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Aveva 6 mesi, avete dormito?

Aveva sei mesi. A sei mesi hai una vita davanti, dopo il mare e a sei mesi sei anche ghiotto per farci un articolo di giornale. Ma il naufragio avvenuto l’altro ieri a circa 30 miglia a nord delle coste libiche di Sabratha ha fatto “poca” notizia. Sono subito diventati numeri. Accade così: se non ci sono corpi da fotografare e cadaveri tra i bagnanti la notizia scuote poco poco, interessa agli addetti del settore, dicono così. A proposito che sanno “gli addetti del settore” di 6 persone morte tra cui un bambino di sei mesi? Chi sono gli “addetti del settore”? Le persone, mica solo quelle di buone volontà, la morte di un bambino annegato è un peso anche per le persone di cattiva volontà, gli auguro di sentirlo, gli auguro di non riuscire a disfarsene appena farà capolino.

Si chiamava Joseph e veniva dalla Guinea. Una volta scriverne il nome almeno faceva un certo effetto. Ora nemmeno quello. Scivolano anche i nomi, scivolano le storie, scivola tutto in fondo al mare. Joseph era con più di 100 persone su un gommone stracarico, talmente stracarico, che ha ceduto il pianale. Un abisso che si apre sotto il pavimento. Visto da un aereo di Frontex sono stati salvati dalla nave di Open Arms, le Ong cattive, quelle che l’altro ieri ne hanno salvati 111 che stavano aggrappati ai galleggianti come ci si aggrappa al ciglio di un burrone, con quella paura che è talmente densa da diventare puzza. Voi le avete mai sentite le persone quando puzzano per la paura? È un odore rancido che non si riesce a staccare di dosso.

Articoli su articoli, editoriali su editoriali sui processi (giusti) a un ex ministro che ha lasciato persone a bordo di una nave militare italiana e chi processa chi per un bambino di 6 mesi rinsecchito dal mare? Chi è il colpevole? Chi sono i colpevoli? Dov’è la giusta indignazione? Perché si continua a morire ma non si continua più a raccontare con la stessa virulenza di prima? È una cosa che non mi fa dormire la notte.

A proposito: voi che avete responsabilità sul Mediterraneo e che lasciate intoccabile l’inferno libico avete dormito in queste ultime due notti? Vi siete riposati tra i guanciali del virus che ammorba anche tutto il resto rendendo soffici le tragedie? Siete soddisfatti che sia passato il cattivismo solo perché è cambiata l’aria? Perché il mare continua a uccidere. Annega e se li mangia. E uccide.

Siate maledetti.

Buon venerdì.

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La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: proprio come Gino Strada

La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: come Gino Strada

Non va proprio giù ai leghisti della Calabria l’ipotesi (che per ora rimane solo un’ipotesi) di Gino Strada commissario straordinario della sanità regionale. Ci mette il carico il presidente ad interim Nino Spirlì, uno che in poche settimane è riuscito nella mirabile impresa di mostrarsi in tutta la sua inadeguatezza, dopo la morte della presidente Jole Santelli, che sul fondatore di Emergency dice: “Gino Strada? Ma cosa c’entra, dobbiamo scavare pozzi? Non abbiamo bisogno di medici missionari africani”. Peccato che Gino Strada non si occupi di pozzi, ma sia un medico chirurgo che è stimato in tutto il mondo, uno che, per dire, ha lavorato nelle università di Stanford e di Pittsburgh e che ha lavorato nel più importante ospedale del Regno Unito (l’Harefield Hospital).

Semplicemente Gino Strada si è innamorato delle vittime della guerra quando ha visto con i suoi occhi quegli orrori e si è dedicato tutta la vita alla cura delle persone senza nessuno scopo di lucro. Che sarebbe, a pensarci bene, proprio quello di cui la Calabria avrebbe bisogno, se ci pensate. Ma su Gino Strada si è espresso anche Domenico Furgiuele che ieri a Montecitorio ha dichiarato: “Nominare un ulteriore commissario rispetto a quello che è stato nominato nel primo governo Conte, con la paventata nomina di Gino Strada, suggerito anche dal movimento delle Sardine, porta soltanto a problemi di ordine pubblico”. Ha parlato proprio di ordine pubblico. Anzi, ha aggiunto: “Volete che scoppino i moti? Accomodatevi, ci saranno i moti della Calabria 2020”.

