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Fuori dalle balle (della Lega)

Sono tanti i motivi per cui credo che votare al referendum leghista di Veneto e Lombardia sia un pessimo modo di legittimare una farsa. Tra gli altri, come scrive bene Stefano Catone qui, vale la pena smascherare qualche punto:

 

Se vince il Sì, «Regione Lombardia avvierà il percorso istituzionale per ottenere maggiore autonomia, vale a dire più competenze e più risorse, nell’ambito del cosiddetto RESIDUO FISCALE, ovvero la differenza tra le tasse pagate allo Stato e quanto lo Stato restituisce sul territorio».

Balle. La materia fiscale non è tra le competenze oggetto del referendum e non può neppure essere oggetto di referendum. Balle al quadrato.

Col voto elettronico si ha «la garanzia della segretezza e della sicurezza del voto».

Altra balla. Il voto elettronico offre scarse garanzie, che si riducono ai minimi termini se pensiamo che la società che gestirà le operazioni è la più screditata del mondo.

Siccome oltre venti materie non sono abbastanza e siccome – soprattutto – bisogna metterci un pizzico di immigrati, «La Lombardia intende altresì esercitare un’energica azione politica al fine di ottenere un’ancora più ampia competenza da declinare sul proprio territorio in materia di sicurezza, immigrazione ed ordine pubblico».

Falso. Sono competenze esclusive dello Stato. Da segnalare che Formigoni (ci tocca citare Formigoni, pensa te…), nel 2007, individuò dodici materie da portare al tavolo delle contrattazioni.

Dopo averci spiegato che cos’è il «RESIDUO FISCALE» (lo scrivono sempre in maiuscolo), dicono che «A seguito dell’esito positivo del referendum la Regione si propone di trattenere almeno la metà del RESIDUO FISCALE (vale a dire 27 miliardi) per finanziare le nuove competenze oggetto di trattativa con il Governo».

Il «RESIDUO FISCALE» non c’entra nulla, l’abbiamo già spiegato. Altra balla al quadrato.

Come si dice a queste latitudini «föra di ball», cara Regione Lombardia. Il referendum è uno strumento che deve stare saldamente nelle mani del popolo, perché questo possa rivendicare la propria sovranità, temporaneamente delegata. Se diventa uno strumento nelle mani del potere, allora il fine diventa plebiscitario, snaturando la natura stessa dell’istituto e svilendo l’importanza del voto.

Non partecipiamo alla farsa, lasciamoli alle loro balle.

 

(il post di Catone è tutto qui)

“Roma ladrona” e la Lega intanto mangiava: condannati Bossi (padre e figlio) e Belsito.

Ora vedrete che Salvini (il moralizzatore su tutto) qui rimarrà zitto zitto come un pesce. Perché il segreto del “nuovissimo” è proprio questo: fingere di non essere stati ciò che si è stati (o forse si è ancora). Ecco l’articolo di Repubblica:

 

Umberto Bossi, il figlio Renzo e l’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito condannati a Milano per appropriazione indebita per aver usato i fondi del partito per spese personali. Il Senatur fondatore della Lega, è stato condannato a 2 anni e 3 mesi, un anno e 6 mesi per ‘il Trota’, 2 anni e 6 mesi per l’ex tesoriere. L’altro figlio di Bossi, Riccardo, era già stato condannato in abbreviato a un anno e otto mesi (per circa 158 mila euro di spese personali).

La decisione del giudice Maria Luisa Balzarotti è arrivata nel processo The Famility, così ribattezzato per il nome scritto sulla cartella di documenti sequestrata allora a Belsito in cui comparivano quelle che sono state giudicate spese private della famiglia Bossi pagate però con i soldi del Carroccio. La tesi della procura è che per Bossi “sostenere i costi della sua famiglia” con il patrimonio della Lega è stato “un modo di agire consolidato e concordato”.

Stando alle indagini, tra il 2009 e il 2011, l’ex tesoriere della Lega si sarebbe appropriato di circa mezzo milione di euro, mentre l’ex leader del Carroccio avrebbe speso con i fondi del partito oltre 208mila euro. A Renzo sono stati addebitati, invece, più di 145mila euro, tra cui migliaia di euro in multe, tremila euro di assicurazione auto, 48mila euro per comprare una macchina (un’Audi A6) e 77mila euro per la “laurea albanese”. “Ho saputo della mia laurea in Albania solo dopo questa indagine”, aveva detto in aula il ragazzo lo scorso luglio testimoniando in aula.

