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giulio tremonti

Eccoli “i migliori”

Cosa hanno fatto e detto in passato alcuni ministri del nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, il cosiddetto governo dei migliori

Renato Brunetta in un Paese normale, in un Paese capace di esercitare il muscolo della memoria almeno per qualche anno, sarebbe considerato un politico “finito”, uno di quelli che incassa con dignità le sue sconfitte e silenziosamente si ritira a fare altro. In Forza Italia, nella Forza Italia che si è sgretolata in questi ultimi anni, lui ha mantenuto invece la qualità politica che più conta da quelle parti, la fedeltà al capo e ad esserne lo scherano e così ce lo ritroviamo estratto dal cilindro. Brunetta fu già ministro nel terzo governo Berlusconi, proprio alla Pubblica amministrazione, ve lo ricordate? Fu quello che si presentò additando come «fannulloni» i dipendenti pubblici (e se ci fate caso quel vento sta tornando di moda, bravissimo Draghi a fiutarlo, chapeau) e pensò bene di installare dei tornelli negli uffici (voleva metterli anche nei tribunali) per risolvere il problema dell’assenteismo. Capite vero? Il governo dei migliori che dovrebbe farci dimenticare i banchi con le rotelle ha ripescato dal cassetto dei giocattoli rotti il ministro dei tornelli. Fu il Brunetta che si scagliava contro i magistrati che «lavorano due e tre giorni alla settimana» (ma per difendere Berlusconi bisogna per forza odiare i magistrati) e che aveva definito alcuni poliziotti dei «panzoni passacarte». La sua riforma che avrebbe dovuto rivoluzionare la pubblica amministrazione non ha cambiato nulla, nulla. In compenso Brunetta fu quello che accusava le donne di usare «gli ammortizzatori sociali per fare la spesa» e che, tanto per farsi un’idea dello spessore culturale, disse: «Esiste in Italia un culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Pae­se ed è quello che si vede in que­sti giorni alla Mostra del Cine­ma di Venezia». Un migliore, senza dubbio.

Mariastella Gelmini fu la ministra all’Istruzione che per quelli della nostra generazione ha lasciato come ricordo le macchie di un incubo. Tanto per stare sui numeri: un taglio in tre anni di 81.120 cattedre e 44.500 Ata (il personale non docente). È la sforbiciata complessiva di 125.620 posti dal 2009 al 2011 che avrebbe dovuto far risparmiare all’Erario poco più di otto miliardi di euro. Otto miliardi e 13 milioni, per la precisione, stima il Tesoro nel «Def 2011». Parte di queste risorse, il 30%, servivano a recuperare gli scatti stipendiali bloccati nel luglio 2010 da Giulio Tremonti. Da buona efficiantista non sognava una scuola migliore ma ambiva a tagliare “gli sprechi”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte ai tagli alla ricerca, era però dovuto intervenire a gamba tesa nel 2009 invitando la ministra a «rivedere alcuni tagli indiscriminati». Delle donne disse che sono delle «privilegiate» se scelgono di assentarsi dal lavoro dopo la gravidanza. Nel 2009 pensò anche a un tetto del 30%, per ridurre il numero degli stranieri in classe. Una migliore, applausi.

Erika Stefani è ministra alle disabilità. Già il fatto che per le disabilità venga messo in piedi un ministero senza sapere e senza capire che il tema attraversi tutte le competenze ha la forma di un’elemosina, lo ha spiegato benissimo Iacopo Melio in questo articolo per Repubblica, ma uno si aspetterebbe che in quel ministero lì ci sia una persona empatica, inclusiva, con testa e cuore larghi. Erika Stefani è stata ministra con il primo governo Conte ma se la ricorda solo Wikipedia. Fino a qualche giorno fa aveva come copertina della sua pagina Facebook la sua foto in Parlamento mentre strillava con un cartello “No ius soli”. Era una di quelli che proponevano le gabbie salariali ovvero «alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al centro-Sud». Una migliore, complimenti.

Poi c’è Giorgetti, sempre della Lega, come Stefani. Giorgetti è in Parlamento dal 1996 e ha il grande “pregio” di aver sempre seguito i potenti, passando indenne da Bossi a Maroni fino a Salvini. Parla poco perché quando parla dice cose che rimangono impresse a fuoco come quella volta che disse che i medici di famiglia non servono più. Infatti nella sua Lombardia i medici di famiglia sono stati disarticolati e la Covid ha preso piede con grande libertà. Un capolavoro. Giorgetti è uno di quelli stimati perché non parlano mai e rischiano di sembrare intelligenti, come Guerini nel Pd, sempre pronti ad attaccarsi alle braghe del potente giusto per risultare pontieri mentre invece sono solo camerieri. Giorgetti era uno di quelli che ci spiegò che i mercati europei attaccavano la Lega perché «i mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono», disse proprio così. Ora è europeista. Che migliore, davvero.

