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GAY

Per il senatore leghista Ostellari “dare del fr*cio a un gay non è un’offesa”

Alla fine non ce l’ha fatta a trattenersi e il leghista Andrea Ostellari, quello che tiene in ostaggio in commissione giustizia al Senato il ddl Zan, si è fiondato in radio ospite di Cruciani e Parenzo a rivendicare il diritto di dare del ”fr*cio” ai gay, con grandi risate di Cruciani al seguito. “Non è offensiva. Dipende dal contesto”, ha detto Ostellari.

Del resto sul diritto costituzionale di dare del “fr*cio” a qualcuno si sta giocando tutta la lercia propaganda leghista da mesi: una volta ci si vergognava, ora diventa un tratto distintivo. Dice Ostellari che non serve “fare una legge nuova speciale per i gay” perché sono “normali”. E anche su questo punto dimostra tutta l’ignoranza poiché le tutele di legge per gruppi religiosi e etnici considerati più esposti esistono circa da trent’anni.

Anche gli oppositori della legge Mancino (nella sua versione del 1975) rivendicavano il diritto all’insulto e evocavano l’incostituzionalità ma una sentenza della corte costituzionale del 2015 (Cass. Pen. 36906/15) dice chiaramente che la libertà di manifestazione del pensiero cessa quando travalica in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista.

Ma Ostellari evidentemente è troppo preso dal suo essere “Ostellari” per occuparsi di queste quisquilie costituzionali, troppo preso a darsi di gomito con il prode Cruciani. Poi Ostellari si lancia in una considerazione che probabilmente ritiene geniale: “La legge Zan – dice a Cruciani – non è una legge che viene osteggiata dalla Lega o da Ostellari, omofobi e cattivi, è una legge che viene criticata in primis dal mondo femminista, da Arcilesbica”.

Quindi per Ostellari l’opinione di Marina Terragni (“femminismo” utile alla destra per essere usato come clava) improvvisamente assume il diritto di veto al voto. Peccato che il mondo del femminismo sia molto più ampio: altrimenti potremmo dire a Ostellari che il fatto che Alessandra Mussolini sia d’accordo con la legge significhi che “la destra” appoggi il ddl Zan, con lo stesso metodo.

Ma la soddisfazione è sempre la stessa: dire “fr*cio” in pubblico. Poi se quelle parole diventano spranghe o botte a Ostellari non interessa, lui ha avuto nella sua vita i suoi 5 minuti di fama, come sempre sulla pelle degli altri, come capita a chi ottiene luce dal negare diritti perché non sa inventarsene di nuovi.

Leggi anche: Ddl Zan: una grande opportunità per riscrivere le regole della convivenza sociale

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Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste

Ogni giorno Matteo Salvini si sveglia e, dopo essersi fatto una bella foto moscia con Nutella o cibarie varie da spiattellare sui social, decide di sputare contro qualcuno. Capitan Vigliacco ha una predilezione per i deboli, per gli invisibili, per quelli che viene facile mettere nel sacchetto dell’umido delle priorità: lui è fatto così, debole con i forti ma fortissimo con i debolissimi, come nella migliore tradizione di quelli che simulano il pugno di ferro ma poi sono pronti a stringere mani piuttosto losche, se torna utile per il loro tornaconto personale.

Nel mattino di oggi, lunedì 12 aprile 2021, Salvini ha deciso di usare i detenuti come roncola per attaccare Nicola Zingaretti e Vincenzo De Luca (e quindi di sponda il Pd, con cui tra l’altro sta governando) e si è tuffato con la bava alla bocca a twittare: “Lazio e Campania vogliono vaccinare i detenuti prima di anziani e persone disabili. Roba da matti”.

Non perdete troppo tempo a cercare un qualsiasi spessore politico in questa critica, che sembra una frase sputazzata di spritz al bar. “Roba da matti”, “buon senso” o “padre di famiglia” sono i concetti elementari su cui Salvini si basa per esprimere qualsiasi concetto, la banalità è il suo marchio di fabbrica e ogni sua osservazione non punta a niente di più nobile degli sfinteri.

