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Erri De Luca: «i politici non si appropino di Gesù: lui fuggiva dal potere per cui loro si dannano»

(Intervista di Nicola Mirenzi per Huffington Post)

In principio, è una contraddizione: “Cristo è incompatibile coi poteri del mondo, con le ricchezze accumulate, con i privilegi”. Eppure, la celebrazione della sua nascita non procura scuotimenti. È un rito pacificato, assorbito dalla routine delle luci, degli alberi addobbati, delle offerte luccicanti di comete in vetrina: “Dall’imperatore Costantino in poi – racconta Erri De Luca all’Huffington Post – i poteri hanno liberamente interpretato il Cristo, censurando gli aspetti sconvenienti ai loro interessi. Lui non voleva il potere fasullo di un’ora di supremazia, di primato sugli altri, di acclamazione a furor di popolo. Non voleva quel potere per il quale si dannano i politici e i potenti di ogni età”.
Scrittore, laico, ex militante della sinistra estrema, studioso dei libri sacri: Erri De Luca non festeggia il Natale da vari anni, “da quando è morta mia madre”, dice, perché per lui è una “festa collegata alla sua presenza”.

Sente, anche da laico, lo scandalo dell’apparizione di Cristo nel mondo?
È rimasto lo stesso scandalo di prima: l’incarnazione di una divinità che attraversa tutti gli stadi dell’esperienza fisica, dalla nascita alla morte. Non scandalo, ma esempio resta la sua condotta processuale di fronte al tribunale romano. Non rinnega, né sfuma le sue convinzioni e la sua missione. È condannato per questo. Un oscuro prefetto di Roma, tale Ponzio Pilato, suicida sotto l’imperatore Caligola, è diventato indegnamente celebre per aver presieduto al dibattimento.

Chi è Gesù Cristo per lei?
Nella mia gioventù politica si prendeva in considerazione Che Guevara, simbolo di un’epoca che aveva smesso di offrire l’altra guancia all’offesa. Beati gli ultimi, la più politica frase di Cristo, andava praticata nel nostro tempo, non era rinviabile. Gli ultimi dovevano essere beati subito. Ho conosciuto in quel tempo qualche realizzazione del genere.

Cristo non aveva nulla da suggerire alla vostra contestazione?
In Gerusalemme, in quella Pasqua della sua cattura, aveva in pugno un popolo che lo acclamò al suo ingresso sulla cavalcatura regale e lo seguì nel Tempio a sgomberare i mercanti. Ma lui non volle essere capo di una rivolta contro l’occupazione militare straniera. Aveva una missione che doveva compiersi sul patibolo romano. La mia gioventù politica preferiva i combattenti.

Ma Cristo diceva: “Sono venuto a portare non pace, ma spada” (Matteo 10,34). Era un combattente.
Rinunciò a scatenare una rivolta in più in quella terra che oppose il più ostinato contrasto all’impero romano. Per secoli il monoteismo ebraico si è scontrato in armi con il politeismo di Roma, con la pretesa di divinità del suo imperatore. Di croci a migliaia erano state riempite le alture e le valli, con i corpi degli oppositori, perseguitati per la loro resistenza. Cristo voleva rinnovare le radici della fede nel Dio unico e solo. Era un messaggio interamente ebraico, incomprensibile ai romani. Non si rivolgeva al loro potere. Pretendeva di ignorarlo.

L’idea di amarsi gli uni gli altri è inconciliabile con la nuova ragione del mondo, quella di competere gli uni contro gli altri?
Amare il proprio vicino è un precetto che risale al Levitico, Libro Terzo dell’Antico Testamento. Cristo lo interpreta approfondendo la fraternità fino al sacrificio, perché amare è un’esperienza sovversiva, procura insurrezione interna in chi lo prova. Competere invece dura poco, il concorrente finisce presto fuori concorso. Cristo è incompatibile coi poteri del mondo. Date a Cesare quello che è di Cesare: dategli la tassa che esige, la moneta con il suo profilo inciso, perché è tutto quello che gli spetta, un pezzo di metallo che presto avrà un modesto valore numismatico.

Se non nell’al di là, che paradiso si può promettere in terra?
La terra, il pianeta, è un prodigio del sole, un posto di meraviglie impossibili da enumerare. La nostra presenza di recente lo va degradando a Purgatorio, con reparti di Inferno. Siamo contemporanei delle più intense e assortite intossicazioni sconosciute, diffuse dal sistema di sviluppo, che gode per questa nobile funzione di piena impunità. Prima di questo avvento moderno, la terra era il Paradiso della vita animale e vegetale. Dove altro cercarlo? Ancora qui, ancora adesso, e in nessun aldilà.

