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Politica

Non irridere la paura

Il caos è evidente e non è, come qualcuno vorrebbe comodamente farci credere, un caos provocato dalla paura dei cittadini, quella che qualcuno chiama “irrazionalità della rete” o qualcun altro butta nel cestino dei “No vax”.

Al di là degli inevitabili complottisti di cui poco ci interessa (a proposito, notatelo: prima negavano che esistessero morti per Covid e oggi invece sono sicuri che esistano morti per il vaccino dappertutto, fenomenali) c’è una larga fascia di popolazione che ha paura, una paura alimentata dai messaggi contrastanti che arrivano in questi ultimi giorni, paura provocata dalla sensazione di non comprendere le decisioni di chi governa (per questo forse sarebbe stato il caso di ascoltare parole nette dal presidente del Consiglio uscendo da questo solito stolto silenzio), paura che è figlia anche di un anno usurante che ci propone una luce in fondo al tunnel che si allontana ogni giorno per un qualche motivo, paura per la stanchezza accumulata, paura per il futuro difficile non solo dal punto di vista sanitario.

E certo la paura non va alimentata, certo che no, e non va nemmeno sfruttata per fini di propaganda: la paura però merita risposte, va governata, bisogna affrontarne le cause e ha bisogno di assunzioni di responsabilità. La paura si governa con un trasparente dibattito democratico fatto di numeri, di prospettive e di credibilità messa in campo.

Irridere la paura significa in questo momento creare due opposte tifoserie, tra scetticismo e fideismo, e non serve assolutamente per tenere insieme il blocco sociale essenziale per uscire da questa crisi. Un percorso che costruisca fiducia (e ancora di più che la ricostruisca dopo questi giorni neri) ha bisogno di una naturale predisposizione all’ascolto. No, non è vero che tutti quelli che in queste ore sono tramortiti siano degli scellerati negazionisti. E non è nemmeno vero che la comunicazione politica e scientifica di questi giorni sia stata all’altezza.

La credibilità si costruisce giorno per giorno, si alimenta giorno dopo giorno, non si rivendica irridendo le preoccupazioni. Sarà un percorso lungo, ora ancora più difficile.

Buon mercoledì.

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Draghi, sullo stop ad AstraZeneca non puoi tacere: è stata una decisione politica, e va spiegata 

Alla fine viene il dubbio davvero che il silenzio sia una strategia, suggerita da qualche presunto esperto di marketing che probabilmente ne sa un po’ pochino di comunicazione istituzionale, di responsabilità di governo e soprattutto del fatto che la comunicazione è essa stessa politica, che il dovere di spiegare non è qualcosa che ha a che vedere con la morbosa curiosità ma che rientra nei doveri di un’affidabile classe dirigente.

Così siamo passati da un eccesso all’altro, usciamo da un reality show applicato alla politica che ogni giorno ci proponeva una nuova puntata di una storia anche piuttosto artefatta al silenzio totale in questa situazione di confusionario stallo che nessuno si sente chiamato a governare.

Qualcuno ripete che anche in Germania hanno sospeso le amministrazioni AstraZeneca e quindi questo dovrebbe bastare come spiegazione. Va bene, proviamo a partire proprio da qui: in Germania la comunicazione è stata data dai canali ufficiali del governo e il ministro alla Salute è apparso poco dopo in conferenza stampa. Incredibile, eh? Qui da ieri si naviga a vista nel tentativo di rivendere come decisione sanitaria una decisione che è sostanzialmente politica (Ema e OMS invitano a non sospendere le somministrazioni) ma non si vedono politici in giro che si prendano la responsabilità di dirci qualcosa.

Non si sente il presidente Draghi, non si vede il ministro Speranza, si scorgono in lontananza alcuni fragili ambasciatori che non riescono nemmeno a farsi notare. Allora forse conviene fare qualche piccola valutazione.

Ad esempio, non è che questa enorme risonanza che nelle ultime ore stanno avendo i social e la stampa sia dovuta anche al silenzio del governo che c’è tutto intorno? Non è “politica” proporre un’interpretazione dei fatti che accadono e delle decisioni che si prendono? E poi: si invita alla fiducia, e si fa benissimo, ma non è la fiducia qualcosa che va nutrita mettendo in gioco la propria credibilità? Perché qui il sospetto è che per non ripetere alcuni errori di “quelli di prima” si decida di scomparire seguendo il comodo imperativo di non dire niente per non sbagliare a dire qualcosa.

