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Una metafora calcistica

Immaginate un mondo dove inevitabilmente ci si sfida. Ci si sfida perché è parte del gioco, in fondo si gioca soprattutto e vincere o perdere dipende dalla forma, da ciò che si ha a disposizione, dalla fortuna e inevitabilmente dal talento ma soprattutto dai soldi. Però ci sono regole chiare e le regole stabiliscono che chi ha bravura ma anche chi ha fantasia possa raggiungere traguardi che non erano preventivati, nemmeno immaginati e alla fine accade che anche gli sfavoriti vincano. A volte vincono una partita, a volte vincono addirittura il campionato.

Quelli invece che dovrebbero vincere per censo si arrabbiano tantissimo, strillano, se la prendono con i giudici e parlano di ingiustizia. Loro, quelli che di solito sono proprio i detentori delle redini della giustizia sociale. Però in fondo ci si affeziona mica solo per le vittorie e così si rimane fedeli alla propria idea, ci si mette dentro a una roba semplice perfino un po’ di valori. E in fondo tutte le volte che si sente un po’ di profumo di poesia è proprio quando Davide batte Golia.

Immaginate poi che in un mondo così, improvvisamente i ricchi vogliano diventare ancora più ricchi, non ci stiano a dividere con quegli altri nemmeno gli spiccioli e allora provano a pensare a un nuovo mondo in cui si entri per il merito di essere ricchi e di essere buoni amici nei circoli dei ricchi che contano, ciò che conta è essere nella cerchia giusta, nel giro giusto. Immaginate anche che la propria credibilità non venga valutata dal proprio spessore ma dalla propria popolarità. La popolarità come fine, addirittura prima della vittoria. E quella popolarità non è qualcosa che ha a che fare con il cuore, ovviamente, ma viene misurata con i soldi. Il nuovo mondo di quelli che non vogliono spartire niente con gli altri tra l’altro è un mondo magico in cui l’autopreservazione è garantita per censo, mica per risultati.

Di solito quando i ricchi vogliono stringere i cordoni della borsa per ingrassare il proprio circolino la chiamano “inevitabile modernità”, dicono che è il progresso e si inventano che il mondo è cambiato, che non ci sono più i palloni cuciti a mano o che non ci sono più i telefoni a gettoni. Quindi se l’idea non ti piace è colpa tua che sei incapace di stare al passo con i tempi o perfino invidioso.

Sei squadre di calcio inglesi (Manchester United, Manchester City, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Tottenham), tre spagnole (Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid) e tre italiane (Juventus, Inter e Milan) hanno annunciato l’intenzione di farsi il loro campionato. Tutti ne discutono.

Eppure è una metafora così potente che andrebbe letta con attenzione, mica solo per il calcio. Alcuni lo chiamavano capitalismo ma poi il pensiero comune ha detto che è una parola così stantia, capitalismo.

Buon martedì.

 

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La calcioisteria

I casi di coronavirus nelle scuole e nelle aziende, il rischio di una seconda ondata dei contagi, la disperazione di chi si troverà senza ammortizzatori sociali e senza lavoro. In questa situazione difficile, si discute della partita Juventus-Napoli con la Lega Calcio che fa di tutto per non fermare il campionato

Ci sono un migliaio di scuole in cui si sono già presentati casi di coronavirus e che hanno dovuto affrontare tutte le difficoltà che si presentano nell’assicurare il prosieguo delle lezioni. Nelle aziende continuano (non si sono mai fermati) i contagi e mentre i numeri cominciano a preoccupare le autorità sanitarie si stanno valutando le misure da prendere per contenere un’eventuale seconda ondata e per evitare al Paese il tracollo che potrebbe causare un nuovo lockdown. In tutto questo c’è la disperazione, tanta, tantissima, che sta prendendo persone che hanno avuto la vita sfasciata dalla pandemia e che ora che finiranno gli ammortizzatori sociali si ritrovano senza lavoro. Poi, volendo, ci sarebbe anche da discutere di come utilizzare i fondi europei per ricostruire: su quello si gioca la forma futura di Paese, mica bruscolini.

L’argomento più discusso ieri invece è stata la partita della Juventus contro il Napoli poiché la squadra campana ha scelto di non scendere in campo. La vicenda in sé è anche poco interessante: da una parte la Lega Calcio fa di tutto per non fermare il campionato e dall’altra il governo nella persona del ministro Speranza invece invece chiede di fermarsi. Speranza ha detto una frase semplice che viene difficile non condividere: «Si sta parlando troppo di calcio e troppo poco di scuola» ha detto il ministro ma la ridda di voci, pareri e notizie di ieri comunque è stato tutto sulla partita. Per la Lega, in pratica, la lettera inviata dall’Asl alla società napoletana non rientra tra quei “provvedimenti delle Autorità Statali o locali” che possono derogare al regolamento che disciplina la discesa in campo per le squadre con calciatori positivi.

Eppure si potrebbe anche raccontare che continuano a essere molte le persone che rimangono in quarantena (non giocano a pallone ma come tutti lavorano per vivere, eh) per decisione delle aziende sanitarie, sono molti quelli che ancora faticano a accedere al tampone che invece è iperdisponibile nel mondo del calcio con cadenza praticamente giornaliera.