Non si rischia di ridurne l’alterità e il contrasto avvicinandolo troppo a noi?
La spada alla quale si riferiva prima, citando Matteo, non è la guerra, quella c’era già e non servivano supplementi. Leggo invece l’estrazione di una spada simbolica, che assegna i meriti e pareggia i torti, la spada di un’autorità morale che produca conversioni e ravvedimenti. Da questo punto di vista Papa Francesco è la spada sguainata di una chiesa nuova.

Francesco è andato a Lampedusa, dove arrivano i migranti, predicando di stare dalla loro parte. Molti italiani impoveriti, però, si riconoscono nelle parole: “Prima noi”.
Prima veniamo noi è un ragionamento che proclama l’evidenza: ovvio che prima vengono i residenti, i nativi, infatti sono loro i primi che possono andare a raccogliere il pomodoro, assistere agli anziani, tenere piccoli esercizi commerciali aperti ventiquattr’ore. Dopo di che, in loro assenza, rifiuto, rinuncia, arriva la supplenza dei secondi. Si tratta di supplenti, non di usurpatori di posti. Non è razzismo dire: “Prima noi”. È accanimento su qualunque soggetto più debole, in condizione di inferiorità. Il razzismo è ripudio di razza anche se fornita di censo. Da noi invece l’emigrato arabo è sospetto, l’emirato arabo è invece riverito nel più servile dei modi.

La sinistra – dalla cui storia lei viene – potrebbe imparare qualcosa da Cristo?
Vanno in Chiesa la domenica, mi sembra, gli ultimi capi di governo a guida PD. Quello che serve alla sinistra è dare sostanza di azione alla trinità laica espressa dalla Rivoluzione Francese: libertà, uguaglianza, fraternità. Su questo si misura o abdica una forza progressista.

C’è qualcosa anche da dis-imparare da Cristo e dal cristianesimo?
Ognuno ha imparato da Cristo, senza riuscire a ripetere la lezione, scordandola, balbettandola, contraddicendola nel momento della verifica. Proveniamo da una lunga tradizione che porta il suo nome e che ha dovuto molte volte scusarsi di averlo nominato invano. Io disimparo per inadeguatezza, per disattenzione, per un mucchio di deficit, che in latino vuol dire ciò che manca. Resto un lettore di storie sacre, perché quei libri hanno innalzato la forza della parola a strumento di creazione. “E disse”: è il verbo più frequente della divinità dell’Antico Testamento. La parola è l’azione più significativa della vita di Cristo.

«Queste due Camere rigurgitano di inquisiti, nocivi e ricattabili, questo è il problema»: Erri De Luca sul referendum

(intervista a Erri De Luca di Giacomo Russo Spena, fonte)

Dopo istigatore alla violenza e cattivo maestro, adesso verrà definito anche un parruccone o, addirittura, “conservatore” perché, secondo lui, è un grave errore toccare la  nostra Costituzione. Erri De Luca – scrittore, poeta impegnato e uomo di cultura – prende posizione sul referendum costituzionale del 4 dicembre dove si recherà al seggio per esprimere il suo NO, un voto principalmente contro Renzi, reo di aver personalizzato la partita. Non ha competenze specifiche in materia, lo ammette lui stesso, ma è sicuro che questa classe dirigente – con la corruzione ormai diffusa nelle istituzioni – non sia legittimata e idonea a revisionare la Carta: “Considero la Costituzione italiana l’equivalente laico di un testo sacro, perciò intoccabile”, ci dice.

De Luca, che idea si è fatto della discussione sul referendum costituzionale? 

Il dibattito è tra sordi, come si conviene al nostro Paese. Per me resta più un referendum sul governo e meno sulla materia costituzionale. È in corso un assaggio di campagna elettorale.

Saranno molti gli elettori che come Lei voteranno NO per le condizioni di disagio socio-economiche del Paese, senza entrare nel merito del quesito referendario? 

Assolutamente, del resto confermo il mio voto: il NO è un pronunciamento contro il governo in carica.

Voterà NO come Salvini e Brunetta. La imbarazza?

Se è per questo, mettiamoci pure D’Alema tra i votanti che sperano di trarre vantaggio politico dal NO. Io, invece, non ho nessun vantaggio da ottenere, solo la difesa di quel nobile pezzo di Carta.

Ma perché, mi scusi, boccia nettamente il governo Renzi tanto da far passare in secondo piano le ragioni della riforma costituzionale? 

Non lo boccio, ma spero in un Parlamento prossimo venturo meno compromesso. Insisto: a me interessa solo l’integrità della Costituzione.

“Se perdo il referendum me ne vado” aveva detto Renzi personalizzando, in una prima fase, il voto del 4 dicembre. Sarà veramente così?

Non è necessario, potrà  proseguire ma sarà certamente più debole.

Ha avuto modo di vedere il dibattito televisivo tra il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky e il premier Renzi? 

