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Economia

Il parassita e le imprese

Oggi va letto Bernardo Luraschi perché, mentre in Parlamento ci si attorciglia intorno all’elezione del Presidente della Repubblica, qui fuori le imprese chiudono, si scollano e aspettano qualche risposta:

In Italia ci sono quattro milioni d’imprese che non producono più utili tali da giustificare l’attività imprenditoriale, nonostante questo non chiudono continuano a lavorare per non creare crisi sociale e licenziare dipendenti che conoscono da una vita, in quel lavoro c’è la loro dignità di cittadini e pur con enormi sacrifici continuano a resistere.

Questi imprenditori, commercianti e professionisti, questi borghesi, cosa hanno da spartire con i capitalisti?  Ormai nulla, in tutto il mondo si è creata una frattura netta tra la finanza e le imprese quotate in borsa da una parte e le piccole e medie imprese dall’altra. In questo senso è evidente che sia per il piccolo imprenditore che per il suo dipendente, il nemico di classe è la finanza che non fa credito, che ritira i fidi o lo stato che non onora i debiti e non mantiene i patti per finire con la grande industri che sfrutta nell’indotto.

Questa è la realtà che si è creata in un mondo in cui il denaro è una pura rappresentazione del valore delle cose, che non ha più reale contropartita in un valore di garanzia (parità con l’oro).

Ad esempio, in ragione dell’onorabilità di una scrittura contabile che ha creato valuta conseguentemente all’attivazione di un fido, si procede al sequestro dei beni materiali necessari all’attività produttiva di un’azienda, causandone il fallimento, che renderà impossibile onorare qualsiasi altro debito pregresso o aprire altre linee di credito.

In natura, un parassita che causa la morte del proprio ospite è destinato all’estinzione e questo sarà il destino dell’attuale finanza, il guaio è che insieme al parassita si estingue anche l’ospite, per questo è vitale che tutti noi prendiamo coscienza della pericolosità del momento e che lottiamo insieme per arginare questa follia generale.

Gli altri ripensano il lavoro. E noi no.

Albino_Lucatello_Mondine_al_lavoroQuando nel 2009 la GlaxoSmithKline annunciò che avrebbe chiuso il suo impianto a Sligo, in Irlanda nord-occidentale, i dipendenti rimasero per un po’ sotto choc. Erano increduli, mai avrebbero pensato che sarebbe toccato a loro. Fu un trauma simile a migliaia di altri che in questi anni si sono propagati fra i Paesi colpiti dalla crisi del debito. 

Quello stabilimento farmaceutico esisteva dal 1975, quando fu aperto dal gruppo tedesco Stiefel, e niente di tutto quello che stava accadendo in Irlanda sembrava doverlo interessare così da vicino. I 180 operai e tecnici vedevano bene che l’economia nazionale si stava piegando sotto il peso della bolla immobiliare e bancaria, ma Sligo credeva di vivere in un altro pianeta. In fabbrica dominava l’idea che quel posto fosse troppo importante per essere toccato: un impianto tradizionale, una struttura paternalistica e con poche opportunità, ma se non altro un posto per la vita. Fino all’annuncio dei nuovi azionisti di Glaxo. 

Passano tre anni e ora la casa madre fa sapere che ha cambiato idea: Sligo non chiude, ma verrà riconvertita alla cosmetica. Nei tre anni fra i due annunci – dalla chiusura al rilancio – i dipendenti hanno affrontato una trasformazione emblematica di una certa Europa in recessione almeno quanto lo fu l’incapacità iniziale di capire cosa stava accadendo. La crisi poteva investire professionisti specializzati, non solo i manovali della porta accanto. A Sligo, i manager e gli addetti hanno deciso di non cedere facilmente. Si sono impegnati a incontrarsi ogni mese per fare il punto e discutere gli intoppi di produzione, per migliorare insieme. In poco più di due anni la quota di lotti difettosi è scesa dal 5% all’1,5%, l’assenteismo dal 4% al 2%, i casi di perdita di tempo in fabbrica dal 6 all’1%. La produttività è salita del 40%, ha riconosciuto la Glaxo. Prima ancora che l’Irlanda uscisse dalla recessione, tutti i posti erano salvi.

Quella di Sligo è una storia a lieto fine di un’Europa in viaggio dal mondo di prima, quando il debito copriva ogni inefficienza, a un sistema per molti versi più duro: capace però di creare lavoro, competenze, tenuta delle imprese su basi più sane. Non tutte le vicende hanno lo stesso lieto fine, ma alcune contengono semi esportabili anche in altri Paesi colpiti dal contagio. Sempre in Irlanda, nel settore dell’ottica alcune imprese hanno ridotto l’orario e la paga fino al 40%. Per anni si è lavorato solo tre giorni la settimana, ma tutti. Nessun posto è andato perso e il ritorno della domanda dall’estero ha riportato gli addetti verso salario completo e a tempo pieno. Anche il governo di Dublino ha offerto un’idea che a molti in Italia parrebbe lunare: i disoccupati vengono mandati in fabbrica o negli uffici a fare «tirocinio» – a lavorare – finanziati dall’assegno di mobilità del governo più un indennizzo di 50 euro al mese. Chi ha perso il lavoro non perde contatto con il mondo produttivo, mentre le imprese integrano manodopera gratis e aumentano così la competitività. 

Non che in Italia non esista qualcosa di simile, ma si consuma nell’illegalità e nella corruzione. Nel Mezzogiorno non è raro che certi sindacalisti chiedano all’imprenditore il 10-15% del costo dell’ultima busta paga di un cassaintegrato, che resta in azienda a produrre, in cambio della garanzia che non ci sarà ispezione dell’ufficio del lavoro.

Dal Corriere.

Banche, politica e il senso perso

bankBisogna essere chiari. La politica deve fare dei passi indietro e, intrapresa una direzione ben diversa, deve cominciare a fare dei passi in avanti. Passi indietro nella commistione con la finanza pervasiva e sregolata, quella stessa che in questi anni ha snaturato l’economia reale e annullata quasi del tutto la funzione originaria del sistema bancario.

Perché noi oggi chiamiamo “banca” qualcosa che, in larga parte, non lo è più da tempo, se è vero che il suo scopo primario – raccogliere il risparmio e orientare il credito verso famiglie e imprese – non viene quasi mai praticato. Passi in avanti la politica ne deve invece fare assumendo in proprio il governo di una politica economica e sociale del Paese da cui la stessa finanza l’ha via via espropriata, relegandola al ruolo notarile di chi certifica scelte “tecniche” che, lo stiamo vedendo, ci riportano sempre come nel gioco dell’oca al punto di partenza della crisi. La politica poi, alle banche e alla finanza, deve dare delle regole.

Alcune buone già esistono e vanno applicate, altre vanno fatte in fretta – come separare le banche d’affari e d’investimento dalle banche di risparmio, e per noi questo è uno dei primi punti del nostro programma di governo. Ma essere chiari vuol dire non essere degli ipocriti e chiamare sempre le cose con il loro nome. E dunque, è solo la politica che deve fare dei passi indietro? O non sono da separare una volta per tutte anche altri intrecci, in alcun casi ancor più solidi e duraturi e mai conflittuali?

Sergio Boccadutri sull’argomento di questi giorni.

