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Tutte le falle del piano vaccinale

È sempre quella vecchia storia dell’innamorarsi degli uomini e di sottovalutare i sistemi: il “nuovo” piano vaccinale italiano, quello che avrebbe dovuto portare la sferzata decisiva per fare ripartire il Paese o almeno per uscire dal tunnel buio del virus è lastricato di buone intenzioni (com’era quell’altro) proferite da nuovi protagonisti ma nei fatti continua a incepparsi negli stessi granelli e ad ora continua a difettare allo stesso modo nei risultati. Se avessimo perso meno tempo a pesare e analizzare le posture e le parole di Draghi, di Figliuolo e di Salvini a cui ora tocca addirittura di sembrare “responsabile” forse avremmo potuto discutere di un impianto malato nelle fondamenta, di questa delega alle Regioni che rimane il punto critico di un’operazione che viene pensata a livello centrale ma poi si perde tra i rivoli dei regionalismi.

Il Piano strategico per la vaccinazione anti Sars-Cov-2 è stato elaborato lo scorso 12 dicembre dal ministero della Salute. Il decreto della sua attuazione ufficiale risale allo scorso 2 gennaio, con decreto del ministro, e poi aggiornato l’8 febbraio con il documento “Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti Sars-Cov-2/Covid-19”. Leggendo il piano risulta subito evidente che il governo sia responsabile della definizione delle «procedure, gli standard operativi e il layout degli spazi per l’accettazione, la somministrazione e la sorveglianza degli eventuali effetti a breve termine»: risulta quindi evidente che gran parte della fase operativa e strategica sia sostanzialmente demandata alle autorità regionali e già questo potrebbe bastare per comprendere il motivo di risultati così diversi da regione e regione.

Il numero delle persone vaccinate, la percentuale di vaccini che rimangono inutilizzati, perfino…

L’articolo è tratto da Left del 2-8 aprile 2021

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Massacrata dall’ex, Clara si era pagata il funerale da sola: già sapeva di morire e nessuno ha fatto niente

L’aspetto più agghiacciante e emblematico della morte di Clara Ceccarelli, la donna di 69 anni uccisa furiosamente con più di trenta coltellate a Genova da suo ex compagno Renato Scapusi, piastrellista disoccupato cinquantanovenne che dopo essere stato lasciato dalla donna dodici mesi fa non aveva mai accettato la fine della loro relazione, è che la sua “morte annunciata” si ritrovi nelle azioni della donna nei suoi ultimi giorni di vita.

Clara Ceccarelli aveva già pagato il suo funerale per non pesare economicamente sui suoi famigliari nemmeno da morta, aveva contattato un tutore per il figlio disabile e aveva sistemato anche la cura del padre anziano e malato. È l’immagina di una donna che sa di dover partire e che rinuncia perfino a difendersi preferendo usare le sue ultime energie per apparecchiare un “dopo di lei” che è una resa anche dello Stato tutto di fronte alla slavina dei femminicidi: una donna che rinuncia a difendersi ci obbliga a porci domande sulla protezione non solo giudiziaria ma anche culturale e sociale che sta intorno alle donne che si ritrovano sole di fronte all’orrore. Pagarsi il proprio funerale significa non intravedere nessuna possibilità di salvezza, certificare la propria disperazione come ineluttabile, cedere senza nemmeno riuscire a immaginare un appiglio.

Per questo forse di femminicidi è doveroso parlare, nonostante i fallocrati che se ne risentano. Per questo ogni giorno si dovrebbero usare parole per raccontare un fenomeno che continua a essere percepito come “un vezzo delle femministe” (scrisse così un innominabile editoriale di un innominabile giornale di cui non vale la pena per ecologia intellettuale nemmeno fare il nome) e che solo nel 2021 ha già fatto registrare 9 vittime, una ogni 5 giorni. E parliamo solo d quelle che hanno perso la vita.

