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pari opportunità

Le domande illegittime a un colloquio di lavoro

Ciclicamente qualcuno se ne ricorda e ne scrive ma in fondo sembra non cambiare mai niente. In nome di una certa apprensione (se non disperazione) nel cercare un lavoro spesso ci si ritrova di fronte a domande che violano la sfera personale e che potrebbero essere considerate offensive dal candidato eppure ci sono leggi come il Codice delle pari opportunità o lo Statuto dei lavoratori che da tempo le vieterebbero.

In un’epoca in cui ci si è schiacciati sull’idea che il datore di lavoro sia una sorta di benefattore universale, come se non fosse uno scambio di prestazioni ma addirittura una salvezza, si moltiplicano le domande che i candidati si ritrovano mentre dall’altra parte si apre una vera e propria inchiesta sulla vita privata.

Ci sono le donne, innanzitutto, e quella solita questione di vedere la maternità come un inghippo alla produttività. Sono forti questi capi d’azienda: si lamentano della bassa natalità in Italia (che gli deve garantire sempre nuove generazioni di consumatori) ma vorrebbero che a fare figli siano le dipendenti degli altri, mica le loro. Così la domanda sulla situazione sentimentale di una candidata (che non accetteremmo nemmeno dalla nonna durante la cena di Natale) diventa un episodio ricorrente. A ruota c’è il solito “vuole avere figli?” che qualcuno prova a mimetizzare dietro il più vago “come si vede tra 5 anni?” (temendo la risposta “mamma”): peccato che per l’articolo 27 del decreto legislativo 198 del 2006, il Codice delle pari opportunità fra uomo e donna, «È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale». Il secondo comma dell’articolo spiega che la discriminazione è proibita anche se attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza.

Se ci sono figli si accavallano anche le domande come “Hai la nonna che li gestisce?”, “Ma quanti anni hanno i tuoi figli?”, anche queste illegittime. Chi cerca lavoro si organizza gli impegni famigliari senza il bisogno della consulenza o dei timori del suo capo personale. Grazie no, no grazie.

Anche sapere che lavoro facciano i propri genitori non è interessante ai fini di un colloquio, come dice il decreto 198 del 2006. Poi c’è, importante, l’articolo 8 dello Statuto lavoratori, secondo cui: «È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore». Lo stesso Statuto dei lavoratori vieta la domanda su un’eventuale iscrizione a un eventuale sindacato, con buona pace di qualche nuovo idolo del liberismo. Un datore di lavoro non può basare le sue decisioni su una persona in base alla sua nazionalità. Chiedere a qualcuno le sue origini viola il decreto legislativo 215 del 2003 “Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”.

Ci sono regole già chiare (e giuste) scritte per evitare discriminazioni. Ogni tanto capita di rileggerle e accorgersi che il mondo là fuori invece non si è modificato per niente come sperava il legislatore. E allora vale la pena ricordarle.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Nelle Marche Fratelli d’Italia dice no all’aborto: “Senza nascite ci sarà una sostituzione etnica”

L’aborto? Non è una priorità. Secondo il capogruppo di Fratelli d’Italia nella Regione Marche Carlo Ciccioli bisogna occuparsi di una presunta “sostituzione etnica” che starebbe sconvolgendo l’Italia mettendo a rischio la natalità e l’identità di una nazione. Sembra una barzelletta e invece sono le parole che rimbombano dall’ultimo consiglio regionale delle Marche, dove la mozione dell’ex assessora Manuela Bora del Partito Democratico ha chiesto che venissero applicate le linee guida ministeriali sulla somministrazione della Ru486.

Il Ministero della Salute infatti ha stabilito che la somministrazione della pillola Ru486 avvenga anche al di fuori degli ospedali, come ad esempio nei consultori ma nel nostro Paese, si sa, ogni volta che si parla di aborto fioccano parole e azioni che cancellano irrispettosamente in un solo colpo decenni di battaglie femministe: così la Regione Marche, anche con una certa baldanza, decide di non applicare la legge in nome di incredibili posizioni oscurantiste e basandosi su tesi false e razziste.

