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E intanto hanno preso Antonio Papalia, il nipote del boss di Buccinasco

Toh. Chi se lo immaginava?

BUCCINASCO – Un altro colpo alla ‘ndrangheta, quella che ha portato gli affari sporchi dalla provincia di Reggio Calabria a quella di Milano. I carabinieri di Locri e Platì, in sinergia con lo Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria, hanno trovato un arsenale nascosto in un pollaio.

Il ritrovamento

Una Beretta calibro 22, un’altra pistola calibro 38 (entrambe rubate), un fucile mitragliatore marca Sten, un altro con matricola abrasa, caricatori per pistola e per la mitragliatrice, due silenziatori e decine di cartucce e proiettili. Nascoste anche una custodia per fucile e una fondina per pistola. Lì, ben occultate tra fieno e galline, le aveva messe Antonio Papalia, cognome noto perché appartenente alla cosca dei Barbaro-Papalia.

L’arrestato

Lui, Antonio, 49 anni, è figlio di Anna Barbaro e Michele, fratello di Rocco, Antonio e Domenico, i tre fratelli che hanno portato gli affari sporchi della ‘ndrangheta tra Buccinasco e Corsico (Rocco in casa lavoro in Abruzzo, Domenico e Antonio scontano l’ergastolo).

Antonio è legato anche ai Barbaro Castanu: Francesco, detto cicciu castanu, è il patriarca della stirpe. Uno dei suoi figli, Rocco, ha sposato la sorella di Antonio, rafforzando così i legami di sangue tra la famiglia e il prestigio. L’arrestato ha un passato di latitanza e precedenti legati al traffico di droga. Dovrà ora rispondere dell’accusa di detenzione abusiva di armi e munizioni e ricettazione.

(fonte)

‘Ndrangheta «Parco Sud»: cade in Cassazione il 416 bis per i Barbaro-Papalia

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Notizie dal fronte per i signorotti di Buccinasco:

«La pronuncia, a seguito dei ricorsi proposti dalle difese, era stata in parte (per il solo art. 416 bis, associazione mafiosa) annullata dalla Prima sezione penale della Corte di Cassazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano che in sede di rinvio ha completamente assolto Domenico Papalia, assolvendo anche Francesco Barbaro e Antonio Perre dal solo reato di cui all’art. 416 bis, confermando nel resto.

Avverso quest’ultima sentenza, è stato proposto ricorso per Cassazione sia dalla Procura Generale milanese, per le tre assoluzioni, sia dalle difese degli imputati che hanno riportato condanna per i residui reati di possesso e ricettazione di armi (Domenico, Rosario, Salvatore e Francesco Barbaro, rispettivamente a 6 anni e 6 mesi, 2 anni, 4 anni, e 4 anni e sei mesi di reclusione; Antonio Perre a 5 anni).

Con la pronuncia odierna, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore generale, confermando le pronunce assolutoriedal reato di associazione mafiosaper Domenico Papalia, che risulta completamente scagionato (difeso dall’avvocato Francesco Lojacono), per Francesco Barbaro e Antonio Perre (difesi rispettivamente dagli avvocati Renato Russo e Amedeo Rizza), ed ha rigettato i ricorsi degli altri imputati, le cui condanne divengono definitive.»

(fonte)

Le cosche e il re delle discoteche: insieme a Milano

E’ finito in carcere Silvano Scalmana, l’ex re delle discoteche milanesi considerato in rapporti con la cosca ‘ndranghetista dei Barbaro-Papalia. Secondo la Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo, l’imprenditore – già agli arresti domiciliari perché imputato di bancarotta fraudolenta – si è rivolto aimammasantissima per intimidire tre dipendenti chiamati a testimoniare nel processo a suo carico dove, oltre alla bancarotta fraudolenta, deve rispondere di emissione di fatture false e riciclaggio.