Ora immaginate un omicidio ogni 5 giorni in Italia di qualche gruppo terroristico, un omicidio ogni 5 giorni da parte di persone di una qualsiasi etnia o provenienza geografica, provate a immaginare il grido di allarme smisurato e sventolato per fomentare ribellione e indignazione. E provate invece ad ascoltare l’arreso silenzio che ogni volta volteggia sulle vittime di femminicidio e sui casi di violenza con assassini che non riescono a non considerare una donna come proprietà privata indegna di poter prendere decisioni in autonomia. Quel silenzio è il cappio che spinge le donne ad arrendersi prima ancora di cercare giustizia. Ed è una responsabilità generale, sociale, politica e culturale che non dovremmo concederci.

Leggi anche: TUTTE LE NOTIZIE DI CRONACA DI TPI

L’articolo proviene da TPI.it qui

“Quello che mi resta di mamma morta di Covid? Un sacchetto con le sue cose infette”, la terribile storia di Moira

Una foto che gronda solitudine, un sacchetto rosso appoggiato per terra con gli indumenti e gli effetti personali della madre morta di Covid all’Irccs Policlinico San Donato. Moira Perruso, che di mestiere è una giornalista ma si occupa anche di fotografia, ha condiviso quel momento sul suo profilo Facebook: «Ai miei piedi ciò che mi restituiscono di mia madre… Non posso nemmeno buttarmi a capofitto su quegli abiti per sentire ancora una volta il suo odore, sono infetti… Per chi nega, per chi specula, per chi non ha protetto: che possiate sentire anche voi il rumore del cuore in frantumi». In poco tempo sul suo post si sono accavallate centinaia di testimonianze di persone che hanno vissuto lo stesso dolore.

«Il post è nato – mi racconta Moira – perché ho chiamato l’ospedale, volevo indietro le cose di mia madre, la sua fede nuziale, una collanina che indossava sempre e che le avevamo regalato noi. “Posso riavere gli oggetti di mia mamma?”, ho chiesto. Quando sono arrivata al Policlinico, al settimo piano del reparto Covid un infermiere mi ha adagiato il sacchetto, con anche i suoi vestiti, e mi ha chiesto una firma. Quel momento mi si è fissato negli occhi e ho voluto fotografarlo perché era un fatto emotivo personale ma anche un fatto pubblico, qualcosa che sta accadendo a migliaia di persone. Solo oggi ho ricevuto centinaia di mail di figli che hanno ritirato così le cose di un genitore. Mia madre stava bene, cresceva i nipoti, tutta una vita messa ai miei piedi. In quel momento mi sono detta: come si fa a negare questa evidenza? Come si fa a dire: “Non muori per Covid ma muori con il Covid”».

Già, questo gioco di frugare tra le parole per sminuire. Mia madre è morta di Covid, mia madre stava bene e ora è un mucchio di vestiti infetti. Capisco anche i medici, non hanno il tempo fisico per trattare il dolore, non possono anche curare “l’umano”, ma io ho avuto il cuore in frantumi. Mi è stata negata anche la “liturgia” della morte, non ha potuto indossare quel maglione rosso che amava, nessuno che la teneva per mano. Era una donna riservata e dignitosa. Ora quando mi addormento la penso sigillata dentro un sacco. Ma come si fa a non avere la responsabilità di proteggere il prossimo? Non possiamo pensare di dare colpa alla politica se non siamo responsabili come individui. La giustizia non è una delle virtù cardinali? Moira ce l’ha con i negazionisti.

Non si può negare, non è più tempo, non si può dire che i Pronto Soccorso sono vuoti, non si può avere il coraggio di dire che le ambulanze girano vuote. Il negazionista cos’ha? Paura della morte? Da che cosa è afflitto? Becera ignoranza? Il mio dolore non è un complotto. Mi è stato negato il diritto di seppellire mia madre e non so nemmeno dove sia in questo momento. Mi è stata negata anche la morte, di mia madre. Sono arrivate tantissime testimonianze. Forse c’è bisogno di parlare del dolore, se ne parla ancora troppo poco. Sì, si sta parlando troppo poco del dolore, nella narrazione si trascurano le persone. I protocolli tra ospedali cambiano: mio padre (anche lui malato di Covid) è all’Humanitas e mi chiamano tutti i giorni per aggiornarmi sulle sue condizioni di salute mentre per mia madre ho dovuto implorare dopo otto giorni di sapere qualcosa, poi mi hanno detto che l’avrebbero svezzata e che andava tutto bene, poi le hanno messo il casco poi la morfina, poi è morta.