“In questo momento di grande denatalità della società occidentale, sostenere con grande enfasi questa battaglia, che aveva un suo senso negli anni ’60 e ’70 è fuori posto – ha detto Ciccioli, medico specializzato in psichiatria, criminologia clinica e neurologia – La battaglia da fare oggi è quella per la natalità, non c’è ricambio e non riesco a condividere il tema della sostituzione, cioè che siccome la nostra società non fa figli allora possiamo essere sostituiti dall’arrivo di persone che provengono da altre storie, continenti, etnie, da altre vicende”.

Perfino l’unica donna in Giunta (perché il patriarcato lo si nota da tanti piccoli particolari) l’assessora alle pari opportunità Giorgia Latini, si è dichiarata contraria all’interruzione di gravidanza. Avviene nelle Marche, vale la pena ricordarlo, dove qualche giorno fa un gruppo di anti-abortisti aveva inviato alla consigliera del PD Bora 1450 pannolini, tanti quante le interruzioni di gravidanza registrate in Regione nel 2019.

E non si tratta solo delle Marche: nella vicina Umbria c’è la presidente Donatella Tesei, che da mesi contro l’aborto sta focalizzando molta della sua propaganda. Sono le vicende utili per rendersi conto cosa siano la Lega, FdI e questo centrodestra nel momento in cui si trovano al governo: hanno l’unica priorità di intaccare i diritti degli altri per evidente incapacità di immaginarsene di nuovi. E ancora una volta a pagare lo scotto della propaganda sono le donne. Ancora.

Leggi anche: 1. Rendiamoci conto: con questa crisi si torna a parlare di Berlusconi presidente della Repubblica / 2. Grazie, Biden: dopo un anno orribile, in un solo giorno ci hai restituito la speranza nel futuro

L’articolo proviene da TPI.it qui

La parità degenere

In Puglia l’ostruzionismo di Fratelli d’Italia ha impedito che la doppia preferenza di genere fosse inserita nella legge elettorale, come previsto da una norma nazionale del 2016. Così il governo ha dovuto metterci una pezza

Che gran brutta figura che ha rimediato il Consiglio regionale della Puglia. La notizia è passata sottobraccio eppure è una notizia di portata storica perché vede il governo, con il presidente Conte, intervenire per decreto lì dove i consiglieri regionali sono riusciti a dare il peggio di se stessi.

Partiamo dall’inizio: il Consiglio regionale pugliese nell’ultima occasione utile non riesce a introdurre la doppia preferenze di genere così come stabilito dalla legge nazionale, la n.20 del 2016, riuscendo addirittura a farsi bloccare da qualche migliaio di emendamenti da parte di Fratelli d’Italia, quelli della famiglia tradizionale che evidentemente le donne le vorrebbero vedere solo a casa a stirare e accudire i bambini. Che una Regione non riesca a mettersi in regola, dopo oltre quattro anni, con una legge così importante e non riesca a garantire la parità di genere e soprattutto per fare qualcosa di concreto per la partecipazione politica delle donne è la fotografia di un Paese in cui l’autopreservazione (degli uomini) è e rimane uno degli ostacoli principali.

Il governo ha provato a richiamare i consiglieri regionali alle loro responsabilità ma l’invito è caduto nel vuoto: la brama di qualche maschietto di non perdere il posto alle prossime elezioni evidentemente ha contato di più di principi che vengono annunciati e poi mai messi in pratica. Così alla fine è dovuto intervenire il presidente Conte con una mossa che ha qualcosa di storico: il governo ha nominato il prefetto di Bari Antonia Bellomo commissario straordinario con la funzione di provvedere «agli adempimenti strettamente conseguenti per l’attuazione del decreto sulla doppia preferenza di genere nelle Regionali in Puglia». Poche ore dopo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto legge.

Ha ragione la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti quando scrive: «Affermiamo così che la parità di genere è un principio da tutelare in tutto il Paese, in maniera uniforme, perché in maniera uniforme va tutelato il diritto alle pari opportunità. Avevo anticipato negli scorsi giorni la volontà di utilizzare questo strumento inusuale, sperando tuttavia che le istituzioni pugliesi si adeguassero autonomamente. Non avendolo fatto, non abbiamo avuto altra scelta che questa per garantire i diritti e la legalità. Ho chiesto e insistito per un commissario straordinario che sia garante della piena applicazione del decreto e lo abbiamo individuato nella persona del Prefetto di Bari».

