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Italia Viva è il partito dei diritti civili usati come suppellettili

Si stanno incartando. Tutti, su tutto. C’è Renzi che dice a Repubblica che l’identità di genere sarebbe un “punto controverso”, dimenticando che è un concetto già presente nel nostro ordinamento. Ci sono quasi tutti quelli di Italia Viva che ci raccontano come le “femministe” siano contrarie, riferendosi a un minuscolo mondo delle femministe che torna comodo per fare leva.

C’è Davide Faraone (capogruppo al Senato, ndr), che ha il coraggio di dire “Il fatto che io mi senta di un sesso piuttosto che di un altro, autocertificando la mia condizione interiore, e che questo possa cambiare nell‘arco dell’esistenza più volte, ecc…” senza nemmeno avere una minima idea su cosa significhi iniziare un percorso di transizione (e questo è il capogruppo di quelli che devono votare la legge, fate voi).

Ci sono gli altri di Italia Viva, che ora ci vorrebbero insegnare che alla legge non va affidata una finalità pedagogica (che invece è proprio il cuore della legge e, volendo vedere, anche della nostra Costituzione, visto che si dovrebbe educare più che punire).

Infine c’è il deputato Ivan Scalfarotto, che propone la mediazione come unica soluzione possibile. Che uno cambi idea, si sa, è nell’ordine naturale delle cose, ma che Scalfarotto riesca a smentire una sua intervista che risale solo al 26 giugno, pochi giorni fa, rende perfettamente l’idea del punto in cui siamo.

Il “compromesso”, per Scalfarotto e compagnia renzista, significa sostanzialmente contraddirsi in toto: era proprio Scalfarotto lo scorso 26 giugno a dire: “Il termine sesso non copre la transessualità: faremmo una legge che tutela le persone omosessuali ma non i transessuali, sarebbe quasi un invito alla discriminazione”.

Era Scalfarotto, che a proposito delle scuole, ci diceva che “il fatto di veicolare un messaggio di rispetto e inclusione nei confronti di ragazzi gay non dovrebbe fare paura a nessuno” e ci spiegava che “se la scuola si mette accanto a loro fa il suo mestiere”.

Del resto, è lo stesso Scalfarotto di quella sua legge del 2013 contro l’omofobia, che fu simbolo del primo fallimento politico-personale, quando accettò il sub-emendamento Gitti-Verini (un salva-vescovi che riservava il diritto di offendere alle associazioni e formazioni religiose e che fece infuriare tutte le comunità Lgbt).

Durante le unioni civili Scalfarotto sostenne la mediazione con Alfano e, da sottosegretario, disse che andava bene lo stralcio della stepchild: “È un po’ come scegliere tra la padella e la brace. E ovviamente io scelgo la padella, perché i grillini sono dei traditori e dei disertori”.

Oggi il deputato di Italia Viva fa lo stesso ragionamento sulla legge Zan, che però ha votato in prima battuta alla Camera e che ha difeso sui social (“no, le mediazioni no”) fino a un paio di settimane fa.

Incartati, ancora, sulla pelle di una comunità che non ne può più. Usando i diritti come feticci per poi annacquarli per loschi giochetti di potere. Un attivismo omeopatico, sostanzialmente.

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Italia Vile e il Ddl Zan

Il partito capeggiato da Matteo Renzi ha deciso di affossare il Ddl Zan. L’ha deciso, come nella maggioranza delle sue scelte, in base a un ragionamento politicistico che ha poco a che vedere con i diritti…

Quel partito che è una distopia politica (Italia Viva ha percentuali che non corrispondono minimamente al suo peso parlamentare figlio di manovre di palazzo) capeggiato da Matteo Renzi ha deciso di affossare il Ddl Zan. L’ha deciso, come nella maggioranza delle sue scelte, in base a un ragionamento politicistico che ha poco a che vedere con i diritti ma che è perfettamente in linea con la missione della truppa renziana: scostarsi per esistere, incrinare per non scomparire. Sia chiaro, in politica vale tutto e per un partito in estinzione proclamarsi ago della bilancia è l’unico modo per pesare ma il paternalismo con cui questi mascherano la tattica parlamentare è offensivo e immorale.