Questo è solo un assaggio. Nei prossimi giorni li raccontiamo per bene tutti. Evviva i migliori. Evviva.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il senso del lavoro di Sgarbi

Vittorio Sgarbi, da sempre incapace di entrare nel merito nelle sue baldanzose e sconclusionate uscite in cui attacca gli avversari politici di turno, ha pensato bene di criticare Virginia Raggi con una bella provocazione classista delle sue, dicendo: «Secondo me prima di fare il sindaco era una cameriera nell’ufficio di avvocati e guadagnava 600 euro al mese». Essere cameriera e guadagnare 600 euro al mese evidentemente per il critico d’arte è elemento di vergogna e di inettitudine. Del resto, mica per niente, Sgarbi da sempre è l’assiduo frequentatore di immorali imprenditori. Virginia Raggi, da canto suo, ha risposto parlando della dignità dei camerieri e tutto il resto, seguita a ruota da Di Maio.

Ma c’è un aspetto interessante in tutto questo: Sgarbi ha pronunciato la sua infelice frase mentre si candidava come sindaco di Roma (e già cerca di attaccarsi ai pantaloni di Calenda) e praticamente in contemporanea ha annunciato la sua candidatura in Calabria. Del resto che Sgarbi sia terrorizzato dall’idea di dover lavorare senza politica lo racconta benissimo la sua storia politica che Fondazione Critica Liberale ha messo tutta in fila e che letta tutta d’un fiato fa parecchio spavento:

«1) Unione monarchica italiana; 2) Partito comunista italiano, accettando la proposta di candidarsi al consiglio comunale di Pesaro, nel 1990, candidatura poi fallita per avere contemporaneamente accettato anche la proposta di candidato per il Psi; 3) Partito socialista italiano, per il quale è stato eletto nel 1990 consigliere comunale a San Severino Marche; 4) Dc-Msi, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di San Severino Marche nel 1992; 5) Partito liberale italiano, per il quale è stato deputato nel 1992; 6) Forza Italia, con la quale è stato eletto deputato nel 1994, nel 1996, nel 2001 e 2018; 7) Partito federalista, che ha fondato nel 1995 e poi lasciato per aderire alla 8) Lista Pannella-Sgarbi; 9) “I Liberal – Sgarbi”, movimento da lui fondato nel 1999; 10) Polo laico, movimento effimero esistito nel 2000 per garantire una rappresentanza alle elezioni dell’anno successivo ai Liberali e ai Radicali Italiani; 11) Lista consumatori, con la quale si è candidato, per le Politiche del 2006, senza essere eletto; 12) Udc-Dc, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di Salemi nel 2008; 13) Movimento per le autonomie con il quale è stato candidato alle elezioni europee del 2009 nel cartello elettorale L’Autonomia nella Circoscrizione Isole; 14) Rete Liberal Sgarbi-Riformisti e Liberali nelle elezioni regionali 2010 del Lazio; 15) Partito della Rivoluzione-Laboratorio Sgarbi, movimento politico fondato dallo stesso Sgarbi ufficialmente il 14 luglio 2012; 16) Intesa popolare, partito fondato nel 2013 assieme a Giampiero Catone; 17) i Verdi, in occasione delle elezioni comunali a Urbino del 2014, hanno sostenuto la sua iniziale candidatura a sindaco e poi la proposta al sindaco eletto di nominarlo assessore alla Cultura del Comune di Urbino, a seguito dell’alleanza tra i Verdi e la coalizione di Centrodestra, guidata da Maurizio Gambini; 18) Rinascimento, partito da lui fondato con Giulio Tremonti nel 2017 con il quale inizialmente si candida come governatore alle Regionali in Sicilia; in seguito appoggerà la candidatura di Nello Musumeci per la coalizione di centrodestra, che risulterà eletto. In vista delle elezioni politiche del 2018 il partito si federa con Forza Italia; 19) Alleanza di centro, il 12 dicembre 2019, nel gruppo misto della Camera, sei giorni dopo che Sgarbi ha lasciato il gruppo di Forza Italia, si costituisce la componente “Noi con l’Italia – Usei – Alleanza di Centro”, poi divenuta, il successivo 18 dicembre, “Noi con l’Italia – Usei – Cambiamo! – Alleanza di Centro”».