È un gesto enorme. E giusto. E dimostra invece la parità degenere della politica quando si occupa solo di sopravvivere.

Ben fatto.

Buon lunedì.

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Ministero dei Pari Opportunismi

Insomma il governo del Decreto del Fare;

il governo delle alleanze così ampie da sembrare una circonvallazione di quelle che accontentano tutti: i cementisti, i cantieristi, i centri commerciali, i sindaci e gli automobilisti tutti insieme;

il governo dei sottosegretari e vice ministri scelti con il manuale Cencelli tra le bancarelle del centrodestra e centrosinistra senza preoccuparsi di un filo comune decente;

il governo del rinviare tutto per accontentare tutti e soprattutto non scontentare nessuno;

il governo che “dimette” la Idem per l’Imu e la palestra e si fa tenere per la gola da un condannato e interdetto,

questo governo con premure diaconali che non trova un posto che sia uno per un Ministero delle Pari Opportunità che sarebbe quanto mai opportuno in un conclave di prepuzi inopportuni e opportunisti.

 

Che Paese è quello che chiede di scegliere tra figlio e lavoro?

immagine-0281Le Pari Opportunità, quando escono dal Ministero e diventano problemi reali, nel pezzo di Gabriele Corsi:

Ma il problema più grande qual è?
“Il prossimo 18 febbraio ci sarà la seconda prova del concorso. Cosa succederà se sarò ammessa alla prova orale e questa coinciderà con la data presunta del parto? Ovvio, per il Ministero, anzi per il Ministro sarò esclusa automaticamente dal concorso, nonostante tutti i miei sacrifici. Tutto sarà vano se mio figlio deciderà di nascere lo stesso giorno o in prossimità della prova”.

Nella situazione di Daniela ci sono tante altre aspiranti insegnanti. 
Che si fa? Si fanno gravidanze “elastiche”? Tipo di 11 mesi? Lo chiedo al Ministro, che è un tecnico.

Si chiede di scegliere tra la maternità e il lavoro?
Ma Daniela ha la voce che ride.
“In via teorica esiste un governo, un Ministro, quello dell’Istruzione, che ha elaborato un bando, basterebbe derogare a ciò che si è scritto. Non dovrebbe essere così complicato (in via teorica!). Inutile parlare di pari opportunità se poi una donna che va a partorire è ingiustificabile ai fini di una selezione pubblica. Se è lo Stato il primo a ledere questo diritto cosa vogliamo aspettarci dai privati”.
 Daniela andrà a votare: “Voterò, perché i diritti, finché ci sono, vanno esercitati. Dopo è inutile lamentarsi! Credo nel rinnovamento delle persone e delle idee”.
Nessuno è stato vicino, in questa battaglia, a Daniela: “Solo la mia famiglia. I sindacati sono troppo impegnati a litigare tra loro, a fare ricorsi su ricorsi mettendoci l’uno contro l’altro”.

Daniela ha la voce che ride. Perché comunque vada ad aprile nascerà Tiziano.
Forse a Daniela chiederanno davvero di scegliere tra l’essere mamma ed essere assunta.
La sua voce, mentre ride, ci dice che la sua scelta l’ha già fatta.
E la domanda è: che Paese è quello che chiede di fare una scelta del genere?

No al listino e sì alle donne. Non è difficile.

Le elezioni regionali sono ancora espressione della scelta del cittadino, poiché, a differenza di quelle nazionali, l’elettore può esprimere una preferenza ed indicare il proprio rappresentante nelle istituzioni. Del resto, anche in questo caso, hanno escogitato un modo per poter inserire nel Consiglio regionale persone che non siano diretta espressione della volontà dei cittadini.

Il cosiddetto “listino” non è sottoposto alla scelta dei cittadini ed è, quindi, l’espressione poco, se non per nulla, democratica di una decisione presa a priori all’esterno della competizione elettorale.

Per questi motivi abbiamo deciso di presentare una mozione che chieda l’abolizione del listino bloccato e, in secondo luogo, la possibilità di esprimere una doppia preferenza uomo- donna, affinché le cosiddette “quote rosa” non siano solo un cartello propagandistico, ma un reale impegno dell’intero Consiglio regionale.

