Vai al contenuto

pensa

Le lezioni scolastiche? In discoteca

Il punto è sempre lo stesso: rifiutare la complessità, sempre, comunque, ostinarsi a banalizzare tutto, sempre, comunque, trovare particolari da rivendere come se fossero la fotografia del tutto e soprattutto, come nei peggiori trucchi, trovare un colpevole, sempre.

Il governo italiano si muove per serrare le discoteche. Il 16 agosto dell’anno 2020 della pandemia. Basterebbe scriverlo così per rendersi conto che c’è qualcosa di sbagliato se stiamo viaggiando su e giù per l’Italia (e per fortuna) in treno distanziati indossando la mascherina, c’è qualcosa di sbagliato se il teatro e lo spettacolo dal vivo continuano a essere pericolosamente claudicanti, quasi morti, c’è qualcosa di sbagliato se gli infermieri e i medici continuano a chiederci di ascoltarli e nel frattempo nelle discoteche italiane ci si può sudare addosso con la mascherina sotto il mento.

Perché i controlli in questa estate italiana non ci sono stati. Meglio: sono stati pochi. Infinitamente pochi se si pensa che siamo quello stesso Paese che qualche mese fa andava alla ricerca dei corridori solitari sulla spiaggia con tanto di drone e di esercito. Ma ve lo ricordate?

No, purtroppo siamo il Paese con il ricordo breve, corto, spesso distorto. E così il periodo del lockdown è diventato carne fresca per i complottisti ma ha perso tutta la sua eredità sociale e sentimentale. È tutto passato, non c’è più niente anzi forse non è mai esistito: il discorso Covid l’abbiamo chiuso così, come i bambini che strizzano gli occhi sperando di riaprirli e non c’è più la paura.

E mentre il governo richiude le discoteche (e ci dirà che è colpa “solo” delle discoteche, secondo la stessa logica di banalizzazione che ci ha portato a mirare coloro che portavano in giro il cane) ora si può ricominciare a sentirsi tranquilli. Chiuse le discoteche e tutto a posto.

Nel frattempo, tra le persone da ascoltare, ci sono i dirigenti scolastici che mi scrivono di avere rinunciato alle vacanze per girare classe per classe con il metro in mano, di avere provato a progettare la didattica integrata e di avere passato mesi a rispondere ai “monitoraggi urgenti” richiesti dal governo che dovevano essere pronti per il giorno successivo. Lo so, non se ne legge in giro, già. Eppure la riapertura della scuola è in imbarazzante ritardo e tra poco scoppierà il bubbone, appena si finisce questa risibile polemica sulle discoteche. E via così.

A pensarci bene i nostri ragazzi potrebbero studiare in discoteca, senza sudare, senza ballare. No?

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Un Ferragosto dedicato

Ai morti di coronavirus, ai malati, ai lavoratori che stanno in bilico. Nel giorno di festa di metà agosto, quest’anno, è inevitabile riservare loro un pensiero

Un Ferragosto dedicato agli invisibili che non sanno che farsene del Ferragosto, in questo duemila e venti che è una ferita che molti vorrebbero rimarginare e che invece sanguina ancora.

Mi viene in mente, per questo Ferragosto, a quanto presto ci siamo dimenticati dei nonni che se ne sono andati. Sarà che il caso ha voluto che fossi nel mezzo della pandemia eppure il Ferragosto qui, più di tutto, sono i genitori anziani e i nonni che mancano al pranzo di Ferragosto, quelli che se ne sono partiti senza l’occasione di salutare, quelli che avrebbero tenuto il vino buono in fresca, quelli che avrebbero preparato il piatto che ti piace tanto e che invece adesso sono un posto lasciato vuoto, un piatto e un bicchiere in meno.

Il duemila e venti è l’anno degli spazi che si stringono e pare che qualcuno voglia rimuovere il lutto e lo sfacelo come se fosse una pellicina disturbante sopra un dito. Il Ferragosto dedicato ai genitori che devono spiegare ai propri figli la partenza del nonno o della nonna che sono partiti senza una ciao, incellophanati come nei film, tornati a casa solo a forma di un tetro certificato.

