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Demolition man

Basta mettere in fila un po’ di commenti internazionali sull’ultima mossa politica di Renzi per capire quanto sia pessima l’opinione di lui che hanno i giornali esteri

Vi ricordate quando Renzi e i renziani volevano convincerci che la stampa internazionale impazzisse per lui e che solo grazie a lui l’Italia brillava nel mondo? Bene, ecco. Oggi proviamo solo a mettere in fila un po’ di commenti internazionali sull’ultima mossa politica di Renzi, perché ne vale la pena, perché rende l’idea e perché in fondo così il buongiorno si scrive praticamente da solo.

Demolition man Renzi mette sotto sopra Roma” è il titolo del Financial times, che scrive: «La crisi italiana minaccia di ostacolare il Recovery plan di Bruxelles». E poi aggiunge: «La mossa di Renzi potrebbe essere stata pensata per rafforzare il potere di interdizione del suo piccolo partito e la sua stessa immagine personale, ma potrebbe facilmente ritorcersi contro di lui, mentre il Paese combatte la pandemia».

Il Guardian scrive che la manovra «largamente impopolare» di Renzi arriva «nel momento peggiore possibile per l’Italia» e «lascia gli osservatori perplessi riguardo alle motivazioni». Nonostante siano stranieri hanno ben in mente i motivi della crisi: «La sua popolarità è crollata da quando ha dovuto dimettersi da premier dopo il fallito referendum del 2016. Italia viva nei sondaggi ha meno del 3% dei voti».

Andiamo avanti. El Paìs scrive di un «momento delicatissimo e difficile da spiegare». Il settimanale tedesco Die zeit scrive: «Con richieste sempre nuove» Renzi «ha portato alla caduta della coalizione di governo in Italia. Dietro c’è un calcolo di potere: il suo partito è basso nei sondaggi». «Renzi – conclude l’articolo – vuole far parte del prossimo governo», sia esso una riedizione «della coalizione precedente» sia nella forma di «una soluzione di tutti i partiti». «Ma se questo accadrà è scritto nelle stelle. È anche concepibile che Conte cerchi nuovi sostenitori tra i piccoli partiti di centro in Parlamento – e Renzi sederebbe poi all’opposizione senza alcuna influenza. O che si arrivi a nuove elezioni – e Italia viva lascerebbe quasi certamente il Parlamento. Renzi potrebbe allora passare alla storia come qualcuno che si è suicidato per paura della morte».

In Francia Le Figaro scrive: «Chi si assumerà la responsabilità della caduta del governo italiano in un momento in cui l’Italia sta attraversando una crisi senza precedenti?».

Insomma, un successo per Matteo. Pensate che aspirava alla Nato. Direi che anche questa missione è miseramente fallita.

Intanto la ministra Bonetti, quella che è stata dimessa da Renzi in una conferenza stampa che è stata tutto un attacco, ieri ha dichiarato: «Le mie dimissioni sono lo spazio perché questo tavolo si apra per le risposte da dare al Paese. Noi sgombriamo il campo, adesso si faccia la politica, noi ci stiamo». Aggiungendo di essere disposti a rimanere in maggioranza. Ettore Rosato, vicepresidente della Camera e presidente di Italia viva, è riuscito perfino a dire: «Se ci sono risposte concrete non abbiamo preclusioni rispetto a Giuseppe Conte».

Sempre peggio.

Buon venerdì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Dino Giarrusso (M5S) a TPI: “Avanti con Conte senza Renzi, ora trattiamo per un governo con altri partiti. Ma no impresentabili”

Sulla crisi di governo in corso abbiamo intervistato per TPI Dino Giarrusso, parlamentare europeo del Movimento 5 Stelle.
Giarrusso, a che gioco a sta giocando a Renzi?
“Sta giocando al gioco ‘fai male all’Italia’, un gioco che non mi piace per niente. Qui il problema sono gli italiani e le loro vite: nessuno dotato di coscienza può pensare di provocare una crisi di governo in questo momento. Lo sappiamo tutti. Lo dicono gli osservatori europei. Siamo stati anni a dire ‘ce lo chiede l’Europa’ e ora sappiamo benissimo che l’Europa, i mercati, il mondo, ci chiedono stabilità, non certo di andare alla crisi o alle elezioni. Benché tutti sappiamo che questa è una scelta che fa male agli italiani, viene dato un enorme spazio mediatico a Renzi e al suo modo, suggestivo e imbarazzante ad un tempo, di raccontare le cose. Ha giornalisti molto amici che sostengono questa visione delirante della realtà. È un profluvio di spazio dato a Renzi e ai suoi fedelissimi in tv e sui giornali, ma parliamo di un partito al 2%. Come mai?”.