Domenico Furgiuele è lo stesso deputato di Lamezia Terme indagato dalla Dda di Reggio Calabria per concorso in turbativa d’asta. Domenico Furgiuele e altri imprenditori, infatti, nel maggio 2015, secondo l’accusa, “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso” e “con mezzi fraudolenti e collusioni, turbavano la gara d’appalto” indetta dal Comune di Polistena per la realizzazione di un eliporto a supporto dell’ospedale”. In particolare il deputato del Carroccio, legale rappresentante della Terina Costruzioni, avrebbe messo “a disposizione” la sua società “per la presentazione di un’offerta concordata con le altre imprese partecipanti al cartello, al fine di condizionare il risultato della gara in loro favore”. L’inchiesta “Waterfront” in cui risulta indagato Furgiuele ha portato all’arresto di 63 persone tra cui 11 funzionari pubblici e al sequestro di beni per 103 milioni di euro.

Ce ne sarebbero mille di motivi per i moti della Calabria 2020. E forse ci tornerebbe utile, un Gino Strada.

Leggi anche: 1. “Se scoppia la Calabria è la fine. Qui il piano Covid mai attivato: realizzate solo 6 terapie intensive”: il racconto di un medico del 118 / 2. Calabria, il Governo non usi Gino Strada per nascondere i suoi vergognosi errori / 3. Esclusivo: Cotticelli a TPI: “Davo fastidio alla massoneria. Volevano eliminarmi, non potendo uccidermi mi hanno screditato” / 4. Calabria, il commissario della Sanità Cotticelli si dimette: “Il piano Covid dovevo farlo io? Non lo sapevo” | VIDEO; / 5. Per gestire la Sanità della Calabria ora si fa il nome di Gino Strada / 6. Calabria, il nuovo commissario alla Sanità Zuccatelli: “Le mascherine non servono a un ca**o”

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La vergogna del San Raffaele di Milano: con centinaia di morti al giorno sminuisce la pandemia

Accadono cose di cui sfugge il senso, di cui non si coglie il nesso e che raccontano perfettamente la guerra tra uomini di scienza che si gioca sui metodi di narrazione piuttosto che sui dati scientifici. Sarebbe poco male, una battaglia interna che sicuramente poco appassiona se non fosse che da mesi, sotto questi duelli tra virologi e professionisti, ci sta un Paese che inevitabilmente costruisce le proprie tesi e le proprie paure proprio sulle parole di quelli che improvvisamente sono diventati divulgatori scientifici. E la divulgazione scientifica è una cosa sera, terribilmente seria, importante quasi quanto un nuovo vaccino o una nuova cura.

Per questo sarebbe curioso chiedere a qualcuno del Gruppo San Donato e dell’università Vita-Salute San Raffaele il senso del loro comunicato stampa in cui prendono le distanze da un tweet del medico Roberto Burioni, che sembra non dire nulla di particolare. Partiamo dall’inizio. Burioni twitta: “Alcuni dicono che i pronto soccorso sono affollati da persone in preda al panico, e può essere vero. Ma quelle centinaia di persone che finiscono ogni giorno al cimitero a causa di Covid-19, sono spinte dal panico? Basta bugie. Basta bugie. Basta Bugie”.

L’intento appare perfino scontato: mentre abbiamo passato mesi a sentire esimi virologi che ci dicevano che il virus fosse “clinicamente morto” oppure che fosse una semplice influenza (in capo a tutti proprio quel professor Zangrillo del San Raffaele di Milano per cui Burioni lavora) forse sarebbe il caso di rendersi conto che la sottovalutazione del virus (e la conseguente morbidezza sull’attenzione che occorre tenere per non fomentare l’epidemia) è un rischio reale e enorme.