Un Ferragosto dedicato a chi aveva pensato che questo Ferragosto forse avrebbe potuto ritagliarsi qualcosa che somigliasse a una vacanza e invece conta le macerie. Lavoratori e professionisti che stanno in bilico davvero, che assistono sgomenti alle discussioni di questo giorno mentre si aggrappano e continuano a aggrapparsi consapevoli che a settembre scivoleranno. Sono molto più di quelli che si raccontano, anzi a guardare bene non li racconta nessuno e invece ne siamo pieni. Sono sopravviventi che non rientrano nelle statistiche finché non mollano la presa.

Un Ferragosto dedicato alle coppie che sono scoppiate, le famiglie che questo Ferragosto pensavano di meritarsi un po’ di tranquillità e invece raccolgono i cocci. Un Ferragosto dedicato ai disabili che hanno passato mesi ancora più da invisibili. Un Ferragosto dedicato ai malati bloccati, quelli che hanno dovuto aspettare mentre la loro malattia non aspetta mica.

Un Ferragosto dedicato a quelli che scelgono di non rimuovere e invece vivono tutto, se lo vivono addosso, con tutti gli attrezzi per costruirsi speranza tutti i giorni.

Buon Ferragosto.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Ma cos’è stata Sant’Anna di Stazzema?

Lo racconta un superstite. Enio Mancini aveva 6 anni.

Non avevo ancora compiuto sette anni all’alba di quello splendido sabato estivo; niente faceva presagire ai circa quattrocento abitanti di Sant’Anna e agli oltre mille sfollati che si trattasse di un cupo giorno di terrore e di morte, il giorno del massacro di cinquecentosessanta vittime innocenti, delle quali circa centocinquanta erano bambini sotto i quattordici anni.

Mio padre aveva scorto le colonne naziste che scendevano dai passi montani sui borghi di Sant’Anna.

Prima di andare a nascondersi con gli altri uomini nel bosco, ci sveglio’ e ci invito’ a mettere in salvo la nostra “roba”.

Pensavamo si trattasse di un rastrellamento e temevamo l’incendio delle nostre case, come era avvenuto nel vicino paese di Farnocchia.

Nessuno immaginava che donne, vecchi e bambini avessero a subire violenze.

Poco dopo ecco entrare in casa un gruppetto di S.S., indossavano la tuta mimetica, erano armati fino ai denti e portavano l’elmetto sul capo; notammo che due nascondevano il volto con una specie di maschera e parlavano come noi.

Ci buttarono letteralmente fuori, non permettendoci di prendere nemmeno gli zoccoli e, mentre alcuni con strani attrezzi che lanciavano lunghe lingue d fuoco incendiavano la casa, altri ci condussero sull’aia che dominava il borgo di Sennari.

Li’ trovammo gia’ molte persone, ci addossarono contro un muro di una casa e iniziarono ad installare, su un poggio sovrastante, degli strani attrezzi, tipo treppiedi.

Qualcuno comincio’ a piangere e ad implorare per la disperazione; una vecchina, forse per ingenuita’ o per sdrammatizzare il momento, disse di non preoccuparci che forse stavano per farci una fotografia.

Quando anche la mitragliatrice fu montata e lo sgomento e la paura erano ormai generali, arrivo’ nell’aia un ufficiale tedesco, forse un generale, che imparti’ degli ordini in tedesco: “Raus… Valdicastello”, ripeteva.

Le spregevoli belve con il volto mascherato tradussero: l’ordine era quello di scendere verso Valdicastello.

Al nostro nucleo familiare si erano aggiunti la nonna materna, la zia e gli altri.

Scendendo, passammo davanti alle nostre case, ormai quasi completamente incendiate (si udiva ancora il muggito della mucca rimasta intrappolata nella stalla).

Decidemmo di non ubbidire all’ordine di scendere a Valdicastello, ma di nasconderci nei pressi, con la speranza di poter fare presto ritorno alle nostre case per salvare il salvabile.

Ci nascondemmo in un anfratto naturale che si trovava nella selva, duecento metri sotto casa.

Dopo circa mezz’ora si udirono quelle voci gutturali che si avvicinavano al nostro nascondiglio; lo sgomento fu totale, ci videro, erano una decina, alzammo le mani in segno di resa.

Ci incolonnarono e ci spintonarono lungo il sentiero che portava verso il centro del paese, verso la chiesa di Sant’Anna.