Non funziona come sui social, chi governa non può sperare in un tasto “ignora” per evitare il dibattito. Ci hanno detto “facciamo prima di parlare”, e va benissimo, ora hanno fatto e stiamo aspettando che ci dicano qualcosa. Fino a qualche mese fa qui eravamo tutti innamorati di domande scomode alla politica, pensa te, e ora sono sparite le domande.

Leggi anche: 1. “L’Italia non doveva sospendere il vaccino AstraZeneca, abbiamo agito per emotività o politica”. Intervista all’ex direttore generale dell’Aifa Luca Pani / 2. Invece di allarmarvi, chiedetevi a chi conviene se il vaccino AstraZeneca viene sospeso (di Luca Telese)

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Letta Continua

Siamo nell’epoca Letta. Lo so, siamo in un momento politico strano, talmente nauseati che anche i cavalli di ritorno ci provocano sussulti, del resto già da un po’ ci siamo ridotti a rimpiangere la Prima Repubblica vista la consistenza di quelle venute dopo. Politicamente la notizia è questa: Enrico Letta è stato votato segretario da quelli che nel 2014 lo cacciarono. E, badate bene, i protagonisti sono sempre gli stessi, travestiti o mimetizzati o nella parte dei convertiti, sempre loro.

Però nel momento storico in cui tutti i leader di partito si accodano allo smussamento rivenduto come buona educazione (quando invece è solo insana pavidità politica) Enrico Letta ha deciso, nonostante lo dipingano come annacquato, di essere smodato e di porre questioni che gli altri hanno finto di dimenticare. I punti che ha posto all’assemblea del Partito democratico sono comunque aria fresca rispetto allo stantio parlare a cui eravamo abituati e avere il coraggio in un momento come questo di parlare di ius soli spazza via molte delle giustificazioni che sono sempre state adottate, quando c’era altro a cui pensare, quando si aveva paura di prendere posizione, quando sembrava addirittura una bestemmia prendere di petto Salvini e le sue politiche. Nella nazione in cui si celebrano le arance perché italiane, le auto perché italiane, le magliette perché italiane gli unici italiani non italiani sembrano essere rimasti i bambini nati in Italia.

Anche il voto ai giovani di 16 anni è un tema che ha attraversato l’Europa e che solo qui da noi ci ha sfiorato da lontano solo qualche volta. Eccolo, è arrivato. Si può essere d’accordo o meno ma aprire un dibattito è doveroso. Anche sui giovani, come spesso accade, si ascoltano gli adulti dare lezioni e poco altro.

In una democrazia matura che i partiti (di qualsiasi colore) riescano a trovare una leadership all’altezza è l’auspicio di tutti, no? Quindi nella fase delle parole, che è la fase più facile, c’è da dire che Letta ha avuto il coraggio di osare.

C’è un piccolo particolare, però, tanto per non cadere in facili entusiasmi e l’ha raccontato benissimo ieri Civati in un’intervista a Repubblica. Dice Civati: «Sono almeno 10 anni che tutti i leader del Pd parlano di ius soli. Lo abbiamo fatto? No. La verità è che la sinistra nel Pd non c’è più, sono tutti democristiani. Non c’è la sostanza, non c’è il conflitto, è un partito di sistema. Io spero tantissimo che Letta l’abbia imparato e che riesca a rompere gli schemi».

Ecco, appunto.

Buon lunedì.

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Da lunedì 3 settimane chiusi in casa ma nessuno ha il coraggio di chiamarlo per quel che è: lockdown

Avete seguito la conferenza di stampa di Draghi in cui ha illustrato il peggioramento dei colori delle regioni che di fatto istituisce il (doveroso, vista la situazione) lockdown praticamente su quasi tutto il territorio nazionale e che prevede nuove restrizioni in occasione delle prossime festività pasquali? No, perché non c’è stata nessuna conferenza stampa.

Avete sentito le voci di sdegno dei giornalisti che rivendicano (giustamente) il diritto di porre delle domande e di ottenere delle risposte, quelli che lamentavano (giustamente) lo storytelling imposto da Casalino senza nessuna possibilità di contraddittorio? No, perché non ce ne sono state.

