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Alfonso Bonafede, il ministro invisibile


Il ministro della Giustizia Bonafede dà vita a uno spettacolo davvero poco edificante dalla Gruber. Si contraddice, accampa scusanti poco credibili e sul caso Diciotti propone una ricostruzione dei fatti assolutamente illegale e parla degli altri  ministri come se lui fosse capitato lì per caso.
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Il ministro dell’ignoranza che non riesce a dissimulare ciò che è


Per questo non può stupire l’uscita del ministro all’istruzione Bussetti che durante la sua visita ad Afragola a chi chiedeva più fondi per l’istruzione al sud ha risposto che non servono soldi ma più sacrificio e più impegno dando per scontato che tutti i presidi e tutti gli insegnanti terroni abbiano molta meno voglia di lavorare che al nord. Badate bene: non è una frase che gli è scappata, è la sua reale natura che non è riuscito a tenere a freno e che tra l’altro funziona perfettamente nel gioco delle parti (fin troppo banale per non essere percepito) in cui Salvini va a raccattare i voti mentre il Bussetti di turno tiene buona l’anima razzista originaria della Lega.
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Oui, il Pd c’est moi

Non è tanto Matteo Renzi che stupisce. Renzi è così, piaccia o no, prendere o lasciare, e anche se paga lo scotto di una personalità piuttosto arrembante sempre pronta a sfociare nel bullismo, Renzi nel Pd sta facendo il Renzi, niente di nuovo, il suo solito copione.

Il tema piuttosto è un altro ed è ben altro dall’ex presidente del consiglio o l’ex segretario di turno ed è tutto incentrato sulle minoranze che nel Partito democratico si sono via via succedute e che paiono tutte le volte incagliarsi sullo stesso punto: il coraggio.

La direzione del partito di ieri (che ha praticamente votato sull’intervista televisiva del suo ex segretario) dimostra ancora una volta l’incapacità di elaborare, organizzare e sostenere una visione differente dalla maggioranza riuscendola a spiegare ai propri elettori e prendendosi la briga di portarla avanti anche nei luoghi decisionali del partito.

Mi spiego: al di là di quella che può essere la mia opinione personale su ciò che dovrebbe fare il Pd con il Movimento 5 stelle (e certo spetta al Pd deciderlo più che agli agguerriti editorialisti che si sentono tutti segretari oltre che allenatori) la scena di ieri porta con sé qualcosa di sgraziato nell’esito del voto: si direbbe, leggendo il risultato, che non sia mai esistita una posizione diversa da quella maggioritaria, come se tutto il can can dei giorni scorsi fosse solo una nostra allucinazione.

E non ce ne vorrà il ministro Orlando (e il reggente Martina) se non crediamo alla soffice giustificazione di chi dice «l’importante è essere unitari»: se si avesse così a cuore la solidità percepita da fuori forse si eviterebbero certi toni da tifo. Il tema è un altro: nel Partito democratico tutti si sgolano sulle differenze di posizione ma risultano pochissimo convincenti nei successivi riallineamenti. Tutte le volte. Sempre. Con quella sensazione di fondo che si sia semplicemente rimandata la coltellata e si finga che non sia successo niente.

Poi, però, sono gli stessi che ci dicono che «il Pd si cambia da dentro». E l’ha fatto solo Renzi, pensandoci bene.

Buon venerdì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/05/04/oui-il-pd-cest-moi/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

15 persone ad ascoltare il ministro Poletti alla Festa dell’Unità. A Modena

C’erano 15 persone, forse 18, ad ascoltare il ministro Giuliano Poletti alla Festa dell’Unità a Modena. Quindici persone in una delle zone da sempre floride per il partito che fu e che oggi si sbriciola sotto i colpi del renzismo e del nuovo corso che tende a destra.

Ma soprattutto il vuoto in platea per il ministro Poletti è la cartina di tornasole di un ministro che per mesi si è divertito (che si sia divertito, almeno questo) a prendere per i fondelli qualche migliaio di giovani con battute che non hanno fatto ridere nessuno: dai giovani che emigrano perché non hanno voglia di lavorare fino al consiglio di “giocare a calcetto” con le persone giuste il ministro ha dimostrato di avere un atteggiamento altezzoso, irrispettoso, stomachevole e distante dalla realtà.

Il video è stato condiviso da La Presse Modenese (qui)

In un Paese normale un’occasione come questa sarebbe motivo di riflessione profonda. Un ministro che “a casa sua” viene accolto con lo stesso entusiasmo di un frigorifero all’Antartide dovrebbe essere un segnale significativo.

E invece niente.

Vedrete, niente.

Buon venerdì.

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Lo Ius soli, il pavido premier e il ministro piccolo piccolo

«Si è trattato di una decisione di buon senso». Da Bruxelles, a margine del Consiglio affari esteri, il ministro agli Affari esteri, Angelino Alfano, ha risposto così  alle domande sul voto per lo Ius Soli che Gentiloni ha rimandato all’autunno. E che in realtà vedrete che non passerà mai.  «Molti dicono che sia stato un nostro successo – ha continuato – ma noi crediamo sia stato un successo della ragionevolezza perché farlo adesso, nel pieno degli sbarchi e poco prima della pausa estiva, sarebbe stato contro ogni logica. Abbiamo apprezzato il comportamento del premier Gentiloni che non ha rinunciato all’idea di approvarlo, ma in questo momento temporale ha deciso con grande realismo la cosa giusta».