MOZIONE

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA

PREMESSO CHE

Il Presidente della Regione è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente all’elezione del Consiglio regionale secondo le modalità stabilite dalla legge elettorale;

PREMESSO INOLTRE CHE

L’elezione del Consiglio regionale, nelle Regioni come la Lombardia dove non è ancora stata definita una disciplina regionale propria, avviene con il sistema elettorale previsto dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108 e dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43;

CONSIDERATO CHE

Tale sistema prevede che il Presidente della Regione sia di norma eletto direttamente dai cittadini in un turno unico di votazioni senza ballottaggio e che contestualmente al Presidente viene eletto il Consiglio regionale con un sistema misto: in gran parte proporzionale, in piccola parte consistente in un premio di maggioranza variabile congegnato che, in ogni caso, la coalizione vincente disporrà in Consiglio di una maggioranza di seggi non inferiore (a seconda dei casi) al 55 o al 60%;

CONSIDERATO INOLTRE CHE

Degli 80 consiglieri chiamati a comporre il Consiglio regionale lombardo 64 sono eletti nelle circoscrizioni provinciali sulla base di liste concorrenti (collegate alle liste regionali) in proporzione ai voti ottenuti e alle preferenze espresse dall’elettorato mentre i restanti 16 sono eletti con il sistema maggioritario, sulla base di liste regionali concorrenti (i cosiddetti listini) il cui capolista è il candidato alla presidenza;

ATTESO CHE

Poiché il nuovo Presidente ha diritto ad avere una maggioranza stabile in Consiglio: se le liste a lui collegate hanno ottenuto meno del 40 per cento dei seggi, oltre alla totalità dei seggi del “listino” gli vengono attribuiti tanti consiglieri “extra” fino ad arrivare al 55 per cento dei seggi del consiglio (clausola di governabilità);

ATTESO INOLTRE CHE

Chi vince, in sostanza elegge in blocco i candidati del proprio listino con la seguente eccezione verificatasi nell’ultima tornata elettorale regionale lombarda che se le liste circoscrizionali collegate alla lista regionale vincente hanno ottenuto già il 50 per cento dei seggi, alla nuova maggioranza è attribuita la metà dei seggi del “listino” (dieci per cento del totale dei seggi in consiglio), mentre il resto è distribuito proporzionalmente tra le liste di opposizione;

VERIFICATO CHE

L’esito delle ultime elezioni regionali del 28 e 29 marzo 2010 ha visto la proclamazione di otto consiglieri regionali nominati proprio grazie al c.d. “listino bloccato”;

VERIFICATO INOLTRE CHE

La differenza tra i due sistemi sopra menzionati è costituita dalla circostanza che nella parte proporzionale la scelta avviene attraverso la democratica apposizione della preferenza sulla scheda elettorale al fine di far scegliere al cittadino il proprio rappresentante in seno al Consiglio Regionale mentre nel caso del “listino bloccato” la scelta non avviene attraverso l’esercizio di tale diritto in quanto il candidato alla carica di consigliere regionale in caso di vittoria è già definito a priori;

CONSTATATO CHE

Appare inoltre necessario attuare, relativamente alle elezioni del Consiglio Regionale della Lombardia e al sistema della preferenza, l’introduzione della doppia preferenza uomo-donna;

IMPEGNANO IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA DELLA REGIONE LOMBARDIA, ROBERTO FORMIGONI, LA GIUNTA REGIONALE LOMBARDA NONCHÈ IL CONSIGLIO REGIONALE LOMBARDO

A dotare il Consiglio regionale della Lombardia di una nuova legge regionale attraverso l’approvazione in tempi brevi di un progetto di legge che sancisca:

L’abolizione del listino bloccato;

L’elezione di tutti i consiglieri regionali attraverso il sistema della preferenza su base provinciale introducendo a riguardo il meccanismo della doppia preferenza uomo – donna.

 

Milano, 8 marzo 2011

Giulio Cavalli (IDV)

Stefano Zamponi (IDV)

Francesco Patitucci (IDV)

Gabriele Sola (IDV)