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Le cosche narrate 'in teatri di periferia' I nemici invisibili di Giulio Cavalli.

L’attore teatrale sotto scorta ad Affari: “La ‘ndrangheta a Milano? Per molti non esiste. E io sono minacciato da un nemico invisibile”

Di Francesco Oggiano e Antonio Prudenzano

Giulio Cavalli è uno sfigato. Come chiamare altrimenti uno che deve difendersi da ciò che non esiste? Non è mai vissuto un eroe senza un nemico. Anzi, la sua giustificazione la trova proprio in esso. Ecco, anche per questo Giulio Cavalli è uno sfigato. Se ne sta alla sua scrivania, nel soppalco del suo teatro di periferia, sommerso da una pila di documenti, con gli occhi blu attaccati al Mac, un po’ a navigare su Facebook e un po’ a scrivere i suoi testi.

LA VIDEOINTERVISTA
I TESTI – Già, i suoi testi: quelli che parlano di quello che non c’è. Prima quelli sulla strage dell’aeroporto di Linate, nel 2001; poi quelli sui turisti sessuali italiani; infine quelli sulla mafia, portati sul palco prima con “Do ut des – riti e conviti mafiosi”, del 2006, e poi con “A cento passi dal Duomo”, che ha debuttato lo scorso ottobre al Teatro della Cooperativa di Milano. Giulio Cavalli è uno sfigato perché in prima serata non reggerebbe neanche mezz’ora. Lui, con le sue parole, non solletica neanche un po’ la pancia dello spettatore. Non mette in scena boss, non recita baciamani, non descrive tavole imbandite per padrini. Piccolo, curvo e misurato, ogni sera vomita sul palco fatturati e cda, noli a freddo e movimento terra, appalti truccati e finanziarie lussemburghesi. Raccoglie i dati, li analizza e ne ricava scenari. Proprio per questo, dallo scorso aprile si è visto affidare una scorta dei carabinieri.

cavallivideo2IL TEATRO – Ma Cavalli è uno sfigato anche perché, pur educatissimo, non ci sa fare con i giornalisti. Ancora immerso nella sua pila di libri, con il suo mouse, le sue scarpe sporche, la sua sigaretta fatta a mano e il suo soppalco, finalmente leva gli occhi dal Mac e li indirizza verso i cronisti andati a trovarlo: “Sapete che non ho ancora capito che cazzo volete fare?”. Un’intervista, è la risposta. Accetta, spegne la sigaretta e li conduce di sotto, nel suo teatro, quello di periferia, vuoto. Apre il sipario, accende le luci e un’altra sigaretta.

“LA MIA VITA IDENTICA A PRIMA” – Quindi archivia subito la pratica che pesa, quella di cui tutti parlano: “La scorta è un fatto puramente tecnico, non è una medaglia. Una persona viene considerata bisognosa di una tutela da parte dello Stato affinché possa continuare senza rischi la sua attività professionale. La mia vita è identica a prima. Non ho ansie e non ho paure”. Però Cavalli una paura ce l’ha: dentro di sé odia il fatto che quel che dice possa acquistare spessore solo perché ha quattro carabinieri al fianco. “L’Italia è piena di persone sotto tutela: di magistrati, pm, giornalisti. Le persone che hanno più paura lo sai chi sono? Sono i pentiti di mafia, che hanno trattato una buonuscita con lo Stato e che si spostano con cinque poliziotti alle calcagna”.

“LA DIFFERENZA TRA ME E SAVIANO” – Il paragone, tuttavia, è inevitabile: “La differenza tra me è Roberto Saviano è tra raccontare storie e raccontare le nostre storie. A me non interessa raccontare la mia esperienza. Non è simbolica, non fregherebbe niente a nessuno. Roberto avrà accettato i consigli che gli hanno fatto ritenere giusto e intelligente raccontare l’ombra che le storie che ha raccontato proiettano sulla sua vita”.

LA ‘NDRANGHETA A MILANO – Cavalli è uno sfigato perché si appassiona a quello che non c’è. Lui non parla di Camorra, di Stidda o di Cosa Nostra. No: a lui interessa la ‘ndrangheta. E nemmeno la consorteria attiva in Calabria. No. Lui mette in scena le cosche attive nel Nord Italia, in particolare a Milano e provincia: “Racconto quarant’anni di mafia perché li ritegno dignitosamente drammaturgici. E soprattutto descrivo il negazionismo patetico di una parte politica di Milano, la milanesità come impermeabilità. Credo che la parola può far male allo stesso modo di un’inchiesta”.

QUEL RAPPORTO ADULTERO MAFIA-POLITICA – Eccolo, il teatro civile dello sfigato. Quasi un atto di lesa maestà contro le ‘ndrine e soprattutto contro i politici e gli imprenditori collusi. Perché, spiega, “la mafia in sé è poco credibile. È stomachevole nelle forme e nei contenuti. La potenza di cui si riveste e il controllo dei territori che ha ottenuto li deve a persone molto credibili che hanno deciso di accettare questo rapporto adultero. In Lombardia c’è una colpa che ha delle radici prettamente culturali. E per questo va fatto un lavoro culturale”.

cavalli

IL FIUME CARSICO DELLA ‘NDRANGHETA – Un lavoro che, come primo atto, deve radere al suolo i luoghi comuni: “Basta con questa balla di una ‘ndrangheta formata da quattro bovari emigrati con le valigie di cartone al Nord Italia. La mafia calabrese ha un’umiltà fantastica. Pensa solo a questo: quando quegli imbecilli di Riina e Provenzano progettavano l’attentatuni (l’attentato che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e ai tre uomini della scorta, ndr), le cosche calabresi fissavano i prezzi della droga del cartello di Medellìn. Altra differenza: Cosa Nostra è voluta diventare una Spa. Sognava una vera e propria struttura simile a un consiglio d’amministrazione, con quei quattro neuroni che si ritrovava. La ‘ndrangheta, più furba, si è comportata come un fiume carsico e ha arginato il fenomeno del pentitismo grazie alla sua struttura familiare, ottenendo molto più credito di fiducia nei confronti delle altre organizzazioni”.

L’ATTIVISMO ‘PASSIVO’ – Cavalli rifiuta l’attivismo ‘passivo’. “Delegare le responsabilità alla politica e ai politici è uno dei gesti più pavidi che esista. Li vedo questi giovani attivisti. Non capiscono che i politici decidono in base alle pressioni che gli pervengono e che possono spostare voti. Ormai dagli atti risulta che gli imprenditori milanesi non hanno più bisogno di essere minacciati. Accettano di buon grado di sottostare alle condizioni dei mafiosi, anche perché ne ricavano un vantaggio”.

UNA BATTAGLIA DI MEMORIA – Allora l’antimafia diventa una battaglia di memoria. Chi più ne ha più è forte. Certo è dura. In un Paese che non rinuncia al mare di luglio per andare ai funerali di Giorgio Ambrosoli; in un Paese in cui l’allora sindaco di Milano, Paolo Pillitteri, diceva che al “Nord la mafia non esiste”; in un Paese in cui “le intercettazioni sono solo le polluzioni di alcuni magistrati di sinistra”; “in cui si dice che Andreotti è stato assolto e non prescritto”.

IL SORRISO DEL MAGISTRATO BRUNO CACCIA – In un Paese, l’Italia, che non sa, o non vuole ricordare, chi era e com’è morto Bruno Caccia. Magistrato antimafia, è il primo a svelare i legami tra politica, imprenditoria e Cosa Nostra nella città di Torino. Muore ammazzato, una sera di giugno, mentre porta a spasso il cane, la sigaretta ancora in bocca, sotto la luce di un lampione, nel centro di Torino. Cavalli termina ogni suo spettacolo dedicandogli un monologo struggente: “Trovo triste un Paese che ha sempre bisogno di eroi”. Accende un’altra sigaretta, tira un paio di volte, socchiude gli occhi. Si concentra. Sta per fulminare i salotti buoni della società civile: “Concordo con chi sostiene che in Italia per fare la battaglia antimafia ci vorrebbe un morto eccellente l’anno. Si gioca molto a scovare storie e personaggi cui delegare completamente l’impegno. Vivi o morti, non ci bastano pochi simboli di una battaglia, purché venduti bene. I vari Roberto Antiochia, Beppe Montana… hanno combattuto la mafia allo stesso modo di Falcone e Borsellino”. L’attore fa riferimento alla fiction Il Capo dei Capi, accusata di aver mitizzato la figura di Toto Riina. “Io invece voglio parlare di quella mafia che come un’edera si attacca ai vuoti della politica. Bruno Caccia era un magistrato che l’aveva capito. Che aveva raccontato come la ‘ndrangheta avesse colonizzato il Piemonte, creando un cartello in combutta con Cosa Nostra. Ecco: Bruno Caccia era un magistrato competente, il cui assassinio è stato relegato negli articoli di spalla. Il teatro mi sembra un ottimo modo rendere giustizia a questa persona”.