Però, nelle poche miserabili parole di quel tweet, c’è tutto il salvinismo nel suo splendore.

Il ritenere “gli altri” (come sono i carcerati oppure i neri oppure i gay oppure qualsiasi altro tipo che non rientri nel prototipo dell’omaccione italico medio) una categoria che non si deve mai permettere di avere nessuna esigenza, nessuna.

Lo scambiare l’autorevolezza per il tintinnare di manette che Salvini continua a fare annusare ai suoi sostenitori, nonostante diventi poi una pecora se a compiere i reati è qualche colletto bianco.

Il ritenere le carceri il percolato della società in cui rinchiudere tutti i problemi illudendosi (e illudendo) di risolverli.

In più, il prode Salvini, riesce anche a rimediare una delle sue proverbiali figure di palta che costellano la sua misera traiettoria politica, poiché in Lombardia e Veneto (Regioni che stanno al guinzaglio del leader leghista) le vaccinazioni in carcere sono già iniziate da un bel po’, con la differenza che in Lombardia intanto si dimenticano gli anziani.

E, a proposito di condannati (che lui chiamerebbe “criminali”), sarebbe da chiedere a Salvini allora cosa ne pensi del suo quasi suocero Denis Verdini, che proprio per un focolaio di Covid a Rebibbia a gennaio (90 contagi in pochi giorni tra i detenuti) è stato (giustamente) scarcerato. Ma non dirà niente, vedrete, niente.

Leggi anche: Diceva “prima gli italiani” ma ha preferito “prima la famiglia”: sindaco arrestato per migliaia di mascherine sottratte alle Rsa (di Giulio Cavalli)

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Effetti collaterali del “Governo di tutti”: la Lega blocca la legge sull’omofobia

Solo a marzo, con un Paese in piena pandemia, il quadro è questo: a Brugherio l’auto di Danilo Tota e del suo compagno Sasha Di Cicco viene vandalizzata, sempre lì a Brugherio Danilo Tota era stato aggredito perché gay al parco cittadino, “checchina” e “feminuccia” gli urlavano addosso; il 14 marzo a Vicenza Andrea C. è stato adescato su Facebook e si è ritrovato di fronte 12 ragazzini che l’hanno preso a calci e pugni, è stato salvato da alcune persone di passaggio; il 15 marzo esce la notizia Thomas racconta di essere stato offeso, circondato e preso a sassate da un branco di 15 persone che l’hanno preso di mira per i suoi capelli tinti di rosa e per il fatto di essere gay.

Thomas racconta che le Forze dell’Ordine gli hanno perfino sconsigliato di sporgere denuncia; il 24 marzo Aurora e Valentina sono in un parco a Voghera vengono aggredite da un uomo che le rimprovera per essersi date un bacio, il video è uno spaccato di omofobia benpensante; il 26 marzo a Asti Nicholas Dimola viene invitato ad andarsene mentre era seduto su una panchina del parco (“sei un travestito di merda, vattene”, gli dicono) perché quella era “una zona per bambini”. È proprio Nicholas che nella sua denuncia pubblica ricorda che a Asti tre suoi amici omosessuali si siano suicidati; nella notte tra il 28 e il 28 marzo a Perugia l’auto di un giovane viene vandalizzata con la scritta “sono gay” durante la notte.

Questi sono solo i casi di cui si ha conoscenza, quelli che sono diventati pubblici in mezzo ai molti episodi che si ripetono tutti i giorni e che per vergogna vengono taciuti e rimangono nascosti. La questione dell’omofobia è una costante nelle cronache locali, con azioni e esiti più o meno gravi, eppure viene derubricata nella categoria delle “ragazzate” dove si infilano spesso i problemi complessi che non si vogliono affrontare.

Per anni si è nascosta sotto il tappeto ma ora quel tappeto è una montagna che incombe sulle responsabilità della classe politica. Eppure il centrodestra compatto ieri ancora una volta ha incagliato il disegno di legge contro l’omotransfobia (la “legge Zan”) con la solita patetica scusa di “altre priorità”. E fa niente che siano gli stessi che presentano proposte di legge sui crocifissi o sulle canzoni di Casadei: il governo Draghi, piaccia o no, tiene insieme una compagine così larga che non riuscirà mai a trovare la quadra per smuovere qualcosa in tema di diritti. Siamo in zona rossa anche per i diritti, sospesi, in attesa che torni la politica. Non è una buona notizia, no.

