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La questione immorale

Salvini che nega la pericolosità del Covid e sdogana idee mostruose e lesive contro i migranti. Meloni e la collusione di dirigenti di Fratelli d’Italia con la criminalità organizzata. Il trasformismo del M5s e il Pd che non mantiene le promesse. Nei partiti più grandi c’è un grave problema di etica, di coerenza e di senso civico

Ma come siamo messi con la questione morale in Italia in questo momento? Meglio: cosa ci dicono i partiti italiani, come svolgono il loro ruolo propedeutico e pedagogico, come era pensato nella politica alta, quella che si prometteva di essere anche un esempio oltre che semplicemente un mezzo di governo. Come siamo messi con l’etica degli organi di rappresentanza, quelli che dovrebbero convincerci a essere migliori, a seguire le regole, a rispettarle, a chiederne la modifica se non risultano abbastanza contemporanee e rappresentative… Siamo messi male, malissimo. E siamo messi male dappertutto, a destra, a sinistra e anche nel famoso terzo polo che era quello che nelle intenzioni avrebbe dovuto spaccare tutto e invece ora come una pianta rampicante si è attaccato ai posti di comando e sembra disposto perfino a rinnegarsi pur di lasciare attaccati alcuni dei suoi. È immorale Matteo Salvini, certo, ne abbiamo parlato spesso su queste nostre pagine e non finiremo di parlarne. È immorale perfino venirci a dire che dovremmo smettere, che attaccarlo di continuo fa il suo gioco: se per un trucco di propaganda fingiamo di non vedere l’orrore che ci circonda sperando che sparisca significa che anche noi ci sdraiamo sulla strategia piuttosto che sull’etica.

L’immoralità di Salvini è un marchio di fabbrica, ce n’è una parte addirittura esibita come se fosse qualcosa di cui andare fieri. Guardate per esempio la sua ultima foto mentre visita un caseificio nel suo lungo tour da food blogger: non ha mascherina, non ha guanti, si butta su una forma di formaggio come un topo, i proprietari dell’azienda lo guardano compiaciuto e probabilmente godono nel pensare alla visibilità inaspettata che potranno avere. Là dentro c’è tutto: l’atteggiamento è quello di chi dice “me ne fotto delle regole perché sono un bullo, voi votate un bullo perché così vi sentite protetti e io raccatto i vostri voti di servi che hanno bisogno di eleggere un padrone”. Messa così sarebbe anche abbastanza ridicola se non fosse che l’immoralità della Lega, quella che Salvini invece non vuole farci vedere e di cui non vuole che si parli, sta tutta nella gestione economica rapace dei fondi pubblici di partito (c’è una condanna, definitiva, che sembra non avere colpevoli), l’immoralità della Lega è nell’avere slacciato le…

L’articolo prosegue su Left del 21-27 agosto 2020

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La discocrazia

È l’immagine di questa destra che si è involuta nel tempo, che è invecchiata male ballando al Billionaire e al Twiga, allo Smaila’s e al Papeete che negli anni hanno voluto trasformare come simbolo di un Paese che esiste solo nelle loro tasche, nelle loro teste e nella loro ristretta cerchia di amicizia che non ha niente a che fare con il mondo reale e nemmeno con la situazione reale.

Se c’è qualcosa di più stupido di quelli che temono di avere in futuro un microchip sotto pelle iniettato con un vaccino allora è sicuramente questa discocrazia che viene proposta, tra l’altro, mica da giovani che reclamano la propria libertà, ma da attempati signorotti della politica, che di politica hanno vissuto e continuano a vivere, che vorrebbero risultare giovanili e invece sono semplicemente patetici. Daniela Santanchè che balla per fare opposizione è una scena da film dell’orrore che tra qualche anno riguarderemo con disgusto.

È la destra che da anni si propone come il partito del “rispetto delle regole” e invece ora vorrebbe crescere nei sondaggi invitando gli altri a non rispettarle. Badate bene: non propone una nuova regolamentazione e non propone nemmeno una soluzione strutturale a un problema strutturale (perché il virus chiede un nuovo paradigma piuttosto che una serie di interventi tardivi e isolati), no, la destra italiana chiede il “diritto di ballare” dimostrando tutta la sua distanza dalla realtà.

Agli elettori della discocrazia non interessa poi nemmeno troppo in fondo ballare, vivono questa battaglia di resistenza culturale perché qualcuno gli dice che si comincia così, vietando i balli, imponendo le mascherine e poi togliendo i diritti civili. E i leader della discocrazia hanno pensato bene che essere liberi significhi praticare la propria libertà di ammassarsi in nome della loro nuova rivoluzione.