Uno dei difensori di Bossi padre, Marcello Gallo, aveva chiesto al tribunale di sollevare davanti alla Consulta “la questione di legittimità costituzionale della disciplina dell’appropriazione indebita” perché, in sostanza la norma, violerebbe il principio di ragionevolezza in quanto punisce la condotta di “appropriazione di cose comuni” – come è stata da lui inquadrato l’operato degli imputati – mentre reati più gravi come l’appropriazione di oggetti smarriti o di beni avuti per errore sono stati depenalizzati.

Il pm Paolo Filippini aveva chiesto 2 anni e 3 mesi per l’ex leader della Lega, 1 anno e mezzo per Renzo e 2 anni e mezzo per Belsito.

Lettera a un leghista (di Barbara Gigante)

Barbara Gigante scrive una lettera ai leghisti (che pazienza):

Caro leghista,

io ti vorrei capire. Non tanto le tue posizioni, quelle le ho intese, sono le soluzioniche proponi a turbarmi o semplicemente non credo il partito che sostieni ne abbia mai trovata mezza.

Ti sento spesso sbraitare di essere “contro l’immigrazione”, senza sapere bene cosa significhi. Si può essere “contro” qualcosa che non abbiamo la più pallida idea di come fermare? Il fenomeno c’è, questo è un dato, migliaia di persone continuano ad arrivare. E allora, che si fa?

Come si chiude il mare?

I muri nell’acqua non li possiamo alzare. Avremmo, però, potuto evitare cose svantaggiose per l’Italia, come per esempio la ratifica, senza chiedere garanzie in cambio, di un trattato che impone di prenderci in carico nei centri di prima accoglienza tutti, ma proprio tutti, coloro che sbarcano in Italia.

Lo sapevi, caro leghista, che esiste un trattato che si chiama Dublino come la città?

Impone ai richiedenti asilo di fare domanda per il Paese in cui vogliono essere ospitati esclusivamente dal Paese nel quale arrivano. Ora, secondo te, stando alla posizione geografica, ci voleva tanto a capire in quali nazioni sarebbero più facilmente arrivati in massa? Ovviamente è andata peggio a noi e a quegli altri poracci dei greci. Senza battere ciglio, abbiamo assicurato all’Europa che avremmo pensato da soli alla prima accoglienza e se oggi t’indigni per gli alberghi riempiti dallo Stato con queste persone, salvo poi non volersene occupare e abbandonarli lì senza far niente, è proprio a causa di questo benedetto trattato di Dublino.

Indovina, caro leghista, chi lo ha firmato questo trattato?

Il primo passo fu la Convenzione di Dublino del 1990. Dopo, però, venne il governo Berlusconi. Un governo di destra, quindi, vostro alleato, che sulla retorica degli immigrati cattivi ci ha fatto una testa come una capanna. Ci si sarebbe aspettato, allora, che al momento di firmare il trattato di Dublino II, nel 2003, avrebbero indietreggiato inorriditi in nome della protezione dei confini nazionali.

Macché. Quando vai a votare la Lega Nord ricordatelo, mio verde compaesano, che il trattato di Dublino II porta la firma di Maroni. Quel Maroni là, l’amico tuo, quello della Lega, che quando si è trattato di fare come diceva l’Europa si è messo nella posizione del missionario esattamente come gli altri.

Forse, tra le cose che il tuo partito ha fatto per convincerti di starsi occupando del problema, c’è la famosa, ormai inattuabile, legge Bossi-Fini. Quel capolavoro di legislatura, per il quale il Consiglio d’Europa stava per toglierci il titolo di Paese civile, che impediva di soccorrere in mare imbarcazioni di clandestini. Quindi, nel caso in cui un peschereccio si fosse trovato davanti a un naufragio, doveva rimanere là, impassibile, a godersi lo spettacolo di persone morenti a cinque minuti da dove si trovava. E ci sono stati casi di uomini che, non potendo resistere a quello spettacolo, hanno prestato aiuto ai migranti con le loro imbarcazioni, salvo poi essere indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Quello che favoreggia una legge del genere, invece, è il culto del girarsi dall’altra parte davanti a un uomo che muore.