Io sono un conservatore

Conservatori. È l’accusa che Mario Monti ha rivolto a Stefano Fassina, Nichi Vendola. E a Susanna Camusso. I quali, da tempo, avevano imputato al Professore, questo stesso peccato capitale. Monti: colpevole di essere un “conservatore”. Perché i conservatori, in Italia, sono impopolari. E stigmatizzati. Da sinistra, ma anche da destra. Nessuno che ammetta di esserlo.

futuro_presente_passatoEbbene, vorrei fare coming out. Io sono un conservatore. Non riesco ad ad accettare i sentieri imboccati dal cambiamento. Molti, almeno. Il paesaggio urbano che mi circonda. E mi assedia. La plaga immobiliare che avanza senza regole e senza soste. L’indebolirsi delle relazioni personali e dei legami comunitari. Il declino dei riferimenti di valore  –  perfino di quelli tradizionali. La famiglia ridotta a un centro servizi, a un bunker sotto assedio. La retorica dell’individualismo esibizionista e possessivo. Che ci vuole tutti imprenditori  –  di se stessi. La Rete come unico “spazio” di comunicazione. Gli smartphone che rimpiazzano il dialogo fra persone. I tweet al posto delle parole. La relazione senza empatia. Le persone sparse che parlano  –  e ridono, imprecano, mormorano – da sole.

In tanti intorno a un tavolo, oppure seduti, uno vicino all’altro. Eppure lontani. Ciascuno per conto proprio, a parlare con altri. In altri luoghi – distanti. Tempi strani, nei quali tanti si sentono “spaesati”, perché il “paese” appare un residuo del passato. E la “comunità”: un fantasma della tradizione. Il lavoro senza regole e senza continuità. La flessibilità senza fine e senza un fine. Cioè: la precarietà. La politica senza società, il partito personale, riassunto in un volto e in un’immagine. Dove i consulenti di marketing hanno sostituito i militanti. E al posto delle sezioni si usano i sondaggi (d’altronde, quando si dà la possibilità ai cittadini di esprimersi si recano a milioni, alle urne, di domenica e persino a capodanno).

Insomma: i personaggi, gli interpreti e i luoghi della modernità liquida. Non mi piacciono. Li conosco ma non mi ci riconosco. Magari li subisco  –  in silenzio. Ma preferisco  –  di gran lunga – “conservare” quel che resta: del territorio, della comunità, delle relazioni personali, dell’economia “giusta”, della politica come identità. Il “nuovo” come valore in sé non mi attira.

Lo ammetto: sono un conservatore. E ne vado orgoglioso.

Ilvo Diamanti su Repubblica

10 cose da fare

Per essere chiari:

Vogliamo contrastare tutte le mafie, reprimendone sia l’azione criminale che l’immensa forza economica. La presenza dei capitali mafiosi, a maggior ragione in un momento di crisi, è un elemento devastante per ogni prospettiva di rilancio del paese. Vanno sostenute le attività delle procure e degli amministratori locali, ma va soprattutto reciso ogni legame o sospetto di complicità di alcuni rappresentanti politici. L’adozione di un codice etico e il contrasto delle attività criminali mafiose è un’urgenza inderogabile.

Vogliamo proporre una legislazione che contrasti lo strapotere della finanza speculativa a partire dalla tassa sulle transazioni finanziarie, rendendo permanente il divieto di vendita allo scoperto e attaccando vigorosamente i paradisi fiscali.

Vogliamo richiedere una rinegoziazione dei trattati che non stanno salvando né l’euro né il modello di vita dei cittadini europei. In questo contesto vanno date nuove funzioni alla Bce, a partire dalla possibilità di intervenire senza condizioni in caso di attacco alla nostra moneta. La lealtà istituzionale e la necessità di trovare un consenso oltre i nostri confini non può impedirci di indicare quale sia la nostra direzione di marcia. Dobbiamo essere noi i primi protagonisti del cambiamento.

La sinistra combatte senza esitazione gli sprechi e la spesa pubblica improduttiva. Ma è una manipolazione della verità storica considerare la spesa sociale come sinonimo di dissipazione e di spreco. Il Welfare non è stato un cedimento ad un non meglio precisato “buonismo sociale” ma la più rilevante conquista del Novecento. Sappiamo che molto va cambiato nel modo di allocare le risorse e nel peso che ha la politica fiscale. Nel ridefinire priorità e gli strumenti di riforma del welfare va riconosciuto il valore economico e sociale del lavoro di cura svolto dalle donne. Dobbiamo dire con chiarezza da dove si prendono le risorse e dove invece vanno restituite. La politica fiscale deve ritornare ad essere, in linea con la Costituzione, basata sulla “capacità contributiva”. Le tasse sono troppo onerose per chi le paga, sia che sia un lavoratore dipendente che autonomo, ma è incredibile non rilevare che più dell’80% del gettito venga da lavoratori dipendenti e pensionati.

Proponiamo una lotta prioritaria all’evasione fiscale per ridurre l’imposizione fiscale in primo luogo ai lavoratori a basso reddito e proponiamo una tassazione sui grandi patrimoni che sostituisca l’ingiusta tassa sulla prima casa per i cittadini meno abbienti.

La riduzione del debito pubblico deve avvenire senza dogmi rigoristi, poiché sappiamo che dalla crescita della ricchezza possono venire benefici assai più fruttuosi che dalla mera riduzione dello stock del debito. Se cresce la disoccupazione e diminuisce il tenore di vita e il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi, l’aumento delle tasse e taglio dei servizi produrrà soltanto effetti recessivi.

Vogliamo investire le risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale, dal contrasto alla corruzione e dal taglio alle spese militari, in un piano per il lavoro, pubblico e privato, basato sugli investimenti per la messa in sicurezza del nostro territorio e delle città, nella erogazione di un reddito minimo garantito come c’è nel resto d’Europa e il recupero del potere d’acquisto perso dai salari negli ultimi vent’anni.

Ci sono alcuni punti che, simbolicamente e concretamente, possono segnare una svolta rispetto al passato: ridurre da 45 a 4 le tipologie contrattuali oggi previste, che hanno alimentato la spirale della precarietà; restituire ai lavoratori, anche quelli di aziende sotto i 15 dipendenti, la tutela del reintegro sul posto di lavoro a seguito di un licenziamento ingiustificato; differenziare, a seconda dell’effettiva vita lavorativa e dal diverso carico lavorativo che pesa sulle donne per le attività di cura, l’età pensionabile, poiché non possono essere trattati nello stesso modo una infermiera o una puericultrice o un operaio alla catena di montaggio e un professore universitario o un alto funzionario pubblico; introdurre dell’equo compenso per le lavoratrici e i lavoratori autonomi; estendere gli ammortizzatori sociali e i diritti per tutte le forme contrattuali, per un welfare universale, come per esempio nel caso del diritto alla maternità/paternità universale.

Abbiamo bisogno di rafforzare il welfare e la spesa pubblica in settori strategici. La salute, le pensioni, l’assistenza per i non autosufficienti, l’istruzione pubblica, i trasporti pubblici, il diritto ad una giustizia certa e celere, sono diritti inalienabili ma anche fattori di sviluppo essenziali per la tenuta della coesione economica e sociale del paese. La spesa per la formazione e la ricerca va aumentata e riqualificata. Oggi assistiamo ad una ingiusta penalizzazione, in particolare per i giovani che vogliono insegnare o fare ricerca e che spesso sono costretti ad emigrare, che sta impoverendo brutalmente il nostro paese. Non si tratta di “costi” ma di “risorse”.