Renzi (che in questi giorni ha nominato suo ariete il sempre fedele Faraone) sa benissimo che il Partito Democratico non si può permettere di modificare il Ddl Zan. È una sua legge con cui il segretario Letta ha intenzione di costruire la rinnovata identità del partito ed è una legge su cui ci hanno messo la faccia i suoi maggiori esponenti. Anzi, proprio perché Renzi questo lo sa benissimo viene facilissimo scoprire che ancora una volta è il Pd nel mirino dei renziani, sempre intenti a logorare di sponda perché consapevoli che il loro campo è solo uno scantinato. Renzi sa benissimo che un eventuale ritorno alla Camera delle legge sarebbe bloccato da altre priorità (c’è la legge di Bilancio, solo per citarne una) e sa benissimo che questa favola di “mettere la fiducia” è qualcosa che non ha nessun fondamento politico: perché mai Draghi dovrebbe porre la fiducia su una legge che non è assolutamente un manifesto del suo governo? Dai, non scherziamo, su.

Nonostante questi si impegnino tantissimo nella loro narrazione la politica segue logiche molto semplici e lineari: se chiedo a qualcuno qualcosa che so per certo non mi potrà concedere, lo faccio solo perché ho pronta la mia narrazione sul suo prossimo “no”. Ci sono richieste che servono per mediare e ci sono richieste che servono per interferire. Sarebbe poi curioso capire perché in pochi scrivano chiaramente che Italia Viva sta chiedendo di modificare parti della legge che proprio esponenti di Italia Viva hanno chiesto di inserire: basterebbe questo per svelare il trucco e per sottolineare il nonsenso dell’indecente spettacolino a cui stiamo assistendo.

In questo deludente balletto tutti fanno la loro parte: il centrosinistra fa il centrosinistra sostenendo la legge, la destra fa la destra boicottandola (nonostante in Forza Italia ci siano senatori che sono in dissonanza con il proprio partito) e Italia Viva ancora una volta fa l’Italia Viva abbracciando la destra per uccidere il centrosinistra. Questo è, senza troppi giri di parole.

Sullo sfondo ci sono le persone trans che confidavano nel diritto di esistere (e probabilmente non lo avranno nemmeno questa volta) e il dovere di non crescere bambini omofobi o transfobici. Sempre sullo sfondo, sempre periferia.

Rimane però anche un altro punto vero: le istanze del Ddl Zan non sono una nube che si potrebbe addensare all’orizzonte ma sono persone che già ci sono, che sono vitalissime e che non si potrà fingere di non vedere. Ma i miopi (o peggio ancora gli strumentalizzatori) ce li ricorderemo a lungo.

Buon lunedì.

Per approfondire, vedi

Left del 2-8 luglio 2021

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SOMMARIO

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Mentre in Italia Draghi boccia la tassa di successione, Biden negli Usa dice: “Riprendiamoci i soldi dei ricchi”

Dice Draghi che non è tempo di chiedere soldi ma di dare soldi. Quando qualcuno dalle parti del Partito Democratico ha finalmente pronunciato parole di sinistra, proponendo di tassare i patrimoni immobiliari dei ricchi (dei pochi ricchi che ci sono nel Paese che, chissà perché, sono protetti da una schiera di non ricchi che si agitano con loro), in Italia si è levato il solito strepito di chi vede comunisti dappertutto, di chi grida al golpe senza mai avere letto della tassazione progressiva scritta nella Costituzione e ha giocato a dipingere Letta (e tutti quelli che erano d’accordo su un incremento dell’imposta di successione sui patrimoni superiori al milione di euro) come un politico “fuori dal tempo” e “fuori dalla storia”.

C’è da dire che la crociata difensiva dei ricchi, come accade quasi sempre, è funzionata benissimo e si potrà seppellire l’argomento per un po’, fino alla prossima volta, quando si troverà un altro buon motivo, uno qualsiasi, per dire che “non è ora il tempo di parlarne” e “ci sono altre priorità”.

Eppure basterebbe trovare un paio di minuti per leggere le notizie che arrivano dagli Stati Uniti, da quel presidente Biden che non è certo un rivoluzionario zapatista, per rendersi conto che ciò che qui è considerato un delitto da quelle parti è il cuore della discussione politica in questo momento.

“Non abbiamo avuto problemi a far passare un piano fiscale da 2 trilioni di dollari che è andato all’1% più ricco ma ogni volta che parlo di tagli alle tasse per la classe operaia la reazione è sempre ‘oh mio Dio cosa faremo?’. Bene, ci riprenderemo parte di quell’1% di denaro”, ha detto ieri Biden a Cleveland.

Immaginate cosa accadrebbe qui da noi con una frase del genere. Provate anche a immaginare perché quelli che, quando torna comodo, ci portano sempre gli Usa come esempio in questi giorni siano così straordinariamente distratti.

Biden ha in mente di andare a prendere dagli investitori più ricchi i soldi che occorrono per il suo “American Family Plan”, un progetto da oltre mille miliardi di dollari in investimenti sull’infanzia e sulla scuola. Tra le proposte c’è l’aumento della tassazione sui profitti da capitale per chi guadagna più di un milione di dollari all’anno: dal 23,8% di oggi (a cui si aggiunge il 3,8% voluto da Obama) fino al 39,6% sulle rendite. Mica roba da poco. In più c’è un progetto per alzare di 7 punti l‘aliquota sugli utili delle imprese.

