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Covid, per due mesi conferenze stampa quotidiane sulle regole da seguire. Ora che il distanziamento sociale è scomparso va tutto bene?

La scienza, si sa, è piena di dubbi per sua natura. Un governo, si sa, deve affidarsi alla scienza per prendere decisioni e per imporre regole chiare che siano rispettate da tutti. Insieme alle regole è nei doveri del potere anche il controllo e l’eventuale notifica della trasgressione. Su questo, almeno su questo, dovremmo essere tutti d’accordo.

Abbiamo passato gli ultimi mesi a essere bombardati di regole, regole nuove che hanno modificato profondamente i nostri comportamenti e soprattutto che hanno avuto un enorme impatto economico e sociale per molte famiglie, per molte attività e per molte imprese. Le conferenze stampa della Protezione Civile e del Presidente del Consiglio Conte per molti hanno significato una diversa quotidianità (anche lavorativa) a partire dal minuto dopo, allineandosi alle decisione con ingenti costi economici, sociali e perfino di programmazione del futuro. Ci si è messi tutti in fila, gran parte degli italiani hanno diligentemente cambiato i propri comportamenti e hanno ascoltato con fiducia le parole degli scienziati e delle organizzazioni sanitarie. Anche le statistiche dicono che nel periodo del lockdown e nella prima fase successiva sono stati pochissimi i multati, una percentuale minima di un Paese che si è messo in riga.

Perfetto, arriviamo a noi. Ci dicono che la mascherina è obbligatoria negli ambienti chiusi e che il distanziamento sociale (che poi è un distanziamento fisico pronunciato con le parole sbagliate) sia fondamentale per la salute pubblica. Non ci vuole molto per accorgersi che le regole con il tempo si sono sfilacciate, deteriorate e che vengono contravvenute praticamente in ogni occasione: su molte spiagge sembra l’estate del 2019, l’aperitivo è identico per modi e distanze a quello pre-pandemia, i treni dei pendolari sono affollati e costretti. Niente di male, per carità, se qualcuno avesse fatto una bella conferenza stampa per dirci che va bene così, se qualcuno ci spiegasse perché l’esercito che inseguiva i runner ora si è volatilizzato. E invece niente. Sembra, da fuori, l’atteggiamento di chi ha voluto che il Covid venisse sistematicamente dimenticato, come se il rilassamento generale fosse quasi stato programmato. Io non sono uno scienziato ma mi chiedo: non sarebbe il caso ora di fare una bella conferenza stampa per chiarirci il punto? Per dirci: liberi tutti oppure no, non va bene? Davvero è tutto a posto così?

Leggi anche: 1. Quella ridicola passerella di Bergamo e lo Stato incapace di chiedere scusa (di G. Gambino) /2. Negazionisti contro empiristi: la guerra tra i virologi che decide se siamo liberi o no (di L. Telese)

3. L’autista NCC: “Molti bergamaschi tornavano da Wuhan e non facevano quarantena” /4. Un cittadino di Bergamo attacca Gori, la durissima risposta di Cristina Parodi

L’articolo proviene da TPI.it qui

Disobbedire è l’unico modo per resistere. E la multa a Sea Watch la pagheremo in tanti


Ben venga il processo alla Sea Watch se serve una volta per tutte a alzare il dibattito e ad approfondire il diritto del mare e i trattati internazionali che regolano il salvataggio di vite umane. Ha fatto bene la comandante a sfidare Salvini: ora finalmente si scoprirà che la Giustizia ha i mezzi per approfondire più di qualche orribile tweet.
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Il bullismo fiscale di Apple, Facebook, Google e compagnia bella

Niente crea più disuguaglianza che aiutare tutti nello stesso modo. Eppure non accade nemmeno questo: i forti con i deboli tendono a essere poi deboli con i forti per una legge del contrappasso che gli è favorevole. E così succede che in quest’Italia di professionisti digrignatori di denti (di fronte ai fragili demonizzati, preferibilmente profughi e stranieri) si apparecchi un’accoglienza barzotta a Mark Zuckerberg con il sorriso servile di chi ha intravisto uno sceicco e a nessuno venga in mente di chiedere al fondatore di Facebook (che ha dispensato slogan motivazionali da baci Perugina) se ritenga giusto pagare all’Italia 200.000 euro di tasse di fronte a un incasso di 350 milioni di euro.