È necessario ripensare all’intervento pubblico in economia, a partire dal valore strategico delle aziende partecipate come Eni, Enel, Rai, Finmeccanica e quelle relative al trasporto pubblico per affrontare le sfide che la crisi ci propone. Va fatta un’azione che agisca tanto sul versante dell’offerta di nuovi investimenti pubblici, tanto sullo stimolo alla domanda, per esempio nei settori della produzione di energia rinnovabile o nella infrastrutturazione digitale del paese.

Vogliamo la riconversione ecologica dell’economia e della società, che abbia al centro la sostenibilità ambientale, la piena valorizzazione dei beni comuni, la qualità e l’innovazione. Per noi sono beni comuni, sottratti al dominio del mercato, tanto i beni materiali come l’acqua e la terra, quanto quelli immateriali come la conoscenza e la cultura. Siamo consapevoli di quanto le grandi questioni globali, come i cambiamenti climatici, siano connessi con le scelte quotidiane, a partire da una nuova politica energetica basata sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili, riducendo le emissioni e penalizzando chi inquina.

C’è urgente necessità di una nuova politica industriale basata sull’innovazione tecnologica ed ecologica, che possa mettere a valore non solo prodotti da vendere, ma vere e proprie produzioni complesse: dal “prodotto” mobilità sostenibile alla riconversione delle manifatture inquinanti o belliche, si può costruire un rilancio della produzione industriale in un paese che conserva grandi risorse sul versante manifatturiero.

È necessario dare centralità ad una politica agricola basata su qualità, istintività territoriale e sostenibilità ambientale e sociale. La buona politica si deve occupare di fare scelte che sappiano immaginare il mondo che dovremo lasciare alle future generazioni.

Per noi i diritti non sono un terreno di formule astruse ma un campo in cui far vivere il principio della laicità. Sappiamo che la società è più avanti nella richiesta di nuovi diritti di quanto lo sia spesso la politica.

Siamo sempre per il rispetto della libertà di scelta per il fine vita, per la regolamentazione della fecondazione assistita, per la rigorosa applicazione della legge 194. Siamo per i matrimoni omosessuali e per la piena cittadinanza delle unioni civili. Siamo per il diritto di cittadinanza ai migranti nati in Italia, per il riconoscimento del diritto di voto alle amministrative, per l’abolizione della legge Bossi-Fini a partire dal superamento dei CIE. Siamo per il recepimento delle convenzioni internazionali sull’introduzione del reato di tortura e per una legge che regoli il diritto d’asilo. Siamo per il rispetto della vita umana e quindi vogliamo che la condizione dei detenuti sia rispettosa della Costituzione. Siamo per una politica antiproibizionista a cominciare dalla abrogazione della legge Fini-Giovanardi per un nuovo approccio responsabile e socialmente inclusivo.

Il populismo non si sconfigge per decreto, né tentando di esorcizzarne la forza devastante. Il populismo si contrasta lì dove esso attecchisce, tra il popolo che ha perso fiducia nella politica e nella democrazia. Abbiamo ancora importanti risorse, di idee e di uomini e di donne, ma abbiamo poco tempo. Chiediamo a tutti un contributo e dobbiamo saper trovare le strade affinché ciascuno sia messo nelle condizioni di poterlo dare. È in gioco la sopravvivenza a lungo termine dell’integrazione europea.

Solamente la solidarietà, la riconversione ecologica e sociale della società e la vitalità della democrazia ci faranno uscire dalla crisi’.

Il documento è qui.

Diritto alla solidarietà

In tutti i campi. Ne parlavamo ieri e leggere il pezzo di Eugenio Occorsio ce lo conferma:

ROMA — «La parola d’ordine è solidarietà. Bisogna dare ai Paesi più indebitati, Italia, Spagna, Grecia, la possibilità di rinegoziare, allungare, rimodulare, i debiti. Ovviamente senza interrompere il corso delle riforme, ma senza forzature. Non c’è altra strada. Altro che fiscal compact. Con il rigore non si va avanti». James Galbraith, 60 anni, docente all’Università del Texas, ha un ruolo di primo piano fra gli economisti liberal americani così come lo aveva il padre, John Kenneth Galbraith, esegeta della crisi del ’29, organizzatore del piano Marshall, consigliere di Kennedy.
Anche Galbraith junior conosce l’Europa e ne interpreta i machiavellismi con arguzia: «Non sarei rassicurato dalle affermazioni di Draghi. Quando un banchiere centrale sente il bisogno di fare annunci così decisi, lo fa perché la situazione è drammatica».
Perché si è arrivati fin qui?
«Per incapacità o cattiva volontà, temo tutte e due. La chiave è in Germania. Ci sono forti gruppi interni, politici e finanziari, che l’euro l’hanno maldigerito e non perdono occasione per ostacolarlo. E poi ce ne sono altri, è il vero guaio, molto potenti, ai quali va benissimo una situazione di incertezza come questa. Pensate agli esportatori tedeschi. O alle banche: quando gli capiterà un altro periodo di tassi così bassi e nel contempo così alti in Paesi “fratelli”, con le possibilità di arricchirsi che ciò comporta? C’è pure, sotteso a tutto questo, un malinteso orgoglio tedesco per essere arrivati al vertice, aver riassorbito la Ddr, aver conquistato la leadership. Senza troppa voglia di dividerne i frutti».

Se l’economista si vergogna

Di avere lavorato per il Fondo Monetario Internazionale. E nella sua lettera di dimissioni scrive:

Dopo vent’anni di servizio, mi vergogno di aver avuto qualsiasi rapporto con il Fondo. Questo non solo per l’incompetenza che è stata parzialmente raccontata dal rapporto dell’OIA sulla crisi globale e dal rapporto del TSR sul monitoraggio prima della crisi dell’euro. Ancora di più, mi vergogno perché le difficoltà sostanziali in queste crisi, come in altre, sono state individuate ben in anticipo, ma qui sono state nascoste.

Siamo ancora sicuri che le proteste in Spagna, le critiche al sistema finanziario europeo e le analisi del fallimento del sistema liberista siano solo i vaneggiamenti di pochi? Perché quando la Spagna varcherà i confini forse ci sentiremo così patetici ad avere perso il tempo nel discutere di (o con) Casini e altre bazzecole senza marcare il punto sull’economia e sul lavoro. Forse.