Indubbiamente una soluzione efficace per non farli arrivare, ma se la accetti, se ti sta bene lasciar affogare nell’indifferenza migliaia di bambini che pure sono in mezzo a quei migranti, quantomeno smettila di definirti appartenente a una cultura superiore e guarda in faccia il fatto di essere come l’Isis.

Finiscila, per coerenza, di trincerarti dietro a un Cristianesimo che non rappresenti affatto. Il crocifisso nelle scuole che difendi con le unghie non è per te: rappresenta un uomo morto nell’indifferenza circostante, anzi, a furor di popolo, che poteva pure risparmiarselo essendo Dio, ma doveva far capire a te cosa fosse un’ingiustizia.  Solo agli sciocchi serviva che risorgesse pure. In realtà la sua morte era sufficiente a rendere palese agli uomini come non si dovevano comportare. Da buon cattolico, dovresti cercare la tua ragione di vita nel sacrificio in nome di un ideale che vale ben oltre l’asservimento alle esigenze dell’individuo.

Se la risposta all’Islam non è la laicità ma il Cristianesimo, allora fermati, e se vengono a tirarti una sciabolata porgi l’altra guancia. Se vuoi il Paradiso, non puoi uccidere, né lasciar morire. Così dice la tua Bibbia. Quella che millanti sia assai meglio del Corano. Solo che ti dimentichi di applicarla.

Quando parli di “radici”, ricordati che la religione che professi non ha mai giudicato l’albero dalle radici, ma dai suoi frutti (Matteo 7:16-20).

Significa che il vero profeta è quello in grado di realizzare la pace e la convivenza civile tramite un messaggio intriso d’amore, solo così lo riconosci. Non da dove viene, ma in che direzione va. Quello conta.

(continua qui, vale la pena leggerla fino alla fine)

L’epigrafe della Lega Nord

Il Canton Ticino chiude le dogane: “Stop ai ladri che vengono dall’Italia”.

Risposta della Lega Nord: “Non ha senso: non si ottiene sicurezza blindando i confini”

Sembra una pagina di giornale ma invece è l’epigrafe della Lega Nord:

Fantastico Salvini: a Palermo nomina commissario di partito un ex berlusconiano condannato per tentato abuso d’ufficio

Condannato in via definitiva, decaduto da deputato regionale e quindi scelto dalla Lega come commissario della provincia di Palermo. Alle prossime amministrative, Matteo Salvini prova a raccogliere qualche voto anche al Sud. E per questo motivo, in questi giorni, Noi con Salvini – la costola meridionale della Lega Nord – sta cercando di riorganizzare i suoi quadri. Pochi giorni fa il leader del Carroccio ha fatto il nome del deputato Angelo Attaguile come possibile candidato governatore della Sicilia alle regionali dell’autunno prossimo. Democristiano di lungo corso, Attaguile era approdato alla Camera nel 2013, “nascosto” nella lista Pdl in Campania, ma in quota Mpa dell’amico Raffaele Lombardo. Sbarcato a Montecitorio, aveva subito aperto una linea di credito con la Lega: era infatti il ventesimo deputato che ha garantito al Carroccio di mantenere un gruppo autonomo alla Camera. Quando Salvini ha deciso di allargare la sua base elettorale, ecco quindi che proprio Attaguile è stato scelto come leader di Noi con Salvini, una versione agrodolce del Sole delle Alpi.

In vista delle comunali di maggio, dunque, la corrente sicula del Carroccio si è dotata di un nuovo commissario che dovrà coordinare la presentazione delle liste nelle 32 città della provincia di Palermo chiamate alle urne. Incarico per il quale è stato scelto Salvino Caputo,  per quattro legislature deputato regionale di Forza Italiaprima e del Pdl poi. Caputo è stato per anni un berlusconiano doc, talmente fedele che ancora oggi sulla sua pagina facebook svetta la bandiera di Forza Italiacome immagine di copertina. Nel giorno del suo passaggio ufficiale tra i leghisti di Trinacria, insomma, Caputo non ha ancora trovato il tempo di aggiornare i suoi profili social con i nuovi simboli. Poco importa, visto che il deputato Alessandro Pagano è entusiasta del nuovo acquisto: “Tutto il movimento – dice – si stringerà attorno a Caputo con grande impegno, al fine di portare avanti il nostro progetto insieme a Matteo Salvini in tutto il territorio siciliano. Nella provincia di Palermo  sarà il nostro punto di riferimento a livello organizzativo nei comuni che hanno imminenti scadenze elettorali”.