“E ORA CHE HO BISOGNO MI RITROVO NEL TEATRO DI PERIFERIA” – Ma Giulio Cavalli è uno sfigato anche per un altro motivo. Resta lontano, chissà se per scelta o condizione, dai salotti teatrali. E non basta: gli sputa anche addosso. Ci si accorge di quando Cavalli sta per radere al suolo qualcuno: digrigna i denti, rallenta la parlantina, si protende col busto e lancia un’ultima occhiata all’interlocutore, per assicurarsi che abbia incassato il colpo. Poi passa ad altro: “A ben vedere non mi ritengo neanche un teatrante. Faccio il mio lavoro in un teatro e, se il luogo determina la professione, allora sì: sono un teatrante. Faccio teatro anche al bar, ma non mi ritengo un cameriere. Al momento il teatro italiano è una prostituta che fa la spola tra Camera e Senato. Non so neanche se esiste un teatro civile. Ogni tanto vedo qualcuno che fa l’impegnato. Poi, una volta guadagnatasi la targhetta sul citofono, si riguarda e abbassa i toni. Se il più rivoluzionario è un vecchiaccio mezzo cieco e mezzo e mezzo sordo come Dario Fo, allora…”. Ha il dente avvelenato. Molti teatri di città gli hanno chiuso le porte del suo spettacolo: “Mi sono ritrovato a fare il maggiordomo di funerali pettinati nei grandi teatri ed ero perfetto come portabara. Nel momento in cui io ho avuto bisogno, eccomi qui: mi sono ritrovato nel teatro di periferia”. Un vero e proprio sfigato.

DA AFFARI ITALIANI

http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/giulio_cavalli_cento_passi_duomo_mafia_milano241109.html

Un appello per non essere barbari in mezzo ai Barbaro partendo dal palco di Buccinasco

GERMANY SHOOTINGSDomenica 15 novembre sarò in scena a Buccinasco alle 21,15 presso l’auditorium Fagnana (Via Tiziano 7) a mettere in scena A 100 PASSI DAL DUOMO. Per un teatrante dovrebbe essere una buona notizia. Normale. Ma quella domenica non è una data normale. Anche se è una buona notizia.

Normalmente un Arlecchino arriva in piazza, sbuffa la polvere dai costumi e soffia sulla maschera; non conta le uscite della sala mentre si matematica in testa le proiezioni delle facce dei presenti.

Normalmente un Arlecchino tende sgraziato con il sorriso, si curva e urla, gioca a sversare le pance e gli occhi, prima dell’inchino piegato in due e il giro tra il pubblico con il berretto; non tiene in mano le sentenze stropicciate per uno spettacolo di legittima difesa in una regione in cui le analisi sono masticati come beceri allarmi.

Normalmente un Arlecchino divide il suo pubblico (con la chiarezza banale di un colino) tra divertiti, indignati e sdegnati; non sogna nemmeno negli incubi peggiori che ci siano armi.

Normalmente un Arlecchino recita, sorride e inquadra il certo semplicemente in modo diverso; non svela.

Normalmente un Arlecchino non suda per preservare la dignità; dovrebbe ruzzolarsi superficiale nello sterco.

E invece lo sterco ce lo siamo ritrovati nella tazza ogni mattina. Per una normalità della dignità che per demeriti di altri diventa addirittura eroica ed eccezionale. Per un gioco continuo a delegare a pochi la responsabilità della solidarietà che dovrebbe essere di tutti.

Perchè per un gioco malato di responsabilità che crescono come gli arbusti delle favole, sei tu che devi vomitare lo sterco cercando di restituirlo.

Per questo domenica non è una data normale. Perchè domenica è la “riunione condominiale” degli affezionati alla giustezza prima ancora di questa giustizia dagli emendamenti illegali. Quelle serate in cui lo spettacolo è solo un pretesto per contarci e guardarci negli occhi con la bellezza di essere “noi” e “insieme”.

Perchè il negazionismo e la superficialità nell’osservazione hanno garantito la carsicità di un fenomeno peloso e pavido come quelle manciate di ‘Ndrine che si spompinano con Cosa Nostra. E in un gioco di saliva e sugo hanno partorito le uova delle generazioni successive molto più professionali nell’apparire degne o almeno civilizzate.

Ma con la parola non vi salveremo. Osserveremo i barbari dei Barbaro, Sergi e Papalia e tutti gli altri in giro per la Lombardia. Perchè la nostra parola è l’uncino per alzare la coperta e mostrarvi ridicoli e nudi. Confiscando la vostra banalità per una parola ostinata. E degna.

Per urlarvi in faccia che siete “sotto osservazione” da parte di una società civile che non vi offre più il caffè.

Giulio Cavalli

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Come ci racconta puntualmente Arianna Cascione su blogosfere sull’ultima operazione PARCO SUD la ‘ndrina Barbaro-Papalia è radicata nell’hinterland sud di Milano da 30 anni. L’operazione è il risultato di un’indagine durata due anni. Sotto accusa anche il traffico di stupefacenti e di armi e numerosi episodi estorsivi e intimidatori ai danni di imprenditori che non accettavano di piegarsi alle richieste del clan.

Il procuratore capo di Milano Manlio Minale ha parlato di un’operazione “che ha accertato per la prima volta come alcuni imprenditori lombardi si siano sottomessi all’associazione mafiosa, l’abbiano fiancheggiata, approfittando per propri fini”.

Come segnala Repubblica infatti tra i soggetti arrestati ci sono imprenditori edili e immobiliari che hanno accettato le logiche mafiose e un perito arrestato di corruzione dopo aver accettato una mazzetta per agevolare un’operazione economica della cosca. Risultano indagati alcuni dipendenti di amministrazioni comunali addetti al rilascio di pratiche edilizie e un cancelliere del tribunale.

Gli arrestati appartengono alla cosiddetta ‘terza generazione’. L’organizzazione aveva il monopolio del movimento terra e dello smaltimento rifiuti. Era infiltrata anche in cantieri come il raddoppio della Milano-Mortara e la Tav.

L’imprenditore Andrea Madaffari diceva in una intercettazione:

“Tu sai meglio di me, nell’edilizia bisogna spesso rispettare degli equilibri. A volte devi dare la possibilità di fare delle demolizioni a qualcuno, altre volte la costruzione all’altro… è un discorso di reciproche soddisfazioni…La comunità calabrese è assolutamente ben radicata e quindi siamo circondati, a parte che siamo noi tutti calabresi.. quelli che fanno gli scavi è gente di Platì”

Il Madaffari e il socio Alfredo Iorio (presidente del Cusago calcio) puntavano all’acquisto e alla ristrutturazione del castello di Cusago, dove riciclare milioni di euro. Ne parla anche GiornaleLibero.com.

Per convincere gli imprenditori a stare dalla loro parte, come riporta il Corriere, la cosca utilizzava metodi ben precisi:

“auto­mezzi fatti saltare in aria, agen­zie immobiliari bruciate, gente dubbiosa persuasa da colpi di pistola sparati alle finestre del­la camera da letto, un perito del Tribunale corrotto per comprare a prezzo straccia­to un prezioso terreno alle aste giudiziarie. E imprenditori mezzo terrorizzati e mezzo col­lusi con chi tra l’altro dava asi­lo a un latitante in fuga dal­l’Aspromonte; seppelliva detri­ti non nelle apposite discariche ma in un cantiere sulla linea ferroviaria Milano-Mortara; e in una Lancia Lybra nascosta in un box di Assago custodiva un arsenale di mitragliatori, pisto­le semiautomatiche, fucili, bombe a mano di fabbricazio­ne jugoslava”

Ilda Boccassini lancia un appello ben preciso:

“Gli imprenditori devono capire che devono stare con lo Stato o contro lo Stato”

«Non è un merito essere sotto scorta»

La carovana contro le mafie ha fatto tappa in città ieri: hanno parlato l’attore minacciato dai boss e il regista Figazzola
Cavalli: «Il contrasto alle cosche deve essere un’attività condivisa»

La lotta alla criminalità organizzata non deve essere un atto eroico e solo di alcuni, ma un costume ordinario che riguarda tutti. Un sussulto di «dignità» che si muove nel pieno rispetto della Costituzione, che invita i cittadini a contribuire «al progresso morale» della società. È questo l’appello che l’attore e regista Giulio Cavalli ha rivolto agli studenti dell’Itis ieri mattina. Un intervento pubblico all’interno della tappa lodigiana della carovana antimafie, che ha in programma due giorni di dibattiti e incontri sulla legalità. «Il contrasto alle cosche dovrebbe essere un’attività del tutto ordinaria e condivisa. Per questo se sono sotto scorta non è da ritenersi un merito, ma un demerito di tutti gli altri – spiega l’uomo di spettacolo, colpito da minacce mafiose e protetto da alcuni agenti – è come se mi fossi chinato un attimo per raccogliere un accendino e improvvisamente mi sono accorto che gli altri avevano fatto un passo indietro». L’appuntamento per riflettere su giustizia e diritti, oltre che sul contrasto alle mafie, è cominciato dalle scuole. Dal mattino molti degli alunni del liceo Gandini e istituto Itis del capoluogo si sono confrontati con alcuni personaggi impegnati nella società e nel mondo della cultura. Dopo un’introduzione del dirigente scolastico Itis, Luciana Tonarelli («é un orgoglio per noi ospitare questa iniziativa, che invita tutti ad essere testimoni della legalità»), e la presentazione da parte di un’insegnante e rappresentante dell’associazione Adelante, ha preso la parola all’istituto tecnico l’attore sotto scorta Giulio Cavalli. E ha ricostruito la genesi della sua opera, nata dalla volontà di sbeffeggiare il falso onore degli uomini mafiosi. Capi molto rispettati, che guardati con attenzione si rivelano «davvero comici»: «Basti pensare a Provenzano con i suoi celebri pizzini, oppure a Totò Riina, una persona che in vita sua non deve aver mai preso un congiuntivo», dice l’attore lodigiano. E ancora ha puntato il dito sulle diverse ramificazioni dei clan che arrivano fino a noi, con i sospetti di infiltrazioni che raggiungono anche il Lodigiano. Poi ha preso la parola anche il regista Roberto Figazzolo, coordinatore di un cortometraggio dal titolo “Librino? Una favola”, racconto-testimonianza di un’esperienza svolta in una località alle porte di Catania, grazie all’apporto di alcuni bambini del posto. Infine al Gandini di Lodi le classi sono state divise in gruppi e sono stati realizzati dei laboratori tematici con gli alunni, guidati da personaggi come la direttrice del carcere, Stefania Mussio e Adriana Cippelletti del comune di Casale, che ha introdotto al tema dei beni confiscati alla mafia, oltre ad altri ospiti illustri. Sempre al mattino si è tenuto anche un incontro alla casa circondariale di via Cagnola con l’autore Carlo Barbieri, autore di “Le mani in pasta”.Matteo Brunello