Se la sinistra riparte da Atene

Gad Lerner su Repubblica, oggi, per una sfida che SEL non può perdere:

CO­STRET­TA a for­ni­re il suo ap­pog­gio de­ter­mi­nan­te a un go­ver­no di “uni­tà in­ter­na­zio­na­le”, cioè au­spi­ca­to dai ver­ti­ci del­l’e­co­no­mia mon­dia­le, la si­ni­stra ri­for­mi­sta in Gre­cia ap­pa­re or­mai pros­si­ma al­la can­cel­la­zio­ne.
Eco­sì, di fron­te al­la tec­ni­ca fi­nan­zia­ria che fa­go­ci­ta la si­ni­stra “re­spon­sa­bi­le”, a noi vie­ne da chie­der­ci: po­treb­be suc­ce­de­re an­che in Ita­lia? Trop­pi in­te­res­sa­ti so­spi­ri di sol­lie­vo han­no of­fu­sca­to l’e­si­to del vo­to gre­co. Sup­pon­go ne ab­bia ti­ra­to uno in­con­fes­sa­bi­le pu­re Ale­xis Tsi­pras, il lea­der del­la si­ni­stra ra­di­ca­le Sy­ri­za che ha qua­si rad­dop­pia­to i suoi vo­ti re­stan­do pe­rò al­l’op­po­si­zio­ne, co­me le è più con­ge­nia­le. Me­glio per Tsi­pras che go­ver­ni una coa­li­zio­ne gui­da­ta dal­la de­stra che pri­ma truc­cò i con­ti pub­bli­ci e poi ha as­se­con­da­to le ri­cet­te di­sa­stro­se im­po­ste dal­l’e­ste­ro a una po­po­la­zio­ne che in mag­gio­ran­za (con­tan­do gli aste­nu­ti) le ri­fiu­ta. Una po­la­riz­za­zio­ne che ha ri­dot­to al­l’ir­ri­le­van­za il Pa­sok, cioè il par­ti­to del so­cia­li­smo eu­ro­peo. Li­qui­dan­do co­me vel­lei­ta­ria l’a­spi­ra­zio­ne a una ri­for­ma de­mo­cra­ti­ca del­l’ar­chi­tet­tu­ra del­l’U­nio­ne, fon­da­ta sul­la sal­va­guar­dia dei di­rit­ti e de­gli in­te­res­si dei ce­ti po­po­la­ri.
Il dub­bio si è af­fac­cia­to ie­ri sul­la pri­ma pa­gi­na del­l’U­ni­tà: “Gioi­re per­ché vin­ce la de­stra?”. Ma for­se è trop­po tar­di: i cit­ta­di­ni ate­nie­si che fan­no la fi­la al­le men­se dei po­ve­ri e de­vo­no ri­nun­cia­re al­l’ac­qui­sto di far­ma­ci per i lo­ro fi­gli, non han­no ri­ce­vu­to nei me­si scor­si nes­su­na vi­si­ta di Hol­lan­de, Ga­briel, Ber­sa­ni, Pé­rez Ru­bal­ca­ba. So­spin­ti da un ec­ces­so di pru­den­za, i lea­der del­la si­ni­stra eu­ro­pea han­no pre­fe­ri­to la la­ti­tan­za, evi­tan­do di por­re la que­stio­ne gre­ca fra le prio­ri­tà di una po­li­ti­ca ri­for­mi­sta uni­ta­ria. Qua­si che la ban­ca­rot­ta di cui i gre­ci so­no vit­ti­me, ma, cer­to, an­che cor­re­spon­sa­bi­li, fos­se una di­sgra­zia pe­ri­fe­ri­ca da igno­ra­re in as­sen­za di so­lu­zio­ni rea­li­sti­che; e dun­que non ri­ma­nes­se che tra­smet­te­re la più mio­pe del­le ras­si­cu­ra­zio­ni: noi non cor­ria­mo il ri­schio di fi­ni­re co­me lo­ro. Ve­ro è che Ber­sa­ni ha di­chia­ra­to di ver­go­gnar­si per co­me l’Eu­ro­pa trat­ta la Gre­cia; ma quel sen­ti­men­to non si è an­co­ra tra­dot­to in mo­bi­li­ta­zio­ne po­li­ti­ca.
Non va di­men­ti­ca­to che pri­ma di ca­pi­to­la­re di fron­te al dik­tat emer­gen­zia­le del go­ver­no tec­ni­co di Pa­pa­de­mos, nel no­vem­bre 2011 il pre­mier so­cia­li­sta Geor­ge Pa­pan­dreou ave­va com­piu­to un estre­mo ten­ta­ti­vo: la con­vo­ca­zio­ne di un re­fe­ren­dum che suf­fra­gas­se at­tra­ver­so il re­spon­so del­la so­vra­ni­tà po­po­la­re la scel­ta di re­sta­re nel­l’eu­ro­zo­na, di­spo­sti a pa­gar­ne il prez­zo do­lo­ro­so. Quel­la pro­ce­du­ra de­mo­cra­ti­ca, che ave­va buo­ne chan­ces di ri­scuo­te­re il con­sen­so del­la cit­ta­di­nan­za, fu bloc­ca­ta nel vol­ge­re di po­che ore dal­la rea­zio­ne in­di­spet­ti­ta del­l’e­sta­blish­ment fi­nan­zia­rio e dei più au­to­re­vo­li sta­ti­sti eu­ro­pei. Con­fer­man­do la più spia­ce­vo­le del­le im­pres­sio­ni: l’in­com­pa­ti­bi­li­tà fra le re­go­le do­mi­nan­ti del­l’e­co­no­mia e le re­go­le, ad es­sa sot­to­mes­se, del­la de­mo­cra­zia. I teo­ri­ci del­l’e­stre­ma si­ni­stra (ma an­che del­la de­stra po­pu­li­sta) eb­be­ro co­sì mo­do di de­nun­cia­re che, sia pu­re con il gio­go del de­bi­to al po­sto de­gli eser­ci­ti, stia­mo vi­ven­do una nuo­va epo­ca co­lo­nia­le. Cioè che ab­bia­mo già su­bi­to la li­qui­da­zio­ne an­ti­ci­pa­ta del­l’u­nio­ne po­li­ti­ca con­fe­de­ra­le dei po­po­li eu­ro­pei. Quel ve­to, im­po­sto nel­la più to­ta­le la­ti­tan­za del­la si­ni­stra ri­for­mi­sta eu­ro­pea, se­gnò l’i­ni­zio del­la fi­ne del Pa­sok e spia­nò la stra­da al suc­ces­so di Sy­ri­za: una coa­li­zio­ne di for­ze del­la si­ni­stra ra­di­ca­le fa­vo­re­vo­le a in­fran­ge­re le nor­ma­ti­ve co­mu­ni­ta­rie; le cui com­po­nen­ti nei pros­si­mi gior­ni si scio­glie­ran­no per da­re vi­ta a un ine­di­to par­ti­to-mo­vi­men­to sot­to l’a­bi­le gui­da di Ale­xis Tsi­pras.
In ap­pa­ren­za un ta­le sce­na­rio ri­sul­ta dif­fi­cil­men­te re­pli­ca­bi­le in Ita­lia. Qui il di­sfa­ci­men­to del­la de­stra ber­lu­sco­nia­na e le­ghi­sta sem­bra fa­vo­ri­re una su­pre­ma­zia elet­to­ra­le del Par­ti­to De­mo­cra­ti­co e, al­la sua si­ni­stra, Ni­chi Ven­do­la non pa­re in­ten­zio­na­to per il mo­men­to a rom­pe­re l’u­ni­tà del cen­tro­si­ni­stra. Ta­le qua­dro pe­rò è re­so as­sai sdruc­cio­le­vo­le dal­l’ex­ploit del Mo­vi­men­to 5 Stel­le e dal­le ten­ta­zio­ni po­pu­li­ste no eu­ro che al­li­gna­no tra­sver­sa­li, ali­men­ta­te dal­la cri­si. Se in Gre­cia è An­to­nis Sa­ma­ràs di Nea De­mo­kra­tia a pren­de­re da de­stra le re­di­ni del go­ver­no con il Pa­sok e Si­ni­stra De­mo­cra­ti­ca in po­si­zio­ne su­bal­ter­na, il pro­ba­bi­le ter­re­mo­to elet­to­ra­le ita­lia­no po­treb­be de­ter­mi­na­re ri­sul­ta­ti ta­li da co­strin­ge­re an­che il no­stro Pae­se a ri­pro­por­re un al­tro go­ver­no di “uni­tà in­ter­na­zio­na­le” co­me scel­ta ob­bli­ga­ta. “Au­spi­ca­ta” dal­l’al­to. Co­me te­sti­mo­nia an­che la ri­for­ma del mer­ca­to del la­vo­ro che la si­ni­stra par­la­men­ta­re si ac­cin­ge a vo­ta­re con­tro­vo­glia — qua­si fos­se im­pos­si­bi­le pro­muo­ve­re un nuo­vo eu­ro­pei­smo d’im­pron­ta so­cia­le — i ri­for­mi­sti co­stret­ti a muo­ver­si sot­to det­ta­tu­ra tec­ni­ca non rie­sco­no da tem­po a rom­pe­re uno sche­ma che li pe­na­liz­za. Ma la po­li­ti­ca ob­bli­ga­ta a de­ro­ga­re dal­le pro­prie am­bi­zio­ni, sa­cri­fi­can­do i va­lo­ri in cui cre­de e i le­ga­mi so­cia­li che la vi­vi­fi­ca­no, fi­ni­sce per sof­fo­ca­re. L’e­sem­pio del so­cia­li­smo gre­co in­ca­pa­ce di rea­gi­re al­la sof­fe­ren­za del suo po­po­lo è lì a di­mo­strar­ce­lo. Co­sì, nel me­dio pe­rio­do, an­che nel no­stro Pae­se si ri­pro­por­reb­be­ro le spac­ca­tu­re in­ter­ne del­la si­ni­stra, a sca­pi­to del­le for­ze ri­for­mi­ste.
I lea­der del­la si­ni­stra te­de­sca, fran­ce­se, spa­gno­la e ita­lia­na che han­no di­ser­ta­to di fron­te al­la tra­ge­dia gre­ca, in­con­tra­no ogni gior­no nuo­vi osta­co­li sul­la via di una po­li­ti­ca dav­ve­ro eu­ro­pei­sta. Lo te­sti­mo­nia il re­cen­te con­gres­so del­la Spd che ha de­ci­so di pro­ce­de­re su­bi­to, d’in­te­sa con la Mer­kel, al­la ra­ti­fi­ca del Fi­scal Com­pact nel Par­la­men­to di Ber­li­no: un trat­ta­to che co­sì com’è esclu­de pos­si­bi­li­tà di de­ro­ghe per i Pae­si in­de­bi­ta­ti; né più né me­no “stu­pi­do” co­me già lo fu­ro­no i pa­ra­me­tri di Maa­stri­cht vio­la­ti tran­quil­la­men­te dai più for­ti ma im­po­sti ai de­bo­li in no­me di una con­ve­nien­za spac­cia­ta per vir­tù. Del re­sto, per pau­ra di per­de­re con­sen­si, i so­cial­de­mo­cra­ti­ci te­de­schi con­fer­ma­no an­co­ra og­gi il lo­ro ri­fiu­to de­gli eu­ro­bond. Co­me in tem­po di guer­ra, gli in­te­res­si pa­triot­ti­ci l’han­no vin­ta sul­l’in­ter­na­zio­na­li­smo pro­le­ta­rio.
Chi di fron­te al­l’in­co­gni­ta di un’e­co­no­mia al col­las­so vuo­le ali­men­ta­re di nuo­va lin­fa gli idea­li del­l’u­ni­tà eu­ro­pea e del­la giu­sti­zia so­cia­le, non può igno­ra­re più a lun­go l’a­go­nia del­la Gre­cia. O la si­ni­stra ri­co­min­cia da Ate­ne ca­pi­ta­le, o ri­schia di per­der­si.