Cosa ha in mente? Cosa vuole?
“Questo facciamo fatica a capirlo tutti. Questa è la verità. Perché, finché chiedi qualcosa di più per te e per i tuoi, è un atteggiamento squallido ma farebbe parte delle cose della politica. Magari cerchi di ottenere quanto più possibile. Invece questo atteggiamento distruttivo è faticoso anche da comprendere. Che cosa vuole? Non sono in tanti ad averlo capito. A me sembra uno di quelli che al tavolo da gioco hanno perso tanto e, nella disperazione, continua a fare mosse sconsiderate. Sicuramente riesce a fare parlare di sé. Se si va a vedere il sentimento degli italiani nei suoi confronti si vede che sta sulle scatole a tutti”.

Però quello che conta sono i voti in Senato…
“Noi oggi stiamo assistendo a una crisi di governo portata avanti da un partito che conta 18 senatori, ma questo partito non era presente alle elezioni che hanno formato questo Parlamento. Nella scheda elettorale questo partito non c’era, capisce? Dal punto di vista democratico questa cosa va bene? Dobbiamo chiederci se sia ancora normale creare gruppi parlamentari di partiti che non erano presenti alle elezioni. È una cosa sana? Non mi pare che rispecchi la volontà degli italiani. E una riflessione in tal senso sui regolamenti parlamentari andrebbe fatta. Mi sembra la cosa più evidente in questo momento, ma nessuno ricorda che la crisi è causata da un partito che gli italiani non hanno votato, poiché non era sulla scheda”.

Come vede lo scenario futuro?
“Prevedo che sia impossibile, se questo governo cade, una maggioranza ancora con Renzi, dopo questo comportamento. Allo stesso tempo mi sembra ingiusto pensare a un futuro governo senza Conte, protagonista di una buona stagione di governo in Italia. Mi auguro che ci sia la possibilità di andare avanti con Conte”.

Quindi vi affidate ai responsabili? Imbarcate qualcuno?
“La parola ‘responsabili’ mi piace fino a un certo punto. Nel teatrino dell’assurdo a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni ho sentito dire ad alcuni renziani che è sbagliato da parte di Conte cercare degli Scilipoti in giro. Ma sono loro a essere gli Scilipoti: sono loro che non esistevano alle elezioni e hanno tradito il partito con cui sono stati eletti. Non si possono accusare gli altri di propri comportamenti, è surreale. Tornando alla domanda: bisogna vedere innanzitutto se tutti i senatori di Renzi lo seguiranno. Bisogna capire se gli ex senatori del M5S vogliono sostenere Conte. Che cosa faranno quelli nel Gruppo Misto? Vedremo. E poi capire le opportunità che possono esserci con altre forze politiche. Perdere Conte sarebbe una follia, ma bisogna vedere che carte ha in mano chi vuole entrare in maggioranza. C’è il rischio di avere personaggi poco raccomandabili dentro il governo, ma a riguardo mi fido dei miei colleghi in Parlamento: se ci sarà un governo con i voti M5S non possono esserci impresentabili”.