Leggi anche: 1. Legge contro l’omofobia: no secco della Lega. Ora il ddl è a rischio al Senato /2. Omotransfobia, il difficile cammino e le polemiche sulla legge che vieta l’odio contro omosessuali e trans /3. Caivano, Zan a TPI: “Meloni strumentalizza l’omicidio, ma è la prima a ostacolare la mia legge sull’omotransfobia”

4. Il linguaggio di certi giornali sul caso di Caivano rivela l’arretratezza italiana sull’omofobia (di G. Cavalli) /5. Il senatore della Lega Pillon condannato per aver diffamato un’associazione Lgbt /6. La legge contro l’omofobia? Serve proprio perché c’è chi non la vuole (di Fabio Salamida)

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Ci sono anche buone notizie

Ieri la neo ministra della Giustizia Marta Cartabia è stata audita dalla commissione Giustizia della Camera sulle linee programmatiche del suo dicastero e si è avuta la netta sensazione di ascoltare finalmente parole nuove rispetto a certa giustizia turboferoce che abbiamo visto negli ultimi anni. Certo, dirà qualcuno, siamo solo alle parole ma le buone parole sono il preludio migliore per le augurabili buone azioni e mentre monta un certo cattivismo che vorrebbe “il carcere a vita” per qualcuno che viene processato direttamente sui social ascoltare un ritorno alla ragionevole umanità non può che essere una buona notizia.

La ministra ha chiarito che è impensabile pensare a una “riforma del sistema” vista l’enormemente larga maggioranza che sostiene questo governo (che sulla giustizia come su molti altri temi ha idee praticamente opposte) ma ha ribadito che vanno messi in campo «tutti gli sforzi tesi ad assicurare una più compiuta attuazione della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali». Cartabia ha anche parlato della «necessità che l’avvio delle indagini sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano dagli strumenti mediatici per una effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza, uno dei cardini del nostro sistema costituzionale».

Finalmente si sente anche una ministra che ha il coraggio di dichiarare «opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale che, assecondando una linea di pensiero che sempre più si sta facendo strada a livello internazionale, ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato». Con un parallelo la ministra ricorda in audizione ala Camera che «la certezza della pena non è la certezza del carcere, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali. Un impegno che intendo assumere è di intraprendere ogni azione utile per restituire effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva di riforma sarà opportuno dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation, nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure scontano ampi margini di ineffettività, con l’eccezione del lavoro di pubblica utilità».

Erano anni che non si sentivano parole così, pensateci.

(Ah, per tutti quelli che ci faranno notare che proprio qui sul Buongiorno abbiamo criticato aspramente Cartabia per le sue posizioni oscurantiste sui matrimoni gay e per la sua vicinanza a Cl: sì, lo pensiamo ancora. Ma nel nostro patto con i lettori ci eravamo ripromessi di giudicare i fatti, passo dopo passo. E passare dal giustizialismo a un’ipotesi di giustizia giusta è una buona notizia)

Buon martedì.

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L’omofobo seguace di Orban beccato nell’orgia gay: il lato oscuro (e represso) dei moralisti

Uomo e donna, famiglia tradizionale, valori cristiani, una dichiarata omofobia sventolata con fierezza: Joseph Szajer, eurodeputato ungherese del partito di Orban, è uno di quelli che ha puntato tutta la sua carriera politica sugli orientamenti sessuali degli altri, uno di quelli convinti che il compito della politica sia quello di gestire gli aspetti più personali degli elettori come se fossero affare di Stato e addirittura indice di salute pubblica. Peccato che il contrappasso sia degno di un film, uno di quei film dove il protagonista vien sonoramente sbugiardato secondo l’antico adagio “fate quello che dico ma non fate quello che faccio”.