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Progressisti, ma per davvero, per un’alternativa socialista europea

L’argomento è spinoso e per fortuna ci costringe a volare un po’ più alti delle vicende lombarde o dei pettegolezzi italiani. Perché come mi faceva notare una mail che mi è arrivata pochi minuti fa, c’è questa impressione che l’Italia sia un’anomalia e si perde di vista che la situazione europea è figlia dei governi di questi ultimi anni. Come mi scrive Stefano invece che cercare di costruire anche in Italia le condizioni di una “normalizzazione” (qui sì, positiva) in senso europeo, riprendiamo ragionamenti che, tra le altre cose, hanno portato l’Italia ad avere l’unico partito democratico, all’americana, invece di una forza socialista di stampo europeo. Ecco il manifesto (e appello) per un’alternativa socialista europea:

I cittadini europei possono ora vedere da soli le conseguenze di una destra al potere in quasi tutti gli stati membri e, conseguentemente, capace di dettare legge a Bruxelles. La gestione della destra della gravissima crisi debitoria durante gli ultimi due anni è stata una triste saga di cattiva amministrazione politica e di analfabetismo economico. I cittadini europei pagheranno ora con livelli di disoccupazione da anni ’30 il prezzo degli illusori rimedi economici stile anni ’20 che i conservatori hanno imposto.

Il modello che stanno presentando è per una Unione Europea di Austerità che abbasserà il tenore di vita di quasi tutti, acuirà le diseguaglianze, distruggerà le fondamenta dello stato sociale – che è il contributo specifico dell’Europa allo sviluppo dell’umanità – e lentamente cederà l’arbitrio politico ad autorità non elette, in un vano tentativo di tranquillizzare il mercato. Noi sottoscritti, da lungo tempo membri dei partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti, crediamo che i cittadini d’Europa meritino di più delle prospettive inquietanti promesse dai conservatori al potere e dei risultati catastrofici che hanno ottenuto. Ma il rinnovamento della sinistra democratica in Europa può essere ottenuto soltanto tramite un ampio e vigoroso dibattito che coinvolga non soltanto gli eletti dei nostri partiti ma tutti i nostri membri e un più vasto pubblico. A questo scopo proponiamo in questo documento alcune idee progressiste per una riforma socialista che potrebbe costituire la base per un nuovo appello ai cittadini europei. La storia ha accelerato negli ultimi anni. I socialisti europei sono rimasti indietro. Spesso incapaci di dare voce alla rabbia pubblica contro “l’alta” finanza, reticenti a cooperare con gli altri socialisti al potere in altri stati membri dell’EU, passivi nei forum internazionali sul commercio o sui cambiamenti climatici, i partiti socialdemocratico e laburista in molti paesi hanno visto la loro popolarità sprofondare ai minimi storici. A peggiorare ancora le cose, il malcontento generato dalle attuali politiche dell’UE e dei suoi governi è stato sfruttato politicamente, non dalle sinistre ma dai populisti xenofobi, dai nazionalisti e dall’estrema destra.

La nostra convinzione è che questa crisi dovrebbe riscattare la sinistra e punire energicamente il fallimento della destra che l’ha mal gestita e non ha dato all’Europa una strada da seguire. Tutto ciò sarà credibile solamente se la sinistra sarà in grado di fornire una serie coerente di proposte alternative per rispondere alla crisi. Per essere credibile la sinistra ha bisogno di un’esposizione chiara della crisi attuale, di un insieme di principi condivisi per azione futura, e di un programma che vada al cuore della crisi. L’analisi è limpida. Le economie europee come tutte le altre sono state demolite dall’irresponsabilità quasi criminale del settore finanziario globale.