Dalla mignottocrazia di Berlusconi alla discocrazia di Meloni e Salvini il passo è stato breve e, se guardate bene, i protagonisti sono sempre gli stessi.

A un mese dall’apertura delle scuole, nel pieno della discussione sul Mes, mentre si dovrebbe discutere di come ripensare il Paese con i soldi che arrivano dall’Europa, qui si continua a discutere da giorni di discoteche. Nell’anno di una pandemia mondiale.

Ma vi sembra normale?

Buon mercoledì.

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Tutti a litigare su Virginia Raggi, ma nessun partito ha delle proposte serie per risollevare Roma

Mi piacerebbe avere la metà dell’autostima di Virginia Raggi e anche solo uno spicchio di incoscienza del Movimento 5 Stelle. La prima decide di ricandidarsi a sindaco (legittimamente, sia chiaro) fingendo di non sapere l’aria che tira sulla capitale (e quello che dicono i sondaggi, praticamente tutti) e si prepara a una campagna elettorale che sarà “merda e sangue” come nella peggiore tradizione politica italiana.

Devo ammettere che ne ammiro il coraggio: o Virginia Raggi sa qualcosa dei suoi anni di amministrazione che noi ancora non sappiamo, per evidenti problemi di distrazione e di comunicazione, e quindi ha intenzione di ribaltare tutto durante la campagna elettorale oppure (e potrebbe essere) anche la Raggi, come molti di noi, sta notando compiaciuta l’inerzia con cui tutti i suoi avversari politici (non) stanno affrontando la questione romana, tutti concentrati a prendersi gioco della Raggi piuttosto che raccontarci come hanno intenzione di risolvere i problemi della città.

Poi c’è il Movimento 5 Stelle che con molta fluidità decide di soprassedere alla regola del doppio mandato (quella stessa regola per cui la Raggi non potrebbe nemmeno candidarsi) aprendo così le porte a tutti i parlamentari terrorizzati dal non potersi ricandidare alle prossime elezioni. Perché in fondo la candidatura della Raggi è il sintomo di una battaglia interna nel Movimento che si gioca con chi da una parte confida nell’allargamento delle regole (detta semplice semplice: tutti quelli che si ritrovano al secondo mandato in Parlamento) e quelli invece che si ritrovano al loro primo mandato e sperano, proprio in base alle regole interne del Movimento, di trovarsi la strada libera per le prossime elezioni.

Poi ci sono gli altri, tutti gli altri. E anche qui il quadro è confuso. Il Partito Democratico (o meglio, quella parte del Partito Democratico che confida in un accordo nazionale con il Movimento 5 Stelle che sopravviva a questa esperienza di governo) si ritrova spiazziato. Qualcuno bisbiglia che potrebbe candidare un candidato debole (sai che novità) e sarebbe il suicidio perfetto. Dalle parti del centrodestra qualcuno (soprattutto i leghisti) confida ancora di potersi liberare della Meloni con le elezioni cittadine (non accadrà) mentre Fratelli d’Italia ha intenzione di imporre la propria guida, che vorrebbe proporre anche a livello nazionale, partendo dalla capitale.

Insomma, tutti a parlare di Virginia Raggi ma intorno non sembra che i suoi avversari siano così pronti. E in tutto questo spariscono le esigenze di una città che fatica a rialzarsi e ancora una volta si perde l’occasione di sapere come la vedrebbero quegli altri, Roma, cosa vorrebbero farne, quali sono le soluzione che hanno intenzione di proporre.

Leggi anche: Il problema non sono i furbetti dei 600 euro, ma i leader che li hanno portati in Parlamento 

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Eccallà: commercialista e beneficenza

Ecco come si giustificano alcuni amministratori locali della Lega che hanno fatto richiesta del bonus di 600 euro

“Sono socio in uno studio di tributaristi – ha detto Forcolin in una intervista al Corriere della Sera -. Senza che lo sapessi la mia socia ha presentato domanda per tutti, dove possibile. Il dato di fatto però è che non ho visto un centesimo, lo sottoscrivo col sangue”. Gianluca Forcolin è vicepresidente della Regione Veneto, il vice di Zaia: “Resto a disposizione del partito – ha detto Forcolin  -. Voglio augurarmi che cinque anni di integrità e impegno etico e morale non siano messi a repentaglio da una semplice pratica”.

