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Libera sul 416-ter

senato_2013Cosa pensa Libera del nuovo 416-ter:

L’approvazione al Senato della modifica del 416ter contiene una buona notizia e un errore da correggere: la buona notizia è l’inserimento, dopo un iter tormentato, delle due parole “altra utilità”, che colpiscono al cuore il voto di scambio politico mafioso, finora limitato all’erogazione di denaro. Una riforma sostenuta da oltre 475mila cittadini che hanno firmato la petizione della campagna Riparte il futuro, promossa da Libera e Gruppo Abele. Grazie a queste due parole si potrà contrastare in maniera più efficace il “mercato dei voti”, venduti e comprati in cambio di favori, a partire dalle prossime elezioni di maggio, europee e soprattutto amministrative.

L’errore, su cui Libera ha espresso fin da subito le sue perplessità, è quello della riduzione delle pene, che vanno inserite, invece, in un più generale inasprimento di tutti i reati di mafia, a partire dal 416 bis, oggi sanzionato con condanne inferiori a quelle previste per l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’auspicio, già sotttolineato prima del voto di oggi a Palazzo Madama, è che il governo intervenga quanto prima, come suggerito dalla commissione Garofoli, perché siano previste per i reati di mafia sanzioni più severe ed efficaci, nel rispetto del principio della proporzionalità della pena.

Si tratta comunqe solo di un primo passo, anche se importante, e di un doveroso atto politico di trasparenza e bonifica delle istituzioni democratiche. Reati diffusi al punto da diventare costume, chiedono non solo leggi all’altezza ma l’impegno di tutti noi a volerle e sostenerle attraverso le scelte e i comportamenti quotidiani. E’ necessario a questo punto, fare un ulteriore scatto e arrivare prima possibile, a una più generale legge sulla corruzione dotata di quelle misure (confisca dei beni ai corrotti; pene adeguate per “reati civetta” come il falso in bilancio, la disciplina sulla prescrizione, l’autoriciclaggio, l’evasione fiscale) per rendere il nostro Paese una comunità dove l’interesse economico coincida finalmente con l’interesse sociale, con la dignità e la libertà di tutti.

Ufficio di Presidenza Libera

Anche basta

Sono stato ospite della bellissima tre giorni di Legalmente organizzata dall’Associazione Legalità e Giustizia. Tre giorni belli. Intensi. Con poca partecipazione politica (a Firenze, eh) ma tante associazioni e presenze. Mi spiace che sia successo che all’organizzazione il direttivo provinciale di Libera abbia sconsigliato di invitare Giulio Cavalli e Marisa Garofalo: mi dicono che la sorella di Lea stia facendo troppe polemiche per non avere potuto partecipare al funerale della sorella e che Cavalli non vada invitato per il suo “alterco” con il Presidente Onorario, alterco  cui non ho partecipato rimanendo in religioso silenzio come suggeritomi da esponenti di Libera (ingarbugliato, eh?).

Mi chiama Salvatore Borsellino e mi dice di avere ricevuto una telefonata da un “alto” esponente di Libera in cui veniva invitato a “non dare credito” a me per un mio accordo con un pentito (sempre lui, eh, Bonaventura).

In Libera ho tanti amici e riconosco in Don Ciotti una forza vitale per questo Paese. E’ un’associazione che ha scritto le pagine migliori dell’antimafia e che coinvolge migliaia di giovani. Ha i suoi difetti, certo, come li abbiamo tutti, le sue debolezze. Ma chi si occupa (oppure “occupa”) di legalità se ha qualche informazione può denunciare con calma il tutto alla magistratura (tra l’altro le indagini proseguono, eh) e parlare chiaro. E’ il nostro pane. Per il resto anche basta. Abbiamo cose importanti di cui occuparci.

Centomila

Per la giornata organizzata da Libera per la memoria e l’impegno in ricordo delle vittime di mafie. E non può non essere che una buona notizia.