Mentre i personaggi a cui il gestore avrebbe chiesto aiuto per “raddrizzare” il suo processo sono già in carcere dopo l’operazione antimafia “Platino“, che l’8 gennaio scorso portò alla luce un sistema consolidato tra presunti boss e imprenditori della movida milanese e all’arresto di 10 persone. Secondo il procuratore aggiunto Ilda Boccassini e il pm Paolo Storari, che coordinarono l’operazione, le cosche fornivano una “protezione a tutto campo” a 17 locali locali del capoluogo lombardo – tra cui anche il De Sade gestito dalla società Acquario di Scalmana – attraverso una “sorta di estorsione-tangente”, dal cui pagamento gli imprenditori ricevevano “un cospicuo vantaggio economico”. E’ da quell’indagine, culminata con l’arresto di oggi, che spunta fuori la richiesta di Scalamana agli affiliati dei Barbaro-Papalia per “ammorbidire” i tre dipendenti chiamati a testimoniare sulla gestione dei suoi locali.

Il processo, che l’ex titolare di locali come il Karma e il Parco delle rose voleva far “aggiustare”, nel luglio 2012 è approdato in primo grado infliggendo a Scalmana i domiciliari. Secondo le indagini delle fiamme gialle milanesi, l’imprenditore insieme ad altre persone, tra cui l’avvocato aretino Stefano Angiolini (accusato negli anni ’80 di aver aiutato il venerabile maestro della P2 Licio Gelli), avrebbe ricevuto finanziamenti per quasi 30 milioni di euro grazie alla complicità di un dipendente Unicredit che, poco dopo, avrebbe fatto sparire.

Il provvedimento di custodia cautelare di oggi è stato notificato dai Carabinieri del Comando Provinciale di Milano, l’ex re della movida è stato accompagnato in carcere dai militari del Nucleo Investigativo. La misura è stata emessa dal gip di Milano che ha ritenuto l’imprenditore responsabile di intralcio alla giustizia e falsa testimonianza, in concorso con alcuni affiliati alla cosca Barbaro-Papalia.

(via)

Aspettando il grande capo Rocco Papalia

rocco-buccinasco-interna-nuovaViale del Buon Cammino, civico 19. Carcere di Cagliari. Le due del 23 aprile 2011. Un uomo ha appena varcato il portone d’ingresso. In strada respira il profumo dei pini marittimi. Il sole lo colpisce agli occhi. Abbassa lo sguardo. Lo rialza. Si stringe nella giacca. Poi gonfia il petto. Si sente libero come non lo era più stato dal 10 settembre 1992, quando iniziò la sua vita da carcerato. Diciannove anni dopo, il primo permesso e una sensazione che aveva imparato a dimenticare. Oggi la vita ricomincia, il sangue torna a scorrere, la mente a ingranare idee. Ancora, però, non è finita. Il rientro è fissato per le undici di sera. Meglio non pensarci. C’è la famiglia da riabbracciare, progetti da far ripartire.

Fino al blitz di questa mattina, quella data ha scavato come un tarlo nella testa dei carabinieri di Milano. Sì perché quel signore non alto, ma robusto, il volto indurito dagli anni di galera, lo sguardo che ghiaccia lo stomaco, non è uno qualsiasi, ma il boss dei boss, il padrino rispettato che assieme ai suoi due fratelli per oltre vent’anni ha giostrato gli affari della ‘ndrangheta all’ombra del Duomo. Questo, infatti, è Rocco Papalia nato a Platì il 24 ottobre 1950. Un supercapo che dal suo fortino diBuccinasco, comune dell’hinterland milanese, ha programmato sequestri e traffici di ogni genere. Erano gli anni Ottanta. All’alba dei Novanta, poi, lo Stato reagì. Centinaia di mafiosi finirono in carcere. Negli archivi giudiziari quel blitz fu classificato sotto il nome di Nord-sud. A dare la stura le parole del pentito Saverio Morabito, ascoltate e trascritte da un giudice coraggioso, Alberto Nobili, e da un sbirro eroico, Carmine Gallo. Il resto è una storia, quella che traghetta Milano verso il terzo millennio, fatta di dimenticanze politiche, smemoratezze istituzionali e voglia di cancellare l’assedio mosso all’epoca dalla mafia più potente del mondo.