Szajer è stato beccato dalla polizia in un pub nel pieno centro di Bruxelles mentre brigava in un festino sessuale con altre 24 persone, un’ammucchiata in piena regola con un alto tasso alcolico e di droghe. Con lui diversi diplomatici e funzionari della Commissione europea: due degli arrestati hanno addirittura invocato l’immunità diplomatica mentre la polizia li denunciava per avere violato le norme sanitarie disposte per il Covid e per possesso di stupefacenti.

Sono spesso così i moralizzatori: pretendono di giudicare gli altri confidando di non essere giudicati. Ma basta grattare poco poco sotto la superficie per scoprire, spesso, che sono semplicemente dei repressi che ardentemente desiderano ciò che condannano, si costruiscono intere carriere su principi (spesso retrogradi e restrittivi delle libertà degli altri) che infrangono nel buio della propria cameretta e interpretano il ruolo dei conservatori professando una fede che loro stessi riconoscono restrittiva.

Immaginatevi la scena: la polizia ha fatto irruzione nel locale e Joseph Szajer, codardo come sono spesso codardi da quelle parti ideologiche, ha tentato di fuggire (pure ferendosi una mano) per poi invocare un’immunità parlamentare che invece per legge non gli spetta (perché loro sono dei gran saggi dei comportamenti ma spesso fallaci sulla conoscenza delle leggi).

Parliamo di un uomo di punta di Orban, quell’Orban che ha voluto aggiungere alla Costituzione la frase “L’Ungheria proteggerà l’istituzione del matrimonio come unione di un uomo e una donna …”. Complimentoni, davvero.

Ma c’è un altro punto interessante in tutta la vicenda: nel suo comunicato con cui annuncia le proprie dimissioni dal Parlamento europeo, il moralizzatore decaduto Joseph Szajer chiede scusa alla sua famiglia, ai suoi colleghi e ai suoi elettori chiedendo loro “di valutare il mio passo falso sullo sfondo di trent’anni di lavoro devoto e duro” e dicendo di avere tratto con le sue dimissioni “le conclusioni politiche e personali”. Capito? Sono fatti suoi. E quello che ha giudicato tutti ora chiede di essere giudicato secondo il suo metro di giudizio: niente, non ce la fanno proprio, fino alla fine.

Leggi anche: Orgia in un bar di Bruxelles durante il lockdown: denunciato Joseph Szajer, europarlamentare di Orban

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Kamala Harris

Trump ha perso. Insieme a Trump perde anche quel sovranismo populista condito di niente che ha attraversato il mondo, quel modo muscolare di fare politica pescando nel torbido per non affrontare i problemi, quella politica che ancora si innamora dell’uomo forte per potersi concedere di non occuparsi dei deboli che sono da sempre i nemici di certa destra. Diritti e dignità, forse, ce lo auguriamo tutti, trovano almeno uno spazio nel dibattito pubblico dopo essere stati oscurati come inutili lamentosi che avrebbero solo potuto rallentare la produttività del Paese.

Dagli Usa arriva anche la storia della prima vicepresidente donna, finalmente, una donna che non è moglie di qualche ex vicepresidente e che ha una storia da portare con fierezza. Kamala Harris è donna, nera, figlia di una biologa indiana e di un economista giamaicano, sposata con un bianco ebreo. Qualcuno dice che potrebbe “oscurare” Biden. Ma magari.

In lei molti elettori e elettrici democratici hanno intravisto il futuro di un Paese che sta diventando sempre più diversificato dal punto di vista razziale, sognando un’America inclusiva, integrata e progressista. Ex procuratore distrettuale di San Francisco, è stata la prima donna nera a essere procuratorice generale della California. Quando è stata eletta senatrice degli Stati Uniti nel 2016, è diventata la seconda donna nera nella storia della Camera. Una donna di legge che contraria alla pena di morte, favorevole ai diritti gay, sostenitrice della sanità pubblica, impegnata nel movimento Black Lives Matter.«Ogni volta che ho corso ero la prima a vincere. La prima persona di colore. La prima donna. La prima donna di colore. Ogni volta», diceva nel 2019.