Ma l’Europa si confrontava già con un declino a lungo termine. Ciò in parte è dovuto a un riequilibrio già da tempo dovuto delle quote di ricchezza globale fra l’Occidente e le economie emergenti dell’Oriente e del Sud. Ma, nel corso di questo processo, abbiamo permesso alla globalizzazione di aumentare gli squilibri nelle quote di ricchezza all’interno di tutti i paesi. Senza mai mettere in questione le regole del gioco, abbiamo permesso che penalizzasse tutti i paesi con sistemi di welfare avanzati, abbassando il tenore di vita, aumentando le diseguaglianze, incrementando la parte di reddito nazionale destinata ai profitti delle imprese a spese dei salari in economie di mercato socialmente avanzate. La povertà sta di nuovo aumentando. Questo fenomeno che già era in corso in Europa sta ora accelerando. La voce dell’Europa nei forum internazionali come il G20, le conferenze sul commercio e sui cambiamenti climatici è spesso troppo debole al punto di essere inaudibile a causa di divisioni interne ed alla mancanza di una strategia alternativa chiara. I principi dell’azione socialista in Europa dovrebbero ugualmente essere chiari. Un’azione collettiva in Europa è semplicemente indispensabile. Chiunque creda che possiamo proteggere il tenore di vita e mantenere servizi di welfare tornando indietro al modello degli stati nazione del diciottesimo secolo, rimpatriando le competenze da Bruxelles alle capitali nazionali, minando le istituzioni comunitarie sta, volente o nolente, promuovendo la sottomissione delle nostre nazioni alle superpotenze, passate e future, ed alla dittatura del mercato. La risposta europea alla crisi è stata vacillante ed insufficiente, ma le soluzioni nazionali, anche se vigorosamente perseguite, sarebbero irrilevanti nel mondo globalizzato in cui ora viviamo. Una risposta socialista alla crisi deve pertanto essere europea. Non si tratta semplicemente di un mantra “più Europa” ma precisamente di dare all’Europa i mezzi per proteggere gli interessi ed il benessere dei cittadini europei. Deve essere una risposta concordata, condivisa, unitaria e sovranazionale per assicurare che la voce indipendente dell’Europa sia autorevole, forte e chiara nei G20, nel ciclo di Doha, nelle negoziazioni sui cambiamenti climatici ed alle Nazioni Unite. L’Unione Europea ha ora la sua propria voce nel sistema delle Nazioni Unite: essa deve mostrare il coraggio e la volontà di utilizzarla per perseguire i nostri interessi obiettivi ed i nostri valori, facendo causa comune con tutti i governi e le organizzazioni regionali di tutto il mondo che li condividono. Il suo approccio economico dovrebbe essere coerente e basato su tre elementi; responsabilità condivisa, crescita ed eguaglianza. Non c’è niente di socialista nello spreco della spesa pubblica e nell’accumulo del debito. Poiché noi crediamo nella spesa pubblica, abbiamo il dovere di assicurarci che il suo utilizzo sia efficace. Progetti stravaganti, lo stile di vita eccessivo di certe istituzioni pubbliche, la ridondanza riguardante la molteplicità dei programmi nazionali ed europei che hanno vita propria senza alcun controllo sull’efficacia, dovrebbero essere ridotti o eliminati. Ma una gestione rigorosa del budget si può ottenere equilibrando la spesa pubblica con un sistema fiscale equo, basato sul principio della “capacità contributiva”, con il settore privato che paga la sua parte dell’onere ed una lotta totale all’evasione fiscale così diffusa in tutta l’Unione; abbandonando le riduzioni d’imposta per i più ricchi, eliminando la manna dei bonus nel settore finanziario mediante specifiche tasse punitive ed attaccando vigorosamente i paradisi fiscali.

Il rigore senza la crescita condannerà gli Europei a un decennio perduto di declino e recessione. La crescita implica un’azione nazionale ed Europea avente come motore il budget dell’EU ed i suoi strumenti finanziari. La Sinistra al potere a livello europeo ha fatto progressi nell’affrontare discriminazioni di ogni tipo. La difesa e l’estensione delle eguaglianze – e l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in ogni parte dell’unione – deve essere nel cuore di un programma socialista europeo. Ma l’eguaglianza economica è un concetto quasi scomparso dal lessico socialista nelle ultime decadi pur essendo il fulcro di qualunque nozione di giustizia sociale. Adesso è indispensabile per la ripresa dell’Europa. Se i cittadini credono che il peso della crisi cada ingiustamente su di loro, se sono obbligati a fare i conti con tagli reali nelle buste paghe ed assistere ad un ritorno ai livelli di povertà degli anni ’80, mentre la protezione sociale ed i finanziamenti delle politiche pubbliche vengono tagliati, mentre gli scandali della cultura dei bonus, la crescita smisurata degli stipendi più alti e le volgari esibizioni di spese stravaganti da parte dei  super-ricchi continuano inesorabilmente, qualunque sforzo collettivo per raddrizzare il nostro declino economico sarà minato, l’efficienza economica sarà messa in discussione e la fede nella democrazia sarà indebolita. Sulla base di questo approccio comune, e della riasserzione delle nostre tradizionali convinzioni socialiste, la Sinistra deve adesso sviluppare una piattaforma comune per il futuro.

Questa dovrà avere i seguenti dieci elementi:

1) Una politica economica per l’Unione che collochi gli obiettivi economici e sociali stabiliti nel trattato (crescita, pieno impiego, inclusione sociale) al cuore del processo di decisione politica con altrettanto vigore e forza organizzativa di quella accordata all’obiettivo della disciplina di bilancio; inoltre un’attualizzazione degli obiettivi sociali dell’Unione, improrogabile per arrivare a sradicare la povertà e a rafforzare il dialogo sociale; a questo scopo, un insieme di diritti e di obiettivi sociali fondamentali deve essere fermamente incluso nel Trattato, con gli stessi strumenti di sorveglianza e di messa in opera che esistono per garantire le libertà economiche;

2) Sostenibilità per la moneta unica; il mandato della BCE deve evolversi nel riconoscere il suo diritto di comprare bonds governativi quando la valuta è sotto attacco, con una responsabilità realmente condivisa per la governance economica; se la Banca Centrale Europea non è autorizzata ad agire per salvare la valuta che si suppone debba gestire, a che cosa serve?