“I ricchi paghino la ripresa dei più poveri”, ha detto Biden. E ad ascoltarlo da qui sembra un’indicibile bestemmia.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Questi numeri dimostrano che l’Italia ha drammaticamente bisogno di una legge contro l’omotransfobia

Finita la festa, forse sarebbe il caso di tornare di corsa all’urgenza politica. La Giornata internazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia ricorda il 17 maggio 1990, quando l’Oms rimosse l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali ma quella di ieri è stata inevitabilmente la giornata per riflettere su quel Ddl Zan che è la risposta che ci si aspetta, finite le celebrazioni.

Ci sono i numeri, ad esempio, che qualcuno insiste a negare: Gay Help Line (la linea nazionale antiomofobia e antitransfobia per persone gay, lesbiche, bisex e trans gestito dal Gay Center) ieri ha raccontato delle 50 richieste d’aiuto che riceve ogni giorno, per un totale di 20mila all’anno. Numeri spaventosi.

Il 60% delle istanze d’aiuto arrivano da giovani tra i 13 e i 27 anni: in quella fascia d’età uno su due ha subito moderati o gravi problemi in famiglia dopo il coming out. Si arriva addirittura al 70% per quelli che hanno rivelato l’identità di genere.

Il 36% dei minorenni ha ottenuto come reazione la reclusione all’interno delle mura domestiche, tentativi di “conversione” e violenza verbale e fisica. Le notizie che leggiamo sui giornali sono solo uno squarcio della realtà: il 17% dei maggiorenni che si sono dichiarato ha perso improvvisamente il sostegno economico della famiglia.

A tutto questo, poi, si è aggiunta la pandemia che ha moltiplicato le minacce ricevute (dall’11% al 28%) e le discriminazioni sul lavoro (dal 3% al 15%) contribuendo al fenomeno della rinuncia a denunciare. Perché su questo tema bisognerebbe avere il coraggio anche di smettere di considerare le denunce come unica fotografia possibile della realtà.

Il progetto di raccolta dei casi di violenza omofobica e transfobica verificatisi in Italia dal 2012 ad oggi, raccolti da Massimo Battaglio nell’ambito del progetto “Cronache di ordinaria omofobia”, ha messo in fila, dal 2013 al 5 ottobre 2020, 876 casi di omo/transfobia per un totale di 1.166 vittime e quasi quotidianamente se ne registrano di nuovi. E questo è solo l’emerso.

Nella Rainbow Map elaborata ogni anno da Ilga-Europe, che valuta le leggi e le politiche in favore delle persone Lgbti (con Malta in testa con un punteggio del 94%), l’Italia sta tra gli ultimi (con il 22%) mentre la media europea è del 60% (Portogallo 68%, Finlandia, Spagna e Svezia 65%).

I diritti si celebrano principalmente innestando nuove politiche e, guardando i numeri, ci si continua a chiedere cosa si stia aspettando a votare una legge che è lì, pronta, per farci fare un passo in avanti.

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La festa alle mamme

Un altro giorno da reality show è passato. Con i politici che festeggiano la mamma senza proporre soluzioni per sostenere le donne madri. Che nel 2020 in tante hanno perso il lavoro o vi hanno rinunciato per seguire i figli. Anche perché mancano gli asili nido

In questo tempo in cui tutti i giorni i politici non possono permettersi di dimenticare di onorare le feste ieri si è assistito a un profluvio di auguri dei leader (e pure di quelli meno leader) alle loro mamme e a tutte le mamme d’Italia (i patriottici) e a tutte le mamme del mondo (i globalisti). Ci siamo abituati, senza nemmeno farci più troppo caso, ad aspettarci dai politici gli stessi input di un influencer, mettiamo il mi piace alla sua foto con la mamma e ci scaldiamo per un augurio pescato su qualche sito di aforismi.

Le mamme, dunque. Su 249mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96 mila sono mamme con figli minori. Tra di loro, 4 su 5 hanno figli con meno di cinque anni: sono quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. D’altronde la quasi totalità – 90mila su 96mila – erano già occupate part-time prima della pandemia. È questo il quadro che emerge dal 6° Rapporto Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021, diffuso in occasione della Festa della mamma da Save the Children. Uno studio sulle mamme in Italia che, oltre a sottolineare le difficoltà affrontate fa emergere ancora una volta il gap tra Nord e Sud del Paese.