Nel suo discorso inaugurale ha detto: «Penso alle donne, alle donne nere, asiatiche, bianche, ispaniche, nativo americane, che nel corso della storia di questo paese hanno aperto la strada per questo momento, si sono sacrificate per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutti noi; penso alle donne nere che troppo spesso non sono considerate, ma sono la spina dorsale della nostra democrazia. Penso a tutte le donne che hanno lavorato per garantire il diritto di voto e che ora nel 2020 con una nuova generazione hanno votato e continuano a lottare per farsi ascoltare. Stasera voglio riflettere sulle loro battaglie, la loro determinazione, la loro capacità di vedere cioè che sarà a prescindere da quello che è stato. E questa è una testimonianza della personalità di Joe, che ha avuto il coraggio di buttare giù uno dei muri che continuavano a resistere nel nostro paese scegliendo una donna come vicepresidente. Anche se sono la prima a ricoprire questa carica, non sarò l’ultima. Ogni bambina, ragazza che stasera ci guarda vede che questo è un paese pieno di possibilità. Il nostro paese vi manda un messaggio: sognate con grande ambizione, guidate con cognizione, guardatevi in un modo in cui gli altri potrebbero non vedervi. Noi saremo lì con voi».

È un buon vento, quello di Kamala Harris.

Buon lunedì.

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Dramma di Caivano, il diritto di amarsi di Ciro e Paola e le donne vissute come proprietà privata

È stata Cira, anzi no, è stato Ciro che però era Cira e che era una trans, poi si correggono è stato un trans, poi qualcuno che scrive che fosse un amore gay, addirittura un telegiornale nazionale in prima serata, quello spicchio di tempo che dovrebbe essere pedagogico oltre che informativo e l’attenzione di troppi giornali e telegiornali e troppi commentatori va a finire tutta lì, sulla transizione di Ciro Migliore e la morte di Maria Paola Gaglione, morta a causa di un inseguimento che ha ribaltato la motocicletta su cui Maria Paola viaggia finisce quasi in secondo piano, è troppo ghiotto il piatto del trans per fermarsi alla cronaca e alla narrazione dei fatti e così, ancora una volta, oltre al lutto si aggiunge il dolore e la sofferenza di una stampa che sembra non avere le parole per raccontare la realtà che ci circonda, che ancora incespica nel raccontare il presente e che ancora punta il dito sulla vittima piuttosto che sul presunto colpevole.

I fatti, intanto: Maria Paola Gaglione, 22enne di Caivano, ama Ciro Migliore, un uomo trans, nato biologicamente donna ma in transizione verso il sesso maschile. I due sono in motorino e il fratello Michele comincia a inseguirli. Il fratello non sopportava la relazione tra i due: «Non volevo ucciderla, ma solamente darle una lezione», dice il fratello agli inquirenti che lo accusano di morte in conseguenza di altro reato e di violenza privata. Ieri il gip ha convalidato l’arresto. «L’aveva infettata», dice lui parlando della sorella e del suo amore. Mentre li inseguiva urlava minacce di morte. Quando avviene l’incidente (le cause sono tutte ancora da accertare e al vaglio degli inquirenti) Maria Paola Gaglione rimane uccisa sul colpo mentre Ciro è sanguinante a terra e comincia a essere pestato dal fratello. A completare il quadro ci sono poi le voci della famiglia, i genitori di Maria Paola giustificano il fratello dicendo in diverse interviste che il giovane sicuramente non voleva speronare ma che il gesto era di “aiuto” per quella sorella e la sua relazione non accettata.

Si tratta, per l’ennesima volta, di una donna che viene vissuta come proprietà privata (in questo caso dal suo fratello maggiore) e che non viene considerata libera di vivere la sua relazione perché l’amore che nutriva per il suo compagno non rientrava nei canoni tradizionali di una famiglia che, lo dice bene don Patriciello che conosce i protagonisti, «non avevano gli strumenti culturali» per affrontare una situazione del genere. Siamo di fronte, una volta ancora, a un femminicidio (quanto preterintenzionale e quanto volontario lo deciderà ovviamente il processo) in cui perde la vita una donna che è stata giudicata da un contesto che non ha l’educazione sentimentale per affrontare la complessità dell’amore che spesso segue linee ben diverse dai canoni tradizionali.