“Ho preso il bonus ma l’ho restituito” C’è anche un consigliere regionale del Piemonte, sempre della Lega, tra quelli che hanno percepito il bonus per le partite Iva. “Ho già provveduto allo storno delle cifre all’Inps restituendo i due bonus – ha detto Claudio Leone, eletto lo scorso anno per la prima volta nella Lega -. I contributi erano destinati alle società di cui faccio parte per il periodo di chiusura dei negozi – spiega -. Sentito il commercialista, entrambe rientravano nelle attività alle quali spettavano gli aiuti. Ne ho parlato con i soci e abbiamo deciso di chiedere il bonus. L’ho fatto a cuor leggero forse, certo che fosse consentito. La politica non c’entra nulla”. Come nei gialli, solo che questa volta la colpa è del commercialista. Vedrete che il commercialista in questi giorni sarà il nuovo maggiordomo come nei classici gialli.

“Ho dato tutto in beneficenza“. Ubaldo Bocci, coordinatore del centrodestra nel Consiglio comunale di Firenze, che nel 2019 sfidò Dario Nardella nella corsa a sindaco del capoluogo toscano, ha chiesto e percepito il bonus. Bocci, ex dirigente Azimut, come riportano oggi i quotidiani locali, spiega di non aver problemi di finanze ma di averlo fatto “per dimostrare che il governo stava sbagliando non dando soldi ad hoc per disabili e tossicodipendenti” e di aver dato tutto in beneficenza, assicurando di avere i bonifici che lo testimoniano. “È vero ho preso quei soldi ma non li ho tenuti per me – rivela Bocci -. Il commercialista mi disse che avrei potuto averli anche io visto che si trattava di denari a pioggia, dati in maniera sbagliatissima, senza distinguere reddito e posizione di ciascuno. E allora pensai che potevo richiederli per donarli a chi ne aveva davvero bisogno. E così ho fatto”. Bocci ha una dichiarazione dei redditi da 270mila euro. La beneficenza con i soldi degli altri è un livello superiore: si sapeva che anche questa sarebbe stata un classico.

L’aspetto più comico e patetico è che sai già come si trincereranno, dietro quali scuse. Però c’è da registrare un fatto mica da poco: si giustificano. Si giustificano (male) ma si giustificano. E così rendono tutto ancora più aberrante e ridicolo.

E viene in mente quando per un politico (così come un personaggio pubblico) era di moda il senso dell’opportunità, del non fare qualcosa perché inopportuno, del non sentire una schiera di quelli che ora vorrebbero insegnarci (proprio loro) come scrivere le leggi giuste. Siamo il Paese con il mito degli antifurti progettati da ladri, solo che sono ladri che continuano a operare.

Buon mercoledì.

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Contrordine, sovranisti: ora la mascherina va messa. La ridicola retromarcia di Trump e Salvini

Dice Trump che chi usa la mascherina è un vero patriota. Dice Salvini che bisogna usare la testa (è credibile come un bradipo che ci insegna come correre lesti) e che bisogna mettere la mascherina nei posti chiusi. Contrordine camerati! La mascherina non è più la spada con cui il sovranismo combatte la sua sacra guerra contro l’ordine mondiale e ora di colpo si diventa tutti responsabili. Bellissimi i messaggi disorientati di quelli che hanno creduto al Covid come una messinscena e avevano trovato i loro falsi profeti. Non hanno mica capito che Trump, Salvini e compagnia cantante hanno come arma di propaganda quella di leccare i complotti ma poi non hanno nemmeno il coraggio di cavalcarli davvero, con la faccia tosta di chi ci mette almeno la faccia.

No, Salvini butta l’amo e poi lo ritira subito, giusto in tempo per pescare in superficie i pesci che abboccano. Non hanno idee: sono opinioni omeopatiche che durano il tempo di qualche mi piace su Facebook o di qualche retweet ma poi sono pronti a cambiare fronte se i sondaggi scendono. E così quando i collaboratori del Trump originale e del nostro Trump in versione discount gli hanno fatto notare che con questa storia della mascherina stavano perdendo voti (presumibilmente anche solo quelli dei malati, dei famigliari delle vittime e degli amici dei malati, che nel nord Italia e che negli USA sono numeri considerevoli) allora hanno inforcato la retromarcia. E così il loro bullismo suona ancora più goffo, più stonato, risibile e estremamente pericoloso.

Avere dei leader di partito che come giochetto non fanno nient’altro che dire il contrario di quello che dicono i loro avversari politici li costringerà presto a affermare che il nero è bianco, che gli alberi hanno le ruote e che i tram crescono sotto i cavoli. Un trucco di propaganda talmente banale che li mostra per quello che sono: banalissimi propagatori di bufale che devono far credere che un nemico invisibili giochi tutto il giorno per portarli alla sconfitta.