Già prima della pandemia la scelta della genitorialità, soprattutto per le donne, è spesso interconnessa alla carriera lavorativa. Stando ai dati, nel solo 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze della prole.

Lo «shock organizzativo familiare» causato dal lockdown, secondo le stime, avrebbe travolto un totale di circa 2,9 milioni di nuclei con figli minori di 15 anni in cui entrambi i genitori (2 milioni 460 mila) o l’unico presente (440 mila) erano occupati. Lo «stress da conciliazione», in particolare, è stato massimo tra i genitori che non hanno potuto lavorare da casa, né fruire dei servizi (formali o informali) per la cura dei figli: si tratta di 853mila nuclei con figli 0-14enni, nello specifico 583mila coppie e 270mila monogenitori, questi ultimi in gran parte (l’84,8%) donne.

Il problema è urgente: nonostante gli asili nido, dal 2017, siano entrati a pieno titolo nel sistema di istruzione, ancora oggi questa rete educativa è molto fragile e, in alcune regioni, quasi inesistente. Una misura necessaria a dare ai bambini maggiori opportunità educative sin dalla primissima infanzia, che contribuirebbe a colmare i rischi di povertà educativa per le famiglie più fragili, ma anche a riportare le donne e in particolare le madri nel mondo del lavoro. La Commissione europea ha indicato come obiettivo minimo entro il 2030 per ciascun Paese membro di almeno dimezzare il divario di genere a livello occupazionale rispetto al 2019 ma per l’Italia, numeri alla mano, la missione sembra praticamente impossibile.

In un Paese normale nel giorno della Festa della mamma i politici non festeggiano la mamma ma illustrano le proposte. La politica funziona così: c’è un tema e si propongono soluzioni. Il dibattito politico ieri era polarizzato sui disperati che sono sbarcati (vedrete, ora si ricomincia) e su una libraia (una!) che ha liberamente scelto di non vendere il libro di Giorgia Meloni (censura! censura! gridano tutti).

E intanto un altro giorno da reality show è passato.

Buon lunedì.

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Dal bacio di Biancaneve a «è una vergogna signora mia…»

Era inevitabile ed è accaduto: a furia di moltiplicare iperboli per leccare anche l’ultimo clic indignato sul fondo della scatola perfino Enrico Mentana decide di dire la sua sulla “cancel culture” con due righe veloci, di passaggio, sui social paragonandola niente popò di meno che ai roghi dei libri del nazismo, con annessa foto di in bianco e nero di un rogo dell’epoca perché si sa, l’immagine aumenta a dismisura la potenza algoritmi del post.

Una polemica partita da un giornalino di San Francisco

La settimana delle “irreali realtà su cui pugnacemente dibattere” questa settimana in Italia parte dal bacio di Biancaneve cavalcato (in questo caso sì, con violenza amorale) da certa destra spasmodicamente in cerca di distrazioni e si conclude con gli editoriali intrisi di «è una vergogna, signora mia» di qualche bolso commentatore pagato per rimpiangere sempre il tempo passato. Fa niente che non ci sia mai stata nessuna polemica su quel bacio più o meno consenziente al di là di una riga di un paio di giornaliste su un quotidiano locale di San Francisco: certa intellighenzia Italiana si spreme da giorni sull’opinione di un articolo di un giornalino oltreoceano convinta di avere diagnosticato il male del secolo, con la stesa goffa sproporzione che ci sarebbe se domani un leader di partito dedicasse una conferenza stampa all’opinione di un avventore del vostro bar sotto casa. Un ballo intorno alle ceneri del senso di realtà per cui si son agghindati tutti a festa, soddisfatti di fare la morale a presunti moralisti di una morale distillata dall’eco dopata di una notizia locale.

Se la battaglia “progressista” si ispira a Trump

Chissà se i democraticissimi e presunti progressisti che si sono autoconvocati al fronte di questa battaglia sono consapevoli di avere come angelo ispiratore l’odiatissimo Donald Trump, il migliore in tempi recenti a utilizzare la strategia retorica del politicamente corretto per spostare il baricentro del dibattito dai problemi reali (disuguaglianze, diritti, povertà, discriminazioni) a un presunto problema utilissimo per polarizzare e distrarre. Nel 2015 Donald Trump, intervistato dalla giornalista di Fox Megyn Kelly su suoi insulti misogini via Twitter («You’ve called women you don’t like fat pigs, dogs, slobs and disgusting animals…») rispose secco: «I think the big problem this country has is being politically correct». Che un’arma di distrazione di massa venisse poi adottata dalle destre in Europa era facilmente immaginabile ma che si attaccassero a ruota anche disattenti commentatori e intellettuali (?) convinti di purificare il mondo era un malaugurio che nessuno avrebbe potuto prevedere. Così la convergenza di interessi diversi ha imbastito un fantasma che oggi dobbiamo sorbirci e forse vale la pena darsi la briga di provarne a smontarne pezzo per pezzo.