Non l’ho più sentita. Ma questa cosa me l’hanno raccontata un migliaio di persone, che è anche una responsabilità, per me. Ho l’immagine di mia mamma terrorizzata che si sarà chiesta che fine avrà fatto la sua famiglia. Lei mi ha accudito per 50 anni e io non sono stata capace di accompagnarla nella morte. Lo so, è una roba scontata, ma dov’è lo straordinario nel dolore? È un momento in cui siamo di fronte a un fatto che sta cambiando il mondo e il nostro modo di affrontare il dolore. E forse chi nega semplicemente ha una paura fottuta.

L’articolo “Quello che mi resta di mamma morta di Covid? Un sacchetto con le sue cose infette”, la terribile storia di Moira proviene da Il Riformista.

Fonte

San Raffaele, visite Covid a pagamento? Peggio di come sembra

Ha fatto molto discutere ieri la notizia che il San Raffaele di Milano ha un vero e proprio servizio, a pagamento, per i pazienti positivi al Covid-19 in isolamento a casa. Il costo di una visita specialistica a domicilio è di 450 euro, mentre per un più semplice e immediato consulto video o telefonico da parte del medico il costo è di 90 euro. 90 euro per un consulto telefonico, avete letto bene.

Ha centrato il punto il consigliere regionale Matteo Piloni che dice: «Sei positivo al Covid e in isolamento? Le Usca non funzionano come dovrebbero? Tranquilli, ci pensa il privato. Se Ats o il vostro medico non vi chiamano o non rispondono, ci pensa il San Raffaele. Con un consulto video o telefonico a 90 euro e, se il medico lo riterrà, con 450 euro per un servizio di diagnostica a domicilio. Il pubblico arranca e il privato ingrassa».

Vale la pena rileggere anche quello che disse Alberto Zangrillo, primario guarda caso proprio al San Raffaele: «È indubbio che la diga del terrorismo ha ceduto e le persone sono disorientate e spaventate. Il malato va seguito a domicilio dall’esordio della prima sintomatologia». La frase, di per sé giusta, risulta un po’ risibile se detta da chi il Covid questa estate lo giudicava “clinicamente morto”, da quello del “sono tutti asintomatici” e dallo stesso che lavora nell’ospedale che lucra proprio sulla paura.

Per inciso l’Ospedale San Raffaele fa parte del Gruppo San Donato, sì sì proprio quello dove lavora Angelino Alfano e dove lavora Roberto Maroni. Incredibile, vero?

Per capire sempre del Gruppo San Donato conviene anche rileggersi una nota del consigliere regionale in Lombardia del M5S Fumagalli che l’8 agosto scrisse: «In data 5 agosto, la Giunta Regionale (con la delibera 3518 dall’anonimo oggetto: (‘Determinazioni in ordine alla gestione del servizio sanitario e sociosanitario per l’esercizio 2020-1°provvedimento’) stabilisce di farsi carico del 50% dei costi del rinnovo contrattuale della sanità privata con interventi relativi alle tariffe e ai budget nei limiti delle risorse disponibili. Questo significa (come già segnalato sul sito di Business Insider Italia) che, ad esempio, un ospedale come il San Donato che nel 2019 ha fatto un fatturato di 170 milioni di euro con un utile netto di quasi 34 milioni di euro, riceverà dei fondi extra per pagare i propri dipendenti. 5 milioni di euro solo per i mesi restanti del 2020. Se Regione Lombardia ha così a cuore i dipendenti degli Ospedali privati, perché non impone a questi imprenditori (il San Donato è guidato da Angelino Alfano) di applicare il Ccnl della sanità pubblica? Perché non impone di assumere i medici anziché tenerli a partita Iva? Il San Donato ha solo un medico assunto. Perché impegnarsi ad aumenti di tariffa e di budget nei confronti di chi fa già enormi utili per pagare i dipendenti? Non possono usare i margini che hanno per pagare i dipendenti e diminuire gli utili? Ma ai lavoratori delle cooperative che stanno nella sanità con uno sfruttamento enorme, i soldi dell’aumento di stipendio lo passa Regione Lombardia? No, perché in queste cooperative, non ci sono Alfano e Maroni a fare i presidenti».