La retromarcia sulle mascherine è un manifesto politico: prima era tutto un “non usatele, non usatele, viva la libertà” e ora che si sono ammalati gli altri è tutto un correre ai ripari per salvarsi la pelle. Del resto il vero sovranista ha un’unica Patria: se stesso. E per la propria autopreservazione sono disposti a tutto, anche a apparire più ridicoli di quello che sono già stati. E continueranno così finché ci sarà una nuova bufala da cavalcare per fomentare un po’ di gratuita indignazione.

Leggi anche: Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale (di G. Cavalli)

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Orfini a TPI: “Lamorgese non fa la ministra. I flussi di migranti sono gestibili, ma preferiamo finanziare i torturatori libici”

Se c’è una figura nel Partito Democratico che invoca una svolta, quanto alla gestione dei flussi migratori, già dall’epoca di Minniti, si tratta sicuramente di Matteo Orfini. Il tema dei migranti è ormai tornato al centro del dibattito politico, con l’aumento degli sbarchi, Salvini che ha ripreso la sua propaganda a tamburo battente e la maggioranza in pieno stallo, incapace di cambiare rotta. TPI ha intervistato il deputato del Pd per capire quali sono gli scenari futuri e quali decisioni prenderà la maggioranza di governo su una questione non più differibile.

Tre migranti sono stati uccisi dalla Guardia Costiera libica, e non erano passate nemmeno 24 ore dalla manifestazione che si teneva per contestare il rifinanziamento da parte del governo italiano. La notizia tra l’altro non sembra avere nemmeno indignato più di tanto.

Questa purtroppo è la storia di questi mesi, di questi anni. Non è una notizia, succede quasi tutti i giorni e fuori da ogni forma di ipocrisia e di circostanza è la ragione per cui paghiamo la Guardia Costiera libica: trattenere i migranti con ogni strumento e con ogni mezzo mettendo in conto che possono essere chiusi in un lager, torturati, seviziati e anche uccisi. Se tu finanzi torturatori e assassini, quelli torturano e assassinano.

Ci siamo abituati all’orrore?

C’è un’amnesia collettiva di fronte a un qualcosa di enorme che è e sarà una delle pagine più vergognose del nostro Paese nei libri di storia. Tutto questo oggi, purtroppo, non solleva una discussione adeguata nell’opinione pubblica e nella politica.

Ma qual è il blocco che impedisce di cambiare rotta nel governo? L’alleanza con il Movimento 5 Stelle o vogliamo ammettere che c’è anche un serio problema all’interno del Partito Democratico?

È ovvio che c’è un problema anche dentro al Partito Democratico, che per altro è ancora più incomprensibile quando addirittura Minniti è oggi su una linea differente, tanto che nelle ultime interviste ha definito “inapplicabile” quella politica che ha disegnato e concepito nelle ultime interviste. Siamo di fronte a un accanimento incomprensibile da parte della maggioranza e quindi anche del Pd. Questo atteggiamento è figlio della difficoltà a misurarsi con con una strategia radicalmente alternativa e della paura di una battaglia difficile. Mettere in discussione radicalmente quell’impianto significa affrontare uno scontro culturale e politico molto duro nel Paese e in Parlamento. Evidentemente spaventa.

Il Movimento 5 Stelle da questo punto di vista è più coerente: quell’impianto lì l’hanno sempre avuto e sono i coestensori dei decreti sicurezza. Io ricordo sempre che il secondo decreto sicurezza fu peggiorato dagli emendamenti del M5S rivendicati da Di Maio. Loro sono in continuità. È mancata la volontà del PD.

Carmelo Miceli in un’intervista a Il Foglio dice: “Io non ci sto a dire che l’immigrazione non è un problema. E dico anche, con buona pace dei buonisti, che bisogna rimpatriare chi non ha diritto di rimanere in Italia”. Se lo aspettava di sentire la parola “buonisti” usata come roncola da un suo compagno di partito?

Ormai mi aspetto di tutto. Non mi sorprendo più di nulla. Che vada rimpatriato chi non ha diritto mi pare un’evidenza. Il problema è se l’Italia sia in grado di garantire salvataggio nel Mediterraneo, accoglienza dignitosa e un percorso di integrazione. Di questo stiamo parlando: rinunciamo a salvare, paghiamo la Libia per respingimenti che sono illegali, nel momento in cui qualcuno arriva non siamo in grado di gestire l’accoglienza. In queste ore la ministra degli Interni continua a fare dichiarazioni ma non fa la ministra degli Interni: noi siamo di fronte a flussi ampiamente gestibili che diventano un’emergenza perché non c’è un piano.