Malgrado le pedate e i colpi coi calci dei fucili nella schiena, si riusciva a procedere molto lentamente.

Alcuni, infatti, erano scalzi ed il sentiero era pieno di rovi e ricci di castagno.

Ad un certo punto decisero di proseguire (sembrava avessero molta fretta), lasciando di guardia un solo soldato che, nel frattempo, si era tolto l’elmetto dal capo; era molto giovane, quasi un adolescente e non ci faceva piu’ tanta paura.

Quando il gruppo dei tedeschi scomparve dalla nostra vista, il giovane soldato comincio’ ad impartirci degli ordini, che non capivamo, ma ci faceva anche dei gesti eloquenti.

Questi si’ erano facilmente intuibili: ci diceva di tornare velocemente indietro.

Salimmo il ripido pendio, si udi’ una scarica di arma automatica che ci fece trasalire, ci girammo di scatto temendo che ci stesse sparando addosso ed invece imbracciava il fucile verso l’alto e sparava verso le fronde dei castagni.

Si continuo’ a salire verso Sennari, mentre sul versante opposto, verso la chiesa, si udivano in un frastuono generale crepitio di spari, scoppi di bombe, tetti di case che crollavano, lamenti di animali che stavano bruciando vivi nelle stalle e poi si scorgeva il fuoco ed il fumo nero che proveniva da ogni direzione, da ogni borgo del paese.

Non ci rendevamo pero’ conto di tutto quello che realmente stava accadendo.

Giungemmo a casa poco prima delle dieci e tutti ci adoperammo per salvare dal fuoco quella parte non ancora completamente distrutta.

Ci sembrava cosa gravissima aver perso gran parte della nostra roba e soprattutto la mucca che, in quel periodo, ci aveva permesso di sopravvivere.

Verso le cinque del pomeriggio, pero’, la tremenda notizia.

Un giovane della borgata, allontanatosi al mattino con gli altri uomini per nascondersi nei boschi e che, al ritorno, aveva attraversato il centro e gli altri borghi, arrivo’ a Sennari urlando, sembrava impazzito: “Una strage! Sono tutti morti! Sono bruciati!” ripeteva.

Lasciammo le nostre case che ancora fumavano per correre verso il centro, verso la chiesa.

Ogni gruppo andava la’ dove abitavano i propri congiunti, i propri parenti.

Passammo al “Colle”.

Ne avevano uccisi diciassette (una ragazza, ferita, ed un uomo anziano si erano miracolosamente salvati sotto il cumulo dei cadaveri).

Arrivammo alle “Case” dove abitavano i nostri parenti: cadaveri sparsi dappertutto, rovine, fuoco e i pochi sopravvissuti impietriti dal dolore.

In una casa, sventrata dal fuoco, su una trave che ancora ardeva – incastrata – una rete di un letto e sopra tre corpi quasi completamente consumati.

Al nero dei tessuti carbonizzati faceva contrasto il bianco dello scheletro; uno dei corpi era piccolo, il corpo di un bambino.

E poi l’odore acre, intenso, della carne arrostita.

Una nonna, per fortuna, riprese noi bambini per riportarci verso Sennari.

Avevamo visto molto, troppo per la nostra tenera eta’.

Una esperienza drammatica che segna per sempre un’esistenza, ma comunque meno tragica di altri giovani ragazzi sopravvissuti nell’eccidio che, feriti o incolumi, videro massacrare i propri cari.

Poi ci fu il dopo, ma quella e’ un’altra storia.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Eccallà: commercialista e beneficenza

Ecco come si giustificano alcuni amministratori locali della Lega che hanno fatto richiesta del bonus di 600 euro

“Sono socio in uno studio di tributaristi – ha detto Forcolin in una intervista al Corriere della Sera -. Senza che lo sapessi la mia socia ha presentato domanda per tutti, dove possibile. Il dato di fatto però è che non ho visto un centesimo, lo sottoscrivo col sangue”. Gianluca Forcolin è vicepresidente della Regione Veneto, il vice di Zaia: “Resto a disposizione del partito – ha detto Forcolin  -. Voglio augurarmi che cinque anni di integrità e impegno etico e morale non siano messi a repentaglio da una semplice pratica”.