Leggi anche: 1. I 5 Stelle uniti in blocco a sostengo di Conte. E con i renziani mai più, meglio Forza Italia / 2. Di Battista sposa la linea Conte: “Se Renzi apre la crisi, mai più un Governo con lui” / 3. I 3 scenari che trasformano Giuseppe Conte in Giovanna d’Arco (di Luca Telese) / 3

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La marcia dei Mille, disperati

Nel gelo della Bosnia da settimane ci sono un migliaio di migranti che seguono la “rotta balcanica”. A pochi chilometri c’è la Croazia, la porta d’ingresso dell’Europa, ma chi prova a passare viene violentemente picchiato, spesso derubato, seviziato e rimandato indietro

Qualcuno di molto furbo e poco umano deve avere capito da tempo, dalle parti del cuore del potere d’Europa, che il primo trucco per sfumare l’emergenza umanitaria legata ai flussi migratori sia quello di fare sparire i migranti. Per carità, non è mica una criminale eliminazione fisica diretta, come invece avviene impunemente in Libia con il silenzio criminale proprio dell’Europa, ma se i corpi non sbarcano sulle coste, non si fanno fotografare troppo, non si mischiano ad altri abitanti, non rimangono sotto i riflettori allora il problema si annacqua, interessa solo agli “specializzati del settore” (come se esistesse una specializzazione in dignità dell’uomo) e l’argomento, statene sicuri, rimane relegato nelle pagine minori, nelle discussioni minori, sfugge al chiassoso dibattito pubblico.

In fondo è il problema dei naufragi in mare, di quelle gran rompiballe delle Ong che insistono a buttare navi nel Mediterraneo per salvare e per essere testimoni, che regolarmente ci aggiornano sui resti che galleggiano sull’acqua o sulle prevaricazioni della Guardia costiera libica o sui mancati soccorsi delle autorità italiane.

Nel gelo della Bosnia da settimane ci sono un migliaio di persone, migranti che seguono la cosiddetta “rotta balcanica”, che si surgelano sotto il freddo tagliente di quei posti e di questa stagione, che appaiono nelle (poche) immagini che arrivano dalla stampa in fila emaciate con lo stesso respiro di un campo di concentramento in un’epoca che dice di avere cancellato quell’orrore.

Lo scorso 23 dicembre un incendio ha devastato il campo profughi di Lipa, un inferno a cielo aperto che proprio quel giorno doveva essere evacuato, e le persone del campo (nella maggior parte giovani di 23, 25 anni, qualche minorenne, provenienti dall’Afghanistan, dal Pakistan o dal Bangladesh) sono rimaste lì intorno, tra i resti carbonizzati dell’inferno che era, in tende di fortuna, dentro qualche casa abbandonata e sgarruppata, abbandonati a se stessi e in fila sotto il gelo per accaparrarsi il cibo donato dai volontari che anche loro per l’ingente neve in questi giorni faticano ad arrivare.

A pochi chilometri c’è la Croazia, la porta d’ingresso dell’Europa, ma chi prova a passare, indovinate un po’, viene violentemente picchiato, spesso derubato, seviziato e rimandato indietro. Gli orrori, raccontano i cronisti sul posto, avvengono alla luce del sole perché funzionino da monito a quelli che si mettono in testa la folle idea di provare a salvarsi. E le violenze, badate bene, avvengono in suolo europeo, di quell’Europa che professa valori che da anni non riesce minimamente a vigilare, di quell’Europa che non ha proprio voglia di spingere gli occhi fino ai suoi confini, dove un’umanità sfilacciata e disperata si ammassa come una crosta disperante.

«L’Ue non può restare indifferente – dice Pietro Bartolo, il medico che per trent’anni ha soccorso i naufraghi di Lampedusa e oggi è eurodeputato -. Questa colpa resterà nella storia, come queste immagini di corpi congelati. Che fine hanno fatto i soldi che abbiamo dato a questi Paesi perché s’occupassero dei migranti? Ai Balcani c’è il confine europeo della disumanità. Ci sono violenze inconcepibili, la Croazia, l’Italia e la Slovenia non si comportano da Paesi europei: negare le domande d’asilo va contro ogni convenzione interazionale, questa è la vittoria di fascisti e populisti balcanici con la complicità di molti governi».

È sempre il solito imbuto, è sempre il solito orrore. Subappaltare l’orrore (le chiamano “riammissioni” ma sono semplicemente un lasciare rotolare le persone fuori dai confini europei) facendo fare agli altri il lavoro sporco. Ma i marginali hanno il grande pregio di stare lontano dal cuore delle notizie e dei poteri. E molti sperano che il freddo geli anche la dignità, la curiosità e l’indignazione.

Buon mercoledì.