Mafia: oltre centomila a Latina per giornata memoria

Per il nostro bene

9788861903814_per_il_nostro_bene_3dbPER IL NOSTRO BENE è il libro sui beni confiscati di Ilaria Ramoni e Alessandra Coppola edito da Chiarelettere. Devo fare una precisazione importante: Ilaria è una delle persone più preparate, appassionata e appassionante sul tema antimafia che io conosca. Naturalmente scrivere un libro sui beni confiscati senza cadere nella retorica buonista dello scippo allo scippatore ma con la schiena diritta di chi sa e conosce un ideale antimafioso che stenta da troppi anni in Italia non è facile. Sulla questione dei beni confiscati abbiamo assistito in questi anni ad un lento e costante percorso di  mitizzazione che non rende giustizia alla realtà: basta una casetta minuscola di un insulso mafioso per fare del sindaco e o del prefetto di turno un eroe da fotografare con taglio del nastro, commozione e millanterie da intervista: roba da marchettari, cose così.

PER IL NOSTRO BENE entra invece a piedi uniti (e con preparazione giuridica, finalmente) sul ruolo mancante troppo spesso da parte dello Stato nella rivitalizzazione dei beni sottratti alla mafia e sulle tortuosità burocratiche di un cammino che troppo poco arriva a buon fine. Confiscare un bene non è solo sottrazione materiale alle mafie ma dovrebbe essere (e spesso non è) uno dei passaggi di un disegno globale di lotta al crimine e di crescita dell’economia legale del Paese. Per farlo avremmo dovuto avere una classe dirigente all’altezza del progetto che sventolava, e non è stato così. L’Agenzia Nazionale per la gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati non ha avuto (e non ha) i mezzi per diventare davvero il cuore e il cervello delle rinascite nei territori e troppo spesso alle associazioni o agli amministratori che hanno ricevuto il bene abbiamo chiesto di essere eroi senza nemmeno riuscire a guidarli e garantirli. Così oggi il tema del bene confiscato rimane buono sul piano ideale per le scolaresche ma fallisce sul piano imprenditoriale e ancora sentiamo dire che “la mafia almeno dava lavoro e pagava gli stipendi”, come ai tempi di Caselli con Andreotti.

Il libro è un manuale delle cose sbagliate che ha il coraggio e il cuore di non invitare al pessimismo ma alla consapevolezza costruttiva. E l’antimafia e questa Italia hanno bisogno come il pane di libri così.

Ecco un estratto del libro:

La villa di Tano Badalamenti a Cinisi, la reggia di “Sandokan” Schiavone a Casal di Principe, l’enclave dei Casamonica nella periferia romana, perfino una residenza principesca a Beverly Hills, proprietà di Michele Zaza, ’o Pazzo, re del contrabbando. E poi cascine di ’ndrangheta in Piemonte, tenute in Toscana, castelli, alberghi, discoteche, campi di calcio, maneggi. L’inchiesta di Alessandra Coppola e Ilaria Ramoni.

La serata è tersa, la brezza leggera. Capri è così nitida che quasi si distinguono i profili delle case. Ci fosse la luna, da qui, sopra Posillipo, si vedrebbero pure le onde del mare. Don Michele sorride: calma e buia, la notte ideale per un grosso carico.

Il terzo turno è il suo. Così è stato stabilito con i compari siciliani, e così racconterà il collaboratore Francesco Marino Mannoia: prima Tommaso Spadaro, poi Nunzio La Mattina, quindi gli scafi blu di don Michele, per ultimi gli uomini di Brancaccio. La «nave madre» attracca al largo, 35-40.000 casse per volta. Abbastanza per tutti, mafiosi e camorristi. In abbondanza per il più bravo, «’o Pazzo» che ha tenuto testa ai Marsigliesi e si è affiliato a Cosa nostra, ha venduto 5 milioni di chili di sigarette e fatturato 500 miliardi di lire. Il cuore matto perché malato, ma generoso per migliaia di dipendenti, sulle barche dipinte di blu come il mare o accanto alle cassette di frutta rovesciate a fare da tabaccherie clandestine. La testa fina, da guappo che capisce di commerci: «Usa ogni trucco per scaricare le sigarette nel proprio interesse, anziché in quello dei capi famiglia palermitani» racconta di lui, ridendo, Stefano Bontate a Tommaso Buscetta. Perché lo sanno tutti che nel settore è il numero uno, è lui «il re del contrabbando», don Michele Zaza, ’o Pazzo.