“Ho preso il bonus ma l’ho restituito” C’è anche un consigliere regionale del Piemonte, sempre della Lega, tra quelli che hanno percepito il bonus per le partite Iva. “Ho già provveduto allo storno delle cifre all’Inps restituendo i due bonus – ha detto Claudio Leone, eletto lo scorso anno per la prima volta nella Lega -. I contributi erano destinati alle società di cui faccio parte per il periodo di chiusura dei negozi – spiega -. Sentito il commercialista, entrambe rientravano nelle attività alle quali spettavano gli aiuti. Ne ho parlato con i soci e abbiamo deciso di chiedere il bonus. L’ho fatto a cuor leggero forse, certo che fosse consentito. La politica non c’entra nulla”. Come nei gialli, solo che questa volta la colpa è del commercialista. Vedrete che il commercialista in questi giorni sarà il nuovo maggiordomo come nei classici gialli.

“Ho dato tutto in beneficenza“. Ubaldo Bocci, coordinatore del centrodestra nel Consiglio comunale di Firenze, che nel 2019 sfidò Dario Nardella nella corsa a sindaco del capoluogo toscano, ha chiesto e percepito il bonus. Bocci, ex dirigente Azimut, come riportano oggi i quotidiani locali, spiega di non aver problemi di finanze ma di averlo fatto “per dimostrare che il governo stava sbagliando non dando soldi ad hoc per disabili e tossicodipendenti” e di aver dato tutto in beneficenza, assicurando di avere i bonifici che lo testimoniano. “È vero ho preso quei soldi ma non li ho tenuti per me – rivela Bocci -. Il commercialista mi disse che avrei potuto averli anche io visto che si trattava di denari a pioggia, dati in maniera sbagliatissima, senza distinguere reddito e posizione di ciascuno. E allora pensai che potevo richiederli per donarli a chi ne aveva davvero bisogno. E così ho fatto”. Bocci ha una dichiarazione dei redditi da 270mila euro. La beneficenza con i soldi degli altri è un livello superiore: si sapeva che anche questa sarebbe stata un classico.

L’aspetto più comico e patetico è che sai già come si trincereranno, dietro quali scuse. Però c’è da registrare un fatto mica da poco: si giustificano. Si giustificano (male) ma si giustificano. E così rendono tutto ancora più aberrante e ridicolo.

E viene in mente quando per un politico (così come un personaggio pubblico) era di moda il senso dell’opportunità, del non fare qualcosa perché inopportuno, del non sentire una schiera di quelli che ora vorrebbero insegnarci (proprio loro) come scrivere le leggi giuste. Siamo il Paese con il mito degli antifurti progettati da ladri, solo che sono ladri che continuano a operare.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Gli arraffoni

Cinque deputati hanno fatto richiesta all’Inps del bonus da 600 euro previsto dai decreti Cura Italia e Rilancio per sostenere partite Iva e autonomi in difficoltà durante l’emergenza coronavirus

La Direzione centrale Antifrode, Anticorruzione e Trasparenza dell’Inps ha scoperto che cinque deputati della Repubblica Italiana, gente che ha uno stipendio lauto e assicurato perfino in tempi di pandemia, hanno pensato bene di fare richiesta (e ottenere, come sancisce la legge) il bonus dei 600 euro che il governo aveva varato con i decreti Cura Italia e Rilancio e che erano destinati alle partite Iva e ad alcune specifiche categorie di autonomi. I bonus erano stati pensati per venire incontro alle partite Iva che scontavano il calo di lavoro durante il periodo di lockdown e che avrebbero potuto avere un po’ di ossigeno.

Sia chiaro: vi basta avere un amico commercialista per sapere che le pratiche dei bonus alle partite Iva sono state preparate per persone che non hanno avuto nessun problema economico e perfino per ricchi imprenditori che quella stessa cifra la spendono per un sostanzioso aperitivo in terrazza con gli amici. I furbi ormai non stupiscono più da un bel pezzo e in Italia (come nel resto del mondo) molto dell’impegno legislativo si consuma più nel non dare accesso ai furbi piuttosto che dare sostegno ai bisognosi. Anche questa è una stortura a cui siamo abituati.

