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mario calabresi

Balle come intellettualismi

Mario Calabresi (da cui aspetto risposte da qualche anno, qui) difende malissimo Gianni Riotta nell’esercizio tutto italiano di difendere qualcuno semplicemente “perché vicino” in un editoriale che lascia di stucco per arrampicata verticale rivenduta con forgia intellettuale (qui). Come dice bene Alessandro:

Possiamo fare infinite elucubrazioni sulla crisi del giornalismo e dei suoi modelli di business. Ma se non ripartiamo dai fondamentali – cioè dall’onestà intellettuale, dal non mischiare le carte per darsi ragione quando si ha torto – non andremo mai da nessuna parte. Arrampicarsi sugli specchi per difenderci tra compagni di merende è il contrario della credibilità, della ‘reliability’: e in questo contrario non ci sarà mai modello di business che tenga.

Lettera aperta a Mario Calabresi, direttore de La Stampa

Caro direttore,

ho avuto modo questa mattina di leggere il Suo giornale, come ogni mattina e mi sono ritrovato citato nell’articolo “Torna la Binetti ma e’ con Casini” a firma del giornalista Carlo Bertini in cui vengo inserito tra le candidature appartenenti al mondo dello “Show business” a fianco dell’igienista berlusconiana Nicole Minetti e altri “colleghi”.

Le confesso, direttore, che sono più che abituato alle diverse e banalizzanti etichette che in questi anni mi sono meritato da semplicistiche penne che hanno incrociato la mia storia; non ultima quello dell'”attore minacciato dalla mafia” che anche il Suo giornalista e’ andato a ripescare. Per questo Le confesso che sono preparato a leggere in gran quantità accostamenti più o meno in malafede con “uomini di spettacolo” che dovrebbero essere solo note di colore e di costume di questa prossima campagna elettorale.

Non riesco pero’ (per la stima che ho per Lei, la Sua storia, e il Suo giornale) a trattenermi dall’esprimerle il mio rammarico nel scoprire che proprio Voi avete aperto questa strada.

Chieda a mia moglie o ai miei figli o ai miei collaboratori quanti lustrini delle show business hanno in una giornata che e’ scandita dalla scorta e dalla mancanza di libertà e serenità. Chieda ad Addiopizzo, Libera e le altre associazioni con cui mi onoro di collaborare da anni nelle piazze, nelle scuole e nei convegni, quanto ci sia di “spettacolare” nelle nostre attività. Chieda ai famigliari delle vittime di mafia con cui abbiamo elaborato testi e progetti quanto la preservazione della memoria sia un lavoro carbonaro e non certo merce da palcoscenico.

Le etichette banalizzanti e gli accostamenti incauti sono molto più sconfortanti delle pallottole anonime, caro direttore. E Lei questo dovrebbe saperlo bene. Accostare il mondo che con umiltà e fatica cerco quotidianamente di rappresentare a vallette o quant’altro e’ perlomeno ardito.

Certo di un Suo riscontro.

Con immutata stima

Giulio Cavalli