Questa villa è la sua. La terrazza sul mare, le piastrelle in cotto, le porte scorrevoli, la piscina. E poi, certo, anche il cancello blindato, le inferriate appuntite, gli appartamenti ricavati nel seminterrato per i suoi uomini, Attilio, Gennaro, Giuseppe «Biberon», le finestre strette e profonde che sembrano feritoie di un castello. Fortificato, ma chic: non per nulla si chiama La Gloriette. Gli altri rimanessero pure a Forcella o al Pallonetto. Don Michele ha orizzonti più ampi. Con i nipoti Mazzarella, controlla la costa da Santa Lucia a San Giovanni a Teduccio. Ma la moglie, Anne-Marie, è nata a Lione, e lui guarda alla Francia, a giri d’affari che varcano i confini. Una villa tra i ricchi napoletani, sulla collina di Posillipo, un’altra in Costa Azzurra, una terza su alture lontane, addirittura in California, a Beverly Hills.

Del resto, pensa don Michele, ha messo su un’impresa, ha rischiato e ha avuto successo. Se lo merita, pensa. L’ha spiegato anche alla tv: «Sono settecentomila le persone che vivono di contrabbando, che per Napoli è dunque come la Fiat per Torino. Qualcuno mi ha chiamato l’Agnelli di Napoli… Sì, certo, tutto potrebbe essere fermato nel giro di mezz’ora, ma per quelli che ci lavorano sarebbe la fine. Diventerebbero tutti ladri, rapinatori, borseggiatori. Napoli diventerebbe la città più invivibile al mondo. Invece questa città dovrebbe ringraziare i venti, trenta uomini che organizzano le operazioni di scarico delle navi di sigarette, quindi fermano la delinquenza». E si fanno ricchi.

Arriviamo a Posillipo dal Vomero, via Manzoni e poi via Petrarca, che su un lato sembra disabitata e invece nasconde un club esclusivo di ville, che nessuno vede ma qualcuno possiede, lungo le discese che portano al mare. Un’altra Napoli, verde e protetta. Alla portata di altre tasche.

L’appuntamento è al numero civico 50, accanto a un bar con terrazza e i sigilli di un sequestro, una vicenda diversa. Troppi soldi da queste parti perché siano tutti puliti. La guardiola del portiere con i vetri fumé, i parcheggi con le macchine di lusso, qualcuna provvisoriamente all’esterno, numerosi Suv, dicono ci sia anche una Bentley. Due ville del complesso sono ancora di proprietà dei figli di Zaza, convocati alle riunioni di condominio insieme alle associazioni che ora gestiscono la casa di papà.

Sono passati quarant’anni dalla stagione d’oro del contrabbando di sigarette, quando don Michele s’affacciava sul Golfo, quasi trenta dal sequestro, ma il fortino della Gloriette non ha ceduto: i mattoni di tufo sporgenti che simulano un bugnato, la terrazza che gira tutt’intorno con la vista perfetta da Punta Campanella a Coroglio, la piscina transennata ma in buono stato, il bassorilievo anni Settanta riemerso dietro un tramezzo, con figure di animali che sembrano simboli, un pavone, un boa, la sagoma di una donna senza volto. Ma anche una certa raffinatezza. In questo viaggio tra gli appartamenti e i gusti approssimativi dei mafiosi, un’eccezione.

Le chiavi le ha Aldo Cimmino: si è da poco laureato in giurisprudenza, con l’idea di preparare il concorso in magistratura, e collabora con l’associazione Libera. Entriamo dal garage nel seminterrato che alloggiava i «soldati» di Zaza, collegato al piano superiore da un cunicolo per le fughe improvvise. Stanze più piccole e buie, una dietro l’altra, le grate alle finestre, bagni, fornelli e il necessario per lunghi soggiorni.

Uomini armati e fidati sono indispensabili al boss. Col passare degli anni la faccenda del contrabbando si è fatta rischiosa. Sulle rotte delle «bionde» adesso s’innesta il più lucroso traffico di droga. E sulla scena criminale campana comincia a farsi strada la Nuova camorra organizzata di Cutolo. Zaza cerca una mediazione, ma nella sanguinosa stagione della lotta tra bande ha molto da temere. Il cuore malato gli regge a stento quando la polizia nell’81 lo blocca in auto, a Roma: immagina un agguato di cutoliani vestiti da agenti. È l’avvio di un decennio di arresti, ricoveri, evasioni e Costa Azzurra, ma con una salute sempre più incerta. Vincenzo Di Vincenzo, allora giovane cronista dell’Ansa, è l’ultimo a intervistarlo, nella villa di Villeneuve Loubet, nel ’91. Lo ricorda malconcio, in tuta da ginnastica, un’infermiera gli cala i calzoni per un’iniezione mentre lui parla: «Se rinasco un’altra volta – ride – mi metterei in politica». Intanto è ancora in affari, tra Nizza e Mentone ha fiutato il business dei casinò, lavanderie ideali per i suoi miliardi illeciti. Non farà in tempo. Catturato di nuovo ed estradato in Italia, morirà per un attacco di cuore nel tragitto tra il carcere e il Policlinico, a Roma, nel luglio del ’94, a cinquant’anni. Senza aver più fatto ritorno alla Gloriette.