Per questo in molti in queste ore continuano a chiedere che arrivi al più presto quella legge contro l’omotransfobia che giace da mesi in commissione (e che ha diviso il Parlamento): le associazioni Lgbt locali tra l’altro sottolineano come Ciro fosse vittima dell’odio e delle minacce da parte della famiglia di Maria Paola. Il tragico evento accaduto qualche giorno fa è solo la coda di un odio che parte da lontano e che si è perpetrato per mesi. Poi c’è la questione, sempre poco raccontata e spesso raccontata in modo piuttosto distorto di queste famiglie che si ritengono proprietarie della vita e delle scelte dei propri figli: Sana Chhema, una 25enne pakistana viveva a Brescia dove aveva studiato e dove lavorava ed è stata uccisa dal padre e dal fratello che non accettavano il fatto che si fosse innamorata di un ragazzo italiano, era l’aprile del 2018 e nel 2016 Nina Saleem, ventenne pakistana, venne sgozzata dal padre, dallo zio e da due cugini perché aveva un fidanzato italiano e perché vestiva troppo all’occidentale. In quel caso fu facile addossare le colpe degli omicidi all’arretratezza delle famiglie straniere e sentirsi assolti come se fossero fatti di cronaca lontani da noi eppure la trama, il nocciolo della storia anche in questo caso è lo stesso, con cognomi italianissimi.

E a proposito di arretratezza forse sarebbe il caso anche di ricordare che Caivano, luogo in cui si è consumata la tragedia, è uno dei luoghi con i più alti indici di dispersione scolastica e con il più basso indice di presenza di nidi a tempo pieno d’Italia. Perché forse oltre alla legge servirebbe anche un’educazione sentimentale e una formazione culturale di cui si continua a discutere e che continua a non essere un serio progetto politico. Serve la legge, certo, ma serve la cultura. E ancora una volta siamo qui a ripetercelo.

E allora ci si chiede se non sia il caso di allargare lo sguardo, al di là del brutto giornalismo che si ferma su Cira che è diventato Ciro, e domandarsi quanto tempo ancora debba passare perché il diritto di amare, amare senza creare nessun danno agli altri, diventi finalmente una libertà da praticare senza paura e senza ritorsioni. Comunque vada a finire la vicenda giudiziaria.

L’articolo Dramma di Caivano, il diritto di amarsi di Ciro e Paola e le donne vissute come proprietà privata proviene da Il Riformista.

Fonte

La preghiera dell’odio

Un parroco in un paese della Puglia ha organizzato una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. E la sindaca si è ribellata

Siamo a Lizzano, paese in provincia di Taranto, dove il parroco, don Giuseppe, ha pensato bene di organizzare una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia (il disegno di legge Zan è già stato approvato in Commissione Giustizia) che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. L’oscurantismo del resto va molto di moda tra alcuni leader politici e figurarsi se non prende piede anche tra i parroci di provincia dove con un arzigogolato ragionamento si riesce a mettere insieme la famiglia con l’odio verso i gay: sono quei pensieri deboli e cortissimi che prendono molto piede dove l’ignoranza regna sovrana. Evidentemente per don Giuseppe il suo dio vuole che si continui a odiare e discriminare perché le famigliole possano stare tranquille. Contento lui.

Il punto che conta però è che in molti (per fortuna) si sono ribellati a questa pessima iniziativa e soprattutto la sindaca del paese, la dott.ssa Antonietta D’Oria, pediatra di famiglia, mamma di quattro figli che lavora a Lizzano da trent’anni ed è impegnata in varie associazioni di ambito sociale, ambientale e culturale decide di prendere carta e penna e di rispondere. Potrebbe essere la solita diatriba tra parroco e sindaca ma di questi tempi le parole sono preziose. Ecco la risposta:

“È notizia ormai rimbalzata su tutti i social media che il parroco di Lizzano, il parroco della nostra Comunità, il nostro parroco ha organizzato un incontro di preghiera contro le insidie che minacciano la famiglia, tra cui, prima fra tutte, cita la legge contro l’omotransfobia.
Ecco, noi da questa iniziativa prendiamo, fermamente, le distanze.
Certo non sta a noi dire quello per cui si deve o non si deve pregare, ma anche in una visione estremamente laica quale è quella che connota la attuale Amministrazione Comunale, la chiesa è madre e nessuna madre pregherebbe mai contro i propri figli.
Qualunque sia il loro, legittimo, orientamento sessuale.
Perché, come ha scritto meglio di come potremmo fare noi, padre Alex Zanotelli, quando ha raccontato la propria esperienza missionaria nella discarica di Corogocho, la Chiesa è la madre di tutti, soprattutto di quelli che vengono discriminati, come purtroppo è accaduto, e ancora accade, per la comunità LGBT.
A nostro modestissimo parere e con la più grande umiltà, ci pare che altre siano le minacce che incombono sulla famiglia per le quali, sì, sarebbe necessario chiedere l’intervento della Divina Misericordia.
Perché non pregare contro i femminicidi, le violenze domestiche, le spose bambine?
Perché non celebrare una messa in suffragio per le anime dei disperati che giacciono in fondo al Mediterraneo?
Perché non pregare per le tante vittime innocenti di abusi?
Ecco, senza voler fare polemica, ma con il cuore gonfio di tristezza, tanti altri sono i motivi per cui raccogliere una comunità in preghiera.
Certo non contro chi non ha peccato alcuno se non quello di avere il coraggio di amare.
E chi ama non commette mai peccato, perché l’amore, di qualunque colore sia, innalza sempre l’animo umano ed è una minaccia solo per chi questa cosa non la comprende”.

Che bella quando prende posizione, la politica.

Come dice la scrittrice Francesca Cavallo: «iniziative come questa non devono passare sotto silenzio, per il bene di tutti quegli adolescenti che leggono di un’iniziativa come questa e pensano di essere sbagliati. Io sarei potuta essere tra loro».

Buon giovedì.

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Non ne indovina una: eterofobia

Per Matteo Salvini se si vota una legge contro l’omofobia allora bisogna pure fare una legge contro l’odio verso gli eterosessuali. Una cretinata talmente colossale che fa tremare le vene e i polsi solo a commentarla

Quel gran geniaccio di Salvini si vergogna di dire che vuole prendersi i voti di quelli che odiano i gay e allora ha studiato un’incredibile invenzione per dichiararsi quel poco che è facendo un giro larghissimo: dice che se si vota una legge contro l’omofobia allora bisogna anche correre subito a scrivere una legge contro l’eterofobia. Ci deve avere messo ore a imparare una parola nuova ma alla fine ci è riuscito, innanzitutto.

Del resto a chi di noi non è mai capitato di essere insultato perché eterosessuale, mano nella mano del marito o della compagna, mentre cammina in una via del centro dove ci sono cartelli con scritto “non si affitta agli eterosessuali” oppure a chi di noi non è mai capitato di avere un amico che è stato disconosciuto dalla famiglia o ghettizzato sul lavoro per avere detto di essere eterosessuale. È una cretinata talmente colossale che fa tremare le vene e i polsi solo a commentarla.

Poi ci sono quelli che la buttano sulla “libertà di pensiero”: sono quelli che vogliono esercitare il diritto di offendere un gay in quanto gay e non sanno che si può liberamente esprimere la propria opinione senza grossi rischi. Per me, ad esempio, quelli che hanno paura di perdere il diritto di urlare in mezzo alla strada “fai schifo, gay!” sono degli emeriti imbecilli e mi prendo anche la briga di difendermi nel caso in cui mi quereli qualcuno. Scambiare la libertà di espressione con la libertà di essere cretini va parecchio di moda, di questi tempi.

Infine c’è la chicca delle chicche: una legge che punisce chi discrimina in base all’orientamento sessuale in realtà difende anche qualcuno che viene pestato in quanto etero. Quindi la legge che vorrebbe scrivere Salvini è proprio quella in discussione, non deve nemmeno fare fatica.

Ben fatto, Matteo!

Buon venerdì.

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