I cinque parlamentari però sono degli arraffoni tutto tondo per due motivi almeno. Primo: mentre migliaia di persone hanno rinunciato al bonus (volontariamente) perché hanno ritenuto più giusto che finisse ad altri questi hanno dimostrato di avere un’etica che li rende indegni di essere cittadini, prima che parlamentari. Secondo: sono quegli stessi parlamentari che avrebbero potuto (e dovuto) riflettere sul fatto che il decreto così com’era scritto presentava evidenti falle e risultava iniquo e invece hanno sfruttato quelle falle.

Ma non preoccupatevi, diranno che è tutta colpa dei loro commercialisti. Andrà così.

E la bocca degli avidi non dirà mai: mi basta.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La soluzione apparente

La prevenzione anti-Covid 19 e i treni: si decide una data di scadenza per i viaggi con distanziamento, per poi accorgersi nell’ultimo giorno utile che quella decisione andava prorogata

Ogni volta che si tratta di qualche misura di prevenzione per il Covid-19 in Italia (ma accade così purtroppo in tutto il mondo) ci si schianta contro una realtà difficile da commentare. Si pensava che almeno il dolore lasciasse ferite abbastanza profonde per non permettersi di non essere seri, si pensava che i morti e il dolore non passassero come ci si dimentica di un raffreddore e invece ci si inchioda sempre, tutte le volte.

La questione dei treni, a esempio, è qualcosa degna di una sceneggiatura di teatro dell’assurdo: si decide una data di scadenza per i viaggi distanziati sui treni a lunga percorrenza, e questo è abbastanza normale visto che i decreti devono avere delle scadenze, per poi accorgersi nell’ultimo giorno utile che quella decisione andava prorogata. Decine di esperti, di task force, di funzionari, di protocolli e di raccomandazioni e poi questo agire da scavezzacollo che si sbuccia le ginocchia in discesa. A posto così.

Il fatto è che una decisione andrebbe spiegata per bene, bisognerebbe avere la forza e la credibilità (anche politica) di argomentarla almeno per non dare voce ai fiotti di complottisti che sbucano ovunque e invece ogni volta si tratta di una soluzione apparente, come i banchi con le ruote delle scuole che hanno monopolizzato un dibattito che invece è ampio e denso, una soluzione appoggiata come pezza e che mostra tutto il buco.

Perché se io rischio di ammalarmi su un treno (e non ho motivo per dubitarne) mi sfugge il motivo per cui la durata del viaggio (che è la stessa da Milano a Bologna sulle linee a alta velocità, come qualche traiettoria pendolare regionale) non capisco perché quello stesso rischio poi non lo corro in altri luoghi in cui evidentemente si è deciso di lasciare correre.

E in tutto questo fa sorridere che Regione Lombardia, non contenta dei lutti e delle figuracce fatte fin qui (in attesa degli sviluppi giudiziari) ancora giochi al trucco di mettersi contro il governo.

Oppure c’è una spiegazione un po’ più semplice e banale: tra un mese bisogna riaprire uffici, fabbriche e scuole e tocca allentare senza volerlo dire e apparentemente occuparsene in modo che poi appaia tutto normale. Che è l’interesse di molti, molto ricchi, molto potenti.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Chiedere semplicemente scusa

Pensate come sarebbe facile, chiaro, lineare:

«Scusatemi, no, non è vero che sono stato frainteso, ho detto così perché sono stato vigliacco, capita a tutti di essere vigliacchi e a volte di non volere riconoscere i propri errori, sarà che in fondo siamo tutti figli di quest’epoca in cui l’errore è un’onta da cui sembra impossibile riabilitarsi, sarà che ci vorrebbero convincere tutti che la vera vittoria sta nel non sbagliare mai quando invece sbagliare è nell’ordine naturale delle cose, sbagliare e rialzarsi e poi una volta in piedi sbagliare di nuovo e anche se ci mettiamo in testa di imparare dai nostri errori è talmente ampio il ventaglio degli sbagli possibili nella vita che alla fine non li impareremo mai tutti e ogni mattina ci sarà uno sbaglio nuovo che ci aspetta dietro la porta, che ci frega di nuovo e forse sarebbe il caso che la smettessimo di voler apparire invincibili e che dicessimo, che ce lo dicessimo, che sbagliamo e continueremo a sbagliare. Semplicemente sbaglieremo meglio, promesso».