La banalizzazione delle lotte altrui è un modo per disinnescarle

C’è la politica, abbiamo detto, che utilizza la cancel culture per accusare gli avversari politici di essere ipocriti moralisti concentrati su inutili priorità: se io riesco a intossicare la richiesta di diritti di alcune minoranze con la loro presunta e feroce volontà di instaurare una presunta egemonia culturale posso facilmente trasformare gli afflitti in persecutori, la loro legittima difesa in un tentativo di sopraffazione e mettere sullo stesso piano il fastidio per un messaggio pubblicitario razzista con le pallottole che ammazzano i neri. La banalizzazione e la derisione delle lotte altrui è tutt’oggi il modo migliore per disinnescarle e il bacio di Biancaneve diventa la roncola con cui minimizzare le (giuste) lotte del femminismo come i cioccolatini sono stati utili per irridere i neri che si sono permessi di “esagerare” con il razzismo. Il politicamente corretto è l’arma con cui la destra (segnatevelo, perché sono le destre della Storia e del mondo) irride la rivendicazione di diritti.

Correttori del politicamente corretto a caccia di clic

Poi c’è una certa fetta di artisti e di intellettuali, quelli che hanno sguazzato per una vita nella confortevole bolla dei salottini frequentati solo dai loro “pari”, abituati a un applauso di fondo permanente e a confrontarsi con l’approvazione dei propri simili: hanno lavorato per anni a proiettare un’immagine di se stessi confezionata in atmosfera modificata e ora si ritrovano in un tempo che consente a chiunque di criticarli, confutarli e esprimere la propria disapprovazione. Questi trovano terribilmente volgare dover avere a che fare con il dissenso e rimpiangono i bei tempi andati, quando il loro editore o il loro direttore di rete erano gli unici a cui dover rendere conto. Benvenuti in questo tempo, lorsignori. Poi ci sono i giornalisti, quelli che passano tutto il giorno a leggere certi giornali americani traducendoli male con Google e il cui mestiere è riprendere qualche articolo di spalla per rivenderlo come il nuovo ultimo scandalo planetario: i politicamente correttori del politicamente corretto è un filone che garantisce interazioni e clic come tutti gli argomenti che scatenano tifo e ogni presunta polemica locale diventa una pepita per la pubblicità quotidiana. A questo aggiungeteci che c’è anche la possibilità di dare fiato a qualche trombone in naftalina e capirete che l’occasione è ghiottissima. Infine ci sono gli stolti fieri, quelli che da anni rivendicano il diritto di essere cretini e temono un mondo in cui scrivere una sciocchezza venga additato come sciocchezza. Questi sono banalissimi e sono sempre esistiti: poveri di argomenti e di pensiero utilizzano la provocazione come unico sistema per farsi notare e come bussola vanno semplicemente “contro”. Chiamano la stupidità “libertà” e pretendono addirittura di essere alfieri di un pensiero nuovo. Invece è così banale il disturbatore seriale. Tanti piccoli opportunismi che hanno trovato nobiltà nel finto dibattito della finta cancel culture.

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“Donna, ricordati di procreare altrimenti non ti realizzi”

A destra la concezione dell’identità di donna è sempre la stessa dai tempi di Adamo: essa per la Lega o Forza Italia ha il supremo compito di partorire come accadeva in quei tempi in cui in Italia avevamo qualche problemino con la democrazia

Antonio Tajani è coordinatore nazionale di Forza Italia, mica uno qualunque. Uno dei suoi pregi, per chi ha uso di seguire la politica, è quello di essere sornione sempre allo stesso livello mentre si ritrova a parlar degli argomenti più diversi, come se recitasse a memoria il ruolo che Forza Italia si propone nel centrodestra: essere quelli “seri”, quelli “non populisti”, quelli “libertari” e così via.

Ieri Tajani era presente alla presentazione degli eventi della festa ‘Mamma è bello’ e ovviamente gli è toccato sfoderare qualche riflessione politica sul ruolo di mamma (i politici, quelli che funzionano sono così, hanno un’idea su tutto e un mazzo di slogan per qualsiasi occasione, dalla sagra della porchetta fino al complesso tema di maternità e famiglia) e così ha sfoderato la solita frase come una tiritera, forse rendendosi poco conto di quello che stava dicendo. «La famiglia senza figli non esiste», ha detto Tajani, e poi, tanto per non perdere l’occasione di peggiorare la propria figura ha deciso anche di aggiungerci che «la donna non è una fattrice, ma si realizza totalmente con la maternità».