Insomma, è molto peggio di come sembra.

Buon martedì.

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L’autogol di Mancini, che pubblica una vignetta negazionista sul Covid

Un giocatore lo vedi dal coraggio dall’altruismo, dalla fantasia. L’allenatore della nazionale di calcio Roberto Mancini invece lo vedi dalle vignette che condivide su Instagram come se fosse un adolescente qualsiasi, mettendoci una bella vignetta in cui un’infermiera (ovviamente nera, tanto per riuscire a beccare tutti gli stereotipi peggiori) chiede a un paziente su un letto di ospedale “hai idea come ti sei ammalato?”, e quello risponde “guardando i TG”.

roberto mancini vignettaroberto mancini vignetta

Perché si sa che i negazionisti, quelli che avranno esultato per la vignetta di Mancini come a una finale dei Campionati del Mondo, da mesi insistono nel dire che il virus non esista e che sia solo un’invenzione della stampa. Cosa c’è di meglio dell’allenatore della nazionale italiana per deresponsabilizzare un po’ di persone, per spargere un po’ di letame sull’informazione scientifica e per buttare all’aria tutta la cautela che viene raccomandata in questi giorni?

Chissà se Roberto Mancini ha voglia di andare a scherzare dai suoi tifosi che hanno perso parenti o amici in questi mesi, chissà se Mancini non ha voglia di entrare nella televisione degli italiani (come gli capita spesso con la sua squadra in prima serata) per spiegare a quel mezzo milione di italiani che hanno avuto il Covid che usa i social con la stessa irresponsabilità di un dilettante, lui che dovrebbe essere il re dei professionisti italiani. E chissà che non sia lo stesso Mancini che più di una volta, come accadde con Sarri qualche anno fa, tenne pomposi concioni sul calcio come veicolo di responsabilità e cultura, lui che ci ripeteva tutto serio serio che il calcio non può sopportare inciviltà e ignoranza.

E chissà che ne pensa la FIGC, quella che si spreme tanto per veicolare messaggi negli stadi e che si ritrova un domatore di fake news come allenatore della sua nazionale maggiore. Caro Mancio, se la creatività è direttamente proporzionale al ruolo che si riveste e alla visibilità pubblica oggi sei riuscito nella mirabile impresa di risultare il campione degli uomini poco saggi. Ora vedrete che ci dirà che gli hanno hackerato il profilo, che è stato un suo amico, che gli hanno rubato il telefono. Di sicuro è un autogol clamoroso. E questa volta ha completamente sbagliato la tattica. Complimenti mister, per come tiene alta la bandiera.

Leggi anche: 1. Lettera ai negazionisti: “Venite a Lodi a tenere i vostri comizi davanti a orfani del Covid” / 2. Spiegateci perché gli esperti che minimizzavano il virus ora imperversano in tv / 3. Ecco a voi i nuovi sovranisti: ignoranti individualisti e negazionisti che cianciano di dittatura sanitaria

L’articolo proviene da TPI.it qui

Fino a ieri ha sbeffeggiato il Coronavirus ora Trump (positivo) si affida alla scienza

Non è nemmeno stato capace di twittare l’informazione esatta: il presidente USA Trump annuncia di essere risultato positivo al Covid-19 e non al Coronavirus, non riuscendo a distinguere il virus dalla malattia che sviluppa. Ma non stupisce, certo, no. Del resto è lo stesso Trump che ha sbeffeggiato (come molti altri suoi colleghi leader mondiali, spesso di una certa parte politica) il Coronavirus fin dall’inizio, annunciando al mondo che c’era troppo allarmismo e che non avrebbe certo indossato la mascherina.

È lo stesso Trump che era riuscito a farsi rimuovere un post da Facebook e Twitter scrivendo che aveva “sentito” (ha scritto proprio così, come quelli che parlano di voci che circolano al bar) che i bambini fossero immuni. Falso, ovviamente. È lo stesso Trump, ve lo ricordate, che durante una conferenza stampa consigliava ai medici iniezioni di disinfettanti e candeggina sui malati di Covid-19. Alcuni suoi sfegatati supporter lo presero addirittura alla lettera e vennero ricoverati.