Sì e Zagrebelsky ha perso il confronto perché intimidito e di poca presa televisiva, almeno rispetto a Renzi.

Più in generale, secondo Zagrebelsky se vincesse il SÌ rischieremmo una deriva oligarchica. Non è un’esagerazione paventare svolte autoritarie?

Ogni ritocco alla Costituzione ne indebolisce l’intento democratico. Siccome è  la migliore possibile, al punto di essere continuamente disattesa, ogni ipotesi di riforma diventa restaurazione di un potere meno democratico. Pure da inapplicata, preferisco tenerla così, una via aperta verso il suo traguardo.

Non crede che la situazione italiana sia ben diversa da quella, ad esempio, turca e la nostra democrazia sia sostanzialmente più sana?

Al peggio non c’è fine e la democrazia turca si è suicidata consegnando la maggioranza al sultano Erdogan. La Turchia non c’entra nulla con i casi nostri, noi siamo malati di corruzione. È il guasto del nostro Paese, questa è la tirannia penetrata nelle fibre della società, che produce inerzia.

Per Salvatore Settis – che ha scritto una lettera all’ex presidente Giorgio Napolitano – questa riforma coincide in alcuni punti essenziali con la riforma Berlusconi-Bossi. Lei che ne pensa?

Non me ne intendo, non mi ricordo e non mi sono interessato di quella faccenda. Non chiamerei riforma alcuna legge che sia provenuta da quel duo.

In sostanza, lei manterrebbe in vita il bicameralismo paritario? Non crede che la “navetta” tra le due Camere rallenti l’iter legislativo e serva maggiore semplificazione?

L’iter legislativo sa essere molto spedito quando fa comodo – aumento di denaro ai parlamentari, per esempio – dunque non è un problema di bicameralismo. Queste due Camere rigurgitano di inquisiti, nocivi e ricattabili, questo è il problema.

Il Senato, secondo la riforma renziana, passa da 315 a 100 esponenti ma godranno dell’immunità parlamentare. Una giusta scelta garantista o così rischiamo un Parlamento pieno di indagati?

Voglio credere che il prossimo Parlamento sarà meno pieno di indagati di questo. Mentre, di principio, resto favorevole alla immunità di un parlamentare, tutela che può decadere per voto stesso del Parlamento in caso di incriminazione.

(6 ottobre 2016)

Gli scrittori italiani? Non esistono.

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“Gli scrittori italiani? Non esistono. E, tranne rarissime eccezioni, sono un gruppo di ininfluenti che si accaniscono gli uni contro gli altri per sottrarsi misere copie, che si invidiano per premi che nessuno ricorda più, che si vendono per comparsate tv. Che odiano per il successo altrui e invidiano persino per un processo che può distruggere e compromettere, ma dà visibilità e quindi… Invidierebbero anche un funerale, se pieno di persone e vicinanza. Gli scrittori italiani? Che cercano la candidatura politica (e poi la nascondono) per uno stipendio sicuro. Non è sempre stato così e non vale per tutti. Parlo però per la parte maggiore. Da questi non puoi aspettarti nulla. E anche il pubblico se ne accorge e li legge sempre meno”.

(Roberto Saviano intervistato qui)

Da giorni prima di vederlo il mare era un odore

Da giorni prima di vederlo il mare era un odore

un sudore salato ognuno immaginava di che forma.

Sarà una mezza luna coricata, sarà come il tappeto di preghiera

sarà come i capelli di mia madre.

Cos’era invece? Un orlo arrotolato sulla fine dell’Africa,

gli occhi pizzicati da specchietti, lacrime di accoglienza.

(Erri De Luca, Solo andata. Righe che vanno troppo spesso a capo, lo potete comprare qui.)

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L’incapacità di coniugarsi al plurale. E’ questo che ci ammazza.

esordienti2Loredana coglie in una sola frase quello che cerchiamo di dire (e fare) da tempo:

In secondo luogo, c’è la scarsa propensione di  molti scrittori italiani a sentirsi parte di un discorso comune. Più volte ho parlato della Gilda degli scrittori americana e di quanto si è battuta e si batte in difesa dei colleghi più deboli in tempi resi difficilissimi dall’avvento di Amazon e dalla crisi dell’editoria. Su questo punto, in Italia, le iniziative collettive sono state rarissime. Ed è solo un esempio, perché si potrebbero citare decine di altre occasioni dove la solidarietà non solo umana, ma politica, è stata obiettivamente carente.
In terzo luogo, è invece fortissima la propensione al cicaleccio da social: per cui sarà molto più facile vedere unito un gruppo di scrittori a spettegolare su Elena Ferrante che coinvolgerlo in una iniziativa di solidarietà. Non è colpa dei singoli: se il senso comunitario cala fino ad azzerarsi in un paese, chi di quel paese è espressione narrativa si comporterà di conseguenza. Con le dovute eccezioni, come sempre e naturalmente.
Detto questo, il secondo augurio è che le cose cambino. Ma vorrei anche dire una cosa: trovo molto più esecrabile il comportamento di chi si appropria della mancata solidarietà a Erri De Luca per agire pro domo propria. Per vendicarsi del silenzio sui propri libri usando un nome più noto e una battaglia molto più nobile dell’autopromozione, per poter accusare la “casta” di parlare soltanto di sè. Questo, a mio parere, significa che silenzio e tentativo di spostare l’attenzione su se stessi hanno la stessa radice. L’incapacità di coniugarsi al plurale.
E’ questo che ci ammazza.