Più rilevante, invece, è il fatto che il neo commissario di Noi con Salvini è stato praticamente il primo politico siciliano colpito dalla legge Severino. Nel giugno del 2013 Caputo era infatti decaduto da parlamentare regionale. Il motivo? Una condanna definitiva a un anno e cinque mesi per tentato abuso d’ufficio. Da sindaco di Monreale, infatti, l’ex berlusconiano aveva tentato di cancellare alcune multe che i vigili urbani avevano contestato all’allora arcivescovo Salvatore Cassisa e ad alcuni suoi ex assessori. Inutile il ricorso in tribunale con il quale Caputo aveva cercato di rimanere all’Assemblea regionale siciliana contestando l’illegittima retroattività della norma. “Il principio di fondo è quello per cui si vuole che venga allontanato dall’esercizio di determinate funzioni pubbliche un soggetto riconosciuto ‘indegno’ in relazione a certi fatti accertati con sentenza passata in giudicato”, aveva scritto il tribunale civile di Palermo, obbligando il politico a separarsi dal suo scranno da onorevole. Adesso, però, Caputo torna in pista come salviniano. Prima, però, dovrà forse aggiornare i colori dei suoi canali social.

(fonte)

Il muro del Ticino è sempre più verde

C’è sempre qualcuno più a sud. C’è sempre qualcuno capace di fare la voce più grossa e c’è sempre qualcuno che può comprare (più e meglio) una prepotenza efficace. Il Ticino che esprime diffidenza e fastidio per i frontalieri italiani è un nodo della storia che si ripete circolarmente, quasi ogni giorni in ogni angolo del mondo. A volte, come in questo caso, è solo una diatriba politica che mette di fronte una forza politica come la Lega Nord (del presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni) alla stessa miope xenofobia nazionalista che opera con gli altri ma se è vero che fa sorridere vedere Salvini costretto a difendersi da una salvinata il ricorso è ampio e terribilmente serio.

Viviamo in un tempo in cui la solidarietà è considerata una debolezza che mette a rischio la nostra sicurezza; normale che accada dopo un lungo periodo di benessere diffuso che ha concesso a molti di poter serenamente essere individualisti senza troppe remore. Quando un Paese riesce a garantire buoni margini di stabilità economica ai suoi cittadini la politica si riduce all’idea di semplice amministrazione delle risorse, produzione di servizi e regolatrice di infrastrutture. In Italia negli ultimi vent’anni (esclusi ovviamente i tempi recenti) la propaganda politica si fondava su una narrazione ottimistica del futuro dove sicuramente si sarebbe cresciuti di più, si sarebbe stati ancora meglio. I bisogni erano semplicemente il dazio da pagare da parte di chi non aveva problemi verso la periferia sociale che faticava a stare al passo. Un dazio, non un dovere: la solidarietà esercitata nell’Italia che funzionava era semplicemente un balzello, l’ennesima tassa, niente a che vedere con il dovere sancito dalla Costituzione.

Così è bastato che i tempi fossero più magri per premiare chi ci aizzava contro le fragilità dei deboli che frenano il nostro stare bene: fannulloni, criminali, fancazzisti, terroni, ladroni, negri, albanesi. Il nome non conta, il trucco è riuscire a dividere nell’immaginario dell’elettori un “noi” dagli “altri”. E il modello era semplice: “noi” siamo quelli che senza “gli altri” staremmo meglio perché “noi” ci bastiamo, “noi”. E così il nemico di turno è semplicemente il carburante per tenere su di giri un individualismo travestito da federalismo. Se è federalismo, questo, allora è soprattutto un federalismo delle responsabilità: siamo cresciuti in un momento storico in cui ci dicono che l’importante è occuparsi di noi stessi, stare bene nella nostra città anzi basta che sia tranquillo il nostro quartiere, il nostro condominio, che non ci siano problemi sul nostro pianerottolo. La responsabilità si riduce al cerchio magico di ognuno; quelli fuori possono aspettare. Anzi, quelli fuori devono aspettare. E se ci assale la paura devono quelli fuori devono semplicemente restare fuori.