A proposito: cosa ne dite delle comunicazioni al Parlamento (lungamente invocate) sulle prossime chiusure e della ricchissima discussione parlamentare che ne è seguita? Niente, nemmeno qui. Non ci sono state. Avete sentito, a proposito, gli strepiti di Salvini che contesta la dittatura sanitaria e che invita il ministro Speranza (è sempre lui il ministro, eh) ad andare a casa perché incapace di prendere qualsiasi altra decisione che non sia una chiusura totale? Niente, niente di niente. Zero.

L’Italia è nel pieno della terza ondata, lo dimostrano i numeri e purtroppo coloro che sono stati apostrofati come “catastrofisti” hanno avuto ragione e ancora una volta il governo è costretto (come accade in tutti i Paesi del mondo) a correre ai ripari con nuove restrizioni.

Si può discutere per giorni se è stato fatto tutto il possibile per mettere in sicurezza il Paese, si può (e si deve) controllare passo per passo la campagna vaccinale e la prontezza delle risposte del sistema sanitario ma la grande differenza del governo Draghi (che inevitabilmente si ritrova a dover prendere le stesse misure di prima) sembra essere un condono comunicativo che si dovrebbe accettare in nome di una non precisata presenza di “tecnici” a cui è permesso non comunicare.

Così accade che qualsiasi provvedimento necessario ma impopolare scivoli liscio come se fosse un naturale meccanismo che non ha bisogno di spiegazioni e che gode di una silenziosa accondiscendenza. Ma il punto sostanziale rimane uno: essere presidente del Consiglio significa ricoprire un apicale ruolo politico e la politica ha il dovere di accompagnare le azioni con esaurienti spiegazioni e con l’assunzione di responsabilità per il presente e per il futuro.

Draghi può essere “un tecnico” ma non può permettersi di fare “il tecnico” nel ruolo che ricopre. Non durerà a lungo questo velo, no, qualcuno glielo dica, per il suo bene e per il bene del governo.

Leggi anche: 1. I ristori ancora non si vedono, ma c’è Draghi e va tutto bene / 2. Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene

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A pochi metri dalla solita manfrina

Che Matteo Salvini sia terribilmente scomodo in questo governo allargato è un’evidenza negata solo da quelli che per convenienza hanno voluto rivenderci la svolta del leader leghista, tanto per magnificare preventivamente le doti di Draghi nel mondare salvificamente una politica che invece (purtroppo) rimane sempre uguale a se stessa. Che la base di Salvini sia in subbuglio, soprattutto quella più estrema ai limiti del negazionismo che ha accarezzato di sponda in tutti i mesi di questa pandemia è un fatto che basta verificare scorrendo i commenti ai suoi post su uno qualsiasi dei social che il segretario leghista utilizza con veemente frequenza. Anche i molti imprenditori che confidavano in lui per un fulmineo ritorno alle aperture e a una presunta normalità (perfino sfidando i ragionevoli rischi del virus) sono parecchio incazzati.

A questo aggiungeteci che all’interno del partito Salvini comincia a perdere appoggi importanti e a soffrire figure come quella di Giorgetti che viene considerato molto più affidabile dai ceti produttivi del nord, senza dimenticare Zaia che da tempo aspetta solo il momento giusto per provare a tirare la sua zampata e prendersi il partito. Se non bastasse là fuori c’è anche Giorgia Meloni che nella più comoda posizione di oppositrice al governo ha le mani libere per sparare a palle incatenate contro le decisioni di Draghi e dei ministri senza doversi prendere la responsabilità di proporre per forza delle alternative.

E che farà Salvini? Tornerà a essere il solito Salvini. Anzi, ha già cominciato. Nella distrazione generale ha cominciato a spargere un po’ di messaggi di odio e di razzismo: l’8 marzo ha commentato la notizia del referendum in Svizzera sul burqa mischiando un po’ le carte e parlando di «una decisione dei cittadini a difesa dei valori della civiltà occidentale ed europea, contro ogni violenza, discriminazione e sopraffazione»; lo stesso giorno ha scritto che «serve più rigore nel controllo degli sbarchi, anche alla luce del recente allarme dei Servizi di intelligence sui rischi di infiltrazione terroristica: i confini dell’Italia sono confini europei»; il 9 marzo è tornato ai fasti di un tempo annunciando l’intenzione di «confrontarmi al più presto con il Presidente Draghi e il ministro Lamorgese per trovare soluzioni. L’Italia soprattutto in pandemia – e con molti cittadini costretti a casa – non può permettersi sbarchi a raffica, clandestini a spasso e illegalità»; ieri è partito con le solite menzogne sbraitando «che il traffico di esseri umani sia un business per la malavita organizzata e che alcune Ong siano complici era una mia convinzione ed ora lo è anche di diverse procure» e dicendo chiaramente «continuo a pensare che, anche in un momento di pandemia, tornare a difendere i confini sia una necessità».