Niente. Renzi era troppo preso a postare (su Facebook, appunto) la foto di lui e Mark; il Papa sempre intento a simulare giovanilismo e gli studenti universitari si sono scordati di chiederglielo. Avrebbero potuto farlo i giornalisti ma, ahinoi, i giornalisti non potevano fare domande. Succede. Cosa ne pensa un lavoratore italiano qualsiasi della differenza tra la propria pressione fiscale e quella del proprietario di Facebook invece è facile immaginarlo. Anche senza domande.

E mentre l’Italia si inzerbinava per Zuck (che apre la strada alla beneficienza con i buoni sconto, come al supermercato) l’Europa per la prima volta ha deciso invece di alzare la voce contro il bullismo fiscale di Apple che con la sua sede irlandese (finta) ha goduto di un’aliquota fiscale dello 0,005%. Sì, avete letto bene: al fisco europeo mancano qualcosa come 13 miliardi. E la Commissione Europea (senza bisogno di portaerei, passerelle e necrofilia storica) ha deciso di alzare la voce.

Insomma, l’Europa si arrabbia con le multinazionali e, per una volta, insegna a far politica ai Paesi membri. Proviamo ad applicare le regole, magari? E fuori succede un finimondo: Apple si indigna, l’Irlanda (la mangiatoia di Apple ma anche di Facebook e di Google) reclama il diritto di esercitare la propria prostituzione fiscale e i soliti noti balbettano qualcosa.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

«Non potete multarmi, sono Salvini»

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Doppiopesismo e tristezza, ne scrive Thomas Mackinson:

«Matteo Salvini e il suo autista sono in corsa per le amministrative di Milano. E in città vanno proprio forte, a 87 chilometri all’ora per l’esattezza. Quando beccano la multa però non fanno i milanesi che pagano, ma mettono in mezzo gli avvocati del partito. Tutto per non sborsare 165 euro di sanzione al Comune che si propongono di amministrare e salvare i punti della patente del dipendente della Lega. Il risultato è un surreale ricorso che fa leva sul “ruolo istituzionale” e sul “rischio sicurezza“. La multa risale al 9 novembre scorso, di prima mattina, mentre l’auto di servizio della Lega passava a gran velocità su viale Enrico Fermi, dove il limite è 70, diretta alla sede della Lega lì a due passi.

Salvini, capolista a Milano nonché candidato a leader di tutto il centrodestra, sta dietro. Davanti c’è Aurelio Locatelli, lo storico autista dei big del Carroccio con licenza di agente di pubblica sicurezza che, scarrozzando Salvini, s’è guadagnato pure lui la sua candidatura. E allora: nessuno rallenti la corsa elettorale dei due compagni di viaggio uniti dal partito, dal motore a scoppio e da un singolare ricorso. In via Bellerio la pensano così ma prendono l’imperativo un po’ troppo alla lettera. Su procura del segretario, i legali del Carroccio hanno infatti chiesto di annullare la sanzione con un ricorso di sei pagine depositato l’11 marzo scorso. Non contestano affatto la violazione, certificata da telecamere ben note ai milanesi, ma rivendicano una sorta di “immunità” da codice della strada per il leader.

In premessa ricordano che il segretario “ricopre incarichi istituzionali e che, per ragioni politico istituzionali, deve presenziare…”. Si tenga cioè presente l’alto valore trasportato. Salvini finisce così nel pubblico registro dei politici furbetti, quelli che prendono le multe come tutti i cittadini ma pretendono di non pagarle, perché al di sopra di regole e leggi buone solo per gli elettori. Un titolo che non farà felice il popolo leghista e mal si sposa con l’immagine da tribuno della rabbia popolare contro i privilegi della Casta. Non solo, giusto sei mesi fa il leghista aveva eletto Napoli “capitale delle multe evase”, attirandosi prevedibili polemiche: ora si scopre che Milano e Salvini non sono da meno, anzi.»

(continua qui)