DAL CITTADINO L’ARTICOLO QUI

Mafia e potere a Milano, una piece che non fa ridere

di Giulio Cavalli e Gianni Barbacetto (dal testo di A Cento passi dal Duomo) su Terra della domenica – 1° novembre 2009
Gli affari, gli appalti, l’assalto all’Expo.

I boss stanno a cento passi da palazzo Marino, residenza del sindaco Letizia Moratti.
O l’hanno già percorso quel tratto di strada che li separa dal palazzo della politica e dell’amministrazione? Certo, qualcosa di marcio l’hanno già fatto nell’hinterland e in altri centri del milanese. Uno stralcio del testo teatrale, musicato da Gaetano Liguori, che è una graffiante denuncia sul malaffare in Lombardia

Qualcuno si è allarmato? per questo incesto tra uomini della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l’emergenza è quella dei rom. O dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). Quando scippano un rom magari è proprio un trionfo. La mafia a Milano non esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. “Non appartiene a questa città” come dice l’appunto lieta Letizia Moratti sindaco in carica. Se la cronaca è nera, nerissima allora è solo un problema di lavaggio, di temperatura, di ammorbidente della distrazione.
A Milano che “la mafia non esiste” o ormai la sindachessa ha provato a ripeterlo ovunque dai consigli comunali, alle televisioni in prima serata fino ad abusarne favoleggiandoselo (probabilmente) la sera per addormentarsi. Non soddisfatta ha poi lanciato comunque la commissione comunale antimafia che è durata poco meno di uno starnuto (come un Lazzaro non risorto per un pelo) per rimangiarsela subito dopo adducendo competenze prefettizie che non andavano scavalcate. Ora, saputo in agosto che nella “Milanoland delle fiabe” un’intera cittadella è in mano alla criminalità organizzata come segnalato dal pm Nicola Gratteri (che di ‘ndangheta un po’ ne conosce avendone studiato la storia, morsicato alcune locali e reativi capibastone e annusandone tutti i giorni l’odore tra gli stipiti blindati che il suo lavoro gli impone) la sindachessa e la politica milanese tutta rimbalza responsabilità di intervento a non precisati enti o ruoli. Mentre
La Russa si ridesta invocando l’esercito. Intanto tutti felici e contenti concordano nel ritenere i 6 caseggiati popolari di Viale Sarca e via Fulvio Testi in mano agli onomatopeici fratelli Porcino (bossetti di periferia legati alle cosche di Melito di Porto Salvo), i nomadi Hudorovich e i Braidic semplicemente un “neo”, una pozzanghera piccola piccola in quel placido, enorme e ligresteo tappeto di cemento che è il capoluogo lombardo spiato dall’alto.
Negli uffici della Direzione Nazionale Antimafia Enzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia, parla da profeta inascoltato. «Che la ‘ ndrangheta stesse colonizzando Milano lo dicevo negli anni 80. L’ ho confermato due anni fa e i fatti mi danno ragione. Ora c’è l’ Expo e non so più come dirlo».
Stupirebbe questo atteggiamento impermeabile in un paese normale, dove normalmente i politici dovrebbero essere eletti per prendere posizione, dare segnali forti e non solo per banalmente amministrare capitoli di spesa e distribuire (scaricandosene) ruoli e responsabilità. Qui non si tratta di disquisire i ruoli di governo e ordine pubblico come stabilito dalla legge; qui si rimane a supplicare un segnale, un lampo in cui ci si illuda che Marcello Paparo non possa sentirsi “libero” di collezionare bazooka come nei peggiori scenari di desolazione metropolitana post industriale, o Morabito non sfrecci impunito a parcheggiare il ferrarino in un posteggio dell’Ortomercato con l’arroganza di uno zorro a quattro ruote, o che Andrea Porcino (classe 1972, giusto per identificarlo meglio là fuori dal suo fortino dove gioca a seminare terrore) possa addirittura inventarsi intermediario con arie da tour operator mentre raccomanda ai secondini del carcere
milanese di San Vittore dei buoni servigi e una residenza confortevole per i suoi amici Nino, Ettore e Massimo.
L’impunità dentro le teste (oltre alle tasche) dei capibastone ‘ndranghetisti o dei prestanome camorristi o dei ragionieri di Cosa Nostra in Lombardia è una responsabilità politica. Risolvibile semplicemente con la voglia e l’onestà di volere dare al di là di tutto un segnale. Per restituire dignità anche nella forma.
Una regione che controlla la carta d’identità di un mojito e cammina su fiumi di cocaina. Una regione che s’abbuffa alle conferenze stampa delle grandi opere e che inciampa al primo gradino del primo subappalto. Una regione che convoca gli stati generali dell’antimafia per ribadire di stare tranquilli. Una regione che ci convince di aver risolto tutto spostando i soldatini del Risiko con la scioltezza di un tiro di dadi. Una regione diventata maestra perspicace nel strappare con la pinzetta delle ciglia l’allarmismo mentre grida all’emergenza dei rom che scippano le nonne. Una regione che se il fenomeno criminale non emerge allora non esiste. Una regione che mette i moniti dei procuratori antimafia nei faldoni di “costume e società”. E intanto ride. Nel riflesso degli eroi diventati onorevoli che “la mafia l’hanno debellata decenni fa” e se così non fosse è semplicemente perchè non l’hanno mai trovata.
Una regione che è sacerdotessa della clandestinità diventata finalmente illegale e intanto finge di non sapere che l’illegalità pascola clandestina.
Ma c’è un tempo che è quello della memoria che supera le circostanze brevi della politica tutta a parare i colpi mungendo voti: la memoria sulla pelle dei nostri figli, delle prossime generazioni, quella che non entra nei libri di storia ma rimane sotto pelle come una traversata nella stiva mai raccontata. E allora pagheranno pegno davanti alla storia tutti i politici pavidi, cravattari amministratori tra la casetta in centro e l’incenso delle sciantose; pagheranno i sindaci dell’ “insabbia et impera” e i tranquillanti per professione. Pagheranno l’ignoranza e la persecuzione di uno stuolo di attivisti messi al muro per discolparsi di uno sguardo fatto di fatti. Sorrideranno a leggere che qualcuno, metti per caso un politico di una città qualsiasi, calpestando i cadaveri delle antiestetiche vittime milanesi delle mafie, sia riuscito a mettersi nella situazione di dover essere smentito per un allarme che da decenni è già rientrato perchè
metabolizzato: endovena, silenzioso. Impunito, appunto.
Nel gioco dei segnali così caro alla pochezza criminale, se esistesse un santo dell’estetica contro il diavolo della politica per comunicati stampa, da domani partirebbero le ronde della legalità nei crani dei politici a cercare con il lumicino la responsabilità della dignità.
E allora, e allora sarebbe da andare in giro a spararla questa storia che insiste per non farsi raccontare. Sarebbe da scriverla sulle bustine dello zucchero per la colazione giù al bar, sarebbe da registrare nella radiosveglia, gridarla nei microfoni delle casse al supermercato. Una regione che racconta tutti gli anni con il grembiulino Libero Grassi mentre in via Verdi a Milano, di fianco alla Scala, un gioielliere deve impachettare ventimila euro come regalo di Natale. Una regione che proietta Peppino Impastato per comprarsi indulgenze e non riesce nemmeno ad annusare Antonio Galasso a Pieve Emanuele, i Rispoli di Cirò che orto fruttano a Legnano dove Vincenzo apriva tutte le mattine la Bidi bodi bu, i gelesi a San Giulioano e Melegnano, gli Iacono della Stidda dei Madonia con un centro estetico e impresa edile a San Donato, o Francesco Perspicace: nato a Caltagirone una cinquantina di anni fa ma esportato a Sant’Angelo Lodigiano da un bel pezzo
con un’impresa di pulizie, una quota in “iniziative immobiliari” e una fedina penale di 16 anni di condanna per una sparatoria in via Faenza il 9 maggio 19
98. Un’altra agenzia, la Ad Case, vede tra i soci Ferdinando Perspicace di Caltagirone e per non farsi mancare niente anche, in passato, Arturo Molluso, dell’ omonima famiglia originaria di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria. Hanno messo le radici a San Donato i Molluso e sono considerati legati ai clan Cappelli-Pipicella e vicini ai Calaiò. Uno di loro, Pasquale Molluso, è socio della Gra immobiliare. Il trentaquattrenne Arturo, residente a Spino d’ Adda, è presente anche in altre agenzie, come la Mocasa, sede a Milano in via Riva di Trento.
Nomi, nomi, fatti, scie con i numeri e l’impeto di un fiume prima della cascata ma con il rumore di un rivolo. Ma non potranno essere sempre impuniti, impuniti loro e impuniti tutti quelli che non sentono e non vogliono sentire, in una palude di immobile e latente inciviltà dove informare è un atto di coraggio. Non si potrà stare a lungo impuniti a forza di giocare a fare i sordi: magari mangiati, comprati, giudicati, annessi o complici. Perché il silenzio è complice, silenzio è pace, il silenzio è calma, il silenzio è rosa.