Il post intero è qui.

Erri De Luca, i No Tav e gli scrittori che scodinzolano

Partirei da una riflessione di Loredana sul caso No Tav-Erri De Luca:

Dunque Erri De Luca verrà denunciato. Non so su quanti quotidiani troverete la notizia, ma Ltf, la società che si occupa degli studi e della progettazione della Torino-Lione, ha deciso di portare lo scrittore in tribunale. I motivi? Ansa li riporta così:

“L’iniziativa è legata alle recenti prese di posizione di De Luca in favore delle azioni di ‘’sabotaggio” contro il cantiere.
L’ex di Lotta Continua in alcune interviste aveva legittimato ”cesoie e sabotaggi” nella protesta contro la realizzazione della Torino-Lione”.

A parte la definizione (l’ex di Lotta Continua. Come se la biografia di Enrico Letta fosse riassumibile in “l’ex presidente dei Giovani Democristiani”. Ops, dite che in questo caso sarebbe legittimo?), forse occorrerebbe  leggere l’intervista a De Luca all’Huffington Post, che trovate  qui. E poi leggete le reazioni NoTav:  qui e qui.
Comunque la pensiate in proposito, ribadisco, mi sembra evidente che sul No Tav esiste ormai una campagna mediatica che criminalizza e non informa. Se persino il rettore della Statale di Milano annuncia con rullo di tamburi  l’adozione dei tornelli per impedire l’accesso all’università a “persone molto pericolose” facendo indiretto ma evidente riferimento ai NoTav, credo che il cerchio si stia chiudendo.
Allora, fatevi un favore. Procuratevi il libro di quel pericolosissimo personaggio che è Luca Rastello (giornalista, specializzato in economia criminale e relazioni internazionali, è stato direttore di «Narcomafie» e del mensile «L’Indice», e ha lavorato come inviato per il settimanale «Diario») e Andrea De Benedetti. Si chiama Binario morto, e un paio di chiarimenti sull’Alta Velocità li fornisce eccome. Con buona pace di tutti coloro che sono pronti a utilizzare il termine Cattivi Maestri come un marchio d’infamia.

Non chiedete ai grandi scrittori italiani (ma vale anche per gli autori teatrali o i “teatranti civili”) di essere contemporanei nelle prese di posizione. Non chiedete mai agli “intellettuali” (si vabbè, magari) di esprimere un’opinione. Se un collega (piacerebbe essere colleghi di De Luca, a molti) viene travolto da un’esondazione per presa di posizione tutti gli altri stanno nemmeno sull’argine ma nell’entroterra a festeggiare o (i più buoni) a pensare ad altro. La chiama, sempre Loredana Lupperini “la scarsissima propensione del mondo letterario italiano a esprimere solidarietà ai membri più famosi del medesimo. E la felicità perversa che nutre nel massacrarli” ma sembra piuttosto il solito opportunismo in polvere.

Io non so perché in questo Paese bisogna essere archeologici per sembrare opportuni ma un fronte comune almeno sulla questione del boicottaggio promosso da Giuseppe Esposito (PDL) sarebbe stato bello, opportuno per chi scrive un po’ anche nelle azioni oltre che sui libri.

Ma il coraggio non si impara, nemmeno con tanto tanto (e pubblicizzatissimo) talento.

Io, da amico fiero di Gian Carlo Caselli, difendo un testimone e coltivatore di bellezza come Erri nelle sue belle e limpide posizioni.

Cucchi secondo Erri De Luca

Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù, figlio di Giuseppe, è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro. Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l’aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita.

I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.

(Erri De Luca, via)

Pensai che avrei capito tutti i libri da quel momento in poi

“Mi passò le dita sopra gli occhi e poi con quelle dita scese ai lati del naso, passando per la bocca, fino al mento. E mi posò le labbra sulla bocca mezza aperta dalla meraviglia.
“Meraviglia,” dissi quando si staccò, facendolo pianissimo.
“Questo era tuo. Te lo chiedo ancora, ti piace l’amore?”
“Be’ sì, se è questo, sì.” Pensai che avrei capito tutti i libri da quel momento in poi.”

Erri De Luca