Uno spreco. Quasi 140 metri quadrati seminterrati, più 200 del piano «nobile», più 800 di vialetti, terrazza, piscina e giardinetti. Ai quali si deve aggiungere un terreno di 11.000 metri quadrati pochi passi più in là, in uno dei posti più belli di Napoli, adesso occupato abusivamente da qualcuno nascosto nell’ombra. Una roulotte, degli stracci, un branco di cani che abbaiano rinchiusi in gabbie fatiscenti, quel che resta di una vigna, mangiata dalle erbacce, una traccia di pomodori. E ancora oltre, una selva incolta nella quale è difficile avanzare.

Diventerà un orto urbano, forse. Intanto, al piano di sotto della villa, Aldo ci fa immaginare una sala conferenze, una foresteria, uno studio di registrazione per Radio Siani, una sede di Legambiente e la segreteria di Libera, che dal dicembre 2010 ha la gestione del seminterrato. Sopra, dove ci sono terrazza e piscina, saranno montati gli scivoli per i disabili e sarà allestito un centro diurno «dedicato a persone con problemi di autonomia e integrazione sociale».

Confiscata in via definitiva nel 2001, La Gloriette in un primo tempo è stata mantenuta allo Stato (2005) per essere assegnata alla Questura di Napoli come sede del commissariato Posillipo. Trascorre un altro lustro, e non se ne fa nulla. Nel luglio 2010, la villa passa al Comune di Napoli, che affida il primo piano alla cooperativa L’Orsa Maggiore. Ci sono il progetto, i fondi per la ristrutturazione, già in parte avviata, l’idea di «una casa sociale in cui le persone si sentono accolte e riconosciute», ed è tutto spiegato in un sito web dettagliato. Navigando alla voce «eventi» nel pdf della brochure compare una nota a margine: «L’attivazione del Centro è attualmente sospesa per l’insorgenza di problemi tecnici relativi all’immobile».

Che tipo di problemi? «Di ogni tipo» sorride Fabio Giuliani. Già collaboratore dell’assessore alla Sicurezza Giuseppe Narducci (nella giunta de Magistris fino al giugno 2012), oggi nell’Ufficio nazionale per i beni confiscati di Libera, Giuliani conosce la questione da più punti di vista: «È il classico bene che non si sarebbe dovuto assegnare» ammette. Non prima di averlo liberato dai lacci, almeno. «Per il vincolo idrogeologico è intervenuto il Comune, che ha declassato l’immobile da R3 a R2», quindi l’ha sciolto. Resta l’abuso edilizio. Per il quale, a sorpresa, è venuta in aiuto la moglie di Zaza, Anne-Marie Liguori, in alcuni documenti italianizzata Anna Maria: «Per usufruire del condono si sarebbe dovuto fare richiesta entro 180 giorni dall’assegnazione da parte dell’Agenzia nazionale», possibilità sfumata. «C’era però la domanda di condono presentata dalla signora Zaza nell’89, che comprendeva un’oblazione pagata. L’amministrazione si è legata a quella e abbiamo risolto.» Manca il vincolo paesaggistico, «ma comunque abbiamo sbloccato l’ordinaria amministrazione».

«Due volte alla settimana si riunisce un gruppo di adolescenti con disabilità mentale» racconta la responsabile del progetto per L’Orsa Maggiore, Gabriella Bismuto. «E per i ragazzi che vengono da quartieri disagiati della periferia, abituati ad altri paesaggi, quella vista sul Golfo ha un potere terapeutico.» Nell’autunno del 2013 il centro dovrebbe avviare progetti più stabili. In futuro potrebbe addirittura nascere un’attività di catering e la villa potrebbe aprirsi a feste e banchetti organizzati dai «pazienti» dell’Orsa.