3) Riforma del bilancio; gli aumenti del budget europeo devono servire principalmente per promuovere le tecnologie innovative, per finanziare investimenti sociali, di infrastrutture e di sviluppo sostenibile; il Budget deve essere gestito in stretta collaborazione con la Banca Europea d’Investimento;

4) Riforma dei redditi; le risorse proprie dell’UE possono essere incrementate da tasse sull’energia; gli Stati Membri dovranno vedersi accordare più margine di manovra per ridurre l’IVA, per stimolare i consumi interni e per sopprimere le fiscalità regressive;

5) Una tassa sulle transazioni finanziarie per stimolare incentivi sull’impiego nell’industria e nei servizi per le PMI, per incoraggiare la ricerca e lo sviluppo, e per finanziare obiettivi pubblici globali come la lotta contro il cambiamento climatico e a sostegno dello sviluppo;

6) Investimenti Europei tramite Project Bonds, emessi dall’Unione e garantiti dalla BCE, allo scopo di realizzare l’enorme potenziale della nuova economia verde; Per un’Alternativa Socialista Europea l’accelerazione dei nuovi progetti d’infrastrutture tramite regole più flessibili per creare impieghi più rapidamente e ridurre la dipendenza eccessiva dai combustibili fossili e dal nucleare, insieme ad una Comunità per l’Energia con reciproco sostegno garantito in caso di minacce alle scorte di energia da parte di paesi terzi;

7) Una base più giusta per il commercio internazionale; i negoziatori dell’UE dovranno ottenere un nuovo mandato per combattere il dumping sociale ed ambientale; si dovranno prelevare tasse sulle importazioni da paesi terzi che non rispettano le norme ambientali europee;

8 ) Un supporto più forte ai nostri vicini, per affrontare l’inaccettabile e insostenibile ineguaglianza fra l’UE ed i suoi vicini del Sud e dell’Est, tramite reali concessioni nel commercio e nella mobilità, e ricompensando quelli che hanno combattuto così coraggiosamente per la loro libertà democratica nel Mondo Arabo. L’Europa non deve mai più chiudere gli occhi davanti a dittature autoritarie, nepotistiche, a vita, nel nome di qualche fuorviata realpolitik;

9) Una più robusta ed unita presenza sulla scena internazionale, utilizzando il nostro potere politico ed economico collettivo per promuovere i nostri valori ed interessi oltre i nostri confini, e facendo la nostra parte nel portare a termine il conflitto nel Medio Oriente;

10) Un rafforzamento della democrazia europea, quali che siano le nuove regole di governance economica, la responsabilità parlamentare deve essere in primo piano; gli stati membri devono rispettare pienamente il Trattato nominando il presidente della Commissione in accordo con il risultato delle elezioni europee; i voti parlamentari sui singoli Commissari e su una loro eventuale revoca dovranno essere vincolanti; i partiti socialisti dovranno coinvolgere membri e supporters in tutti gli aspetti delle decisioni politiche europee, nel programma, e nella nomina dei candidati per i vertici dell’UE; un’azione europea per rafforzare la libertà di stampa smontando i monopoli mediatici e limitando la proprietà dei media da parte di stati non europei.

È in gioco la sopravvivenza a lungo termine dell’integrazione europea. Questo è molto di più che un sostegno alla moneta unica. Solamente un nuovo approccio da parte dei socialisti democratici che riaffermi con forza i nostri valori e che abbia il coraggio di proporre soluzioni europee può infondere nel progetto europeo l’energia per sostenere quelli che dovrebbero essere i punti fermi – la solidarietà, l’efficienza economica e la vitalità democratica.

First signatoriesPanagiotis Beglitis, Member of the Greek Parliament (PASOK, Greece); Josep Borrell Fontelles, President of the European University Institute, Former President of the European Parliament (PSC/PSOE, Spain); Victor Bostinaru, Member of the European Parliament (PSD, Romania); Udo Bullmann, Member of the European Parliament (SPD, Germany); Sergio Cofferati, Member of the European Parliament (PD, Italy); Véronique de Keyser, Member of the European Parliament (PS, Belgium); Proinsias de Rossa, former Social Affairs Minister (Labour, Ireland); Harlem Désir, Member of the European Parliament, national secretary of the PS (PS, France); Leonardo Domenici, Member of the European Parliament (PD, Italy); Glyn Ford, former Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom); Evelyne Gebhardt, Member of the European Parliament (SPD, Germany); Ana Gomes, Member of the European Parliament (PS, Portugal); Enrique Guerrero Salom, Member of the European Parliament (PSOE, Spain); Elisabeth Guigou, Member of the French Parliament (PS, France); Zita Gurmai, Member of the European Parliament, President of PES Women (MSZP, Hungary); Jo Leinen, Member of the European Parliament (SPD, Germany); David Martin, Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom); Marianne Mikko, Member of the Estonian Parliament (SDE, Estonia); John Monks, Member of the House of Lords, former Secretary General of ETUC (Labour, United Kingdom); Leire Pajin Iraola, Member of the Spanish Congress (PSOE, Spain); Gianni Pittella, Vice-President of the European Parliament (PD, Italy); Sir Julian Priestley, former Secretary General of the European Parliament (Labour, United Kingdom);  Libor Roucek, Member of the European Parliament (CSSD, Czech Republic); Hannes Swoboda, Member of the European Parliament, President of the S&D Group of the European Parliament (SPÖ, Austria); Kathleen Van Brempt, Member of the European Parliament (SPA, Belgium); Kristian Vigenin, Member of the European Parliament (BSP, Bulgaria); Henri Weber, Member of the European Parliament (PS, France).

 

PROVISIONNAL LIST OF SIGNATORIES

 

Luis Paulo Alves, Member of the European Parliament (PS, Portugal);
Kader Arif, deputy Minister for Veterans (PS, France);

Ines Ayala Sander, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);
Maria Badia i Cutchet, Member of the European Parliament (PSC/PSOE, Spain);

Claude Bartolone, Member of the French Parliament (PS, France);
Panagiotis Beglitis, Former Minister of Defence, Member of the Greek Parliament, Spokesman of PASOK (PASOK, Greece);

Pervenche Berès, Member of the European Parliament (PS, France);

Alain Bergounioux, President of the OURS (PS, France); 
Luigi Berlinguer, Member of the European Parliament (PD, Italy);
Thijs Berman, Member of the European Parliament (PVDA, Netherlands);

Felice Besostri, former Member of the Senate (PSI, Italy);
Jean-Louis Bianco, Member of the French Parliament (PS, France);
Patrick Bloche, Member of the French Parliament (PS, France);
Hans Bonte, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Josep Borrell Fontelles, President of the European University Institute, Former President of the European Parliament (PSC/PSOE, Spain);

Victor Bostinaru, Member of the European Parliament (PSD, Romania);

Claudette Brunet-Léchenault, Vice-president of Saone-et-Loire General Council (PS, France);
Udo Bullmann, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Philippe Busquin, former Member of the European Parliament, former European Commissioner (PS, Belgium);
Salvatore Caronna, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Françoise Castex, Member of the European Parliament (PS, France); 
Nessa Childers, Member of the European Parliament (Labour, Ireland);

Sergio Cofferati, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Anna Colombo, Secretary General of the S&D Group (PD, Italy-PS, Belgium);

Ricardo Cortés Lastra, Member of the European Parliament (PSOE, Spain); Jean-Pierre Cot, former President of the PES Group in the European Parliament (PS, France);
Andrea Cozzolino, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Frédéric Daerden, Member of the European Parliament (PS, Belgium);
Spyros Danellis, Member of the European Parliament (PASOK, Grèce);
Véronique de Keyser, Member of the European Parliament (PS, Belgium);

Bertrand Delanoë, Mayor of Paris (PS, France);
Michel Delebarre, Mayor of Dunkerque (PS, France); 
Proinsias de Rossa, former Social Affairs Minister (Labour, Ireland);

Harlem Désir, Member of the European Parliament, national secretary of the PS (PS, France);

Michel Destot, Member of the French Parliament (PS, France);
Maya Detiège, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Leonardo Domenici, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Raymonde Dury, former Member of the European Parliament (PS, Belgium);