Una breve non presentazione
di Pietro Orsatti

Ho conosciuto Giulio Cavalli qualche anno fa. Io avevo terminato da poco un’incheista sul turismo sessuale in Brasile, lui stava realizzando uno spettacolo (Bambini a dondolo) sullo stesso argomento. Mi ha chiamato e ci siamo incontrati dopo pochi giorni. Lui è fatto così, un progetto, due parole, si costruisce e si va in scena.

Giulio già veniva da spettacoli di denuncia. Uno sull’incidente di Linate, un altro sui fatti di Genova. E già stava lavorando alla preparazione di Do Ut Des, uno spettacolo sulla mafia, anzi uno spettacolo di completa presa in giro del fenomeno e della cultura di Cosa nostra che lo ha portato, subito dopo la prima, ad avere minacce. Minacce che nei mesi si sono fatte tanto insistenti da creare il paradosso: Giulio Cavalli, da Lodi, è stato minacciato dalla mafia (sempre a Lodi) e per questo è l’unico attore italiano che vive sotto scorta.

La condizione gli va stretta, ma non ha certo mollato questo piccolo testardo lomabardo. E ora va in scena con A 100 passi dal Duomo scritto con Gianni Barbacetto. Come dire, «se mi devono minacciare che almeno mi minaccino i mafiosi di casa mia». E così si va avanti, fra una macchina di scorta e un albergo presidiato, fra un palco sorvegliato a vista e la paura di aprire la buca delle lettere. Però ridendoci su, se ci si riesce.

Tratto da: orsatti.info

L’ARTICOLO QUI

10 novembre: Giulio Cavalli alla CAROVANA ANTIMAFIE 2009 a Lodi

Programma Carovana Antimafie 2009

10 – 11 novembre 2009
MATTINA
9.00 – 13.00
Lodi
Liceo Scientifico Gandini
Gruppi di lavoro
– Carcere e territorio. Incontro con Stefania Mussio, direttore della Casa Circondariale di
Lodi.
– Informazione,il limite di informare. Incontro con l’Avv. Caterina Malavenda
– Migranti, dialogo tra i popoli. Incontro con Don Davide Scalmanini, direttore della Caritas
di Lodi.
– Lavoro e precariato. Incontro con Ornella Veglio esperta e consulente del lavoro.
– Prevenzione sulle infiltrazioni mafiose nelle grandi opere. Incontro con Alessandro De Lisi,
giornalista e consulente della Commissione Nazionale Antimafia.
– Doping. Incontro con Antonio Marchetti, Responsabile U.I.S.P – Lodi
– Vecchie e nuove droghe. Incontro con Peppo Castelvecchio – Responsabile Comunità il
Pellicano di Castiraga Vidardo
– Beni confiscati. Incontro con Adriana Cippelletti Ufficio Istruzione Comune di
Casalpusterlengo
– Sicurezza Stradale. Incontro con Dott. Mattia La Rana, direttore Scuola Allievi Agenti
Polizia di Stato di Piacenza.
9.00 – 13.00
Lodi
Istituto ITIS
“La mafia dal Nord al Sud”
Interventi di Giulio Cavalli e Roberto Figazzolo
Proiezione del “corto ”Librino? Una favola” regia di Roberto Figazzolo, Italia
2008, 8′ e intervento di Giulio Cavalli, con letture tratte da “Nomi, cognomi e infami”.

10.30
Carcere di Lodi
Incontro con Carlo Barbieri autore de “Le mani in pasta”, un racconto dell’esperienza delle
cooperative che gestiscono in Sicilia le terre confiscate ai mafiosi.
12.00 – 12.30
Lodivecchio
Aperitivo della legalità presso il Circolo Arci
13.00
Lodi
Pranzo della legalità presso il Circolo Arci (€ 15), via Maddalena.
Info e prenotazioni entro l’8 novembre al 0371426137 (sig.ra Bruna)
circoloarci1@tin.it
POMERIGGIO
16.30-17.30
Lodi
Comune di Lodi
Pierpaolo Romani, coordinatore di AVVISO PUBBLICO, Associazione di enti locali e regionali
per la formazione civile contro le mafie incontra i Sindaci del Lodigiano.
18.00 – 19.30
Lodi – Centro commerciale MyLodi
Presentazione della mostra fotografica: “Il profumo della libertà”
Il racconto attraverso immagini di una Sicilia onesta, fatta di volti, sorrisi, case, campi coltivati e
vigneti sorti nei terreni confiscati ai boss mafiosi e rinati grazie ai giovani che vogliono vincere le
intimidazioni, le bombe, il pizzo e la paura.
Introduce Daniela Faiferri – CDA Coop Lombardia e Francesco Galante
, della cooperativa siciliana Libera Terra Mediterranea
Aperitivo con i prodotti di Libera, provenienti dai terreni confiscati alle mafie – offerto dal
comitato Soci Coop di Lodi
21.00
Lodi
Aula Magna Liceo Verri
“Le mani sul Nord. Quarant’anni di storie di mafie”
Incontro con Giulio Cavalli, attore e Paolo Colonnello, giornalista de La Stampa

11 novembre 2009
9.00 – 13.00
Istituto ITIS
Incontro con Francesco Galante, della cooperativa siciliana Libera Terra Mediterranea che opera
sulle terre del Consorzio di Comuni “Sviluppo e Legalità” in Sicilia ove effettua l’inserimento
lavorativo di soggetti svantaggiati, creando opportunità occupazionali, ispirandosi ai principi della
solidarietà e della legalità.

LIBERA. Seconda giornata di Contromafie. La parola ai gruppi tematici: lavoro, diritti umani, economia.

Oggi l’assemblea plenaria e l’approvazione del manifesto conclusivo. Il ruolo dei media per un’informazione alternativa.

Ieri seconda giornata di lavori di Contromafie, gli Stati generali dell’antimafia organizzati da Libera in corso a Roma. Un giorno di lavoro intenso sui tanti temi che affronta la rete di associazioni presieduta da don Luigi Ciotti. Il movimento è al lavoro, attraverso gruppi tematici. Diritti umani e migrazioni, cittadinanza, libertà di informazione, politica della legalità, testimoni di giustizia, economia (dai beni confiscati all’antiracket). Lavoro, riunioni, scambi di informazioni e contatti di centinaia di realtà e associazioni che operano su tutto il territorio nazionale, e non solo nelle regioni che subiscono un’alta densità di penetrazione mafiosa.

Ma il tema centrale rimane, come ha dichiarato in apertura don Ciotti, «l’istituzione di un’Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati e l’approvazione di un testo unico in materia di legislazione antimafia». Certo, ricorda il presidente di Libera, «alcune modifiche sono state introdotte, ma senza quell’organicità che è un requisito fondamentale perché la normativa sia davvero efficace ». E l’attenzione, nonostante la distanza, è anche a quello che sta avvenendo in queste ore in Calabria sulla vicenda delle navi cariche di scorie affondate nel Tirreno e nello Jonio e dopo la grande manifestazione di ieri ad Amantea. Anche su questo don Ciotti è categorico: «Continuiamo a sollecitare l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale».

Un tema, quello dei traffici di rifiuti, che porta anche a una nuova consapevolezza. «C’è un’Italia che ha compreso come il fenomeno mafioso sia un problema nazionale, non solo: internazionale ». Ovviamente nei corridoi sono le notizie che arrivano da Palermo a tenere banco, le inchieste sulle stragi del 1992/93 e sulla presunta trattativa fra Stato e mafia. «Sono già passati diciassette anni, se perdiamo questa occasione di sapere non avremo mai la verità su quei fatti». Ma il variegato popolo di Libera che si è dato appuntamento a Roma, non si lascia distrarre dal fitto programma di lavoro. I gruppi tematici sono la vera novità, già dalla sua prima edizione, di questo evento.

È il gruppo di lavoro sull’informazione, coordinato da Roberto Morrione, ex direttore storico di Rainews24 e ora a Liberainformazione, quello più affollato. E anche quello con il dibattito più acceso. Perché sui temi dell’informazione, della comunicazione delle relazioni delle mafie con i mondi della politica e dell’economia l’allarme è generale. Il tema delle mafie, se non per fasi “spettacolarizzate”, rimane tagliato fuori soprattutto dai media televisivi. E anche la carta stampata sta peccando di sottovalutazione, se non di vera e propria amnesia collettiva. Tanti gli esperimenti di informazione alternativa, dalle free press autopro- dotte dai comitati locali, ai siti web, ormai veri e propri motori di un nuovo modo di comunicare e diffondere documentazione e inchieste. E il giornalismo?