Il brusco risveglio una mattina di luglio del 2008. Di nuovo la cosca Barbaro-Papalia, ancora l’incubo di un’ammissione che si può tradurre in un titolo: Milano provincia di ‘ndrangheta. L’operazione Cerberus fa saltare il tappo. In quattro anni la Procura mette a segno centinaia di arresti, narrando di una Lombardia che si è fatta mandamento mafioso con le sue regole e i suoi riti. Decine di informative raccontano di colletti bianchi e politici collusi. I giudici condannano senza sconti. Eppure tanta solerzia investigativa ha intaccato solo la superficie di una infiltrazione molto più profonda e devastante. Ecco perché questa storia non riguarda il passato, ma il presente e il futuro. Una storia sulla cosca Barbaro-Papalia, sui suoi nuovi assetti, sul suo tesoro (mai trovato), e sugli affari: dal traffico dei rifiuti agli appalti pubblici. Una storia che parte (o riparte) da Rocco Papalia e dai suoi fratelli (Antonio e Domenico), che, pur ergastolani, da anni ormai hanno abbandonato i rigori penitenziari del 41 bis. Ma anche da un gruppo di colonnelli, oggi tornati liberi, che negli anni Ottanta, stando alle parole di un pentito, componevano “il governo” della ‘ndrangheta a Corsico e Buccinasco.

Così, per capire quanto quel 23 aprile 2011 abbia tenuto gli investigatori inchiodati per oltre due anni sul territorio di Bucicnasco,  basta scorrere le oltre cento pagine di un’informativa del 17 giugno 2011. Nelle prime pagine dell’annotazione, che ha dato inizio all’indagine conclusa oggi, i militari, ricordando le ultime inchieste che hanno colpito la cosca Barbaro-Papalia (Cerberus nel 2008 eParco sud nel 2009), mettono nero su bianco un ragionamento che inquieta: “Non vi è alcun segnale che si sia verificato un vuoto di potere. Oggi, per di più, s’inizia a intravedere il giorno in cui Rocco Papalia potrà tornare a Milano e fruire dei permessi; il primo gli è stato concesso a Cagliari (…). Nel frattempo, sono tornati in libertà membri autorevoli dell’organizzazione (…) membri la cui fedeltà alla cosca e a Rocco Papalia, in particolare, è certificata nelle condanne passate in giudicato”. E ancora: “Le innumerevoli attività investigative che, dagli anni Ottanta a oggi, hanno riguardato la cosca insegnano che essa, nonostante gli arresti, le tante e pesantissime condanne, è caratterizzata da una solida continuità di comando. E da un rispetto assoluto delle gerarchie. E’ una cosca che, proprio in ragione di ciò, non ha mai subito né faide né scissioni”. Una data per capire: 1983. Scrive il brigadiere Giuseppe Furco della locale stazione di Platì: “In merito alla posizione di capo indiscusso, con ruolo di prestigio anche sugli altri capi non vi è dubbio, infatti, che Domenico Papalia, fratello di Antonio e Rocco, cugino dei Barbaro soprannominati I Nigri, è tenuto in ottima considerazione”. Ecco invece cosa annotano i carabinieri nel 2011: “Sono trascorsi quasi trent’anni da quando Giuseppe Furco scrisse quell’informativa (…) e gli equilibri, in seno alla cosca Barbaro-Papalia restano immutati”.

Corsico oggi. Un bar di via Salma. La storia riprende da qui e da una telefonata del 2011. “Sei al bar?”, chiede Agostino. “Sì”, risponde Michele. Il nastro delle intercettazioni registra. Il contenuto non è decisivo. Ai carabinieri serve per fissare nomi e luoghi della nuova pattuglia della cosca. Agostino, infatti, è Agostino Catanzariti nato a Platì nel 1947. Michele, invece, è Michele Grillo, anche lui platiota, anche lui classe ’47. Oltre all’anno di nascita, i due condividono l’appartenenza “al nucleo storico di ‘ndranghetisti che, alla fine degli Anni ’70, diede il via alla terribile stagione dei sequestri di persona in Lombardia“. Il 18 giugno 1987 Michele Grillo viene condannato a 18 anni per il sequestro di Tullia Kauten. Espiata la pena, oggi Grillo ufficialmente fa il camionista e vive a Casorate Primo, uno dei tanti comuni, a metà strada tra Buccinasco e Pavia, che rappresentano l’ultimo avamposto della ‘ndrangheta lombarda.