Certo, funziona un modello sociale così altamente deresponsabilizzante: vuoi mettere la comodità di fottersene di tutto ciò che non ti è vicino? Niente di meglio per l’agiatissimo ozio dei diritti. C’è guerra in Siria? Beh, poveri siriani, se la saranno cercata, mandiamogli gli alpini. C’è un’alluvione in Campania? Per forza, sono ladri. C’è un arresto in Regione Lombardia? Meglio, sono tutti uguali. C’è un’emergenza umanitaria in qualche sperduto in qualche angolo del mondo? Beh, non possiamo mica occuparci di tutti. Con il “non possiamo occuparci di tutti” abbiamo gettato le fondamenta dei muri. Muri per delimitare, il più stretto possibile, lo spazio di cui vogliamo occuparci.

(continua su Fanpage qui)

Se Salvini muore di salvinismo

Lombardia, zona Varese vicino al confine svizzero. Il presidente della regione è Roberto Maroni, quello del “Prima il nord” stampato sui cartelloni elettorali e ripetuto come mantra: aveva urlato di voler trattenere le tasse dei lombardi in Lombardia (promessa da pacchista all’autogrill, visto che la competenza non è regionale) e rivendicava il diritto di pensare prima ai padani e solo poi al resto d’Italia. Chi volete che possa credere a un cialtrone così? Maroni ha vinto le elezioni regionali e dal 2013 è presidente. Appunto.

Seguitemi, perché la storia è gustosa: nel profondo pensiero politico leghista il “bene” è un valore direttamente proporzionale alla sua posizione sulla cartina geografica. “Prima il nord” è uno slogan che sbrodola tutta la sua pericolosa faciloneria (razzista) con la miopia di chi, a forza di spingere sul turbo federalismo, finisce per perdere lo sguardo generale sul mondo.

Il problema non calcolato dai leghisti è che c’è vita anche più a nord della Lombardia. Per Salvini e Maroni probabilmente la giornata di ieri è stata un mosto di terrore e disperazione al pari di coloro che scoprirono la terra non essere piatta: a nord della Lombardia c’è, ad esempio, la Svizzera. E cosa combina la Svizzera nel suo cantone ticinese? Lancia un referendum al grido “Prima i nostri” contro i sudisti italiani che vorrebbero andare lì a lavorare e la maggioranza degli elettori dice sì alla regolamentazione (sinonimo morbido di “chiusura”) dei lavoratori italiani. Italiani sporchi, maleducati e cattivi che “rubano il lavoro”.

Da oggi i 60.000 italiani pendolari che si recano in Ticino a lavorare sono ufficialmente indesiderati. E fa niente se l’Europa in realtà vieterebbe chiusure di questa sorta: “I ticinesi – ha detto il presidente della sezione ticinese dell’Udc Piero Marchesi citato dalla Radio svizzera italiana – non vogliono farsi intimorire dall’Unione europea”. Sembra di sentire Salvini e invece Salvini questa volta è l’immigrato.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Se-ces-sio-ne

Poi, all’improvviso, piovono perle e sembra di tornare indietro di vent’anni. Così.

Umberto Bossi rilancia la secessione dal palco di Pontida, la tradizionale festa del Carroccio. Ma è botta e risposta con Matteo Salvini . La Lega – scandisce il Senatur – “non potrà mai essere un partito nazionale”: e l’obiettivo deve rimanere la “secessione” della Padania. “Io ho ascoltato in questi tempi con molta attenzione la Lega – ha detto tra l’altro Bossi -. La Lega è in un momento di grande confusione, è stata né carne né pesce, ma la Padania resta nel cuore e nella testa”. Bossi ha sostenuto che “la Lega è stata fatta per la libertà del nord dall’oppressione del centralismo italiano, non per altri motivi”, e ha osservato che “troppo spesso si sente parlare di uscire dall’euro, ma i fatti dicono che l’Italia si porta via 100 miliardi di euro e l’Europa due: chi è dunque il nemico? State attenti a tirare le conclusioni così”. Bossi, senza fare nomi, si è infine rivolto ai leghisti radunati a Pontida nel ventennale della dichiarazione di indipendenza della Padania affermando che “a volte i dirigenti devono essere richiamati dai veri proprietari, i militanti”.

(fonte)

«I profughi? Scappano dalla fame e dalle bombe»: parola di Umberto Bossi (giuro)

Salvini non capisce che i profughi non scappano solo dalle bombe, ma anche da un altro tipo di guerra, dalla globalizzazione che ha fatto saltare i loro modi tradizionali di produrre e di vivere. Scappano dalla fame. Se davvero vuoi fermare l’immigrazione la strada è un’altra. Spingere l’Europa a sostenere le economie dei paesi africani, creare e favorire là lo sviluppo di imprese di trasformazione di materie prime, di cui l’Africa è ricca. Se no è una battaglia persa…».