Ma come? Ma Forza Italia non è proprio il partito delle libertà? Niente: Tajani non si è nemmeno reso conto di essere riuscito in pochi secondi a tagliare completamente fuori migliaia di persone che avrebbero tutto il diritto di sentirsi feriti dalle sue parole. Mettere in dubbio la legittimità di un amore e di una famiglia, del resto, sembra essere diventato il giochino del momento dalle parti del centrodestra e così le famiglia che non hanno figli e quelle che non ne possono avere improvvisamente si accorgono di essere meno degne di tutti gli altri. E badate bene, qui siamo addirittura oltre al solito attacco alle coppie omosessuali: qui siamo proprio a un’idea di donna che ha il supremo compito di partorire come accadeva in quei tempi in cui in Italia avevamo qualche problemino con la democrazia.

Molti sono inorriditi, giustamente e si sono lamentati ma in fondo è proprio sempre la stessa idea di mondo, anche se esce con toni e con modi diversi, che nel centrodestra si coltiva da anni: «Le donne preferiscono accudire le persone, gli uomini preferiscono la tecnologia», ha detto ieri a Piazza Pulita (solo per citare uno dei tanti esempi) Alberto Zelger, consigliere comunale della Lega a Verona.

Insomma, anche oggi, care donne vi è stato ricordato il sacro comandamento di realizzarvi solo attraverso la procreazione. E se è vero che qualcuno potrebbe fregarsene della sparata di Tajani, come accade per le boiate di Salvini, occorre ricordare che questi sono leader di partiti che decideranno come spendere i soldi che dovrebbero servire per rimettere in piedi l’Italia, sono lì a stabilire quali dovrebbero essere le priorità. E questo, vedrete, è molto di più di una semplice frase sbagliata.

Buon venerdì.

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La sinistra si scalda per i processi a Salvini e ignora i migranti: 500 morti in 4 mesi (+200%)

Il Mediterraneo continua ad essere un cimitero liquido e il campo di battaglia di emergenze che spuntano solo quando tornano comode alla sfida politica. L’ipocrisia dei partiti sta tutta in quei numeri che diventano roncole quando servono per attaccare l’avversario e poi scompaiono se richiedono senso di responsabilità. Fra qualche mese, sicuro, comincerà di nuovo la fanfara degli sbarchi incontrollati come accade ciclicamente tutte le estati (con il miglioramento delle condizioni atmosferiche e quest’anno anche con l’allentamento del virus) e intanto sembra impossibile riuscire a costruire una chiave di lettura collettiva su cui dibattere e da cui partire per proporre soluzioni.

Però nel Mediterraneo un’emergenza c’è già, innegabile, e sta tutta nello spaventoso numero di morti in questi primi mesi dell’anno: mentre nel 2020 furono 150 le vittime accertate nel Mediterraneo quest’anno ne contiamo già 500, con un aumento quasi del 200%. A lanciare l’allarme è stata Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, che ha partecipato al briefing con la stampa del Palais des Nations di Ginevra dal porto di Trapani in Sicilia, dove circa 450 persone stavano sbarcando in seguito al salvataggio da parte della nave della ONG Sea Watch: «Dalle prime ore di sabato 1 maggio – ha spiegato Sami – sono sbarcate in Italia circa 1.500 persone soccorse dalla Guardia Costiera italiana e dalla Guardia di Finanza o da Ong internazionali nel Mediterraneo centrale. La maggior parte delle persone arrivate è partita dalla Libia a bordo di imbarcazioni fragili e non sicure e ha lanciato ripetute richieste di soccorso».

Sami ha anche tracciato un primo quadro degli sbarchi nel 2021: «Mentre gli arrivi totali in Europa sono in calo dal 2015, – ha spiegato Sami – gli ultimi sbarchi portano il numero di arrivi via mare in Italia nel 2021 a oltre 10.400, un aumento di oltre il 170 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020. Ma siamo anche profondamente preoccupati per il bilancio delle vittime: finora nel 2021 almeno 500 persone hanno perso la vita cercando di compiere la pericolosa traversata in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, rispetto alle 150 dello stesso periodo del 2020, un aumento di oltre il 200 per cento. Questa tragica perdita di vite umane sottolinea ancora una volta la necessità di ristabilire un sistema di operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale coordinato dagli Stati».