Il Gruppo San Donato risponde con un comunicato in cui dice: “Pur riconoscendo l’autonomia di espressione, il Gruppo San Donato e l’università Vita-Salute San Raffaele lo invitano a considerazioni più rispettose della verità e del lavoro altrui”. Ora: i Pronto Soccorso sono affollati, lo dicono i numeri e basta una veloce ricerca su internet per valutare il livello di stress. Si affollano anche i ricoveri ordinari e straordinari. Si incrementa, purtroppo, anche il numero dei decessi quotidiani.

Quindi quali sarebbero le “considerazioni” poco “rispettose della verità” esattamente? Qual è il punto che ha fatto saltare i nervi all’azienda tanto da costringerli a prendere carta e penna? Non è una domanda da poco perché un cittadino qualsiasi, un osservatore esterno, rimane incastrato proprio su questo punto. E sarebbe importante saperlo, no?

Leggi anche: Il San Raffaele smentisce Burioni che dice che ogni giorno ci sono centinaia di morti: “Considerazioni infondate, non conosce situazione”

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La dirittifobia e la Legge Zan

I fratellini di Fratelli d’Italia ieri si sono imbavagliati (a proposito di priorità e di tempismo) in Parlamento quando il presidente della Camera Roberto Fico ha annunciato la votazione finale della cosiddetta Legge Zan, la legge per contrastare l’omotransfobia, la misoginia e le violenze contro le persone disabili.

Dicono i meloniani che questa sarebbe una legge liberticida poiché limiterebbe “il diritto di espressione”. In sostanza vorrebbero essere liberi di gridare “frocio di merda” al primo omosessuale per strada, oppure dare dell’handicappato come offesa poiché lo ritengono un indice di libertà.

Il testo della legge, presentato dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan, prevede di estendere la legge Reale-Mancino dall’ambito del razzismo a quello dell’omotransfobia per punire chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione o violenti per motivi «fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità  di genere». E la libertà di idee? C’è anche quella. La cosiddetta “clausola salva idee” chiarisce che la «libera espressione di convincimenti ed opinioni» non rientra nell’istigazione a compiere atti discriminatori o violenti. I primi due articoli introducono poi l’orientamento e il genere sessuale negli articoli del codice penale, il 604 bis e ter, che puniscono la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione.

Non è un’invenzione di questo tempo, una legge del genere: sono 24 anni che si tenta di varare un testo del genere. Anche per questo è una vittoria che conta.

Ma il punto sostanziale è sempre lo stesso: quando si parla di diritti non si riesce a capire che la politica debba occuparsi dei diritti “degli altri” poiché sono sempre le minoranze a ritrovarsi schiacciate e ad avere bisogno di essere tutelate. E questo dalla parte della destra peggiore di sempre evidentemente non passa: la loro è una vera è propria dirittifobia che teme che ogni nuovo diritto non sia un vantaggio ma una discussione del proprio comodo status quo. Tipo quello di prendere in giro un omosessuale semplicemente per il fatto che sia omosessuale.

Buon bavaglio, fratelli.

Buon giovedì.

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Poveri veri poveri finti

Per alcuni piccoli imprenditori, artigiani, commercianti o ristoratori le nuove misure anti Covid rischiano di essere un colpo ferale alle proprie finanze. C’è anche da dire, però, che quando in Italia si tratta di rivendicare dei mancati incassi i numeri sballano

Sarà una mannaia. Sarà pesantissima. Chiunque di noi conosce qualcuno che subirà il probabile prossimo lockdown come colpo ferale alla proprie finanze. Non si tratta di ricchi imprenditori o persone che si possono permettere di perdere un giro: sono piccoli imprenditori o artigiani o commercianti o ristoratori che hanno galleggiato per anni e che ogni mese riuscivano a fatica a rimanere sopra la linea di galleggiamento.