«Da quanto non vengono contrattualizzati i giornalisti che si occupano di mafia? A quanto tempo risale l’ultimo contratto giornalistico (articolo 1), tanto per fare un esempio, a Repubblica?», si domanda Riccardo Orioles, uno della squadra de I Siciliani di Beppe Fava. La risposta che si dà il gruppo di lavoro è, in pratica, l’alternativa dai media tradizionali. Altre forme di comunicazione diventano strumenti di informazioni. Dal teatro di Giulio Cavalli ai tanti libri inchiesta che poche ma agguerrite case editrici coraggiose riescono a pubblicare. E non si tratta solo di effetto Gomorra, perché qui è evidente la consapevolezza che Saviano abbia avuto un ruolo ma che la quotidianità dell’informazione sia tutt’altro dal successo di un libro.

Pietro Orsatti

DA TERRA NEWS

L’ARTICOLO QUI

Antonio Ingroia, Giulio Cavalli e Peter Gomez presentano “C’era una volta l’intercettazione”

Antonio Ingroia, Procuratore dell’Antimafia di Palermo, sarà ospite della libreria per presentare al pubblico il suo libro “C’era una volta l’intercettazione” (http://www.stampalternativa.it/libri/978-88-6222-092-7/antonio-ingroia-/c-era-una-volta.html).
Alla serata parteciperanno anche, come relatori, Peter Gomez (http://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Gomez) e Giulio Cavalli (http://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Cavalli), attore, scrittore e regista italiano.

Mercoledì 21 ottobre alle ore 18.00, Milano Spazio MilanoNera c/o Libreria Mursia via Galvani 24.

Recessione e mafie 3 – L’Africa e le vie della droga

africadi Carlo Ruta

Più di qualsiasi altra parte del globo, l’Africa evoca calamità e regressioni militari, nondimeno costituisce, oggi più che in passato, un mondo eterogeneo, anzitutto sotto il profilo economico. Se l’immensa regione centrale, di cui è emblema Korogocho, la “favela” più popolosa del mondo, rimane infatti irriducibilmente povera, l’intera fascia settentrionale va progredendo, agganciandosi addirittura al trend di paesi come India e Cina, che in questo momento, come detto, fanno argine alla recessione. Tutte le regioni continentali sono comunque accomunate da un fenomeno in crescendo, la domanda di narcotici: dalla cannabis che, secondo l’Unodc, copre il 63 per cento dei consumi continentali di droghe, alla cocaina, che copre in Africa il 20 per cento della domanda globale. Tenuto conto delle enormi sacche di povertà del continente, tutto questo può apparire paradossale. Testimonia comunque quanto il narcotraffico possa discostarsi dalle logiche della normalità economica, in taluni casi fino a sovvertirle, traendo vantaggio da emergenze di ogni tipo.

Nel contesto di una economia globale che ha aperto a inedite e impetuose colonizzazioni, su questo continente il narcotraffico ha puntato in modo strategico. I cartelli sudamericani hanno avocato a sé territori importanti, fino a farne appunto un mercato in crescita. Ma hanno fatto di più, aprendo in Africa un corridoio relativamente sicuro per l’introduzione della coca in Europa. Dalle coste del Brasile, la polvere bianca, proveniente dalla Colombia, dal Perù e dalla Bolivia, attraversa l’Atlantico per approdare lungo le coste dalla Guinea Bissau e della Sierra Leone. Dopodiché, fatte salve le partite riservate al consumo continentale, risale lungo varie piste, che possono interessare la Mauritania, la Costa d’Avorio, la Nigeria, il Niger, il Ciad, per raggiungere le coste mediterranee del Nord Africa, dal Marocco alla Tunisia, dove viene imbarcata su navi di piccolo cabotaggio e pescherecci diretti in Spagna, in Italia, in Grecia, nelle coste balcaniche. I numeri che vengono proposti dall’Unodc, ricavati dalla curva dei sequestri nell’ultimo decennio, appaiono già considerevoli. Si ritiene infatti che circa la quarta parte dei carichi di narcotici introdotti in Europa dal Sud America segua la rotta africana. Tale stima, che si fonda appunto su certificazioni territoriali, potrebbe essere tuttavia poco indicativa, per difetto, almeno per due ragioni. La prima è politica. Allo stato delle cose è verosimile che determinati paesi vadano rendendosi permeabili al commercio di droghe. La seconda è di terreno. Le aree desertiche del nord, in cui transitano quantitativi importanti di narcotici, sono troppo estese per poter essere sottoposte, laddove pure si volesse, a controlli significativi.

I narcos non sono stati beninteso i soli a puntare sul continente. Seppure con circospezione, si sono mobilitati pure ambienti dell’oppio del sud-ovest asiatico, ravvisando un terreno idoneo nella regione orientale, ma soprattutto nel Corno d’Africa, con la garanzia di una guerra civile endemica che dal 1993 ha reso l’area fuori controllo. È andata delineandosi così un’attività composita, divisa fra interessi interni ed esterni, che vede in causa boss afgani, reti fondamentaliste, clan militari somali, perfino le piraterie del Golfo di Aden. E tale stato di cose, pure per le saldature che rischia di avere con altre situazioni continentali, lascia prevedere risvolti non da poco. Va considerato peraltro che quasi l’intera Africa brulica di traffici, di affari eterogenei, mentre in diversi paesi si rendono più sostenuti i disegni di far da sé, di realizzare cioè in via del tutto autonoma l’intero ciclo delle droghe, dalla produzione al rifornimento dei mercati, locali e non solo. Si tratta di focalizzare allora tale processo, che reca peraltro una tradizione importante nel Marocco: ancora oggi fra i primi produttori al mondo di cannabis.

Il Rif, regione montuosa del Marocco settentrionale, sin dagli anni settanta costituisce una immensa distesa di canapa indiana, sostenuta soprattutto dalla richiesta europea. Come il Sud America e il Triangolo d’Oro, ha coniugato e insiste a coniugare quindi povertà e ricchezza fino al paradosso. Al livello più basso stanno intere popolazioni contadine, che traggono dalle coltivazioni solo il minimo per sopravvivere. In alto risultano i boss, marocchini, turchi, tunisini, spagnoli, italiani, che muovono l’affare, proiettando l’hashish lungo i continenti che chiudono il Mediterraneo. Negli ultimi tre anni la situazione è mutata. Le leggi del governo di Mohammed VI, indotte dall’Onu, sono divenute più severe. Numerose piantagioni dell’area sono state distrutte. I rilievi ufficiali dell’Unodc stimano addirittura nel 50 per cento la riduzione delle superfici coltivate. Ma tutto questo significa poco. La cannabis viene riconosciuta ancora oggi come la droga più coltivata al mondo, ma soprattutto la più richiesta. In Africa, dove è preponderante l’offerta del Rif, è, come si diceva, allo zenit, coprendo il 63 per cento dei consumi continentali di narcotici. Il dato più rappresentativo continua a venire comunque dalla sponda nord del Mediterraneo. I sequestri effettuati negli ultimi anni in Spagna, Italia, Francia, Grecia, in altri paesi europei, testimoniano infatti che la marijuana prodotta in Marocco, a dispetto degli interventi delle autorità pubbliche, rimane in tali aree la più diffusa.

Il presente dell’Africa non è tuttavia la sola tradizione del Rif: che in termini di commercio clandestino risale almeno al secondo dopoguerra. È anche altro. È soprattutto la Nigeria, dove il narcotraffico è gestito da una mafia locale, fortemente connotata in senso etnico, divenuta di fatto la più coesa su scala continentale: in grado di tenere testa quindi a quella turca sulle rotte che si diramano dal Mediterraneo. Particolarmente attivi dagli anni ottanta, quando il paese fu scosso dalla crisi del petrolio, i nigeriani hanno potuto godere nell’ultimo decennio di una rendita strategica. Con l’aprirsi delle rotte africane, il territorio da cui muovono è divenuto infatti un crocevia del narcotraffico globale. Incombe sulla Guinea Bissau, chiudendo il golfo in cui sbarca la coca dei narcos. Occupa lo stesso parallelo del Corno d’Africa, dove transitano gli oppiacei da Oriente. Se nei primi periodi i boss centro-africani si sono limitati allora a chiedere l’obolo o reclamare forme minime di partnership, con il tempo si sono meglio organizzati, elaborando un metodo. Per conto dei sudamericani, controllano oggi il traffico di coca continentale e una parte non indifferente di quello europeo. Hanno dato avvio a coltivazioni di papavero, seppure in una misura discreta, mentre continuano a garantire, ai loro facoltosi contraenti, i percorsi dell’oppio afgano. Infine, là dove è possibile, fanno gioco a sé, incentivando soprattutto la coltivazione e la lavorazione della canapa, tanto da rendere il paese africano, un po’ sulle orme del Marocco, uno fra i maggiori esportatori di marijuana e hashish.