Che gli sbarchi aumentino d’estate è così da sempre e di solito si dispone un meccanismo adeguato, non si chiudono 600 persone in un tendone sotto al sole in un posto che ne dovrebbe ospitare solo cento. Non è questo il modo. Caricare la pressione solo su alcune comunità locali non è una soluzione. Noi dovremo essere in grado di organizzarci, vedere chi ha diritto di restare e chi no e mettere in campo un processo di integrazione e invece tutto questo è stato smontato in larga parte dai decreti sicurezza e non c’è stato nessun tentativo di ricostruire un meccanismo complessivo.

Ma come può cambiare la linea del PD? Con la vittoria di una corrente interna, visto che la pressione degli elettori non sembra funzionare?

Io penso che servano entrambe le cose: deve crescere una battaglia interna nel Pd che si deve incrociare con una mobilitazione nel Paese. È chiaro che noi abbiamo perso. Il voto sulla Guardia Costiera libica è una sconfitta. L’assemblea del PD aveva votato contro il rifinanziamento e questa decisione non è stata rispettata: abbiamo anche un serio problema di democrazia interna.

Se Orfini potesse cosa cambierebbe, subito?

Intanto abrogherei le norme che ci sono. Dobbiamo abrogare (e non modificare) i decreti sicurezza, abrogare la Bossi-Fini e ricostruire da un punto di vista complessivo le norme che gestiscono i flussi migratori e che aprono canali legali. Poi abbiamo bisogno di una politica differente dall’altra parte del Mediterraneo che smonti quel meccanismo di sostegno ai respingimenti illegali e che ripristini ciò che accadeva con Mare Nostrum: ricerca e salvataggio di concerto con le Ong e le navi della Marina e della Guardia Costiera.

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Lombardia, la consigliera di Italia Viva che finge di fare opposizione e invece sta con Fontana

Chissà se qualcuno dalle parti di Italia Viva, il partito guidato e fondato da Matteo Renzi e dalla sua truppa, un giorno o l’altro avranno voglia di dire qualcosa sulla loro consigliera in Regione Lombardia Patrizia Baffi, che continua a collezionare posizioni a dir poco discutibili e che continua allegramente a essere il pezzo di maggioranza aggiunta che finge di stare all’opposizione.

Patrizia Baffi, tanto per dare idea di chi stiamo parlando, è quella stessa consigliera che era stata eletta alla presidenza della commissione d’inchiesta sul Covid in Lombardia con i voti della maggioranza, quella stessa maggioranza che avrebbe dovuto essere messa sotto inchiesta. E lei aveva anche insistito sul fatto che quella sua investitura fosse qualcosa che avesse a che fare con la meritocrazia piuttosto che spiegarci questo suo atteggiamento sempre così vicino al presidente Fontana e ai suoi uomini con tanto di foto di sostegno addirittura sul suo profilo Instagram. In quel caso l’onda di indignazione la costrinse a dimettersi (venne criticata anche dai dirigenti del suo partito).

Ma giusto ieri la consigliera Baffi ha deciso di salire ancora all’onore delle cronache applaudendo convintamente l’intervento del presidente Attilio Fontana (un intervento che non ha spiegato nulla di quello strano ordine di camici della società del cognato e della moglie e che non ci ha spiegato nulla sui suoi 5 milioni di euro scudati in un conto svizzero di cui nessuno conosce l’origine).

“Da parte mia – ha detto la consigliera di Italia Viva – ho deciso di non sottoscrivere la mozione di sfiducia al presidente, proposta dal Movimento 5 Stelle, perché ritengo che sia il frutto di una elencazione di fatti ancora sommari e la cui analisi non può essere completa ed esaustiva: una analisi seria e le conseguenti valutazioni politiche su un’emergenza che è tutt’ora in corso, potremo farla solo quando avremo tutti gli elementi utili”. E non contenta ci ha anche spiegato che “cambiare vertici in questo momento in cui si scongiura una possibile seconda ondata di Covid-19 in autunno, eventualità che non possiamo per ora escludere vorrebbe dire mettere regione Lombardia e le nostre comunità in una situazione di grande difficoltà e insicurezza”.

Davvero i vertici del partito ritengono normale l’atteggiamento della loro consigliera, che insiste nel giochetto di appoggiare la maggioranza fingendo di essere all’opposizione? Davvero ieri nessuno si è sentito in imbarazzo per la sua assenza alla conferenza stampa dell’opposizione? Davvero?

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Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale

Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: se “serve”, la Lega è internazionale

Dice “prima gli italiani” ma la Lega ama l’estero, eccome se lo ama, e si riferisce a Paesi stranieri quando c’è da brigare affari di soldi e utilità. C’è la laurea di Renzo Bossi in Albania, all’Università albanese Kriistal di Tirana, che potrebbe essere la prima scena di questa brutta commedia all’italiana in cui gli odiati albanesi (quelli contro cui la Lega ha lanciato strali) sono gli stessi che poi incoronano il figlio dell’imperatore. Rimarrà negli annali anche la meravigliosa risposta del figlio del Senatur, che ai giornali disse di essersi laureato a sua insaputa.