Eccolo il senso del lavoro per Sgarbi: navigare da un partito all’altro in cerca di un ruolo pubblico. Poi si potrebbe ricordare la condanna in via definitiva a 6 mesi e 10 giorni per truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato, per produzione di documenti falsi e assenteismo nel periodo 1989-1990, mentre era dipendente del ministero dei Beni culturali.

Poi, oltre a quello che fa, c’è quello che dice e come lo dice. Ma qui si cadrebbe in un dirupo, sarebbe troppo, anche per un buongiorno.

Buon giovedì.

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Il comico programma economico (e avvinazzato) della Lega Nord

L’economista Lucio Di Gaetano ha dato un ‘occhiata al programma economico di “Noi con Salvini”:

matteo-salvini-nudo-oggiQuesta mattina avevo voglia di ridere, così ho deciso di dare un’occhiata al programma economico della Lega Nord: ne ho trovato traccia in una lettera al Foglio, ricicciata qualche giorno fa un po’ in sordina dal portale dedicato ai meridionali smemorati “Noiconsalvini.org”.

Il modello propagandistico è il solito: approfittare di un problema particolarmente sentito (la concorrenza straniera, la crisi economica, il mal di schiena) per terrorizzare la gente, addebitarne la responsabilità a un nemico immaginario (la grande finanza, gli immigrati, Maga Magò) e spacciarsi per l’unica ancora di salvezza nel procelloso mare della globalizzazione. Ne viene fuori un autentico capolavoro di macroeconomia da cantina sociale, dove Reaganomics, kenynesismo, colbertismo e pulsioni ultranazionaliste sono frullate in una indigeribile, ma affascinantissima sbobba.

Vediamolo da vicino:

Punto 1: Meno Europa. Il mantra è quello che ha fatto la fortuna di Salvini alle Europee: “è tutta colpa dell’Euro/l’Euro è colpa del Pd/senza l’Euro e senza il Pd torneranno i mitici anni ‘80”. Non una parola sui 20 anni di Lega al governo, non una parola sulle solenni dormite dei lumbard mentre si approvavano le misure di austerity “2010-2011”, non una parola sulle passate strumentalizzazioni dell’Euro in direzione diametralmente opposta e altrettanto farlocca.

Punti 2 e 3: Più vicini ai piccoli; Pagare meno (prima) per pagare tutti (dopo). Ahi la grande finanza! Ahi le tasse! La Lega proteggerà i “piccoli” e le “produzioni domestiche” attraverso una fortissima detassazione, terrà lontane le manacce degli speculatori le banche popolari, convincerà i molti imprenditori che hanno delocalizzato a tornare in Italia. Non una parola sul fatto che l’autore della legge n. 311 del 2004 (con cui il secondo governo Berlusconi trasformò gli studi di settore in arma di distruzione di massa) sia stato quel Giulio Tremonti candidato dalla Lega al Senato appena due anni fa, non una parola sui disastri della Banca Popolare di Milano targata “Lega Nord”, non una parola sul crack della mai dimenticata banca padana “Credieuronord” (si, si chiamava proprio CrediEUROnord).

Punti 4 e 5: Spendere per produrre; Politiche anticicliche mirate alla piena occupazione.  Temete l’avanzata delle armate liberiste della Troika? Tranquilli ci pensa Salvini. Contrariamente alla manica di fessi che dagli anni ‘60 governa il Belpaese, lui ha la formula magica per portarci tutti dritti alle Cayman senza passare dal via: aliquota fiscale unica al 15%, aumento generoso della spesa pubblica, abolizione del pareggio in bilancio e infine, udite, udite, “nazionalizzazione di imprese strategiche”. Capito che bel minestrone? Un po’ di Reaganomics, un po’ di Keynes e un po’ di fanfanismo d’antan. Peccato che la curva di Laffer sia stata smentita dai fatti già da 30 anni (vi consiglio, per approfondire, questo illuminante studiolo del Mises Institute); peccato che il pareggio di bilancio in Costituzione sia una precisa responsabilità della Lega che ne promosse l’approvazione in Parlamento votando favorevolmente due volte alla Camera e una al Senato, salvo poi astenersi in seconda lettura sempre a Palazzo Madama; peccato che la “nazionalizzazione delle imprese strategiche” faccia letteralmente a cazzotti con le premesse reaganiane di cui sopra.

Punto 6: Abolizione della Legge Fornero. Quando le balle superano la velocità della luce lo spazio-tempo si distorce e si torna per magia al 2004: proprio allora un tal Roberto Maroni (noto sponsor di Matteo “Che” Salvini) firmò una riforma passata alla storia come “scalone”, che comportava l’istantaneo innalzamento dei requisiti pensionistici. Quando si dice la coerenza!