Di rapimenti è esperto anche Agostino Catanzariti. Secondo la ricostruzione dei carabinieri viene condannato per i sequestri di Angelo GalliAlberto Campari (1977)Giuseppe Scalari (1977),Evelina Cattaneo (1979). Il 24 maggio 1981 viene arrestato. In carcere ci resta fino al 2009. Quindi rientra a Corsico nella sua casa di via IV novembre dove finisce di scontare gli ultimi due anni ai domiciliari. Il 6 ottobre 1981, quando Catanzariti è in carcere da pochi mesi, la sua cella viene perquisita. Salta fuori un pizzino che i carabinieri riproducono integralmente nella loro informativa del 2011. “In quel pezzetto di carta – scrivono – si riesce a leggere: “Agostino Catanzariti capo, Rocco Papalia Supercapo”. Anche per questo: “Si ha motivo di ritenere che, nonostante la lunghissima carcerazione, egli sia tutt’ora personaggio autorevole”.

I luoghi in questa storia sono decisivi per cogliere affinità e rapporti. Ci sono i bar come quello di via Salma e come il Lyons di via dei Mille a Buccinasco, veri e propri “uffici dei Papalia”. Ma ci sono anche altri posti dove, secondo i carabinieri, la sola presenza è sinonimo di appartenenza. Uno di questi è il sagrato della parrocchia di San Silvestro. Qui il 30 aprile 2011 si celebra il funerale di un parente dei Papalia. I carabinieri ci sono, filmano, fotografano e scrivono: “È noto che nella ‘ndrangheta le cerimonie religiose (battesimi, matrimoni, funerali) sono occasioni sociali alle quali non è ammesso sottrarsi”. E in effetti l’album fotografico che ne viene fuori resta un documento importante per individuare i pretoriani della cosca. Agostino e Michele ci sono. Con loro i militari immortalano anche Natale Trimboli. Classe ’56, originario di Platì, Trimboli oggi vive a Zelo Surrigone. In passato è stato condannato a otto anni per armi e droga. Ufficialmente si occupa di movimento terra. Uno dei suoi figli assieme al pronipote di Catanzariti ha aperto un bar a Corsico in via Fratelli di Dio.

Alla cerimonia funebre, poi, compaiono altri due personaggi che fanno drizzare le orecchie ai militari. Quel giorno si vede Antonio Musitano detto Totò Brustia. Pure lui della truppa dei platioti di Buccinasco, Musitano fa 17 anni di carcere per l’operazione Nord-sud. Dal 2007 è libero. Di lui ha parlato a lungo il pentito Saverio Morabito: “Papalia si faceva coadiuvare da Antonio Musitano (…) Tra la fine dell’83 e dell’84 (…) Rocco Papalia si avvaleva della collaborazione di Musitano che si era rivelato un ragazzo sveglio”. Per molto tempo, racconta un investigatore, “è stato l’uomo di riferimento su Milano di Giuseppe Barbaro detto u’ Nigru”. Confermano i carabinieri nella loro informativa: “Antonio Musitano può essere considerato una delle figure apicali in seno alla cosca Papalia”. La riprova? “Il 27 maggio 2010, lo stesso Musitano accompagnò Rosa Sergi al carcere di Padova per un colloquio con il marito Antonio Papalia, fratello di Rocco”.