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L’ultima vergogna della destra italiana: Roberto Fiore e Susanna Ceccardi compiangono i martiri pro-Trump

Prima è arrivato Roberto Fiore, sì proprio lui. Il segretario di Forza Nuova, che in un Paese normale non sarebbe nemmeno un partito ma un’illegale accolita di fascisti violenti e rancorosi, ci illumina sulla politica USA con un epitaffio su Ashli Babbit, la donna rimasta uccisa negli scontri di Washington mentre assaltava il Congresso americano.

Sia chiaro, tanto per spazzare subito il campo: ogni perdita di vita umana è una sconfitta per tutti e ogni volta che una persona perde la vita in uno scontro con polizia e forze dell’ordine è dovere di verità e giustizia accertare le dinamiche, le cause e le responsabilità.

Torniamo a Fiore: “Onore ad #AshliBabbitt, morta per le libertà. Uccisa vigliaccamente dalla polizia con altri 3 dimostranti. È la prima eroina della Rivoluzione popolare americana e va ricordata come una donna disarmata e coraggiosa che ha offerto il petto e il volto a un potere corrotto e vile”, scrive sui suoi social. Per poi aggiungere: “Media e partiti si stracciano le vesti per assalto a ‘democrazia’ dei brogli e delle truffe. Nessuno pensa ai 4 manifestanti assassinati da sicari del Deep State. Uomini in nero uccidono a freddo per terrorizzare chi ama la sua Nazione. Come fu con Alba Dorata e ad Acca Larenzia”.

In pratica il segretario di Forza Nuova ci dice chiaramente che Babbit era dalla parte giusta della storia, che la polizia fosse al servizio di un “potere corrotto e vile” e che quell’assalto che tutto il mondo condanna sia stato addirittura un alto momento di democrazia. Qui, per dirla semplice semplice, stiamo parlando di veri e propri “fiancheggiatori” che rivendicano con orgoglio ciò che è accaduto negli USA. Segnatevelo bene, vi tornerà utile quando fingerete di stupirvi che anche qui da noi ci siano gli stessi fascisti esaltati che hanno imperversato con Trump.

Poi è arrivata Susanna Ceccardi, donna di punta della Lega di Matteo Salvini, che in modo più morbido, ma ugualmente disgustoso, scrive: “I morti in America dopo gli scontri sono ben 4. Tutti sostenitori di Trump. Si fosse trattato al contrario di una manifestazione di sinistra questi 4 sostenitori sarebbero stati già dei martiri contro lo Stato che reprime la libertà di pensiero. Invece erano di destra, quindi facinorosi. Ashli Babbit è una delle vittime, era una veterana delle forze armate. Era disarmata quando è morta”.

Insomma anche la Ceccardi non riesce a cogliere il problema di assalire il palazzo simbolo del governo. E badate bene: questi sono gli stessi che rivendicano il diritto della violenza per legittima difesa con il ladruncolo che salta dentro il proprio giardino. Sono gli stessi che urlano “ordine e disciplina” in ogni pezzo di conversazione. Sono quelli che scambiano la legge per una roncola da usare contro l’avversario, o calpestare in nome della libertà per se stessi. Sempre loro.

Leggi anche: 1. Il giorno più buio dell’America (di Giulio Gambino) // 2. Il golpe di Trump (di Luca Telese) // 3. La democrazia Usa cancellata per qualche ora, ma il vero sconfitto è Trump (di G. Gramaglia); // 4. Ora non dite che sono solo quattro patrioti sballati (di Giulio Cavalli); // 5. E se i manifestanti pro Trump che hanno assaltato il Congresso fossero stati neri?

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E gli amichetti di Trump?

Meloni e Salvini (e non solo loro) fischiettano facendo finta di niente, come se quello che è avvenuto negli Usa sia qualcosa che non li riguardi

Il giorno dopo l’assalto al Congresso Usa qui da noi si è assistito a un teatrino desolante ma significativo. Qualcosa che va raccontato perché se è vero che le violenze hanno un nome e un cognome, Donald Trump che istigato, lisciato e perfino ringraziato i manifestanti, è anche vero che gli amichetti di Trump, quelli che per 4 anni hanno fatto finta di non vedere questo tragico intercedere dello svilimento della democrazia che si professa la “più importante del mondo” sono desolanti nella loro vergogna.