Come interagisce allora la recessione di oggi con tale stato di cose, nel continente? È il caso di esaminare alcuni aspetti generali. La crisi in Africa, come danno conto gli allarmi lanciati da numerose organizzazioni, sta avendo ripercussioni sociali pesantissime. Il 2009 si chiuderà, secondo Jean Ping, presidente dell’Unione Africana, con 27 milioni di nuovi disoccupati. In aggiunta, i prezzi dei beni primari stanno aumentando in modo esorbitante, con l’effetto di una carestia che le popolazioni, già provate da piaghe ataviche, non sono in grado di fronteggiare, tanto più nei paesi sub-sahariani. Vanno accendendosi quindi tensioni che rischiano di alimentare l’instabilità politica, già notevole, e gli scontri fra etnie. Si è entrati insomma nel tunnel di una emergenza che, come denuncia Amnesty International in un rapporto del maggio 2009, rende l’intero continente una polveriera pronta ad esplodere. In questo clima un peso crescente sta assumendo comunque la questione delle droghe. Nessun risultato statistico, beninteso, può attestare che negli ultimi mesi il traffico e il consumo di tali sostanze nel continente siano alimentati dalla crisi. Esistono nondimeno situazioni di cui va preso atto, a partire dalle aree cruciali del narcotraffico, dove proprio in questi frangenti si registrano evoluzioni drammatiche.

In Guinea Bissau è in atto una strategia di delitti che ha assunto il significato di un golpe. Il 2 marzo 2009 è stato ucciso, per mano militare, il presidente Joao Bernardo Vieira, che aveva guidato il paese per 23 anni. A giugno, poco prima delle elezioni, sono stati assassinati: Baciro Dabo, maggiore candidato alla successione; Helder Proença, già ministro della Difesa e stretto collaboratore di Vieira; Faustino Fudut Imbali, primo ministro dello stato africano dal marzo al dicembre 2001. Un altro candidato alla presidenza è stato indotto invece a ritirarsi, per salvare la vita. Le movenze sono quelle di una guerra intestina sul terreno dei narcotici, su cui, oltre le apparenze, hanno puntato con abbondanza tanto i dignitari di Vieira quanto i militari che adesso tengono il gioco. Tutto richiama quindi i cartelli sudamericani, determinati, con i loro contraenti del Golfo, a bruciare i tempi della conquista continentale. Tale situazione appare altresì coerente con quella della confinante Guinea Conakry, dove il 23 dicembre 2008, dopo l’annuncio della morte del presidente Lansana Conté, che aveva mantenuto il potere per 25 anni, si è insediata una giunta militare golpista, guidata dal capitano Moussa Dadis Camara. Il canovaccio è uguale. Il regime di Conté, come si evince da numerosi rapporti, a partire da quelli della Lega guineense per i diritti umani, era sceso a patti con il narcotraffico. La giunta di Camara fa altrettanto, ma con più metodo, malgrado ostenti di aver dichiarato guerra alle droghe.

Gli effetti della connessione afro-sudamericana si fanno in sostanza sempre più preoccupanti. Se ne trova riscontro quindi nelle prese di posizione che vanno sommandosi a tutti i livelli. Di ritorno dal Golfo, Mary Carlin Yates, direttrice della DEA, l’agenzia antidroga dell’FBI statunitense, ha dichiarato che il traffico di narcotici, già gigantesco, sta crescendo ancora, con il rischio di destabilizzare ulteriormente gli stati della regione. Jean Ping, che esprime per certi versi l’opinione generale del continente, ha aggiunto che il narcotraffico di stanza in Guinea e in Sierra Leone sta mettendo a rischio la pace non solo dell’area, ma dell’Africa intera. E del medesimo avviso, sulla scorta di dati tratti dagli uffici di polizia, è il ministro dell’Interno colombiano Fabio Valencia Cassio, trovando la colonizzazione africana dei narcos in netta progressione. Un dettaglio della situazione sul terreno, dall’epicentro della Guinea Conakry, viene offerto comunque dal capitano Moussa Tiégboro, ministro della giunta militare che dovrebbe combattere i narcos: in tutto il paese, a dispetto dei livelli di povertà, fra i più alti su scala continentale, anche le tossicodipendenze sono in aumento.

In modo ugualmente severo sta evolvendo la situazione del Corno d’Africa. Il consumo di Khat, la cui coltivazione costituisce per gran parte delle famiglie contadine l’unica risorsa per sopravvivere, come del resto in Kenia, in Etiopia e altrove, continua a diffondersi con ritmi ascendenti. Prova ne è che nella sola Somalia tale droga muove un giro d’affari di circa 70 milioni di dollari l’anno, più di quanto ne registrano in bilancio gli stati più poveri della regione. Insieme con l’eroina dell’Afganistan, che viene irradiata appunto in tutto il continente e oltre il Mediterraneo, continua ad alimentare quindi i conflitti territoriali. Le ripercussioni sul terreno sono sempre più devastanti, con saldature tattiche fra clan militari, narcotrafficanti dell’oppio, reti terroristiche islamiche, mentre lo stato di indigenza e i disagi della guerra sempre più vanno traducendosi in progressi dell’Aids e in violenza. Un effetto clamoroso di tale impasto fra guerra, povertà e droghe è la pirateria del Golfo di Aden che, dopo decenni di relativa sordina, si trova in piena recrudescenza. L’esercito dei nuovi bucanieri, impinguatosi di anno in anno, con picchi recenti del 200 per cento, conta oggi su circa 2 mila unità. Ha rinnovato strategie e metodi operativi, traendo quanto gli occorre dai sequestri, ma pure dall’eroina e dal Khat. È andato dotandosi altresì di armi sofisticate, tecnologie, mezzi logistici, mettendo a frutto gli accordi che è riuscito a cucire, lungo gli anni, con i mujahedin e i signori della guerra di Mogadiscio. Si tratta uno scorcio beninteso, sullo sfondo dei conflitti dimenticati e del narcotraffico. Quanto accade nel Golfo esemplifica tuttavia i caratteri di una emergenza che si è resa debordante, a dispetto della decisione dell’Africom, a guida statunitense, di intervenire nell’area. La denuncia che viene da numerose sedi, ufficiali e non solo, è del resto unanime: la faglia del Corno d’Africa rischia oggi di far saltare gli equilibri residui dell’intero continente, al pari di quella delle Guinee ma forse più ancora, perché acutizzata appunto da guerre senza fine.

PALERMO – Al via il Festival della legalità

Al Festival della Legalità si rinnova l’appuntamento con quel teatro e quel cinema che sanno leggere e interpretare la società. Con molte anticipazioni per offrire al pubblico siciliano il meglio della produzione contemporanea. Come nel caso di “Mio padre non ha mai avuto un cane”, di Davide Enia, che aprirà il Festival la sera del 3 ottobre. Enia, in anteprima, porta in scena uno dei racconti tratto dal suo ultimo libro “Mio padre non ha mai avuto un cane” che uscirà a novembre per le edizioni Fandango Libri. Un racconto che parla di cani, di ammazzatine di mafia e di Palermo. Accompagnato alla chitarra da Giulio Barocchieri, Enia farà emergere i personaggi, alcuni misteriosi, di una città che spesso è invisibile. Altra anteprima, lunedì 5 ottobre, quando sul palco salirà il giornalista-scrittore Roberto Alajmo per parlare de “L’antimafia spiegata a mio figlio che la spiega a me”. Un reading per analizzare le mille contraddizioni, amare e ironiche, della lotta ai boss. Con lui, per quest’altra anteprima, sul palco ci sarà il clarinettista Dario Compagna.
“Nomi, cognomi e infami”, è invece, il titolo dello spettacolo di Giulio Cavalli in scena martedì 6 ottobre, sempre alle 21.30. Cavalli, artista che vive sotto scorta dopo essere stato minacciato dalla mafia, darà vita ad uno dei suoi spettacoli di denuncia che tanto hanno infastidito boss e picciotti.
Mercoledì 7 ottobre sarà la volta di Vincenzo Pirrotta e della sua “Ballata delle Balate”. Uno spettacolo brutale, crudele e di rara intensità. Il racconto di un latitante mafioso che nel suo covo recita un rosario, trasfigura la religione alla maniera mafiosa in un delirio nel quale s’incontrano misticismo e violenza.
Infine, sabato sera, Salvo Piparo darà vita a “Piazza delle Vergogne”. Accompagnato sul palco dal soprano Roberta Scalavino, Piparo racconterà uno spaccato di Palermo in quattro storie: quella di un killer di mafia, quella di un commesso comunale, quella del cronista Mario Francese, ucciso da Cosa Nostra, e quella di Santino, l’uomo miracolato dalla strage di Capaci. Quattro figure di uomini del nostro tempo: il killer che rimane incastrato nell’assurdità di essere stato anch’esso vittima di un sistema immorale e illegale, il commesso che interpreta il clientelismo e sprofonda nell’inerzia di un sistema corrotto, Mario Francese che rimane fedele fino all’ultimo al patto etico cucito alla sua vita di uomo e di giornalista e Santino, salvato da un fulmine mentre muore Falcone.
Al Festival non mancherà anche il grande cinema con “Fortapasc”, il film di Marco Risi inserito nella cinquina dalla quale Anica ha scelto il film che rappresenterà l’Italia agli Oscar. Un film su Giancarlo Siani, il giornalista ucciso dalla camorra perché con le sue inchieste saveva scoperchiato l’intreccio tra affari, mafiosi e politici.
Tutti gli spettacoli sono ad ingresso libero.