Ma Umberto Bossi e i figli Riccardo e Renzo sono finiti anche in un processo che ci porta addirittura in Tanzania, dove l’ex tesoriere del partito Francesco Belsito ha investito parte dei rimborsi elettorali, acquistato partite di diamanti e poi distribuito soldi alla famiglia del segretario della Lega. Il tesoriere genovese Franco Belsito alla vigilia di Capodanno 2012 fa partire da Genova il bonifico da 4,5 milioni di euro, destinati a finire in Tanzania, svelando il giro di mega prelievi, operazioni offshore, movimenti di assegni, vorticosi giri tra Africa e Cipro, milioni di corone norvegesi e pacchi di dollari australiani. La seconda scena della commediola in salsa leghista potrebbe essere quella Audi A6 che parte da Genova a Milano con undici diamanti e dieci lingotti d’oro nel bagagliaio da consegnare direttamente in via Bellerio. Si tratta del famoso processo dei famosi 49 milioni di euro (di cui Salvini continua a parlare come “parte lesa” dimenticandosi di diritti lesi dei cittadini italiani) che si è chiuso con un’inedita trattativa per cui il partito di Salvini pagherà in 76 comode rate annuali da 600mila euro l’una. Data di estinzione del debito: 2094, alla faccia dei cittadini abituati alle rateizzazioni di Equitalia.

Poi c’è quell’incontro in Russia, con la visita a Mosca del leader leghista all’epoca ministro e vicepremier, in cui il suo ex portavoce Gianluca Savoini all’Hotel Metropoli il 18 ottobre del 2018 parla di alcuni fondi neri che dovrebbero arrivare al partito attraverso una fornitura di petrolio. L’inchiesta è ancora in corso ma la conversazione (al di là del fatto che Salvini sapesse o meno) l’abbiamo ascoltata tutti. Infine c’è il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, con il suo trust alle Bahamas con 5 milioni di euro, regolarizzati da uno scudo fiscale ma sulla cui origine nulla dice.

Prima gli italiani, dicono, ma questi leghisti hanno le mani in pasta sui conti correnti in giro per il mondo.

Leggi anche:

1. Esclusivo TPI: Ecco che fine hanno fatto i 49 milioni della Lega / 2. Fondi Lega, l’ex tesoriere Belsito: “Dovete chiedere a Maroni e Salvini come hanno usato quei soldi” / 3. Fondi Lega: tutto quello che c’è da sapere sulla truffa allo Stato e sui soldi del partito spariti nel nulla

4. Esclusivo TPI, ex tesoriere Lega: “I 49 milioni? Li abbiamo spesi scientemente. Salvini era d’accordo” / 5. Esclusivo TPI: L’ex segretaria di Bossi accusa anche Giorgetti: “I milioni della Lega usati per licenziare i dipendenti” / 6. Esclusiva TPI: “Salvini sapeva dei 49 milioni spariti, ma non fece nulla”. Le rivelazioni shock dell’ex dipendente della Lega che incastrano il Segretario

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Filippo Sensi a TPI: “Abbiamo combattuto Berlusconi per anni, ma oggi il mondo è cambiato”

Filippo Sensi è un giornalista, blogger, esperto di comunicazione politica e dal 2018 deputato per il Partito Democratico. Qualche giorno fa alla Camera ha fatto memoria leggendo l’elenco dei medici morti di Covid. Tutta la sua esperienza è improntata su un umanesimo ben lontano dai toni e dai modi generali della politica.
Qualche giorno fa alla Camera ha letto l’elenco dei 173 medici morti di Covid in Italia, perché? 
Sono partito da un senso di inadeguatezza, la mia. L’occasione era l’istituzione di una giornata di memoria per le vittime della pandemia, e ho pensato che l’unico modo possibile – parlo per me, ovviamente – per fare memoria di questa assenza fossero i nomi. Ho scelto i medici, non potendo leggere migliaia di nomi, come pietre di inciampo di questo cammino dentro la malattia nel quale siamo ancora dentro.

Qualcuno dice che il suo sia stato un gesto simbolico inutile in un luogo come il Parlamento, come risponde?
Penso che averlo fatto in Parlamento sia stato un modo per dare dignità anche all’aula che, right or wrong, è un luogo fisico e simbolico della comunità democratica che siamo. Chiamarli, uno per uno, per rifarli presenti. A maggior ragione adesso che ci vogliamo sentire fuori da quella memoria, dalla memoria del lockdown, quando la malattia infuriava e sembrava senza scampo.
Secondo lei quanta memoria abbiamo di quel periodo buio, è già in atto una rimozione?
Non so se sia in atto una rimozione, non credo, ma qualora pensassimo di esserne usciti, chiamare gli assenti è un modo, forse l’unico, per restituirci un senso di noi, e anche di futuro.