Punto 7: No Ttip. Se gli amerikani vogliono fare strame del tessuto industriale italico se la dovranno vedere col duo Salvini-Calderoli: niente libero scambio e niente apertura delle frontiere, specie in assenza di sovranità monetaria! Domanda: la sovranità monetaria c’era a novembre 2001? Sì, ma solo per un altro mese (anzi no, a sentire Claudio Borghi, visto che già dal 1996 la Lira è legata a un sistema di cambi fissi). Altra domanda: chi c’era al governo nel novembre 2001? La Lega, naturalmente. Ultima domanda: quand’è che il WTO ha approvato unanimemente l’abbattimento delle barriere doganali verso la maledettaCinachehadistuttolepmidelnordlimortaccidellagrandefinanza? Il 10 novembre 2001.

Punto 8: Valorizzare le diversità e controllare le frontiere. Solita solfa sugli “immigrati che rubano il lavoro”: inutile perderci tempo. Se proprio vi interessa, potete leggere quello che ho scritto in proposito con Mattia Corsini a dicembre.

Punto 9: Si può tassare solo se c’è reddito. E infatti gli “studi di settore” di cui sopra (promossi come dicevo da Tremonti e mai aboliti o depotenziati da nessun governo a targa leghista) servono proprio a tassare il reddito presunto calcolato in base a rilevazioni statistiche, non quello reale.  

Punto 10: Superamento del sistema dei trasferimenti fiscali. Come diceva quel tale di Stoccarda? “La nottola di Minerva spicca il volo sul far del tramonto”. E proprio così è. La perla delle perle la troviamo in coda al delirante papello della Salvinomics: “Noi proponiamo un sistema dove nessuno debba pagare per altri e dove ognuno possa essere competitivo con le proprie forze” (alla faccia di Keynes), cosicché, dopo il ritorno alla Lira, necessario per “rimettere in piedi il tessuto industriale del nord occorrerà pensare a meccanismi di flessibilità (come ad esempio due monete) per riequilibrare la competitività del sud”.

Matteo perché tutta questa timidezza? Vogliamo la moneta condominiale.

Il Titanic che era una rotonda sul mare

“Ora qualcuno dovrà spiegare agli italiani come sia stato possibile, dall’oggi al domani, passare da “La nave va” di Silvio Berlusconi al “Titanic” di Giulio Tremonti. Qualcuno dovrà chiarire a un’opinione pubblica confusa come sia stato possibile precipitare in poche ore dalla leggenda berlusconiana su un’Italia “che è già uscita fuori dalla crisi e l’ha superata molto meglio degli altri”, alla tregenda tremontiana intorno a un Paese che a causa del suo debito pubblico “rischia di divorare il futuro nostro e quello dei nostri figli”, scrive Massimo Giannini su Repubblica. Perché se è vero che la soluzione non può essere sperare nel default (che pagherebbero i soliti noti), il mancato catenaccio  sulla finanziaria da parte delle opposizioni deve essere una boccata di ossigeno del paese ma il definitivo de profundis di questo governo. E l’emendamento che deve passare per primo è la condanna all’oscena irresponsabilità di chi ha tenuto in mare la barca fingendo di avere una rotta per i cittadini e invece, banalmente, stava solo per scappare. Quindi ci si salva e un minuto dopo ci si arresta. In tutti i sensi.

La saga del cretino/2

La saga del cretino sta diventando una drammaturgia mozzafiato. Nella seconda puntata B. comunica che sopporta (non supporta, sopporta) Giulio solo perché lo conosce da tempo. E che bisogna fare gioco di squadra senza litigare in cortile. Poi sgrida Giulio in salotto perché è troppo amico dei mercati e troppo poco dei suoi elettori e gli confida di avere saputo del tradimento con la Lega e del successivo abbandono da parte dell’amante. Appassionante. Poco prima della sigla di coda preannuncia l’ingresso da protagonista di Angelino. A partire dalla puntata 2013. Ma si sa, nelle telenovelas cambia tutto in un minuto. Il riassunto delle puntate precedenti (che è anche lo spunto delle puntate future) è tutto qui.

E’ un cretino

Ed è un ministro. Ma è cretino ed è proprio scemo secondo Giulio Tremonti. Che è un altro nostro ministro nella stessa squadra di governo. E tutto il tavolo è la fotografia della nostra inetta classe dirigente che dovrebbe creare economia sana, lavoro e futuro per questo paese. Una tavolata dove (tra le altre cose) non siede nemmeno una donna.