Sono forti questi negazionisti a capo dei Paesi più potenti del mondo: passano dal negare al virus al suggerire cure (per un virus che non dovrebbe esistere) e infine si ammalano. Ma non è tutto, no. Trump è riuscito anche a condividere sui suoi social un tweet in cui si sosteneva che i Centers for Disease Control and Prevention avevano “tranquillamente aggiornato il numero dei morti di Covid, ammettendo che solo il 6% delle vittime riportate – circa 9000 – sono decedute davvero per il Covid”. Il resto “aveva 2-3 altre gravi malattie”. L’informazione arrivava direttamente da un seguace delle teorie cospirazioniste QAnon, gli stessi che raccontano di un network internazionali di satanisti pedofili (tra cui Hillary Clinton e Obama, tanto per capire il livello della ridicolaggine) che insieme a reti di “poteri forti” (eccallà) starerebbero agendo contro il presidente USA.

Poi si passa all’idrossiclorochina che proprio Trump ha dichiarato essere una cura valida per la prevenzione: “ne prendo una al giorno da una settimana e mezzo, cosa c’è da perdere?”, aveva dichiarato il presidente. Niente, nemmeno questo. Poi c’è stato l’annuncio di un vaccino entro la fine dell’anno (smentito da tutti) e proprio qualche giorno fa durante il dibattito televisivo Trump ha scanzonato il suo rivale Biden sull’uso della mascherina: “Ho qui la mascherina. La metto quando serve. Mica come Biden, che la usa sempre”. Probabilmente era già infetto. Intanto negli USA si registrano più di 7 milioni di casi e 208mila morti. E si è ammalato anche lui. Ben fatto, Donald. Ora, come sempre, si affiderà alla scienza che ha deriso fino a ieri.

Leggi anche: 1. Il presidente Usa Donald Trump e la first lady Melania positivi al Covid-19: “Siamo in quarantena, ce la faremo”; // 2. Chi è Hope Hicks, la consigliera di Trump che potrebbe aver contagiato la coppia presidenziale; // 3. Trump positivo al Covid, da Pence a Biden chi è esposto al contagio; //4. Slogan rimasticati, insulti e un arbitro debole: il match senza il colpo del KO tra Trump e Biden (di Giampiero Gramaglia); // 5Ecco perché queste saranno le elezioni più importanti della storia americana (di Iacopo Luzi, inviato TPI a Washington)

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Troppo Covid? Licenziato

Un dipendente di un supermercato nel lodigiano a febbraio si è ammalato e da allora ha avuto continue ricadute. Il 18 settembre riceve la lettera di licenziamento per aver superato i 180 giorni di malattia permessi da contratto. Ma il decreto Cura Italia esclude i casi di Covid

Mentre si è scatenata la caccia dei furbi del reddito di cittadinanza, opera utilissima per sparare nel mucchio contro le povertà che in questo Paese continuano a essere viste come una colpa da condannare e mica un problema sociale da risolvere continuano a rimanere taciute le pratiche dei furbetti dell’imprenditoria italiana che in tempo di Covid continua ad approfittarne per fare ciò che non potrebbe fare, in nome dell’emergenza. Lucrare sulla pandemia è un atto di cui si continua a parlare poco, troppo poco.

Una storia arriva da Casalpusterlengo, nel lodigiano, proprio a pochi chilometri da Codogno, zona rossa da cui è cominciato tutto. Lui si chiama Fabrizio Franchini, ha 60 anni e da 33 anni lavora dietro al bancone dei freschi di un supermercato, uno di quelli che ci inonda di pubblicità che raccontano i clienti come una grande famiglia. Il 21 febbraio l’Italia piomba nell’incubo Covid e Fabrizio Franchini racconta che ancora pochi clienti usavano la mascherina e i guanti, eravamo nel periodo in cui mancava ancora la consapevolezza. Otto giorni dopo il paziente 1 Fabrizio si ammala: tosse, febbre dolori e poi la fatica a respirare.