(Umberto Bossi intervistato da Roberto Di Caro qui)

Come la Lega ha “nascosto” 20 milioni di euro per sfuggire ai giudici

(Marco Lillo per ‘Il Fatto Quotidiano‘)

Continua, con la storia del tesoro della Lega, la galleria di fatti e personaggi che emergono dalle telefonate dei leghisti intercettati tra il 2012 e il 2014. Abbiamo già svelato i retroscena dell’accordo Lega-Pdl con le minacce di Berlusconi a Maroni di usare la clava mediatica, l’impegno leghista per aiutare l’imprenditore Salini che mirava alle penali per la mancata costruzione del Ponte sullo Stretto, le chiamate di Malagò che cercava il voto di un leghista al Coni. L’indagine Breakfast della Procura di Reggio Calabria contiene intercettazioni della Dia effettuate sotto il coordinamento del pm Giuseppe Lombardo e del procuratore Federico Cafiero De Raho. Probabilmente le intercettazioni dell’indagine, che va avanti in gran segreto dal 2012, non porteranno a nulla sul piano penale. Ma devono essere pubblicate perché svelano fatti di rilievo pubblico dietro le quinte del potere.

Roberto Maroni ha trasferito 20 milioni di euro della Lega Nord alla Sparkasse di Bolzano e ha chiesto al suo legale, Domenico Aiello di costituire un trust o uno fondazione dove far confluire tutti i beni del partito per metterli al riparo dai leghisti amici di Umberto Bossi, come Matteo Brigandì. Le intercettazioni inedite dell’indagine Breakfast della Dia di Reggio Calabria svelano i retroscena di un giallo di cui si era occupato anche L’espresso con un articolo seguito da imbarazzate mezze smentite. Peter Schedl, allora direttore generale della Sparkassse, e il presidente attuale Gerhard Brandstätter (avvocato altoatesino e socio di studio di Aiello) hanno seguito il trasferimento dei fondi da Unicredit alla banca dell’Alto Adige. Aiello parla con Schedl il 14 gennaio 2013.

Aiello (A): l’operazione è quella di cui le ha accennato Gerhard

Schedl (S): Sì sì me l’ha accennata

A: Sto portando l’onorevole Stefani (tesoriere della Lega, ndr) in filiale a Milano ad aprire il conto (…) Brandstätter mi parlava di una cifra notevole. Quasi venti milioni e mi ha chiesto un’indicazione per il tasso

A: Il meglio che può fare, semplice. Andiamo via in una situazione che è il 3 e mezzo. Lui indicava il 4, c’ero io quando ha chiamato…

S: Il 4 non è possibile (…) facciamo così partiamo dal 3 e mezzo e poi da lì vediamo strada facendo.

Poi Aiello (A) chiama Brandstätter (B), allora presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano.

A: Siamo andati ad aprire il conto

B: Sì mi ha chiamato adesso per dirmelo

A: Ah okay domani gli arrivano sei milioni di euro.

A gennaio 2013 la disponibilità sul conto IT13Z06….6 sulla filiale di Milano di Sparkasse arriva a 19 milioni 817 mila e 469 euro. Nel 2014 i soldi saranno spostati, dopo l’arrivo alla segreteria di Matteo Salvini, in un conto di Banca Intesa. La ragione è in una mail del 21 febbraio 2013 del dirigente Sparkasse Paola Brunelli ad Aiello: “Il tasso attualmente applicato si intendeva legato a una determinata operatività… si era prospettata la possibilità di investire in fondi, azioni, Crbz, obbligazioni societarie ecc… successivamente siamo venuti a conoscenza del fatto che la legge 966-7-2012 art. 89 vieta ai partiti politici di investire la propria liquidità in strumenti finanziari diversi dai titoli emessi da Stati membri della Ue…”. Brunelli chiama il 12 marzo 2013 Aiello: “Che pasticcio! Questa cosa spicca agli occhi di qualcuno che venisse a fare dei controlli nel senso che mi dicono: ‘perché tutti gli altri clienti con patrimoni grossi hanno l’1,5 e questo ha il 3,5?!’”.