Gli amichetti italiani di Trump fischiettano facendo finta di niente e intercedono come se quello che sia avvenuto negli Usa sia qualcosa che non li riguardi, sorridono alle telecamere parlando il più genericamente possibile e sperano di non essere visti mentre si infilano la testa sotto la sabbia.

Partiamo da un presupposto: gli accadimenti americani sono figli di un presidente che prima ha usato la rabbia e la violenza per racimolare voti, poi ha alimentato la rabbia e la violenza con un linguaggio e dei comportamenti della stessa pasta e rilanciando notizie false, poi l’ha condonata quando sono accaduti episodi condannabili nel suo Paese da parte dei suoi sostenitori, poi l’ha legittimata inventandosi nemici per giustificare i propri limiti di governo e infine l’ha istituzionalizzata cianciando di elezioni truccate senza nemmeno riuscire a raccogliere uno straccio di prova a supporto della sua tesi. Quelli hanno occupato i palazzi delle istituzioni perché si sentono loro stessi “istituzioni” sotto assedio. Era immaginabile che finisse così.

Ma in Italia? Giorgia Meloni lo scorso gennaio a proposito di Trump diceva che fosse «la ricetta che vogliamo portare in Italia». Ora che dice, al di là di quattro tweet sputati di circostanza in cui condanna la violenza dimenticandosi di nominare il violento? Matteo Salvini che diceva lo scorso 5 novembre «ha ragione Trump a chiedere controllino voto per voto, seggio per seggio e non escludo nulla. Vedrete che potranno esserci sorprese», che dice delle sorprese che ci sono state? Lui che diceva «vigileremo» che dice? Ma attenzione, non si tratta solo dei destrorsi che a Trump si rifanno in tutto e per tutto da anni. Che dice Di Battista, grande fan di Trump piuttosto che di «quelli golpista di Obama», come ebbe a dire? Davvero il presidente del consiglio Conte non riesce a infilare il nome di Trump nei suoi comunicati di preoccupazione? Vi ricordate Beppe Grillo che diceva che Trump e il M5s avessero “delle similitudini” celebrando l’elezione di Trump a presidente?

La leadership si misura anche nella capacità di fare i nomi e i cognomi. Non è difficile. «Trump ha responsabilità in quanto accaduto» ha detto ieri la Merkel. Perfino il presidente della Ligura Toti e il braccio destro di Giorgia Meloni ci sono riusciti. Dai, sforzatevi, su.

Buon venerdì.

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Ora non dite che sono solo quattro patrioti sballati

Si innamorano dei piromani e poi si stupiscono degli incendi. Il mondo guarda stralunato ciò che accade negli Usa, mentre si spazzano via le ultime briciole di Trump, e sembra risvegliarsi da un sonno profondo, come se non avesse avuto le occasioni per pesarne le gesta, per annusarne la violenza insita in ogni sua dichiarazione e come se avesse dimenticato la natura eversiva, fin dall’inizio della sua presidenza.

Uno stupore che stupisce e che dice molto di tutti quelli che, per anni, hanno attutito la natura criminale di una presidenza che ha basato il proprio consenso su una montagna di bugie, sul disegno continuo di complotti inesistenti, sull’identificazione perenne di qualche nemico da abbattere e non da sconfiggere.

Ora qualcuno perfino prova a derubricare il tutto a una bravata di qualche sballato patriota che ingenuamente crede di difendere il proprio Paese ma, come dice giustamente Biden, delle persone che occupano abusivamente i luoghi della democrazia non rappresentano “una protesta” ma sono tecnicamente “un’insurrezione”.

La fine ingloriosa della presidenza Trump e il giorno nero della democrazia americana sono il naturale risultato di una gestione della politica che occupa il potere mica con l’obbiettivo di governare ma con l’illusione di essere gli unici detentori della verità e con la pretesa di essere la garanzia di democrazia.