A proposito, anche quando si è parlato di bullismo alla Camera lei ha portato la sua esperienza personale parlando dei suoi problemi con il peso. Ma l’umanità in parlamento “funziona”?
Penso di sì. E che quando balla qualcosa di noi stessi nelle cose che diciamo – perché poi diciamo cose – secondo me quelle cose prendono peso, volume, colore, luce. Parlano di noi. Perché poi cosa altro dovrebbe fare la politica se non parlare di noi, dire di noi? Quando succede, secondo me, si sente. Quando sporge qualcosa dell’umanità e della storia personale dentro un provvedimento o un intervento certo espone, evidenzia fragilità. Ma perché mai la politica dovrebbe essere il luogo e la lingua di ciò che è inumano, della anestesia dei sentimenti e delle passioni? Non ridurrei la politica a una pappa del cuore, ma una politica dimentica della sua dimensione umana e personale sarebbe non un errore, ma la negazione di sé.

Arrivano i soldi dell’Europa. Quali dovrebbero essere le priorità per il governo?
Vado in controtendenza: non penso che a questo punto ci manchi la visione, come dicono molti. Adesso abbiamo bisogno non tanto di effetti speciali, o di vasti programmi, ma di persone esperte nei gabinetti del governo che siano in grado di scrivere i nostri programmi in maniera efficace, come si fa quando si cerca di accedere ai fondi europei. Persone di qualità – e ce ne sono, task force e non task force – che sappiano cosa chiedere e come si chiede e come si ottiene. Non interminabili liste della spesa o Costituzioni repubblicane: progetti concreti e puntuali, che non si facciano bocciare. Evitiamo la retorica dei grandi principi che poi si trasforma in piagnisteo quando la banca ti chiede di rientrare: tocca a noi lavorare con competenza, umiltà, determinazione: ci sono tutti gli elementi per farlo, e farlo come si deve.

Si parla molto, e con molta preoccupazione, della scuola. Al momento sembra difficile riuscire a trovare una soluzione che risulti soddisfacente per tutti. È ottimista?
Non è un fatto di ottimismo o meno. Credo che a settembre, in un modo o nell’altro, la scuola ripartirà. Il dibattito continuerà, tra scambi di accuse e tutto quello che segue. Ma riaprirà. E confido che lo farà in sicurezza e nel rispetto di tutti i player della scuola: dei docenti, del personale, dei dirigenti, delle famiglie, e soprattutto dei ragazzi. Che hanno bisogno di andare a scuola in sicurezza e con fiducia.

C’è in corso una sotterranea (nemmeno troppo) voglia di restaurazione che passa addirittura dalla riabilitazione di Berlusconi, da Prodi a De Benedetti: cosa ne pensa?
Ho combattuto Berlusconi per buona parte della mia esperienza di comunicazione politica. Lo ricordo bene, ricordo bene cosa è stato nel 2001 fare una campagna elettorale nazionale contro Berlusconi, un uomo che ha segnato la vita politica di un ventennio in Italia. Quella stagione non si dimentica e credo che non sia stato ancora capito a fondo cosa sia stato il berlusconismo in Italia. Credo altrettanto che oggi siamo in una stagione molto differente, e non solo perché sono passati molti anni, ma perché è cambiato il panorama politico in tutto il mondo. Questo non vuol dire necessariamente cambiare atteggiamento o giudizio politico, ma certo – parlo per me – approfondirlo, renderlo contemporaneo, con un senso della realtà che valeva ieri come vale oggi.

Che valutazione dà, finora, alla sua esperienza politica? 
Provo a occuparmi delle cose che mi competono. Sono molto ammirato dai miei colleghi, vedo tanta passione e competenza, dalla quale provo a rubare esperienza. Se ne dicono di ogni sui parlamentari e sulla qualità della politica, ma lavorando in commissione o partecipando ai lavori di aula vedo tante persone dalle quali imparare, e tanto.
Quali sono state le più grandi soddisfazioni e le più grandi delusioni?
Sono stato orgoglioso di vari provvedimenti, meno, molto meno di altri. Ho visto approvare le leggi vergogna sulla sicurezza, ho provato molta rabbia. Vedo l’aula troppo vuota, sono stato molto criticato su questo punto, ma non mi ci rassegno, mi dispiace. Penso, in genere, che quando il Parlamento – non succede sempre, purtroppo – fa i compiti a casa, fa il suo lavoro quotidiano, la fatica della democrazia, ne trae giovamento tutto il Paese, come fossero i polmoni di questa Repubblica.