Pensate che rivoluzione.

Pensate se Bocelli ci dicesse che è stata una tentazione irresistibile andare a fare la sua comparsa in Senato e poi è successo come succede a tutti di farsi trascinare un po’ troppo dalla compagnia dal bar ed è finito a fare il gradasso. «Ho sbagliato e occhio alle cattive compagnie», potrebbe dire. E chiusa lì.

Pensate se Salvini confessasse di dire semplicemente il contrario di quello che dicono gli altri perché gli conviene ed è per questo che dice tutto e il contrario di tutto: «Ogni tanto mi sbaglio perché anche quelli dicono tutto e il suo contrario e io per fare il contrario inevitabilmente mi contraddico». Bon, finita lì.

Pensate se i direttori di Libero e de Il Giornale avessero il coraggio di ammettere di cercare ogni giorno di vincere la gara a chi la spara più grossa e per questo spesso finiscono nell’incredibile. Bene, lo sappiamo, discorso chiuso.

Immaginate Zingaretti se avesse il coraggio di dire che i Decreti Sicurezza non li può cancellare perché il suo presidente del Consiglio li presentava in pompa magna con i clap clap del Movimento 5 Stelle e adesso non può rimangiarsi tutto. Lo sappiamo, bene, ok.

Immaginate se la Meloni dicesse che deve fare la fascista ma prova a farla in modo più furbo di Salvini senza esporsi troppo ma leccando i fascisti di nascosto. A posto così.

Chiedere semplicemente scusa.

Dico, sarebbe un mondo bellissimo, no?

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il virus in Lombardia è l’amministrazione di Attilio Fontana

Nuova puntata delle incredibili avventure del signor Fontana che sta piano piano logorando la Lombardia seduto sul trono di presidente di Regione e del suo compagno di brigata Matteo Salvini che ormai rimpiange quelle belle estati in cui l’errore era semplicemente quello di bere troppo Mojito sulla spiaggia del Papeete.

Mettere in fila tutte le bugie della storia dei camici che non lo erano, che erano una donazione che non lo era, di cui sapeva e che non sapeva è qualcosa che provoca le vertigini. In piena emergenza Covid Regione Lombardia acquista mezzo milione di euro di camici da una società che appartiene alla famiglia della moglie di Fontana. La cosa, scoperta dalla trasmissione Report, risulta piuttosto inopportuna poiché l’acquisto di quei camici non avviene con una normale gara pubblica ma con una trattativa privata: viene quasi il dubbio che gli affari della Regione, per di più nel drammatico momento della pandemia, avvenissero nel salotto di casa.

Il cognato di Fontana, raggiunto dai giornalisti, dichiara di avere commesso un errore formale e che quella fornitura di camici era semplicemente una donazione. Toh, guarda che bravo, che cuore d’oro. Accade anche che venga emesso uno storno della fattura prodotta dall’azienda (in effetti era strano il modo di regalare fatturando, in effetti) e si pensa che la storia finisca lì. E invece la Procura decide di volerci vedere chiaro.

E Fontana? “Non ne sapevo nulla e non sono mai intervenuto in alcun modo”, disse lo scorso 7 giugno in un’intervista del Corriere della Sera. E invece mentiva. Eh, sì. Fontana con parte dei soldi di un conto in Svizzera a suo nome (nel 2015 aveva “scudato” 5,3 milioni detenuti fino ad allora da due trust alle Bahamas) il leghista cercò di effettuare già il 19 maggio, proprio nei giorni della famosa intervista di Report, un bonifico sospetto da 250mila euro in favore della Dama spa del cognato e, per il 10%, della moglie Roberta. Il bonifico viene bloccato per le norme antiriciclaggio e così viene scoperto.

Questa è la storia. Quella stessa storia che Salvini vuole derubricare come inchiesta a orologeria (ha imparato la frasetta dal suo padrone Berlusconi). Poi, volendo andare a parlare di politica sarebbe anche curioso sapere cosa siano quei 5,3 milioni di euro nascosti nelle Bahamas e recuperati con lo scudo fiscale.  Insomma tutta la storia fa acqua da tutte le parti.

Ma davvero in Lombardia ce lo meritiamo, Fontana?

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.