L’agenzia Onu «sta lavorando con i suoi partner e con il governo italiano nei porti di sbarco per aiutare ad identificare le vulnerabilità tra coloro che sono arrivati e per sostenere il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo» ma Sami sottolinea come continuino a mancare «percorsi legali come i corridoi umanitari, le evacuazioni, il reinsediamento e il ricongiungimento familiare devono essere ampliati» mentre «per le persone che non hanno bisogno di protezione internazionale, devono essere trovate soluzioni nel rispetto della loro dignità e dei diritti umani». L’incidente più grave finora è quello del 22 aprile, quando un naufragio ha causato la morte di 130 persone sollevando i prevedibili lamenti che ogni volta vengono spolverati per l’occasione. Solo una questione di qualche ora, come sempre, poi niente. La zona continua a essere completamente delegata alla cosiddetta Guardia costiera libica: «Nell’ultimo naufragio si parla di almeno 50 morti, noi abbiamo la certezza solo di 11 persone.  Quello che sappiamo è che erano in zona una nave mercantile e un’altra barca e che non sono intervenute, nonostante sia stato lanciato l’sos. E questo è molto grave: se c’è un natante in distress si deve intervenire, perché l’imbarcazione può affondare in qualsiasi momento. Ma ormai questa sembra essere una prassi consolidata: nessuno interviene in attesa che arrivi la Guardia costiera libica e riporti le persone indietro. Questo ci preoccupa molto», ha spiegato Carlotta Sami.

Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) siamo al 60% di persone che tentano la traversata in mare e che vengono sistematicamente riportate indietro: «Almeno una su due è matematicamente riportata in Libia – spiega Flavio Di Giacomo, portavoce Oim, a Redattore Sociale -. Dopo l’ultimo naufragio abbiamo lanciato un appello all’Ue perché si rafforzi il sistema di pattugliamento in mare e si evitino altre tragedie, ma è caduto nel vuoto. C’è un silenzio politico assordante su questo tema. Si parla solo genericamente di un aumento degli arrivi: ma attenzione a evitare narrazioni propagandistiche perché nonostante la crescita i numeri restano bassi. Non esiste un’emergenza in termini numerici ma solo un’emergenza umanitaria, di morti e dispersi in mare».

Sempre a proposito di proporzioni poi ci sarebbe da capire perché le eventuali (gravi) responsabilità penali di Salvini quando fu ministro e lasciò alla deriva le navi delle Ong debbano infiammare più di questo spaventoso numero di morti che sembra non avere responsabili. Forse anche il centrosinistra, se vuole davvero occuparsi di diritti umani e non solo di dialettica politica, dovrebbe avere il coraggio di ripartire da qui.

L’articolo La sinistra si scalda per i processi a Salvini e ignora i migranti: 500 morti in 4 mesi (+200%) proviene da Il Riformista.

Fonte

La vigliaccheria fiscale

Aumento dei ricavi per Amazon Europa che nel 2020 è arrivata a 44 miliardi di euro. Ma zero tasse. Si diceva che dalla pandemia sarebbe uscito un “nuovo mondo”… Ecco, per ora è esattamente come prima, con i ricchi sempre più ricchi. E una questione enorme politica che passa sottovoce

Complice la pandemia che è stata tutt’altro che una livella per sofferenza dei diversi lavoratori e per danni alle diverse aziende la ricchissima Amazon del ricchissimo Bezos è diventata ancora più ricca aumentando di 12 miliardi i ricavi rispetto all’anno precedente in Europa e arrivando a un totale di 44 miliardi di euro.

Poiché i numeri sono importanti vale la pena ricordare che sono 221 miliardi circa tutti i soldi che l’Italia ha a disposizione dall’Europa per risollevarsi. Giusto per fare un po’ di proporzioni. L’ultimo bilancio della divisione europea di Amazon (lo trovate qui) racconta della società con sede legale in quel meraviglioso paradiso per ricchi che è il Lussemburgo gestisce le vendite delle filiali di Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Polonia, Svezia. Ovviamente le tasse si pagano sui profitti, non certo sui ricavi, eppure le acrobazie fiscali di Amazon hanno permesso di risultare in perdita per 1,2 miliardi di euro nonostante un aumento del ricavo del 30%. «I nostri profitti sono rimasti bassi a causa dei massicci investimenti e del fatto che il nostro è un settore altamente competitivo e con margini ridotti», ha spiegato un dirigente di Amazon. Insomma, poveretti, lavorano per perderci. E infatti hanno accumulato 56 milioni di euro di credito d’imposta che potranno usare nei prossimi anni e che portano a 2,7 miliardi di euro il credito totale.

È incredibile che un’azienda che vale in Borsa quanto il prodotto interno lordo dell’Italia non riesca proprio a fare profitto o forse semplicemente i profitti vengono spostati altrove, complice la vigliaccheria fiscale di un’Europa che è sempre forte con i deboli ma è sempre piuttosto debole con i forti, come sempre. Attraverso compravendite fittizie infragruppo tra filiali dei diversi Paesi i guadagni vengono spostati da dove si realizzano a dove più conviene e le contromisure del Lussemburgo contro queste pratiche sono volutamente morbide.