Per alcuni piccoli imprenditori, artigiani, commercianti o ristoratori le nuove misure anti Covid rischiano di essere un colpo ferale alle proprie finanze. C’è anche da dire, però, che quando in Italia si tratta di rivendicare dei mancati incassi i numeri sballano anche se in pochi hanno voglia di parlarne. Perché come scriveva qualche giorno fa Alberto Brambilla sul Corriere della Sera: «Quasi la metà degli italiani, 29,204 milioni pari al 48,38%, non ha redditi e vive quindi a carico di qualcuno. Verrebbe da dire una percentuale atipica, degna di un Paese povero e non certo membro del G7, se non fosse che le stime su consumi, spese e possesso di determinati beni (telefonia, alcol, tabacco, gioco d’azzardo, etc.) vadano invece a smentire questa tesi e a puntare piuttosto il dito su un’elusione fiscale mai efficacemente contrastata in Italia, anzi, anche molto incentivata da una miriade di bonus e sconti assegnati a chi dichiara redditi bassi».

Il 13% dei contribuenti con redditi da 35 mila euro in su versa circa il 58,9% di tutta l’Irpef. La fotografia corrisponde al reale? È una bella domanda. Come sarebbe da chiedersi che ce ne facciamo, proprio in periodo di crisi, di vistose attività che aprono con nessuna ragionevolezza dal punto di vista dell’investimento e riempiono le nostre città. Case che vengono costruite in un periodo in cui nessuno ha soldi per comprare case. Bar che stanno nel paesello e sembrano degni di New York e non hanno bisogno di clienti. Ipermercati costruiti talmente attaccati da non avere senso. E così via. Cose che sono solo soldi che hanno bisogno di non avere la forma e il colore e l’odore dei soldi.

Ora c’è il Covid, vero. Ma sarebbe il caso di parlarne, prima o poi.

Buon mercoledì.

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Caro Toti, è veramente così difficile dire: “Ho sbagliato”?

Alla fine ha pure fatto la sua intervista d’ordinanza al Corriere della Sera per provare a rettificare e c’è riuscito malissimo, e non c’erano dubbi. Il presidente della Liguria, intervistato sul suo tweet in cui definiva gli anziani “non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese” non ha affatto rimediato alla gaffe, forse perché in fondo la sua idea è proprio quella, quella di un’utilità sociale che sia fermamente ancorata all’utilità di produzione, secondo il feroce schema “nasci, produci, consuma, muori” che fa tanto comodo a una certa politica. Quella politica che vorrebbe appiattire tutta la questione sanitaria al semplice fatturato, come se non esistesse un’emergenza sociale, un’emergenza affettiva, un’emergenza mentale. Niente.

Ridurre tutto all’eugenetica di chi produce e di chi invece non produce è il crinale in cui Toti si è avventurato tralasciando, come al solito, la complessità a favore di una banalizzazione che come tutte le banalizzazioni risulta feroce nella sua semplicità. Poi ci sono le scuse, sempre quelle, sempre allo stesso modo: dice Toti che la colpa è del suo social media manager (che è il nome altisonante per definire spesso coloro che, sottopagati, si occupano di tutta la comunicazione e che alla fine risultano determinanti per costruire il personaggio politico). Gli sfugge che il fatto che sui suoi profili social ci sia la sua faccia, e ciò implica necessariamente che sia sua tutta la responsabilità di quello che esce da quei canali.

Non ce la fanno proprio a dire semplicemente “scusate ho sbagliato, ho fatto una cazzata” e così accade addirittura che la sua responsabile dei social, Jessica Nicolini, si metta a cianciare in un’intervista di “chi non vede l’ora di far licenziare qualcuno in un momento come questo o gode sugli errori degli altri”, come se alla fine anche l’indignazione fosse colpa nostra, scemi noi che ci siamo permessi di farci irretire dal suo orrido messaggio. Ma il punto principale è che questi sono disabituati alla cura, alla cura delle parole, alla cura della memoria, alla cura delle persone nella loro totalità e così appaiono sempre impreparati ogni volta che si ritrovano a doversi occupare delle cose umane, loro così attenti solo agli algoritmi e ai flussi della preferenza elettorale, loro sempre così attenti al gradimento. E Toti si è anche dimenticato di guidare la regione più anziana di uno dei Paesi più anziani del mondo. Pensa a volte il destino.