Funerali, ma non solo. I legami di sangue cementano il sodalizio. E come nella più rigorosa tradizione nobiliare, ci si sposa per elevare il lignaggio. Succede con Giuseppe Pangallo nato a Platì nel 1980. I compari lo chiamano Peppone. Oggi vive in provincia di Como assieme alla moglie Rosanna Papalia, figlia di Rocco. Dirà lei, intercettata durante l’inchiesta Marine della procura di Reggio Calabria. “Io stavo tanto bene con l’altro e mi hanno fatto sposare a te”. Definito “personaggio degno di attenzione”, nel 2005 viene condannato a 3 anni per droga, ma andrà assolto in Appello.

Questi sono i personaggi che vengono monitorati dai carabinieri di Milano. Eppure la storia non finisce qua. Negli ultimi anni, infatti, molti protagonisti dei maxi-processi degli anni Novanta sono tornati in libertà. Attualmente non risultano indagati e vivono da liberi cittadini nei comuni a sud di Buccinasco. Un lungo elenco dal quale spicca il nome di Paolo Sergi, boss di rango e cognato di Antonio Papalia. Al termine del processo Nord-sud incassò diversi ergastoli. Dal luglio 2011 vive in una villetta di Zibido San Giacomo con la possibilità di uscire solo poche ore al giorno. Suo fratello Francesco, invece, sconta l’ergastolo in carcere. Per tutti gli anni Ottanta ha gestito droga e sequestri ai tavolini del bar Trevi di via Bramante a Corsico. Il terzo fratello Sergi, Giuseppe detto Peppone, vive da libero cittadino e gestisce un esercizio commerciale a Corsico. Altro grande frequentatore dei bar-uffici della ‘ndrangheta è Antonio Parisi. Anche lui coinvolto nei maxi-blitz degli anni Novanta (condannato a 30 anni in primo grado), oggi vive a Buccinasco. Stesso destino per Diego Rechichi, ex luogotenente di Rocco Papalia, arrestato nell’aprile 2013 per traffico di droga. L’elenco è lungo. Ne fanno parte i fratelli Trimboli. Oltre a loro anche l’omonimo Domenico Tromboli, detto u Murruni, è tornato in libertà. In passato ha sposato una Papalia. Insomma, questa è la geografia. Un risiko fitto di protagonisti e comparse. Tutti in attesa del ritorno di Rocco Papalia, “il supercapo”.

(Un pezzo del solito Davide Milosa e dell’antimafia con nomi e cognomi come piace a noi da stampare e tenere in tasca)

Le riunioni della droga a Milano sotto le mutande dei Papalia

Un luogo: l’Ortomercato di Milano. Un’ipotesi: atti estorsivi, minacce, recupero crediti. La vittima è un grossista, forse campano. Il mandante delle violenze è invece calabrese. La notizia arriva sul tavolo della Guardia di Finanza di Milano nella primavera del 2012. Partono le intercettazioni. Nella rete finisce un personaggio di Reggio Calabria che non ha interessi nella struttura di via Lombroso. Gestisce, invece, una sala di slot-machine a Corsico. E lo fa per conto di uno degli eredi della cosca Papalia. La storia così cambia faccia. L’Ortomercato esce di scena. Si parla di ‘ndrangheta, di droga, di giovani boss e di un clamoroso summit registrato nell’ordinanza d’arresto emessa il 28 maggio 2013 dal gip Simone Luerti a carico di sette persone (l’ottava è ai domiciliari) accusate di traffico di droga.

