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#liberalasedia

«Falcone non piaceva né a destra, né a sinistra»

Poiché la memoria è utile esercitarla confine leggere le parole di Giovanni Bianconi intervistato da Linkiesta. Sulle antipatie verso Falcone Bianconi esprime un concetto che in molti fingono di dimenticare:

«L’opposizione a Falcone è trasversale. Anche a destra non sono certo dalla sua parte. Però inizialmente la parte più di sinistra lo sostiene, così fa anche il PCI. A un certo punto però passa l’idea che lui non vuole andare oltre, che vuole fermarsi di fronte all’intreccio con la politica. Un’idea sbagliata, che non corrisponde in alcun modo al pensiero e all’azione di Giovanni Falcone. Lui vuole salvaguardare le indagini, far in modo che siano efficaci e giungano a sentenza. Detesta cioè l’idea dell’inchiesta-annuncio. Però Falcone è anche un magistrato ingombrante, che prende la parola, scrive sui giornali, dice a voce alta quello che pensa, sostenendo una verità scomoda come quella della necessità di riformare in modo drastico le modalità operative delle Procure per cercare di sconfiggere le mafie. Certo, lui si espone anche perché teme per la sua vita, usando la visibilità come strumento di difesa. Tutto ciò crea mille invidie, mentre a sinistra non piace l’idea di condizionare l’autonomia assoluta del pubblico ministero. Falcone ha in mente il modello americano, con forte separazione tra chi indaga e chi giudica.»

L’intervista è qui.

Di libri, traduzioni e vanità

(Francesco Pacifico su Studio scrive di libri e traduzioni:)

La traduzione ha un ruolo cruciale nella vita di un romanzo. Non è solo per il fatto ovvio che senza traduzione chi non parla quella lingua non può leggerlo: è anche perché i traduttori sono i migliori editor di un libro. Le critiche più sottili e mirate a un mio romanzo le ho ricevute da chi l’ha tradotto. Nessuno legge un libro più attentamente di chi lo traduce. Lo scrittore è troppo legato al testo, e dovrebbe far passare anni prima di poterlo analizzare con la lucidità con cui fa le pulci a un libro altrui. L’editor e il redattore leggeranno il più attentamente possibile, ma non potranno mai essere diabolicamente lenti e problematici come il traduttore, che deve riflettere su ogni giro di frase, descrizione o metafora. I lettori, poi, hanno il diritto di non pensarci troppo e se criticano un romanzo lo fanno soprattutto per il gusto di farlo, non per aiutare lo scrittore a migliorare, quindi le loro critiche saranno spesso inservibili.

Sono arrivato a pensare che un romanzo non è davvero finito finché non è passato nell’ingiusto colino di un’altra lingua. Il che è davvero paradossale e dice molto del fascino ambiguo del romanzo come forma d’arte. Quando leggiamo un romanzo straniero davvero bello, in qualche misura ci dispiace non conoscere il vero sound dell’autore: “Eh ma non l’ho letto nell’originale”. Dal punto di vista del lettore, il vero suono, sapore, colore di una lingua è nell’originale, e il lettore innamorato dei libri conserverà sempre il rimpianto di non parlare il russo. Ma dal punto di vista dell’autore, la traduzione mostra la tenuta del libro. Una fazione delle guerre ideologiche sulla traduzione considera la letteratura più o meno come il cibo: che senso ha provare a cucinare un piatto in un’altra parte del mondo, dove gli ingredienti sono diversi o hanno un altro sapore? Se il romanzo fosse al cento percento paragonabile alla cucina, questa fazione avrebbe assolutamente ragione. (Per principio io non ordino mai un piatto a base di mozzarella fuori dal centro-sud Italia.)

(continua qui)

#openlombardia Avere coraggio. In Lombardia.

Il mio intervento per Affaritaliani.it

Dunque domani arriva in Aula la mozione di sfiducia per il Governatore Roberto Formigoni. E, comunque vada, è un’ottima notizia: le vicende del governatore (e soprattutto degli amici dei suoi amici) hanno riempito le pagine dei giornali, intasato le agenzie di stampa ma sono sempre state fuori dall’aula. In un processo di alienazione che forse sarebbe da analizzare con responsabilità in un momento in cui lo scollegamento delle istituzioni esplode in tutta la sua gravità.

L’atto politico è importante perché il centrosinistra potrà raccontare (e ascoltare) quanto sia difficilmente sostenibile questa ridda di voci che mina l’istituzione democratica regionale alle radici: nelle fondamenta della credibilità. Non è una questione meramente giudiziaria (e il mio augurio è che non si strisci in Aula solo su quello) è molto più semplicemente una questione di opportunità. E’ opportuno che un amministratore di condominio sia in amicizia con tutti gli inquilini su cui pesano ombre? Ecco, la risposta è semplice. Qui non si tratta di avvisi di garanzia o di aspettare la giustizia sul fronte delle condanne; ogni tanto la politica (e la società “civile”) ha l’obbligo di un rinvio a giudizio morale e etico e questo, Roberto Formigon,i non può non averlo colto in queste ultime settimane.

L’occasione della mozione di sfiducia è utile anche per stanare le tiepidezze dell’UDC (si vota, sì o no, niente trapezismi politici) e, soprattutto, per vedere all’opera la Lega post congressuale: quella Lega che urla a gran voce di volere tornare alle origini e si dichiara non più disposta a tollerare inciuci. Vuoi vedere che la Lombardia così retorica e intollerante spesso contro i nemici sbagliati domani si risveglia capace di assumersi la responsabilità di non tollerare anche le prepotenze, le zone grigie e i potentati?

Ma la Lombardia del futuro non nasce sotto il cavolo di una mozione di sfiducia. Anche di questo dobbiamo prenderci la responsabilità. Perché non è pensabile (e sarebbe una triste strumentalizzazione politica) non raccontare che la Lombardia formigoniana non ha funzionato nei suoi decennali passaggi amministrativi, nell’inefficace difesa del territorio, nella gestione privatistica e privatizzata della scuola e della sanità, nel fallimento ambientale che espone intere province a situazioni di nocività insostenibili, in una politica che si sa pensare solo sistematica e sistemistica. Oggi Regione Lombardia (e chi vuole essere credibile nel governarla) deve dare risposte concrete sui temi che contano: il lavoro, i costi sociali, le opportunità da inventare e mettere in campo subito e sull’uguaglianza. L’uguaglianza che non è una bandiera da sventolare ma passa tra le stesse opportunità per tutti, senza passare da lobby antisociali, e che una volta per tutte deve rendere anche la politica più uguale ai cittadini che vorrebbe rappresentare.

Per questo la vera mozione di sfiducia a Formigoni è in un tavolo di programma serio del centrosinistra senza accorpamenti algebrici insulsi su sigle e partiti ma che passi dalle soluzioni da proporre. Perché partecipazione non significa trovare la forma più empatica e simpatica di comunicare qualcosa ma sta tutta nel praticare il cambiamento, tutti insieme. E la partecipazione e il cambiamento stanno in un programma semplice e chiaro di cosa faremo noi al governo della Regione e passa, lasciatemelo dire, da un percorso di coinvolgimento attraverso le primarie con regole e tempi certi da stabilire il prima possibile.