Ecco, se si volesse davvero avere il coraggio di dire le cose come stanno, il problema vero del mancato voto sullo Ius Soli è tutto qui: avere reso fondamentale un patetico ministro come Angelino Alfano (e quel minuscolo caravanserraglio che è il suo volubile partito) elemento fondamentale di un intero governo. “Angelino sempre in piedi”, con il suo 3% che non prenderà mai più, decide le sorti di una legge che tutti dichiaravano fondamentale e che invece si incaglia.

E non si incaglia su chissà quali articolati pensieri. No. Si incaglia sul servilismo di Alfano verso il «sentimento popolare» e sugli istinti bassi di una campagna elettorale che è già cominciata da un pezzo. E non solo: si incaglia sull’enorme bugia che questa legge abbia a che vedere con gli sbarchi, mentre in realtà non c’entra nulla con l’ondata migratoria.

E Gentiloni (e i suoi) permettono ad Alfano di dichiarare che «farlo adesso, nel pieno degli sbarchi e poco prima della pausa estiva, sarebbe stato contro ogni logica».

Che vergogna. Per Alfano. Per Gentiloni. Che vergogna.

Buon martedì.

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È che ci vuole il fisico, per sapere non fare la guerra

Angelino Alfano, ministro agli Esteri: «L’Italia comprende le ragioni di un’azione militare USA proporzionata nei tempi e nei modi, quale risposta a un inaccettabile senso di impunità nonché quale segnale di deterrenza verso i rischi di ulteriori impieghi di armi chimiche da parte di Assad, oltre a quelli già accertati dall’ONU».

Paolo Gentiloni, Presidente del Consiglio: «L’azione ordinata dal presidente Trump. È una risposta motivata a un crimine di guerra. L’uso di armi chimiche non può essere circondato da indifferenza e chi ne fa uso non può contare su attenuanti o mistificazioni».

Nicola La Torre, senatore del PD, presidente della Commissione Difesa al Senato: «L’azione USA è un’opportunità. Obama con Mosca sbagliava strategia. Ogni sforzo diplomatico era azzerato. L’attacco ha fermato la china criminale e può riaprire il negoziato».

Queste le dichiarazioni. E il commento, alla fine, non c’è nemmeno bisogno di scriverlo perché l’ha già detto come meglio non si poteva dire George Orwell nel 1938:

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Banalizzare, criminalizzare, purché non se ne parli: il metodo No Tav applicato ai No Tap

Accade così: si alza la polvere facendo in modo di convincerci che la polvere sia il lascito dei violenti, si formano le squadriglie di picchiatori politici contro “quelli che dicono no a tutto”, si scialacqua solidarietà un po’ a caso in favore delle forze dell’ordine anche quando non ci sono disordini e si sventola il feticcio del progresso inevitabile (o del thatcheriano “non c’è alternativa”) per chiudere il discorso.

Ma il discorso, quello vero, quello che parte delle analisi e che per svilupparsi dovrebbe comprendere anche la possibilità che i decisori diano risposte convincenti, quel discorso in realtà non avviene mai. Ora ci manca solo che si faccia male qualcuno e poi anche i “No Tap” sono cotti a puntino per diventare la forma contemporanea dei “No Tav” in salsa pugliese. Le mosse piano piano si stanno incastrando tutte e anche l’ultimo tweet del senatore del PD Stefano Esposito (“Ogni giorno che passa i #NOTAP assomigliano drammaticamente ai #notav un grazie alle nostre #FFOO”) certifica che il processo si avvia a dare i suoi frutti.

Negli ultimi due giorni risuona soprattutto la barzelletta degli ulivi: “i no Tap? ambientalisti preoccupati per qualche manciata di alberi che verranno prontamente rimessi al loro posto” dicono più o meno i banalizzatori di partito. E fa niente se le ragioni della preoccupazione siano tutte scritte in un parere del 2014 di ben 37 pagine dell’Arpa protocollato dalla Regione Puglia (lo trovate qui); non importa che l’Espresso abbia raccontato come (ma va?) gli interessi particolari delle mafie abbiano messo qualcosa in più degli occhi sul progetto (è tutto qui) e non importa nemmeno che le motivazioni della protesta non siano contro il progetto in toto ma sulla località di approdo che era la peggiore delle soluzioni possibili: l’importante è che la protesta No Tap possa essere messa velocemente nel cassetto dei signornò e si divida subito tra le solite fazioni.

A questo aggiungeteci l’italica inclinazione alla servitù (come nel caso della viceministra Bellanova, PD, che si diceva contraria da candidata e ora seduta sulla poltrona da viceministro se la prende con Michele Emiliano perché si occupa più della sua regione piuttosto che della fedeltà agli ordini del capo) e vi accorgerete che di tutto si parla tranne che dell’analisi del dissenso.

 

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