i detenuti, ma non sono nemmeno pochi – si riesca a mettere a frutto le capacità e la buona volontà che molti detenuti non hanno perduto definitivamente. Sta all’ Amministrazione farle emergere per rendere le persone che scontano la pena del carcere utili per la società. Questo e niente altro, lo ripeto, significa rendere la pena utile per il condannato stesso. Come ottenere questo risultato, difficile, ma non impossibile rispetto a un notevole numero di detenuti? Non vi è altro modo che il richiamo alla responsabilità. Far crescere il senso di responsabilità, nella convinzione che non vi è altra strada per preparare il rientro nella società. È una visione comoda e rassicurante, ma del tutto arcaica quella che vede il detenuto come soggetto meramente passivo di interventi che piovono dall’ alto. Occorre certamente dirigerlo, reggerlo, orientarlo: ma alla fine tocca a lui assumere il peso del proprio destino attraverso la sua volontà di riscatto, se questa volontà è abbastanza seria e forte. Chi mai potrebbe farlo al suo posto? In questo percorso di crescita il lavoro è uno strumento potente ed insostituibile. Il lavoro crea relazioni sociali costruttive. Produce benessere a sé e agli altri. Fa crescere l’ autostima. Non è un caso che la Costituzione ponga il lavoro a pietra fondante. Vi è una stretta relazione tra lavoro e dignità sociale. In astratto ogni persona ha una dignità. In concreto la dignità può andare perduta e senza il lavoro questa perdita è facile che avvenga. Ecco perché iniziative come la «Giornata della Restituzione» sono positive. Non è ancora il risultato di dare al detenuto un lavoro, risultato che purtroppo manca spesso anche fuori dal carcere. Ma quella iniziativa ha dato a settanta detenuti la possibilità di offrire alcune ore di fatica per rendere un servizio alla città e riconoscere in tal modo di essere ancora parte costruttiva della società.

(Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento amministrazione penintenziaria Ministero della Giustizia)

Vizi (e detenuti) privati

Ultimamente avevano privatizzato i reati. Il berlusconismo ci aveva fatto credere che in fondo fosse solo legittima difesa. Ora Monti ha liberalizzato anche le carceri: le imprese le costruiranno e le gestiranno con lo Stato. In teoria potrebbe essere un’idea contro il sovraffollamento. In realtà rischia perfino di peggiorare la vita dei detenuti. I nostri penitenziari ospitano, secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, oltre 68mila persone: 40mila in più della capienza regolamentare. Il personale é sottodimensionato e non riesce a garantire la decenza del servizio. A pochi chilometri da Mantova un edificio penitenziario quasi ultimato è stato abbandonato e colonizzato da animali e vagabondi. Se il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni  ( come scriveva Fëdor Dostoevskij) forse sarebbe il caso di farsi carico (in pubblico più che in privato) della vergogna.