Fabrizio chiama l’ambulanza, passano 24 ore, poi corre al Pronto Soccorso di Crema, si sottopone al tampone e infine il risultato: Covid. Inizia il percorso di molti malati: ospedale, poi isolamento a casa, tutto in attesa del tampone finalmente negativo. Arriviamo ad aprile: finalmente il tampone è negativo ma i malesseri continuano, ancora controlli, gli dicono di mettersi in contatto con il medico del lavoro. Intanto, proprio a causa del Covid, Fabrizio finisce ancora ricoverato in ospedale: miocardite acuta. Gli viene prolungata la malattia fino al 12 ottobre ma lo scorso 18 settembre gli arriva una lettera dal suo datore di lavoro: licenziato. A La Stampa dice: «Sono devastato. Questo è un incubo in cui ho trascinato la mia famiglia. Per altri sei anni devo pagare il mutuo. Mia moglie lavora in una mensa scolastica e speriamo che non chiudano anche quella». L’azienda dice che Fabrizio abbia superato i 180 giorni di malattia permessi da contratto: che probabilmente si sia ammalato proprio sul luogo di lavoro e che il decreto Cura Italia dica chiaramente che il Covid non possa essere conteggiato nel periodo di comporto sembra non interessare.

C’è un altro aspetto interessante nella vicenda: da tempo il datore di lavoro “spingeva” Fabrizio a una pensione anticipata perché il suo era un contratto “pesante”. Lui aveva sempre rifiutato. Il Covid c’è riuscito. E la sua è solo una delle tante storie dei furbetti che hanno lucrato su licenziamenti, su cassa integrazione e sulla pandemia come occasione per snellire con poco rispetto dei diritti. Eppure è un tema enorme, qualcosa che meriterebbe anche una certa attenzione da certa politica. Oppure viene troppo comodo, come sempre, prendersela con i furbetti da pochi spicci. È più comodo, funziona.

Buon mercoledì.

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Buona guarigione, Briatore

L’imprenditore piemontese ha insistito nel negare la pericolosità del virus. Forse, una volta guarito dal Covid, dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo: dipendenti e ospiti del suo locale che si è rivelato un pericoloso focolaio

Giusto qualche giorno fa proprio su queste pagine mi è capitato di contestare Flavio Briatore per le sue idee e per la superficialità con cui ha affrontato il tema dei rischi Covid e la superficialità con cui ha invocato il liberi tutti in nome del fatturato del suo locale che proprio in questi giorni si è rivelato un pericoloso focolaio con ben 63 positivi su 90 tamponi fatti.

Flavio Briatore è ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano (tra l’altro in un reparto che non è attrezzato per il Covid e dove, pagando, ha deciso di stare) perché anche lui è positivo e intorno, ovviamente, si sono avventati un po’ tutti, anche chi con un certo sprezzo del senso di umanità sta augurando all’imprenditore la peggior sorte in nome di una giustizia vendicativa che dovrebbe servirgli da lezione. Beh, qui si augura a Briatore di guarire presto (del resto le notizie dicono che le sue condizioni siano stabili e buone, niente di preoccupante al momento, così dice il comunicato ufficiale del suo staff) però alcune considerazioni meritano di essere fatte.

Come scrive giustamente Massimo Mantellini: «Immaginare di sterilizzare la discussione che lo stesso Briatore ha scatenato, ora che è malato della stessa malattia che negava, e questo in nome dell’umana pietà che dobbiamo riservare a tutti, è semplicemente ridicolo». Briatore, come molti altri, ha insistito nel negare il pericolo e negare la pericolosità del virus (e con lui lo stesso primario Zangrillo che ora se lo ritrova in reparto) e forse, una volta guarito, in quanto personaggio pubblico (e usato spesso dalla politica come profeta, sui social della Lega sono state rilanciate di gran voga le sue dichiarazioni) dovrà spiegare questa sua superficialità, ci dovrà spiegare come sia successo che la sua discoteca abbia numeri di contagio che sono ben superiori a quelle delle altre discoteche e dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo, a tanti dei suoi dipendenti e dei suoi ospiti. Perché, come dice spesso lo stesso Briatore, «le parole stanno a zero e contano i fatti». E infiammare gli animi finisce sempre per rivoltarsi contro, sempre.

Per quanto riguarda i complottisti invece non c’è speranza: comincia già a girare la fake news che Briatore sia stato “infettato dal sistema”. Pensate un po’.

Buona guarigione.

Buon mercoledì.

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