Leggi anche: 1. Toti: “Tweet maldestro, ma confermo: isolare gli anziani per proteggerli” / 2. Toti, la gaffe e lo staff

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Salvini, vergognatevi

Che gran giornata quella di ieri per il senatore Matteo Salvini, leader leghista che si ciba lautamente del clima di terrore e di disperazione che attraversa il Paese e che continua insolente a richiamare il governo mentre lui è stato l’esempio plastico di tutto quello che “non c’era da fare” in questi mesi tra la prima e la seconda ondata del virus.

Prima la sua pessima figura in piazza a Roma dove i ristoratori protestavano l’ultimo Dpcm del Governo e ovviamente il leghista, pronto subito a fiutare l’eventuale malcontento, si è tuffato a pesce. Peccato che proprio i ristoratori (che sono gente ben più seria per preoccuparsi delle piazzate di chi da anni vorrebbe essere considerato “salvatore” di qualsiasi problema si presenti) l’abbiano cacciato via a male parole: «vai via, buffone» è stata la frase più buona.

Ma la scena madre del suo pessimo mercoledì è la lunga tirata con cui Salvini ha accusato il governo di non avere fatto nulla durante questi mesi. Sia chiaro, le responsabilità ci sono e sono molte (del governo ma anche e soprattutto delle Regioni) ma sentire la paternale di chi ieri diceva  “non ci sarà una seconda ondata, inutile terrorizzare le persone” e “se uno mi allunga la mano, mi autodenuncio, gli do la mano. Tanto un processo più, un processo meno” e “i bollettini di contagio sono terrorismo mediatico” e oggi urla “in questi mesi l’Italia ha perso tempo” non si può davvero sentire.

E ieri al Senato ha pensato bene di polemizzare togliendosi la mascherina in Aula (ennesimo gesto irresponsabile che serve solo a solleticare la pancia dei suoi amici minimizzatori e negazionisti) ed è stato richiamato all’ordine da Calderoli. Avete capito bene: Calderoli. Farsi richiamare al rispetto delle regole da uno come Calderoli è come passare nella cruna di un ago.

E allora si vergogni Salvini che per mesi ha minimizzato e oggi vorrebbe fare la figura del responsabile ma si vergognino tutti i salvini che in questi mesi (e alcuni ancora adesso) giocano a mischiare le carte per appoggiare gli irresponsabili. Vergognatevi, voi che avete incitato alla dimenticanza e ora puntate il dito. Vergognatevi e almeno abbiate un po’ di decenza. Un po’ di decenza.

Buon giovedì

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Ora basta: dichiarate Forza Nuova fuorilegge, e lasciate le piazze a chi soffre e protesta civilmente

A Bari il segretario provinciale di Forza Nuova, fra gli organizzatori della manifestazione di protesta cittadina, ha messo alla gogna una giornalista di Repubblica. Sulla vicenda sta già indagando la Questura. A Palermo il leader locale di Forza Nuova, Massimo Ursino, lancia la manifestazione di oggi con messaggi bellici: “Se questo governo ispirato da poteri anti-popolari ed anti-nazionali come l’Oms, ci trascinerà alla rovina ed alla guerra sociale, sappia che troverà il popolo italiano pronto a combattere strada per strada, piazza per piazza”.