Leggi anche: 1. Il governissimo con Berlusconi è il simbolo di una politica marcia voluta da certi salotti e certe redazioni (di Luca Telese) / 2. Revelli a TPI: “Governissimo con Berlusconi? Certi potentati vogliono la restaurazione per mettere le mani sui fondi europei” / 3. Da Prodi a De Benedetti: tutti quelli che rivogliono Berlusconi al governo

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A volte ritornano

Dove vuole arrivare Prodi quando strizza l’occhiolino al suo acerrimo nemico? Come mai il Pd non si scompone più di tanto di fronte all’ipotesi di una “alleanza” di governo con Berlusconi? Ecco perché le manfrine di Palazzo di queste settimane sono un (brutto) film già visto

Lo sapete cosa accade quando partiti hanno il terrore mettersi davanti allo specchio degli elettori, quando hanno paura di dover cominciare considerare i possibili effetti di un possibile voto e quando soprattutto cominciano a sentire che il governo in carica ha problemi di tenuta nella percezione popolare? Iniziano a frugare dentro, tra gli anfratti dello scacchiere parlamentare, si lanciano in merletti e alambicchi di strategia che da fuori appaiono come spericolate ipotesi senza capo e senza coda e tengono in mano la calcolatrice per immaginare altre pericolanti maggioranze che restino in piedi giusto il tempo di riorganizzarsi di nuovo. Una burocrazia di maggioranze che ottiene di solito l’effetto di disgustare ancora di più gli elettori (di qualsiasi parte politica) che per anni sono stati scagliati contro i giochi di palazzo e che fa schizzare i populisti nei sondaggi. Poi, quando accade, quando ci si mette tutti insieme in un’accozzaglia di partiti che hanno come unico punto quello della loro autopreservazione, insistono nel dirci che l’hanno fatto per senso di responsabilità, di solito mettono come presidente del Consiglio quello che si definisce un tecnico e di solito danno vita a tutte le misure impopolari che hanno succhiato la vitalità del Paese (il governo Monti, per dirne una facile facile, ve lo ricordate?).

Ecco, quello che sta accadendo in Italia in questi giorni convulsi in cui si torna a parlare di un possibile ingresso nel governo di Silvio Berlusconi corrisponde esattamente alla fase iniziale di un momento del genere, con parte del Partito democratico che non riesce proprio a trattenersi da un filo-destrismo che non riesce proprio a scrollarsi di dosso; con i renziani di Italia Viva che invece Silvio Berlusconi (o meglio: i moderati di destra) lo corteggiano da un bel po’ (quindi niente di nuovo sotto al sole) e con il Movimento 5 stelle che ancora una volta prova le vertigini che procura la sensazione di perdere il potere. Tutto parte da Romano Prodi, icona di un centrosinistra che ha bisogno di idoli in mancanza di classe dirigente, che nel suo ruolo di souvenir del centrosinistra che c’era ci fa sapere che non sarebbe «un tabù l’ingresso di Forza Italia». Dicendolo come ci ha abituato a dire le cose Romano Prodi, a lato di qualche altro evento o mentre viene incrociato per caso da qualche giornalista durante la sua passeggiata mattutina. L’innesco funziona perfettamente: è tutto un profluvio di riabilitazioni politiche e di venute in soccorso verso il Cavaliere caduto in disgrazia con frasi che superano la semplice circostanza e che addirittura mostrano una sfrenata volontà di riabilitare in fretta quella classe dirigente che fu senza l’impiccio del Movimento 5 stelle e senza i populismi di Salvini e di Meloni: il sogno di un centrosinistra e di un centrodestra che rimangano soli nell’arco elettorale e che fingano di farsi la guerra lavorando sotto traccia per la pace è il desiderio recondito di molti dirigenti che ancora non hanno fatto pace con ciò che è successo in Italia negli ultimi dieci anni. In mancanza di un vocabolario per leggere e per scrivere il presente preferiscono rimettere in piedi quel passato in cui nuotavano così agilmente.

Ma, seriamente, cos’è tutto questo baccano sulla riabilitazione di Berlusconi? Proviamo a fare due conti, passo passo, analizzando le diverse situazioni dei personaggi in commedia. Prodi, innanzitutto, è quello che nemmeno troppo segretamente aspira alla presidenza della Repubblica e sa benissimo che per riuscirci ha bisogno dei voti di un centrodestra che in tutti questi anni l’ha demonizzato e l’ha indicato come la causa di tutti i mali europei: per assurdo…

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