Finora resta, però, un recupero parziale. L’ex direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Mario Morcone, che ha fatto la sua prima uscita pubblica proprio alla Gloriette (e si è dimesso nel giugno 2011 dopo aver perso le elezioni a sindaco di Napoli, battuto da Luigi de Magistris) dice apertamente che i lacci «erano tutte cose superabili velocemente dal Comune», che «c’era anche il finanziamento di Fondazione per il Sud» e che è «una vergogna» che, dopo le telecamere, i discorsi e gli applausi, la villa di Zaza sia rimasta per tre anni a prendere polvere e salsedine.

Alessandra Coppola è giornalista del “Corriere della Sera”.
Ilaria Ramoni è avvocata e amministratrice giudiziaria, esperta in legislazione antimafia.

 

Il Governo Letta ha fatto Bingo

Sono riusciti a fare incazzare anche i “normalmente calmi” amici di Libera:

Il Governo Letta ha fatto bingo: Alberto Giorgetti, sottosegretario all’Economia, ha avuto la delega al gioco d’azzardo.

“Mentre nel paese si susseguono i casi di cronaca in cui il gioco d’azzardo è causa o concausa di eventi drammatici,” afferma don Armando Zappolini a nome della campagna nazionale Mettiamoci in gioco “si alzano da più parti inviti a limitare e regolamentare il fenomeno e vengono resi noti rapporti o notizie che rilevano la vicinanza tra la politica e i concessionari dei giochi, il Governo ha pensato bene di affidare una delega così delicata a un uomo da anni vicino ai concessionari. È inaccettabile che le tante voci che arrivano dalla società civile, dalla Chiesa cattolica, dai media, dai cittadini e dallo stesso Parlamento siano state misconosciute in modo così clamoroso. Dobbiamo perciò concludere, con rammarico, che per questo Governo la lobby dell’azzardo conta più di ogni altra cosa.”

Chi è Alberto Giorgetti.
Matteo Iori, presidente del Conagga (Coordinamento Nazionale Gruppi per Giocatori d’Azzardo) ed esponente della campagna, in una nota pubblicata prima della nomina evidenzia come Giorgetti non sia nuovo alla delega ai giochi, la tenne per anni sotto il governo Berlusconi, con grande piacere dell’industria del gioco. Fu con l’ultimo governo Berlusconi che videro la luce molte delle nuove proposte d’azzardo: dalle videolottery al win for life, dal bingo on line ai nuovi gratta e vinci, dalla proposta di sale per il poker dal vivo ad altre ancora; e Giorgetti fu colui che seguì sempre molto da vicino questo mercato in costante crescita. E di certo sull’importanza di questo settore non ha cambiato idea… A metà marzo 2013, partecipando all’Enada, fiera internazionale sugli apparecchi da gioco tenutasi a Rimini, ha rassicurato le industrie del gioco d’azzardo dichiarando: “trovo sconcertante che questo settore sia stato negli ultimi mesi sostanzialmente abbandonato a sé stesso”, e ancora: “non è immaginabile che un settore sostanzialmente in regime di monopolio debba affrontare una campagna complessiva di denigrazione senza precedenti”, e questo anche a causa di “numeri della ludopatia palesemente sovradimensionati rispetto all’impatto reale”. In pratica Giorgetti ritiene che il gioco d’azzardo vada ulteriormente sviluppato perché porta occupazione e denaro per le casse erariali, infatti: “una demonizzazione oltre che un’ eventuale iniziativa maldestra sulle awp (slot machine) porterebbe a un calo delle entrate per lo Stato”, mentre lui auspica che il Governo decida di “confermare una visione strategica in questa materia, che ha determinato crescita in questi anni, che ha determinato occupazione, ha determinato aspetti di interesse anche da parte di altri Stati”.

Ma non dobbiamo temere, tutto questo è fatto per il nostro benessere. Giorgetti, preoccupato per la nostra libertà, dice che quello del gioco d’azzardo “è un settore di tutela nei confronti dei cittadini e dei consumatori che possono, nella loro libera facoltà e scelta, decidere di avere un intrattenimento attraverso il gioco lecito”.