Ecco allora i fotogrammi di un incontro che ricorda lo storico vertice del 1981, quando ai tavolini del bar Lyons di Buccinasco si accomodarono i maggiori rappresentanti delle cosche di Platì, Africo e San Luca. Il gotha della ‘ndrangheta. Sono le sette di sera del 6 settembre 2012. Davanti al ristorante La Romantica di Buccinasco arriva una Fiat Croma. A bordo c’è Antonio Papalia classe ’75 (attualmente solo indagato). Non uno qualsiasi, ma il nipote dei fratelli Papalia (Antonio, Rocco e Domenico) che per tutti gli anni Ottanta dai bar di Buccinasco hanno comandato gli affari della ‘ndrangheta in tutto il nord-Italia. Storia di sangue e sequestri chiusa con l’inchiesta Nord-sud. Nel 1997, i tre fratelli saranno sommersi da anni di carcere. Allora Antonio Papalia non ha ancora 18 anni. E nonostante la giovane età si mette in pista assieme ad altri due compari per uccidere l’allora sostituto procuratore dell’antimafia milanese Alberto Nobili. Tra i calabresi di Buccinasco le cose sono chiare. I vecchi boss istruiscono i giovani picciotti: “Ve lo prendete questo qui (Nobili, ndr) ve lo prendete altrimenti ce la canta”. Le “bocche di fuoco” della ‘ndrangheta vengono bloccate dagli arresti. E’ il 1993. Antonio Papalia finisce in carcere. Per ricomparire, quasi vent’anni dopo, davanti al ristorante di Buccinasco. Qui ha appuntamento con altri personaggi di peso. Nell’ordine arriveranno il nipote di Diego Rechichi, storico braccio destro del super boss Rocco Papalia, il latitante Antonino Costa, legato alla cosca Bellocco, il suo fiancheggiatore Francesco Romeo Vincenzo Galimi, imprenditore di Palmi legato alla potente cosca Gallico. In quel settembre Galimi è latitante. Lo cerca la procura di Reggio Calabria per l’inchiesta Cosa mia sulla spartizione degli appalti di un tratto dell’A3. Galimi, ricostruisce l’accusa, attraverso le sue società e per conto della ‘ndrangheta, negli anni ha ottenuto diversi appalti pubblici anche da contractor importanti come Impregilo. Questi i protagonisti. Tutti rappresentanti di alcune tra le più influenti cosche della ‘ndrangheta. Perché si sono dati appuntamento? Cosa dovevano discutere? Omissis.

L’Ortomercato questa volta non c’entra. Qui a far girare l’indagine è la cocaina. Se ne parla il giorno dopo il summit. Davanti al Mc Donald’s di piazza Argentina. C’è il duo Romeo-Costa arrivato per vendere la roba agli emissari dei Papalia. Una settimana dopo, Antonino Costa sarà arrestato dai Baschi Verdi. I militari lo trovano davanti alla stazione di Lambrate in compagnia di Romeo. Per mesi, il giovane picciotto dei Bellocco ha vissuto in un appartamento di via Padova al civico 70. Finirà in carcere un altro protagonista del summit al ristorante La Romantica. Vincenzo Galimi viene bloccato ad Arezzo l’11 novembre 2012.

Gli arresti, però, sono solo inconvenienti del mestiere. Il traffico continua. Anche l’indagine. In carcere finisce Massimo Aveta “titolare di fatto” del ristorante Kitchen story in via Pier della Francesca 2, frequentatissima strada della movida milanese. Aveta, secondo il gip, acquista e spaccia cocaina nel suo locale. Locali e bar sono luoghi decisivi di questa storia. In via Inama ne spunta un altro, il cui titolare (non arrestato) fa da intermediario tra i Papalia e acquirenti liguri.

C’è la cocaina, ma non solo. Parallelamente gli investigatori ricostruiscono i nuovi assetti della cosca Papalia. Emerge la figura di Diego Rechichi (arrestato). Non uno qualsiasi, ma lo storico factototum di un boss di peso come Rocco Papalia. Finirà in carcere negli anni Novanta. Condannato a 30 anni, era tornato a vivere in via Marconi 20 a Gudo Gambaredo. Da qui e con sporadici viaggi in Calabria, gestiva gli affari della droga. Business che, invece, il giovanissimo Francesco Barbaro (arrestato) gestiva dai domiciliari. Nato a Locri nel 1986 è il nipote di Antonio Papalia. Nel 2007 finisce dentro perché si porta in giro oltre 4 chili di cocaina pura al 90%. Un vero tesoro che, tagliato all’ingrosso, avrebbe prodotto qualche milione di euro. Il giovane Barbaro è già un boss e come tale si comporta soprattutto quando qualcuno non paga il dovuto. Ad esempio 5mila euro per una fornitura di marijuana. Chi non paga è Antonio Finis, anche lui arrestato oggi. Con il calabrese si giustifica. Dice: “Non ho ancora niente, appena ho vi vengo a trovare”. Parole che non attaccano con il piccolo principe della ‘ndrangheta: “Voi – scrive Barbaro in un sms – avete preso l’impegno a me non riguarda, comunque passate così vi spiego cosa non avete capito”.