In Piazza del Popolo a Roma Roberto Fiore e Giuliano Castellino, leader nazionale e locale del movimento, erano nel gruppo che ha lanciato bombe carta e che è stato disperso con gli idranti della polizia. A Milano tra i 28 denunciati ci sono persone vicine a Forza Nuova. A Torino si parla di ultrà che il questore definisce sotto la “regia di professionisti della violenza”. A Napoli qualche giorno fa, si sa, Forza Nuova era in piazza e il leader Roberto Fiore ha lanciato l’attacco direttamente dai suoi profili social. Dove le proteste sono sfociate in violenza i militanti di Forza Nuova, come le sue figure apicali territoriali, sono sempre stati presenti e addirittura hanno rivendicato la guerriglia.

Del resto è tipico della loro matrice fascista: rivendicare l’uso della forza è l’unico modo per alzare la voce e farsi notare. Parliamo di un partito che è riuscito a farsi cancellare da Facebook e Instagram perché, lo ha scritto proprio il social network, “le persone e le organizzazioni che diffondono odio” non possono essere presenti sulle sue piattaforme. Parliamo di un segretario di quello che vorrebbe essere un partito, come Roberto Fiore, che è stato condannato per banda armata e associazione sovversiva come capo di Terza posizione, l’organizzazione che alla fine degli anni Settanta ha riunito alcuni dei criminali più violenti della destra eversiva.

Un partito denunciato 240 volte per violenza dal 2011 al 2016. Quattro volte al mese. E allora la domanda è sempre la stessa, in questi giorni ancora di più: ma cosa si aspetta a sciogliere i partiti neofascisti che in Italia sono vietati dalla Costituzione? Cosa si aspetta a prendere l’esempio dalla Grecia con Alba Dorata e dichiarare fuorilegge un partito che in questi giorni sta giocando sulla disperazione con la violenza? Cosa?

Leggi anche: 1. Roma, violenti scontri in piazza del Popolo durante la manifestazione contro il Dpcm | FOTO E VIDEO / 2. Poi però non vi meravigliate se la gente comune impoverita scende in strada a protestare

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Occhio al moralismo contro i poveri

Se le rivendicazioni della propria dignità continueranno ad essere confuse con le violenze dei violenti non usciremo bene da questa crisi sanitaria e sociale

Attenti perché il trucco è sempre in agguato: usare i cretini violenti per fingere che tutto va bene e che il disagio non esista. Attenti perché, al di là dei soliti rimestatori del malcontento che aspettano una manifestazione per infilarcisi dentro e per raggranellare un po’ di adepti in Italia, ci sono quasi 1,7 milioni di famiglie in condizioni di povertà assoluta per un totale di quasi 4,6 milioni di individui. Sono persone, mica numeri.

Attenti perché la curva dei posti occupati nelle terapie intensive e quella dei ricoveri ci dicono che molto probabilmente queste misure che limitano la circolazione delle persone non bastano, che forse non basteranno, che bisognerà prendere decisioni ancora più dure e difficili e non se ne esce solo con il moralismo e il paternalismo.

In Italia c’è un disagio evidente: un disagio sanitario, lavorativo, di reddito, di speranze, di futuro, di solitudine e di prospettive. Che il virus abbia aumentato le disuguaglianze non lo dicono gli editorialisti ma lo scrivono nero su bianco i numeri: ci sono ricchi che con la pandemia si sono arricchiti ancora di più e ancora più velocemente.

Attenti che non è un discorso che vale solo per ristoratori e lavoratori dello spettacolo, no. C’è una marea sommersa che non si è mai fermata, quella “produttiva” che sta nelle fabbriche – che chissà perché non vengono mai raccontate nelle statistiche del contagio – che non si è mai fermata né con la prima né con la seconda ondata e che sembra non avere voce in capitolo nel dibattito pubblico. Sono quelli che non vengono mai messi in discussione nemmeno quando si profilano le chiusure più terribili. E quelli hanno paura e scontano la sensazione di non esistere.