PROGRAMMA 2^ EDIZIONE DEL FESTIVAL DELLA LEGALITA’
VILLA FILIPPINA, PIAZZA SAN FRANCESCO DI PAOLA, PALERMO

3-10 OTTOBRE 2009

INGRESSO LIBERO

Sabato 3 ottobre

Ore 18.00 Inaugurazione della seconda edizione del Festival della Legalità.

Ore 18.30 Inaugurazione delle mostre:

– “Volti Colori Memoria” a cura di Gaetano Porcasi: 35 opere raccontano la storia della mafia dallo sbarco degli alleati alla cattura di Bernardo Provenzano.

– “Non tutti i pizzini sono uguali”, a cura di Amalia Patrizia Panebianco e Claudio Reale, raccoglie gli scritti di sei esponenti della criminalità organizzata e sei persone che hanno invece scelto di imboccare la strada della legalità, messi a confronto e analizzati da un esperto grafologo che ne illustrerà le personalità partendo per l’appunto dalla grafia.

– “Copertine S” a cura della Casa Editrice Novantacento: in esposizione le prime pagine del mensile più letto in Sicilia, dalla prima pubblicata nel dicembre 2007 che immortala l’arresto di Salvatore Lo Piccolo all’ultima con le indiscrezioni più recenti sulla latitanza di Gianni Nicchi.

– “Pio La Torre”, curata da Letizia Battaglia e voluta dal Centro Studi Pio La Torre, racconta le diverse tappe della vita del politico assassinato dalla mafia nel 1982.

Ore 19.30 Performance di OthelloMan, rapper, dj, producer e leader dei Combomastas’. Le creazioni musicali di OthelloMan e del team hip hop dei Combomastas’ sono caratterizzate da consapevolezza e voglia di riscatto pratico e quotidiano. Queste ultime rappresentano un’assoluta peculiarità nel panorama musicale italiano, senza retorica e con armonie sonore, spessore concettuale e immediatezza.

Ore 21.30 Prima nazionale del recital “Mio padre non ha mai avuto un cane” di e con Davide Enia. Il giornalista-scrittore-attore leggerà in anteprima alcuni passi del suo ultimo romanzo che sarà pubblicato a novembre 2009.

Domenica 4 ottobre

Ore 10.00 Spettacolo di animazione per bambini con i clown dell’associazione di volontariato ViviamoInPositivo Onlus. L’associazione fa parte della federazione VIP Italia che conta 35 sedi in Italia e 2.800 volontari clown di corsia, che svolgono il loro servizio negli ospedali, nelle case di riposo, nelle comunità di disabili, nelle case famiglia e ovunque sussistano situazioni di disagio. Per il VIP-clown il sorriso è una missione.

Ore 11.00 S. Messa nella cappella di villa Filippina, che riapre per l’occasione. I Canti sono affidati al suggestivo Coro della Cattedrale di Palermo.

Ore 12.00 Dimostrazione di autovetture e unità cinofile dell’Arma dei Carabinieri.

Lunedì 5 ottobre

Ore 10.00 “Cu nesci arriniesci?”. Dibattito con gli attori Ficarra e Picone, moderato dallo scrittore e giornalista Ugo Barbàra. Partecipa l’imprenditore Costantino Tartaglia.

Ore 12.00 “Sport e legalità”: i giocatori del Palermo Rugby, neopromosso in serie B,sono protagonisti di dimostrazioni pratiche delle tecniche di uno sport che tanto appassiona i giovani e insegna regole di legalità e rigore.

Ore 18.00 Presentazione di “Sottotraccia”, rivista di saperi e percorsi sociali (Navarra Editore), moderata dal giornalista Claudio Reale. Presenti Rosalba Romano – assistente sociale e direttrice della rivista, Gioacchino Lavanco – presidente del Consiglio di Coordinamento dei Corsi di Scienze dell’Educazione e docente di Psicologia di Comunità presso l’Università degli Studi di Palermo, Michele Di Martino, dirigente del Centro per la Giustizia Minorile per la Sicilia.

Ore 19.30 Esibizione musicale del gruppo “Quelli della Rosa Gialla a Brancaccio”. L’allegra carovana dei ragazzi dell’associazione di volontariato nata e operante a Brancaccio sbarca al Festival della Legalità per far conoscere il quartiere come un luogo in cui si combatte la mafia attraverso la cultura, l’educazione, il teatro e in particolare il musical.

Ore 21.30 Reading “L’antimafia spiegata a mio figlio che la spiega a me” di e con Roberto Alajmo, scrittore e giornalista Rai, accompagnato al clarinetto da Dario Compagna.

Martedì 6 ottobre

Ore 10.00 “Dire no si può”. Dibattito con gli imprenditori Rodolfo Guajana, Andrea Vecchio, Vincenzo Conticello e Ignazio Cutrò e con il presidente di Confindustria Agrigento Giuseppe Catanzaro, che si sono ribellati alla logica del racket e della sopraffazione mafiosa. Modera la giornalista Eliana Marino.

Ore 12.00 “Sport e legalità”: i giocatori del Palermo Rugby, neopromosso in serie B,saranno protagonisti di dimostrazioni pratiche delle tecniche di uno sport che tanto appassiona i giovani e insegna regole di legalità e rigore.

Ore 18.00 Il giornalista Roberto Puglisi intervista Roberto Mazzarella, autore del volume “L’uomo d’onore non paga il pizzo” (Editore Città Nuova). Attraverso una ricca documentazione che riporta, tra l’altro, anche numerose interviste e ordinanze-sentenze, l’autore disegna una lucida radiografia del fenomeno “mafia”: ne evidenzia le caratteristiche, le attività di mantenimento e sviluppo; ne esplicita la cultura e i valori di cui è portatrice, mettendo in luce, di contro, le forze positive – come l’Associazione “Addiopizzo” – che operano in svariati ambienti sociali per la promozione di una cultura della legalità. Presente Nino Salerno, presidente di Confindustria Palermo.

Ore 19.30 Concerto del gruppo musicale “Zen Posse”. La band, nata all’interno dell’associazione Zen Insieme, propone un repertorio di musica rap, prevalentemente di protesta.

Ore 21.30 Spettacolo teatrale “Nomi, cognomi e infami” di e con Giulio Cavalli, artista che vive sotto scorta in quanto minacciato dalla mafia per i suoi lavori di denuncia.

Mercoledì 7 ottobre

Ore 10.00 “Un patto per la Sicilia”. Dibattito, organizzato da Milano Finanza e moderato dall’editore Paolo Panerai. Politici, imprenditori, magistrati e burocrati si confronteranno sulle strade da percorrere per creare un patto tra ceto produttivo, politica, burocrazia e magistratura per uscire dalla situazione di una Sicilia bloccata e dare il via ad una fiscalità di vantaggio in grado di rendere attrattivi gli investimenti. Presenti l’assessore regionale alla Presidenza Gaetano Armao, l’assessore regionale all’Industria Marco Venturi, Pier Carmelo Russo – segretario generale della Regione Siciliana, il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, il presidente di Sviluppo Italia Sicilia Vincenzo Paradiso, Giuseppe Lumia – componente ed ex presidente della Commissione nazionale antimafia, il sindaco di Agrigento Marco Zambuto, Domenico Achille – Comandante della Guardia di Finanza e Generale di Divisione e altri protagonisti delle istituzioni e dell’imprenditoria e il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci. In questa occasione Sviluppo Italia Sicilia proporrà agli studenti un concorso di idee e il miglior imprenditore in erba verrà premiato con un pc portatile.

Ore 12.00 “Sport e legalità”: i giocatori del Palermo Rugby, neopromosso in serie B,saranno protagonisti di dimostrazioni pratiche delle tecniche di uno sport che tanto appassiona i giovani e insegna regole di legalità e rigore.

Ore 18.00 Il sostituto procuratore Gaetano Paci e il vice presidente dei Giovani Imprenditori Europei Annibale Chiriaco presentano il libro “Le aziende siciliane contro la mafia. L’isola civile” di Serena Uccello e Nino Amadore (Einaudi). Il volume è il risultato di due anni di lavoro e racconta “le ragioni storiche ed economiche della ribellione antiracket” che ha coinvolto una parte del mondo imprenditoriale siciliano negli ultimi anni. Presente l’autore Nino Amadore. Modera il giornalista Claudio Reale.

Ore 19.30 Esibizione del cantastorie Paolo Zarcone (Associazione A Testa Alta) che ha recuperato le tradizioni popolari siciliane adattandole e aggiornandole ai tempi nostri. Zarcone compone cantate tratte da leggende e fatti storici locali, munito di chitarra e cartelloni illustrati.

Ore 21.30 Spettacolo teatrale “La ballata delle balate” con Vincenzo Pirrotta.

Giovedì 8 ottobre

Ore 10.00 “Una giornata con Marco Risi. I ragazzi di Palermo tra fiction e realtà”. Confronto sul tema delle fiction di mafia con il regista Marco Risi (autore di capolavori del genere quali “Mery per sempre”, “Ragazzi fuori”, “Muro di gomma”, “Il branco”, “Squadra Antimafia Palermo Oggi”, “L’ultimo Padrino”, “Cinque delitti imperfetti”) ed il procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Presente lo scrittore-giornalista Claudio Fava. Modera lo scrittore e giornalista Rai Roberto Alajmo.