LA QUESTIONE BRIGANDì. All’origine del trasferimento del conto e dell’idea del trust c’è la questione Brigandì. L’ex parlamentare per anni legale di Bossi, in quel periodo fa valere i suoi vecchi incarichi. La Lega viene condannata a pagare milioni di parcelle e Maroni chiede contromisure ad Aiello. L’ipotesi nasce in vista delle elezioni 2013 ma rivive in estate dopo la vittoria in Lombardia. Aiello, intercettato senza essere indagato dal pm Giuseppe Lombardo di Reggio Calabria, riceve una telefonata di Maroni il 22 luglio 2013 alle 23. L’allora segretario gli dice di aver parlato con Calderoli per costituire, imitando Alleanza Nazionale, una fondazione dove trasferire tutto il patrimonio della Lega, mobiliare e immobiliare. La ragione? Maroni spiega: “In buona fede, non pensavo che si sarebbe arrivato a tanto, ma, se Bossi inizia a fare questo gioco, si impone una reazione, per evitare di rimanere in mezzo”. La questione della Fondazione, spiega Maroni, deve rimanere tra lui, Aiello, Calderoli e Carmine Pallino, un commercialista; “Non deve essere portata a conoscenza di altri”. Maroni sottolinea che bisogna trovare, rapidamente, il modo di separare il patrimonio dalla gestione del partito: “Bisogna fare la ‘bad company’ dove rimane dentro un cazzo”. Aiello replica che il notaio Busani l’aveva già studiata. Lui rispolvererà il progetto.

LEGA IN FUGA DAI PIGNORAMENTI. Effettivamente è antico. Già il 20 dicembre 2012 Aiello chiamava il suo collega Massimo Centonze e gli diceva che Maroni lo aveva autorizzato a creare un fondo separato “come fosse un trust” entro il 12 gennaio 2013 perché quel fondo dovrà essere il portafoglio della campagna elettorale. Aiello prosegue: il partito deve avere un patrimonio separato rappresentato da un conto corrente da aprire alla Sparkasse perché “se i nove milioni che sono stati pignorati li avesse avuti su questo fondo non potevano essere oggetto di sequestro”. Aiello dice che bisogna far presto “entro il 10 gennaio perché il 15 gennaio si presentano le liste e il timore di Maroni è che poi venga un ‘pazzo’ come il procuratore di Forlì Sergio Sottani che dice: ‘l’impegno di ogni singolo candidato per me costituisce una compravendita di candidatura’. Invece così il singolo candidato si impegna a versare direttamente sul patrimonio destinato”.

Aiello a gennaio 2013 confida anche al commercialista Massimo De Dominicis: “Noi dobbiamo segregare un patrimonio esistente di 20 milioni e uno nascente”. Entro il 10 gennaio. Anche perché “loro prendono una vagonata di soldi a dicembre e una vagonata a luglio e adesso è arrivata una vagonata di soldi”. De Domenicis: “Il veicolo migliore è il trust”, istituto giuridico di origine anglosassone usato in Italia per ragioni ereditarie o fiscali nel quale un soggetto (qui la Lega) trasferisce i beni al cosiddetto trustee. Poi Aiello il 9 gennaio 2013 chiama il notaio Busani per avere chiarimenti.

Busani (B): Quanti soldi parliamo di segregare?

Aiello (A): Almeno 10 milioni.

B: Hai paura di azioni esecutive?

A: Una l’abbiamo appena subita di 3 milioni, prestazioni professionali erano. Tra l’altro un dirigente della Lega Nord (Brigandì, ndr). Però prima vorrei capire la bontà della struttura che mettiamo in piedi…

B: Domenico, la bontà è che i soldi non sono più sul conto della Lega e vaffambagno. Se fanno l’esecuzione non li trovano!

Il 10 gennaio 2013 Aiello chiama Maroni preoccupato proprio per eventuali nuove azioni di Brigandì che “forse ha portato via altre carte che erano sue”. Poi suggerisce all’allora segretario: “In ragione di questo valuta ancora quello spostamento almeno di una parte del residuo, almeno il 50 per cento di quei fondi lì’ perché se questo qui già conosce quel conto corrente …”. Maroni rinvia all’indomani. Il trasferimento dei 20 milioni poi ci sarà. Il trust e la fondazione? “Io non ne ho più saputo nulla”, chiosa il notaio Angelo Busani.