In una nota la commissione Ue commenta: «Abbiamo visto quanto apparso sulla stampa, non entriamo nei dettagli, in linea generale la Commissione ha adottato un’agenda molto ambiziosa in materia di fiscalità e contro le frodi fiscali, nelle prossime settimane pubblicheremo una comunicazione e sul piano globale siamo impegnati con i partner internazionali nella discussione in corso» sull’equa tassazione delle imprese. Si tratta del negoziato per definire un’imposta minima globale per evitare la concorrenza fiscale al ribasso. Quanto agli aspetti di concorrenza, del caso Amazon/Lussemburgo il dossier resta in mano alla Corte di Giustizia Ue: il gruppo Usa e il Granducato hanno contestato la decisione comunitaria che nel 2017 concluse che il Lussemburgo aveva concesso ad Amazon vantaggi fiscali indebiti per circa 250 milioni di euro, un trattamento considerato illegale «ha permesso ad Amazon di versare molte meno imposte di altre imprese». Peccato che contro la decisione europea abbia ricorso Amazon (e questo ci sta) e perfino il Lussemburgo.

Sono numeri spaventosi che raccontano perfettamente come la guerra tra poveri e tra disperati non riesca mai a guardare in alto dove si consumano le ingiustizie peggiori. Vi ricordate quando si diceva che dalla pandemia sarebbe uscito un “nuovo mondo”? Ecco, per ora è esattamente come prima, con i ricchi sempre più ricchi. E invece una questione politica enorme passa sottovoce mentre i nostri leader stanno litigando sul bacio a Biancaneve.

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Caro Conte, anche tu hai tenuto i porti chiusi

La Mezzaluna Rossa libica (l’equivalente più o meno della nostra Croce Rossa) ieri ha annunciato altri 50 morti in un naufragio al largo della Libia. Poco prima l’Oim, l’agenzia dell’Onu per le migrazioni, aveva riferito della morte di almeno 11 persone dopo che il gommone su cui viaggiavano era affondato. La Guardia Costiera libica come al solito dice di non esserne informata. Una cosa è certa: nel Mediterraneo si continua a morire ma la vicenda non sfiora la politica nazionale, merita qualche contrita pietà passeggera e poi scivola via.

L’importante, in fondo, è solo mantenere ognuno la propria narrazione: ci sono i “porti chiusi” di Salvini che rivendica di averlo fatto ma poi in tribunale frigna chiamando in causa anche i suoi ex compagni di governo, c’è il “blocco navale” evocato da Giorgia Meloni, c’è il PD che finge di avere dimenticato di essere il partito che con Minniti ha innescato l’onda narrativa e giuridica che ci ha portati fin qui e c’è il Movimento 5 Stelle che si barcamena tra una posizione e l’altra.

A proposito di M5S: il (prossimo) leader Conte è riuscito a dire in scioltezza “con me porti mai chiusi” provando a cancellare con un colpo di spugna quel suo sorriso tronfio mentre si faceva fotografare al fianco di Salvini con tanto di foglietto in mano per celebrare l’hashtag #decretosalvini e la dicitura “sicurezza e immigrazione”.

Conte che sembra avere improvvisamente dimenticato le sue stesse parole su Sea Watch e sulla comandante Carola Rackete: “è stato – disse Conte – un ricatto politico sulla pelle di 40 persone”. Insomma, non proprio le parole di chi vuole prendere le distanze dalla politica di Salvini.

Oltre le parole ci sono i fatti: l’ultimo atto del Parlamento prima della caduta del primo governo Conte nell’agosto 2019 è stato il “decreto sicurezza bis” che stringeva ancora più i lacci dell’immigrazione. Sempre ad agosto 2019, 159 migranti sulla nave Open Arms sono stati 19 giorni in mare senza la possibilità di attraccare nei porti italiani.

Insomma: partendo dal presupposto che i porti non si possano “chiudere” per il diritto internazionale è vero che Conte a braccetto con Salvini ha sposato l’idea dei “porti chiusi” nel senso più largo e più politico. Ed è pur vero che nessun governo, compreso questo, sembra avere nessun’altra idea politica che non sia quella di galleggiare tra dittature usate come rubinetto per frenare le migrazioni in un’Europa che galleggia appaltando i propri confini. Gli unici che non galleggiano sono i morti nel Mediterraneo.

Leggi anche: I poveri sono falliti e i ricchi sono radical chic: così Salvini non risponde mai nel merito a chi lo critica

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