Ore 12.00 “Sport e legalità”: i giocatori del Palermo Rugby, neopromosso in serie B, saranno protagonisti di dimostrazioni pratiche delle tecniche di uno sport che tanto appassiona i giovani e insegna regole di legalità e rigore .

Ore 16.30 Il giornalista Alfio Sciacca presenta “I disarmati. Storia dell’antimafia: i reduci e i complici” di Claudio Fava (Sperling & Kupfer). Un viaggio che racconta i complici del silenzio e del consociativismo mafioso: nel giornalismo, nella politica, nella società civile. Per una volta, con i nomi e i cognomi al loro posto. Presente il giornalista e politico Claudio Fava. Seguirà un dibattito sul libro “Prima che vi uccidano” di Giuseppe Fava (Editore Bompiani). L’opera, pubblicata nel 1976 dallo scrittore-giornalista-sceneggiatore assassinato dalla mafia nel 1984, è un libro di denuncia della presenza mafiosa in Sicilia.

Ore 18.00 Il giornalista Salvo Toscano intervista Enrico Bellavia e Maurizio De Lucia, in libreria con il volume “Il cappio” (BUR Biblioteca Univ. Rizzoli). Un’acuta analisi a quattro mani di un sistema criminale basato su un eccezionale organizzazione sul territorio: il “pizzo”. Ripercorrendo la storia di Maurizio de Lucia, il magistrato che più di ogni altro ha indagato il fenomeno.

Ore 19.30 Concerto del gruppo “Coralmente”, coro polifonico a cappella nato nel febbraio 2003, nell’ambito delle attività riabilitative promosse dal Dipartimento di Salute Mentale dell’AUSL 6 di Palermo per combattere e sconfiggere lo stigma e il pregiudizio nei confronti della malattia mentale.

Ore 21.30 Serata cinema con Marco Risi. Proiezione della pellicola “Fortapàsc”, presentata dal giornalista Salvo Toscano che intervisterà il regista. Il film ripercorre gli ultimi quattro mesi di vita di Giancarlo Siani, il giornalista de “Il Mattino” ucciso dalla mafia nel 1985.

Venerdì 9 ottobre

Ore 10.00 Talk show “Libertà di parola” promosso dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia. Partecipano il presidente dell’Ordine regionale Franco Nicastro, i giornalisti Rosaria Capacchione e Alberto Spampinato, il gip di Palermo Piergiorgio Morosini.

Ore 11.00 Dimostrazioni di autovetture e unità cinofile della Guardia di Finanza.

Ore 17.00 Felice Cavallaro, inviato del Corriere della Sera, intervista il procuratore Gian Carlo Caselli, autore del libro “Le due guerre. Perché l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia” (Editore Melampo). Dalla Torino degli anni Settanta alla Palermo dei Novanta, il volume ripercorre trentacinque anni di storia italiana attraverso lo sguardo di un protagonista della lotta contro il terrorismo di sinistra e contro la mafia.

Ore 18.00 Il giornalista Roberto Puglisi presenta il volume “C’erano bei cani ma molto seri” di Alberto Spampinato (Ponte alle Grazie Editore). Il libro racconta la vita del fratello dell’autore, Giovanni – corrispondente da Ragusa de L’Ora, assassinato per le sue inchieste che non guardavano in faccia nessuno.

Ore 19.30 Esibizione della Compagnia di canto e musica popolare, gruppo che ha recuperato i cunti della tradizione siciliana. Spaziando dalle ballate alle sonate dei barbieri, dai canti delle zolfatare alle serenate, la Compagnia intende rivalutare il ruolo delle tradizioni popolari siciliane, i costumi, le usanze, la lingua.

Ore 21.30 Proiezione in anteprima nazionale della docu-fiction “Il mago dei soldi” ispirata alla storia di Giovanni Sucato. Sedicente avvocato, Sucato si è valso l’appellativo di “mago dei soldi” a causa di spericolati investimenti che – con l’illusorio miraggio di grandi guadagni – hanno gettato sul lastrico migliaia di piccoli risparmiatori dei quartieri popolari di Palermo e dei paesi del circondario. Una sorta di novello “Re Mida” la cui carriera, interrotta da una fuga con i soldi dei suoi clienti e da un arresto per bancarotta fraudolenta, si è conclusa su un auto in fiamme sulla Palermo-Agrigento. Presenti gli autori Giacomo Cacciatore, Raffaella Catalano e Gery Palazzotto e l’avvocato penalista Nino Caleca che fu difensore di Sucato. Modera il giornalista Claudio Reale.

Sabato 10 ottobre

Ore 10.00 “A voi nati dopo le stragi…io racconto”. Incontro con il procuratore Gian Carlo Caselli. Presente il procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Modera il caposervizio del Tg5 Gaetano Savatteri.

Ore 11.30 Talk show dal titolo “Ti aspetto fuori” moderato dal giornalista Salvo Toscano. Partecipano Franco Nuccio, caporedattore di Ansa Palermo, l’attore palermitano Francesco Benigno – premiato al Giffoni Film Festival 2008, Silvia De Bernardis – coordinatore del progetto “In&Out” – istituti penali minorili della Sicilia, Rosalba Romano – psichiatra del Centro di Giustizia Minorile di Palermo e il Maggiore Francesco Tocci, comandante della Compagnia di Carabinieri di Bagheria.

Ore 12.30 Dimostrazioni di autovetture e unità cinofile della Polizia di Stato.

Ore 18.30 Proiezione de “I corti della legalità”

– “Benigno”, autobiografia dell’attore Francesco Benigno

– “Ti aspetto fuori”, realizzato dal centro giustizia minorile, con Nino Frassica e i ragazzi del Malaspina. Regia Alfio D’Agata.

– “Pio La Torre” a cura del Centro Studi Pio La Torre

– “Una favola, un sogno” a cura dell’associazione “Quelli della Rosa Gialla a Brancaccio”

Ore 21.30 Anteprima dello spettacolo teatrale “Piazza delle vergogne” con l’attore Salvo Piparo e il soprano Roberta Scalavino. Testi di Felice Cavallaro, Filippo D’Arpa e Gaetano Savatteri. Uno spaccato di Palermo in tre storie, quella di un killer di mafia, di un commesso comunale e quella di Mario Francese, giornalista ucciso da Cosa Nostra.

da LIVE SICILIA

Impegno e teatro civile al Popolo di Gallarate

GALLARATE Teatro civile, ricerca e innovazione trovano ospitalità nel piccolo grande spazio del Teatro del Popolo di Gallarate. Il luogo che in meno di quattro anni è diventato il polo primario per l’innovazione scenica della provincia e che sempre con maggiore convinzione oltrepassa la linea di teatro come puro intrattenimento, ha presentato, ieri sera, la prossima stagione teatrale.

Si parte il 14 novembre con la prima produzione della Fondazione Culturale di Gallarate e della Compagnia Stabile del Teatro del Popolo: «Montedidio». Uno spettacolo che nasce dalla scommessa e dalla certezza che ai ragazzi si possa e si debba parlare con rispetto e delicatezza di cose serie, senza ammiccamenti e tabù. Da questo punto di vista lo splendido romanzo-fiaba di Erri De Luca è stato magnetico: ha attratto la compagnia verso la drammatizzazione di uno spettacolo che hanno avvertito come “necessario”. Il 4 dicembre gli Eccentrici Dadarò, con «Lasciateci perdere per strada», raccontano la storia di genitori e figli allo specchio.

Il 14 gennaio il Teatro dell’Elfo mette in scena l’unico testo teatrale scritto dall’ironica e maliziosa Amélie Nothomb: «Libri da ardere». Roberto Anglicani arriva il 28 gennaio con «Giungla». E il 18 febbraio, reduce dal suo recente successo al David di Donatello, dove si è aggiudicato la statuetta di miglior attore non protagonista per il film di Zanasi, «Non pensarci», Giuseppe Battiston, porta a teatro «Orson Welles Roast». L’11 marzo Giulio Cavalli, presenta il suo nuovo testo, scritto in collaborazione al giornalista Gianni Barbacetto, con cui si dedica nuovamente all’approfondimento del tema mafia: «A cento passi dal Duomo». Il 26 marzo Libera Cena Ensemble porta sul palcoscenico «Il Labirinto», tratto dal libro di Daniel Keyes, «Fiori per Algeron», un classico della letteratura inglese del XX secolo. Poi ci sono spettacoli che hanno segnato con la loro forza e la loro bellezza la storia della scena italiana degli ultimi vent’anni. Il «Kohlhaas» di Marco Baliani, in arrivo al Popolo il 9 aprile è uno di questi, e vale la pena riproporlo alle nuove generazioni. Pur non alzandosi mai dalla sedia, Baliani inventa galoppi, battaglie, assedi e mercati, evocando sentimenti d’amore, pietà, odio, disperazione, orgoglio e rassegnazione. Il 17 aprile Antonio Tintis e Sandro Maria Campagna, attraverso la storia di «Edoardo Secondo» raccontata da Marlowe, esplorano il tema dell’amicizia che supera la morte, dell’amore eterno e della fratellanza indissolubile. Mentre «La guerra di un povero cristo attraverso la ritirata di Russia» ce la racconta il varesino Michele Bottini, il 25 aprile, nello spettacolo «La notte che il nulla inghiottì la terra».