 

Guillermo Echenique-Gonzalez, Secretary-General for Foreign Affairs of the Basque Government (PSOE, Spain);

Saïd El Khadraoui, Member of the European Parliament (Belgium, SPA);

Edite Estrela, Member of the European Parliament (PS, Portugal); 
Tanja Fajon, Member of the European Parliament (SD, Slovenia);

Pietro Folena (PD, Italy); 
Daniel Font, Member of the Parliament of Catalonia (PSC/PSOE, Spain);
Glyn Ford, former Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);

Peter Friedrich, Minister for Federal, European and International Affairs, Baden-Wuerttemberg (SPD, Germany);
Vicente Garcés Ramón, Member of the European Parliament (PSOE, Spain); 

Eider Gardiazabal Rubial, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);
Evelyne Gebhardt, Member of the European Parliament (SPD, Germany);

David Geerts, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);

Caroline Gennez, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);

Jean-Patrick Gille, Member of the French Parliament (PS, France);
Estelle Grelier, Member of the European Parliament (PS, France);

Ana Gomes, Member of the European Parliament (PS, Portugal);

Robert Goebbels, Member of the European Parliament (LSAP, Luxembourg);
Roberto Gualtieri, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Enrique Guerrero Salom, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);

Elisabeth Guigou, Member of the French Parliament (PS, France);

Sylvie Guillaume, Member of the European Parliament (PS, France);

Zita Gurmai, Member of the European Parliament, President of PES Women (MSZP, Hungary);

Liêm Hoang-Ngoc, Member of the European Parliament (PS, France); 
Alain Hutchinson, Member of the Brussels Parliament (PS, Belgium);
Miquel Iceta, Member of the Parliament of Catalonia (PSC/PSOE, Spain);
Jamal Ikazban, Member of the Brussels Parliament (PS, Belgium); 
María Irigoyen Pérez, Member of the European Parliament (PSOE, Spain); 

Jean-Louis Joseph, Mayor of La Bastidonne (PS, France);

Apostolos Katsifaras, Head of the Region of Western Greece (PASOK, Greece) ;

Meryame Kitir, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);

Fadila Laanan, Minister for Culture of the Wallonie-Bruxelles Federation (PS, Belgium);
Karine Lalieux, Member of the Belgian Parliament (PS, Belgium); 
Karl-Heinz Lambertz, President of the PES Group in the Committee of the Regions (SP, Belgium);
Renaat Landuyt, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Bernd Lange, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Nicola Latorre, Member of the Senate (PD, Italy);
Marylise Lebranchu, Minister of the Reform of the State (PS, France);

Stéphane Le Foll, Minister of Agriculture (PS, France);
Jörg Leichtfried, Member of the European Parliament (SPÖ, Austria);

Jo Leinen, Member of the European Parliament (SPD, Germany);

Pia Locatelli, President of the Socialist International Woman (PSI, Italy);
Juan Fernando Lopez Aguilar, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);
Jean-Charles Luperto, President of the Wallonie-Bruxelles Parliament (PS, Belgium);

Paul Magnette, Federal Minister for Public Enterprises, Scientific Policy and Development Cooperation (PS, Belgium);

David Martin, Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);
Jose Ignacio Martin, President of the Association of Financial clients of Spain (PSOE, Spain);
Manuel Mata, former Member of the Valencia Parliament (PSPV/PSOE, Spain);
Kyriakos Mavronikolas, Member of the European Parliament (KSEDEK, Cyprus);
Gennaro Migliore
, national secretary of the SEL (SEL, Italy);

Marianne Mikko, Member of the Estonian Parliament (SDE, Estonia);

John Monks, Member of the House of Lords, former Secretary General of ETUC (Labour, United Kingdom);

Juan Moscoso del Prado, Member of the Spanish Congress (PSOE, Spain);
Pierre Moscovici, Minister of the Economy and finances (PS, France);
Catherine Moureaux, Member of the Brussels Parliament (PS, Belgium);
Pierre-Alain Muet, Member of the French Parliament (PS, France);
Paolo Nerozzi, Member of the Senate (PD, Italy);
Raimon Obiols i Germa, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);

Özlem Özen, Member of the Belgian Parliament (PS, Belgium); 
Leire Pajin Iraola, Member of the Spanish Congress (PSOE, Spain);

Gilles Pargneaux, Member of the European Parliament (PS, France);

Christian Paul, Member of the French Parliament (PS, France);
Vincent Peillon, Minister of National Education (PS, France);

Andres Perello Rodriguez, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);
Gianni Pittella, Vice-President of the European Parliament (PD, Italy);

Anita Pollack, Former Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);
Holger Poppenhaeger, Minister of Justice of the Thuringia Region (SPD, Germany);
Joao Proença, Secretary General of UGT (Portugal);
Sir Julian Priestley, former Secretary General of the European Parliament (Labour, United Kingdom);

Derek Reed, Deputy Secretary General of the S&D Group (Labour, United Kingdom);

Conny Reuter, Secretary General of Solidar, President of the Social Platform (SPD, Germany);
Ulrike Rodust, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Libor Roucek, Member of the European Parliament (CSSD, Czech Republic);

Angelica Schwall-Düren, Federal Affairs Minister of the Nordrhein-Westfalen (SPD, Germany);

Franco Seminara, Member of the Belgian Parliament (PS, Belgium);

Konstantinos Simitsis, Mayor of Kavala (PASOK, Greece);

Peter Simon, Member of the European Parliament (SPD, Germany); 
Birgit Sippel, Member of the European Parliament (SPD, Germany); 

Juan Soto, Member of the Valencia Parliament (PSOE, Spain);
Jutta Steinruck, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Leszek Swietalski, Mayor of Stare Bogaczowice (SLD, Poland);

Hannes Swoboda, President of the S&D Group of the European Parliament (SPÖ, Austria);

Marc Tarabella, Member of the European Parliament (PS, Belgium);
Karin Temmerman, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Pascal Terrasse, Member of the French Parliament (PS, France);

Patrice Tirolien, Member of the European Parliament (PS, France);

Bruno Tobback, President of the Socialistische Partij-Anders  (SPA, Belgium);
Walter Tocci, Member of the Italian Parliament (PD, Italy);
Carole Tongue, Former Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);
Marisol Touraine, Member of the French Parliament (PS, France);
Catherine Trautmann, Member of the European Parliament (PS, France);

Bruno Tuybens, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Daniel Vaillant, Member of the French Parliament (PS, France);
Kathleen Van Brempt, Member of the European Parliament (SPA, Belgium);

Dirk Van der Maelen, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Anne Van Lancker, Former Member of the European Parliament (SPA, Belgium);  
Ann Vanheste, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Myriam Vanlerberghe, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Peter Vanvelthaven, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Nichi Vendola, President of the Puglia region (SEL, Italy);
Bernadette Vergnaud, Member of the European Parliament (PS, France);

Alain Vidalies, deputy Minister of the Relations with the Parliament (PS, France);
Kristian Vigenin, Member of the European Parliament (BSP, Bulgaria);  
Elisabeth Vitouch, Member of the Municipal Council of Vienna (SPÖ, Austria);
Henri Weber, Member of the European Parliament (PS, France);

Barbara Weiler, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Luis 
Yáñez-Barnuevo García, Member of the European Parliament (PSOE, Spain)