(via)

 

La pericolosità delle droghe leggere

Francesco Perre, di 44 anni, affiliato alla cosca Barbaro della ’ndrangheta, condannato in via definitiva a 28 anni di reclusione, era latitante dal 1999 ed era inserito nell’elenco del Ministero dell’Interno dei ricercati più pericolosi. Perre è stato bloccato mentre innaffiava la coltivazione di canapa indiana composta da oltre duemila piante, tra Palizzi Superiore e Bova, nel cuore dell’Aspromonte.

Operazione DIA a Trezzano sul Naviglio: la mafia c’è ed è bipartisan

Gli arresti di oggi a Trezzano sul Naviglio nell’ambito dell’operazione “Parco Sud” ai danni dell’ex sindaco Pd di Trezzano sul Naviglio Tiziano Butturini, marito dell’attuale sindaco Liana Daniela Scundi, oggi presidente del Cda di Tasm e di Amiacque (aziende pubbliche che si occupano della tutela e della gestione delle risorse idriche nel milanese), e l’ex assessore al lavori Pubblici dello stesso Comune, oggi consigliere comunale Pdl e nel Cda di Tasm, Michele Iannuzzi dimostrano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, come la ‘ndrangheta sia servita e riverita da politici di ogni posizione politica. La vera discriminante non sta nell’appartenere a questo o quello schieramento politico quanto piuttosto alla codardia famelica di amministratori che di fronte ad una offerta corruttiva decidono di svendere il proprio ruolo alimentando il potere imprenditoriale di omuncoli di ‘ndrangheta come i Barbaro-Papalia.

Siamo passati dal negazionismo alla contrattazione sottobanco. Mentre la politica palleggia tra presunti allarmisti e mediatori per convenienza, tra analisi strumentali e mistificazioni coprenti. E tutto intorno non si alza nemmeno la polvere.

Due foto nel portafoglio: come si latita in Lombardia. Domenico Papalia e Antonio Perre

da sinistra Domenico Papalia e Antonio Perre
da sinistra Domenico Papalia e Antonio Perre

Guardate bene questa foto. Tenetela nel portafoglio. Mettetela tra le memoranda insieme alle chiavi, l’abbonamento e l’accendino: sono Domenico Papalia e Antonio Perre, due arresti mancati e mancanti dell’ultima operazione PARCO SUD.

Domenico potrebbe essere la “mente” della ‘ndrangheta pelosa in Lombardia, nonostante quel suo sguardo sgarruppato da guappo di periferia. Sentiva il fiato sul collo degli uomini della Dia di Milano e aveva pensato bene già da qualche giorno di sommergersi come gli hanno insegnato bene i suoi tutori criminali di San Luca, di cui è originiaria anche la sua giovane moglie oggi “vedova” da latitanza.

Antonio Perre detto Toto ‘u cainu è sfuggito per un pelo cavalcando veloce la sua auto al galoppo, latitante per una manciata di secondi con la forma di un Sancho Panza in fuga al trotto dal box sotto casa.

Sono partiti dai campi duri della Calabria per arrivare fino ad una luccicante agenzia immobiliare nella milanesissima via Montenapoleone, la “Kreiamo”.

Hanno le facce nere degli aspiranti boss, hanno fiancheggiatori tra Surrigone e Bubbiano nella zona di Vigevano e con i Trimboli fino a Casorate Primo. Sarebbero da dare in pasto a Carlo Lucarelli per una bella puntatona da guardarsi svaccati sul divano con una mezza birra rimasta in frigo. E invece latitano (probabilmente) al piano di sotto.

E nella regione incartata per l’Expo sono una notizia al massimo per una breve di cronaca.

Naturalmente senza foto.