L’autocritica no

Ho letto il programma elettorale di Roberto Maroni. Lo so, sono fatto così, mi piace terribilmente conoscere prima di deliberare ed esprimere giudizi. Nessuna autocritica, nessuna.

Nella sanità (oltre all’amore smisurato per il fondo Nasko) non c’è un’autocritica che sia una su San Raffaele, Santa Rita, Fondazione Maugeri e tutte quelle altre cose lì. Nemmeno una. Per dire.

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Riparte il futuro.

Schermata 2013-01-16 alle 14.12.47Senza corruzione. Per questo ho aderito a questo appello e mi auguro che sia meravigliosamente virale. E vitale.

La corruzione è uno dei motivi principali per cui il futuro dell’Italia è bloccato nell’incertezza. Pochi in Europa vivono il problema in maniera così acuta (ci seguono solo Grecia e Bulgaria). Si tratta di un male profondo, fra le cause della disoccupazione, della crisi economica, dei disservizi del settore pubblico, degli sprechi e delle ineguaglianze sociali.

Il prossimo 24 e 25 febbraio verremo chiamati a eleggere i nostri rappresentanti in Parlamento. È il momento di chiedere che la trasparenza diventi una condizione e non una concessione, esercitando il nostro diritto di conoscere.

Per questo domandiamo adesso, a tutti i candidati, indipendentemente dal colore politico, di sottoscrivere 5 impegni stringenti contro la corruzione. Serviranno per potenziare la legge anticorruzione nei primi cento giorni di legislatura e per rendere trasparenti le candidature.

La tutela del lavoro nei beni confiscati

Schermata 2012-12-17 alle 12.14.36Al novembre 2012,  sono 1639 le aziende confiscate alle mafie. Circa 10 volte tanto sono quelle sequestrate. I settori più coinvolti sono il terziario, l’edilizia e l’agroalimentare. Il 37% in Sicilia, il 20% in Campania, il 12% in Lombardia.

Il 90% delle aziende sequestrate e confiscate fallisce. Tra il sequestro e la confisca passano circa 8 anni, con conseguenze sul patrimonio aziendale e sulla collocazione di mercato. Sono dagli 80 ai 100.000 le lavoratrici e i lavoratori coinvolti, esposti a licenziamento e disoccupazione.

Per queste ragioni Cgil, Libera, Arci, Acli, Avviso Pubblico, ANM e Osservatorio sociale sulle mafie Milano Lombardia, promuovono una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare tesa a favorire l’emersione alla legalità e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, che “sono un bene di tutti”.

La campagna ha come titolo “Io riattivo il lavoro

Le proposte di legge (che trovate in pdf qui) sono chiare e importanti. Perché, come dice il documento, combattere l’illegalità economica significa prima di tutto aggredire i patrimoni della criminalità organizzata, restituirli alla collettività e porli alla base della costruzione di nuove relazioni economiche sane e legali, che pongano il lavoro e la dignità delle persone al centro di un nuovo percorso di riscatto civile e sociale. Solo in questo modo il nostro paese può gettare le basi per uscire dalla crisi economica in cui versa. In Italia, infatti, l’economia sommersa, la pervasività della criminalità mafiosa, il malaffare e la corruzione hanno un costo pari a circa il 27% del nostro PIL1 un prezzo che costituisce una zavorra insostenibile, sempre più spesso scaricato sui lavoratori e le lavoratrici, sulle giovani generazioni e sui pensionati. 

Sarebbe da dire che è una bella “antimafia dei fatti” visto che ce lo sentiremo ripetere spesso dalle parti leghiste nelle prossime settimane, anche qui in Lombardia.

I moduli per raccogliere le firme sono qui. Stampiamo e facciamo firmare. E’ la politica che ci piace. Davvero.

Auguri Libera Como

Oggi nasce ufficialmente il presidio di Libera a Como nell’ambito della fiera “L’isola che c’è”.

In quel gruppo ci sono ragazzi con cui ci siamo confrontati in questi ultimi anni (nella Como delle locali di Erba, Canzo e Mariano Comense solo per stare in tema di ‘ndrangheta, e nella Como dei Fiori di San Vito e di Antonino Belnome) e per questo mi scappa di farvi gli auguri. Anche perché ogni volta che nasce un’associazione antimafia diventa inevitabile il dibattito sulle mafie. Quindi la vostra nascita è già un cambiamento di equilibri che può essere solo salubre.