L’incendio è scoccato ieri ma ha le radici impantanate nella nascita del movimento dei Birthers, i teorici della nascita africana di Barack Obama, nei deliri di QAnon, nell’evocazione dell’uso delle armi che proprio Trump fece contro i manifestanti di Black Lives Matter (ci rimise il posto Mark Esper, segretario alla Difesa che si rifiutò di usare l’esercito), nelle parole stesse che Trump ha usato ieri con quel “we love you” lanciato agli eversori che occupavano il Congresso.

Stupirsi della violenza sulla coda della presidenza Trump, che in questi anni ha leccato tutte le frange naziste ed estremiste degli angoli più oscuri d’America, significa cadere ancora una volta nel cronico errore di non capire che la violenza delle parole genera inevitabilmente la violenza nelle azioni.

Significa non comprendere che minare le basi di una democrazia vuol dire inevitabilmente delegittimarla e offrirla in pasto a chiunque la voglia usare come arma contro il proprio avversario politico. Non è un problema solo americano: nel momento in cui l’egoismo diventa una fede ognuno si sente Stato con le proprie regole, in guerra con gli Stati che vede negli altri.

Leggi anche:
1. Il giorno più buio dell’America (di Giulio Gambino)
2. Il golpe di Trump (di Luca Telese)
2. La democrazia Usa cancellata per qualche ora, ma il vero sconfitto è Trump (di Giampiero Gramaglia)

Tutte le notizie sulle elezioni Usa 2020

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Porti chiusi. Per ‘ndrangheta

«Una delle vicende più assurde e paradossali della storia calabrese», dice un imprenditore che ha denunciato le pressioni subite dalla ‘ndrangheta per i lavori al porto di Badolato, in provincia di Catanzaro

Badolato è un gioiello calabrese appoggiato sulla costa jonica. Un comune in provincia di Catanzaro che negli anni 90 si è salvato dal declino dello spopolamento grazie ai molti turisti che lì hanno comprato dei vecchi edifici che sono stati messi in vendita e sono stati rimessi a nuovo. A Badolato da più di vent’anni si parla del nuovo porto come fiore all’occhiello di una rinascita calabrese che passi attraverso nuovi servizi e nuove infrastrutture. La storia potrebbe sembrare un piccola storia locale ed è invece il paradigma attraverso cui leggere un argomento che di questi tempi sembra sia passato completamente di moda: le mafie.

Il clan Gallace-Gallelli spadroneggia. Un’inchiesta passata, la Itaca Free-Boat, aveva evidenziato gli interessi di uomini di ‘ndrangheta per il porto. Bene, seguitemi: Carlo Stabellini è l’amministratore della Salteg che si occupa dei lavori di costruzione. Stabellini ha denunciato le pressioni subite dalla ‘ndrangheta e le sue dichiarazioni hanno permesso di fare luce su un sistema di oppressione mafiosa.

Il sindaco di Badolato è Gerardo Mannello, in carica dal 2016. Pochi giorni dopo la sua elezione è stato accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso in concorso proprio con gli uomini del clan Gallelli e proprio ai danni della Salteg, di Stabellini e dei suoi soci dell’epoca. E per quelle vicende è adesso sotto processo. Scrivono i magistrati che Mannello con altri, tra cui il boss mafioso della zona, si sarebbe adoperato negli anni dal 2001 al 2004 “per garantire la tranquillità nell’esecuzione dei lavori”, costringendo la Salteg ad una serie di assunzioni e ad affidare lavori in subappalto “per sbancamento, movimentazione terra, realizzazione della diga foranea alle ditte riconducibili a Vincenzo Gallelli “Macineju” e formalmente intestate ai generi Andrea Santillo e Luciano Antonio Papaleo, a quella del nipote Pietro Gallelli e a quella del suo storico referente Angelo Domenico Papaleo”. Il tutto con un’ estorsione anche di 100mila euro per il clan Guardavalle al tempo guidato da Vincenzo Gallace e Carmelo Novella.