Qualcuno dice “lo spettacolo deve continuare” e allora si potrebbe raccontare delle persone che lavorano nel mondo dello spettacolo dal vivo e che continuano a non entrare nel dibattito pubblico nonostante stiano facendo la fame e nonostante il futuro sia sempre più nero, legati a doppio mandato al possibile vaccino.

Insomma siamo sempre la solita vecchia calciocrazia che non riesce a comprendere i nervi tesi di un Paese che continua a essere sotto stress e che ha bisogno di messaggi concordanti e che non provochino isterismi. Non è solo una questione sportiva: è una questione di uguaglianza di paura di fronte a una malattia che magicamente sparisce in certi settori in nome del fatturato. Siamo sicuri che sia un buon messaggio, davvero? Siamo sicuri che questa nuova piega di sfidarsi sull’interpretazione delle regole sia salutare per compattare il Paese verso una rinnovata attenzione verso il virus?

Questa è la domanda.

Buon lunedì.

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La ‘ndrangheta e quello strano suicidio del capo ultrà

Ne scrivono Giustetti e Ricca per Repubblica:

Un’inchiesta che intreccia tifo e malavita organizzata, a Torino, rischia di avere una clamorosa evoluzione dopo che uno dei leader degli ultrà bianconeri si è suicidato, buttandosi da un viadotto dell’autostrada all’indomani del suo interrogatorio come testimone davanti ai pm. La squadra mobile che conduce le indagini non ha dubbi sulla dinamica: Raffaello Bucci, detto Ciccio, quarantenne di San Severo, che da un anno era diventato consulente per la sicurezza della biglietteria Juve, giovedì pomeriggio ha accostato con la sua auto lungo il viadotto dell’autostrada Torino-Savona, e si è buttato. Il giorno prima era stato sentito dal magistrato di Torino Monica Abbatecola come testimone nelle indagini che hanno portato, lunedì scorso, all’arresto di 18 persone accusate di associazione mafiosa. Tra quelli dei presunti boss e malavitosi spicca il nome di Fabio Germani, storico capo ultrà bianconero. E nelle carte dell’indagine compare anche il direttore generale della Juventus, Beppe Marotta, che non è indagato.

La polizia sta cercando di ricostruire tutti i movimenti e i contatti di Raffaello Bucci nelle ultime ore, prima del suicidio. Non è stato trovato né un biglietto né un messaggio e nessuno sa dare una spiegazione al suo gesto. Al contrario, quelli dell’entourage Juve, che lo conoscono, raccontano che era molto gratificato per il nuovo incarico fiduciario che gli era stato dato dai dirigenti della squadra. La sola ombra che segna la sua vita negli ultimi tempi è la scomparsa della madre. Ma gli investigatori sospettano che possa esserci un legame tra la sua morte e la vicenda per la quale è stato convocato in procura. Dal verbale della sua deposizione risultano incertezze e contraddizioni. E non si esclude che qualcuno lo abbia avvicinato per conoscere il contenuto dell’interrogatorio. Forse un incontro così sconvolgente da spingerlo a farla finita.

Il tentativo di infiltrazioni della ‘ndrangheta nelle tifoserie organizzate era già stato raccontato nell’inchiesta San Michele. E ripreso pochi giorni fa da Roberto Saviano sul suo blog: “Alcuni boss sarebbero partiti in aereo dalla Calabria alla volta di Torino per assistere gratis, allo stadio, il 5 aprile 2006, a Juventus-Arsenal”. “Fummo accolti da un ragazzo che ci consegnò i biglietti in una busta – è scritto nelle carte – non pagammo”. Sette anni dopo, la scena si ripete. Questa volta è il capo ultrà Fabio Germani che ritira il pacco di biglietti alla reception dell’hotel dove la squadra si ritira prima delle partite. Sono per il boss Rocco Dominello, che cerca ticket da rivendere per l’incontro Real Madrid-Juve del 23 ottobre 2013. A farglieli recapitare al Principi di Piemonte è Giuseppe Marotta in persona. Raccomandata la “massima riservatezza”. Qualche tempo dopo, i tre si incontrano in un bar della città. Questa volta Rocco Dominello chiede a Marotta di organizzare un provino per un giovane calciatore figlio dell’amico Umberto Bellocco, del clan di Rosarno. “L’incontro avviene il 15 febbraio 2014 – scrive il gip Stefano Vitelli nell’ordinanza – presso il bar Dezzutto (un tradizionale punto di ritrovo dei dirigenti della squadra, ndr) tra Rocco Dominello, Fabio Germani e Giuseppe Marotta”. E l’appuntamento viene seguito dai poliziotti, che intercettano un giro di email per organizzare il provino. Ma il giovane Bellocco non sarà mai ingaggiato.

Il calcio e le tragedie

++ Calcio: striscioni Superga, multa 25 mila euro a Juve ++Non sono oggettivo perché sono tifoso del Torino e certo ci sono argomenti più importanti ma pensare che lo sport (ma succede anche in politica, nella cultura e udite udite nell’antimafia) debba essere un condono tombale per esprimere le offese peggiori sulla pelle delle tragedie è una deriva che bisogna arginare. E per questo la denuncia ai tifosi della Juve che hanno esposto l’orrido striscione sulla tragedia di Superga non è solo un momento di giustizia sportiva ma una ridefinizione dei limiti. E ogni tanto alla sera forse ci farebbe bene a tutti provare a valutare i nostri eccessi: lì dove abbiamo accettato che il fine giustificasse i mezzi e i mezzi hanno colpito la dignità di qualcuno.