Attenti a non cadere nell’errore di bollare come “pericoli della comunione sociale” quelli che rivendicano diritti. Qui si tratta di pretendere di avere molto più dei soldi per mangiare, ora si chiede di avere fiducia in un sistema che la fiducia se l’è mangiata (soprattutto per responsabilità delle Regioni) nei mesi in cui si doveva fare meglio, si sta chiedendo di nuovo agli “eroi” di fare gli “eroi”. Dai problemi si esce “tutti insieme” come comunità se tutti hanno la sensazione di essere presi in considerazione in tutte le proprie difficoltà.

In un momento così grave serve cautela e responsabilità della misura: ci sono molte cose che non vanno, molti aspetti da correggere cammin facendo e farli notare e rivendicarli è un orgoglioso contributo alla lotta alla pandemia. Se le rivendicazioni della propria dignità vengono confuse con le violenze dei violenti non se ne uscirà bene. No. Prendere atto della realtà non significa avere il dovere di essere ottimisti. Ci sarebbe anche una parolina magica che fa saltare i nervi a molti: in tempi di crisi si ridistribuisce, si ridistribuisce. Vedreste che così sarebbe più facile.

Buon mercoledì.

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La stucchevole cultura

Come sappiamo bene il nuovo Dpcm prevede la chiusura di cinema e teatri. Ne è nato un dibattito acceso come è inevitabile per un settore che risente moltissimo della pandemia e che non ha mai navigato nell’oro. Il direttore d’orchestra Riccardo Muti ha spiegato in una lettera indirizzata a Giuseppe Conte che fotografa perfettamente il momento, vale la pena leggerla:

«Egregio presidente Conte, pur comprendendo la sua difficile responsabilità in questo lungo e tragico periodo per il nostro Paese, con la necessità improrogabile di salvaguardare la salute, bene supremo, dei nostri concittadini, sento il bisogno di rivolgerLe un appello accorato. Chiudere le sale da concerto e i teatri è decisione grave. L’impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo. Definire, come ho ascoltato da alcuni rappresentanti del governo, come «superflua» l’attività teatrale e musicale è espressione di ignoranza, incultura e mancanza di sensibilità. Tale decisione non tiene in considerazione i sacrifici, le sofferenze e le responsabilità di fronte alla società civile di migliaia di Artisti e Lavoratori di tutti i vari settori dello spettacolo, che certamente oggi si sentono offesi nella loro dignità professionale e pieni di apprensione per il futuro della loro vita. Le chiedo, sicuro di interpretare il pensiero non solo degli Artisti ma anche di gran parte del pubblico, di ridare vita alle attività teatrali e musicali per quel bisogno di cibo spirituale senza il quale la società si abbrutisce. I teatri sono governati da persone consapevoli delle norme anti Covid e le misure di sicurezza indicate e raccomandate sono state sempre rispettate».

Ieri il ministro Franceschini ha risposto e la sua risposta, vale la pena sottolineare, non è stata una gran risposta. Ha definito “stucchevole” il dibattito (proprio così). Ha parlato di valore “simbolico” negando l’utilità pratica di cinema e teatri. Ci ha riproposto la sua idea di “Netflix della cultura” di cui non sanno che farsene quelli che lavorano nello spettacolo dal vivo. Roba così.

Ci ha detto anche (e questo lo vediamo tutti) che la situazione è evidentemente grave. E su questo siamo tutti d’accordo. Parlandone con Tomaso Montanari proprio ieri non posso che essere d’accordo con lui quando mi dice che «è un provvedimento incomprensibile perché non abbatterà di un millimetro la curva dei contagi perché non è a teatro e al cinema che si prende il Covid e tra l’altro è contraddittorio poiché rimangono aperti i musei dove file e assembramenti sono molto più probabili di luoghi in cui si sta seduti e distanziati».

Se il problema è ridurre la gente che va a teatro e al cinema (che sono ben poche) allora risulta strano che rimangano aperti i centri commerciali, no? Oppure si dica che la situazione è grave e che questo è solo l’antipasto, il brodino leggero per quello che verrà.

Ah, intanto le messe vanno in scena, tranquillamente.

Buon martedì.

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