Arriviamo ad oggi: il sindaco in carica Mannello (che non è decaduto) ha dichiarato cessata la concessione alla ditta Salteg (la stessa che è accusato di avere minacciato) per “gravi inadempienze contrattuali”. E fa niente che il tribunale scriva che il “persistente tentativo della ‘ndrangheta di condizionamento e infiltrazione nella gestione dell’attività portuale deducendone ulteriormente, che, a causa delle vertenze penali, il porto di Badolato è rimasto sequestrato dal 4 agosto 2004 al 6 maggio 2006 e dal 19 gennaio 2015 al 23 ottobre 2017 e che, pertanto la società non ha avuto la possibilità di completare i lavori ad essa demandati”.

“La burocrazia badolatese, con a capo il Sindaco Mannello – scrive in un’accorata lettera aperta Stabellini – ha ottenuto, volente o nolente, quello che i vari Saraco, Antonio Ranieri, Gallelli, Ammiragli, condannati nel procedimento penale “Itaca-Free Boat” per reati aggravati dal metodo mafioso, non erano riusciti a fare con le loro macchinazioni. Vedremo se il Consiglio di Stato, cui la Salteg ricorrerà, tra un anno saprà mettere fine ad una delle vicende più assurde e paradossali della storia calabrese”.

Dalla patria delle contraddizioni per ora è tutto.

Buon giovedì.

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L’inessenzialità della scuola

Fra pochi giorni in Italia gli studenti sarebbero dovuti tornare in classe. Ma non accadrà. Tra Regioni che procedono in ordine sparso, ritardi nel potenziamento dei trasporti, assenza di visione della politica

Ora ci sono anche i numeri: nel periodo tra il 31 agosto e il 27 dicembre 2020, il sistema di monitoraggio dell’Iss, l’Istituto superiore di sanità, «ha rilevato 3.173 focolai in ambito scolastico, che rappresentano il 2% del totale dei focolai segnalati a livello nazionale». Lo dice il report Apertura delle scuole e andamento dei casi confermati di Sars-Cov-2: la situazione in Italia.

Solo il 2% dei focolai hanno origine in ambito scolastico. Ma il report fissa anche un altro punto: Le scuole non rappresentano i primi tre contesti di trasmissione in Italia, che sono nell’ordine il contesto familiare/domiciliare, sanitario assistenziale e lavorativo».

Fra pochi giorni si dovrebbe tornare a scuola ma non si tornerà, le decisioni verranno prese a macchia di leopardo, i presidenti di Regione ci ricameranno sopra un po’ di retorica elettorale e si ricomincia di nuovo. Si è parlato moltissimo della capacità di osservare il contagio, di convivere con il virus, di conoscere e controllare tutte le variabili in campo ma per le scuole ci si affida alle tifoserie in campo senza che si riesca a studiare un piano complessivo, qualcosa di più dei banchi con le rotelle e le finestre aperte. Sui trasporti si è perennemente in ritardo, sulle precauzioni in classe bene o male si è riusciti a fare qualcosa mentre non si è mai parlato seriamente di risolvere il problema della ventilazione. Ora vi diranno che è tardi. Eppure non sarebbe stato tardi pensarci in tempo, eppure non sappiamo quanto ancora questo elastico di aperture e di chiusure durerà.

Ieri Maddalena Gissi della Cisl Scuola ha rilasciato una dichiarazione che merita attenzione: «Continuiamo a leggere notizie giornalistiche ma con il Ministero non c’è nessun tipo di confronto. I dirigenti scolastici sono stremati; continuano a fare e rifare orari per le attività didattiche in presenza al 50%. Le famiglie sono confuse, i docenti si stanno reinventando modalità didattiche per tenere insieme i gruppi classe e quelli in Ddi (Didattica digitale integrata, ndr). Non è ancora chiaro se alle Regioni sono arrivate le risorse per ampliare la mobilità con mezzi aggiuntivi. In alcuni casi non vengono investiti i finanziamenti assegnati nei mesi scorsi per ritardi burocratici. Ci preoccupa tanto la disomogeneità delle soluzioni».

La Cgil fa notare che «attualmente siamo di fronte a contesti e realtà fortemente differenziate, non solo tra territorio e territorio, ma anche tra scuola e scuola, ecco perché sono necessari monitoraggi e strumenti flessibili finalizzati a fornire le giuste risposte alla varietà delle situazioni, valorizzando l’autonomia delle istituzioni scolastiche e fornendo le risorse necessarie».

Molti esperti temono la riapertura. Qualcuno sommessamente fa notare che l’Italia è uno dei Paesi che più di tutti ha penalizzato le scuole con la chiusura. Qualche virologo propone che vengano usati i tamponi regolarmente (accade nelle fabbriche, del resto, no?) ma niente.

Una cosa è certa: la frammentazione del dibattito indica chiaramente che no, la scuola non è una priorità come lo è stata l’apertura dei grandi magazzini sotto le feste di Natale. La scuola evidentemente non è un servizio essenziale. E, badate bene, non si tratta di chiedere un dissennato rientro in classe fregandosene della pandemia e della salute ma si tratta ancora una volta di sottolineare come la sicurezza in classe sia un argomento da affrontare sempre e solo qualche ora prima della prevista riapertura. Come accade ora.

L’altro ieri il professore di matematica Riccardo Giannitrapani ha condensato benissimo il concetto: «La gestione della scuola in questi mesi ha un grande valore didattico: insegna a ragazzi e ragazze che il cosiddetto mondo adulto può essere inadeguato. Una preziosa lezione sul fallimento».

Buon martedì.

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Ci avete chiesto sacrifici per 1 anno: ora vaccinate, lavorando giorno e notte. Non ci sono scuse

Hanno chiesto sacrifici a tutti gli italiani e gli italiani, per la stragrande maggioranza, si sono messi a testa bassa a rispettare le regole. Non solo regole di comportamento, come mascherina e distanziamento, ma anche privazioni di libertà personale e enormi danni dal punto di vista lavorativo. Hanno chiesto e continuano a chiedere enormi sacrifici a medici, infermieri e operatori sanitari che hanno lavorato e continuano a lavorare in condizioni vicine allo stremo, con ospedali intasati e con turni massacranti. Il sistema sanitario, depauperato da anni di disattenzione, ha risposto in tutto il Paese.

Hanno chiesto di sottoporsi a sacrifici economici enormi interi settori che non hanno mai riaperto e che non sanno nemmeno ora quando potranno ripartire. Hanno compresso gli studenti e il sistema scolastico.

Sappiamo tutti, ormai l’abbiamo imparato bene, che solo con il vaccino si può presumere un graduale ritorno a una vivibile normalità, ma ora è il momento di dimostrare che anche le Regioni e lo Stato si sacrifichino con tutti i mezzi a disposizione per fare l’unica cosa che c’è da fare. È una questione che riguarda il salvataggio urgente di più vite umane possibili ma è anche una questione di credibilità politica, perfino di opportunità elettorale.

Bisogna vaccinare, vaccinare, vaccinare. Fatelo con le primule, fatelo con le canzoncine, metteteci tutti i loghi che volete, fatelo negli ospedali, nei presidi, nelle caserme, nelle scuole, nei municipi, negli ambulatori, fatelo dappertutto. Ma vaccinate. Vaccinate giorno e notte, richiamate medici, infermieri, usate l’esercito, mostrate i muscoli come quando inseguivate con i droni i corridori solitari nelle spiagge, ma non esiste un motivo al mondo, un solo motivo qualsiasi, per non mettere in campo tutte le forze ordinarie e straordinarie per velocizzare il percorso necessario per dimostrare che non venga sprecato un solo minuto, un solo grammo di energia, un solo sorso di credibilità.

È anche e soprattutto una questione etica: ogni vita umana persa per il ritardo sui vaccini è una responsabilità che non si può permettere un Paese che si voglia definire civile. Fatelo di giorno. Fatelo di notte, fatelo 24 ore al giorno ma per favore no, non venite a parlarci di festività, non venite a parlarci di problemi logistici, non raccontateci di problemi organizzativi.

La credibilità del governo si gioca tutta in queste prossime settimane. Il resto sono solo chiacchiere di palazzo che non hanno nessuna incidenza con quel oche accade qui fuori.

Leggi anche: 1. Vaccini Lombardia, la Lega prende le distanze dalle dichiarazioni di Gallera: “Non rappresentano il pensiero del governo della Regione” / 2. Vaccino, l’elenco completo dei centri di somministrazione in Italia “è ancora in divenire”. Il documento di Arcuri

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