Come al solito, quando si trova in difficoltà, estrae dal cilindro migranti e confini che gli hanno fruttato tanta fortuna. Solo che il difficile momento nazionale (e la conformazione di questo governo) renderanno ancora più difficile la sua propaganda e allora urlerà ancora più forte, ancora più feroce, ancora più violento. E tornerà il solito Salvini, la sua conversione si dimostrerà una semplice posa e si ricomincia tutto da capo.

Segnatevelo.

Buon venerdì.

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I ristori ancora non si vedono, ma c’è Draghi e va tutto bene

Per ora hanno cambiato il nome: non si chiamano più “ristori”, ora si devono dire “sostegni” e, quando si è saputo in giro, la pletora di adoratori di Draghi e del Governo dei Migliori ha lanciato gridolini di gioia. A volte basta poco, evidentemente.

Però, che siano ristori o sostegni, la realtà dei fatti dice che di soldi per ora non ne siano arrivati: la crisi politica ha bloccato gli aiuti alle attività e alle imprese e da due mesi e mezzo (gli ultimi aiuti sono stati varati a dicembre) gli imprenditori si ritrovano senza aiuti nonostante le chiusure e, soprattutto, con la previsione di un’ulteriore stretta nei prossimi giorni.

Sui ritardi, tra l’ao, si registra un curioso silenzio della Lega (e infatti molti elettori sono infuriati con Salvini per questo improvviso cambio di rotta), interrotto solo dalle parole del ministro al Turismo Massimo Garavaglia che annuncia (ma non era il governo “del fare” senza annunci?) una prossima “misura importante per la montagna”.

Anche Fratelli d’Italia, pur essendo all’opposizione e nonostante per mesi abbia gridato allo scandalo per i ritardi degli aiuti di Stato, tace. Le voci (timide) di protesta si sono levate dal capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, che parla di “ritardo accumulato” dicendo che “è urgente, urgentissimo, approvare il decreto sui ristori. “È passato del tempo ormai dallo scostamento di bilancio che approvammo in Parlamento con 32 miliardi previsti per le imprese”, fa notare il senatore dem.

Anche il capogruppo al Senato del M5S, Ettore Licheri, prova a porre il punto: “Adesso però un governo c’è, ed è bene che i ministeri competenti si attivino con maggiore decisione”, ha detto in una nota.

Poi c’è un ao aspetto curioso: da qualche settimana non si vedono più in televisione e sui giornali ristoratori e partite Iva che protestano, eppure proprio in queste ore si stanno preparando nuove manifestazioni. Forse ha ragione lo chef Gianfranco Vissani, che racconta di non essere più chiamato “in tv per parlare del problema, come avveniva invece durante il governo Conte”.

Fermi anche i congedi parentali e i bonus baby sitter per chi ha figli in Dad, aiuti non ancora rinnovati nonostante la chiusura di molte scuole sul territorio nazionale a causa della cosiddetta “terza ondata”.

Tra pochi giorni è un mese di Governo Draghi. Quello che doveva essere un fulmineo cambio di passo per ora è fermo al palo: per ora il piano vaccini è ancora quello di prima, le Regioni vanno in ordine sparso e i soldi non arrivano. Però c’è entusiasmo, finché dura.

Leggi anche: Produci, consuma, crepa: siamo liberi di andare a lavoro e rinchiusi in casa nel tempo libero. È coerente? (di G. Cavalli) 

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Produci, consuma, crepa: siamo liberi di andare a lavoro e rinchiusi in casa nel tempo libero. È coerente?

L’argomento è terribilmente scivoloso e si gioca su un filo poiché la tossica presenza di no vax e di strillatori che vedono “dittatura sanitaria” dappertutto rende difficile avventurarsi in questa selva però ci provo, perché appiattirsi in nome della paura è uno stato sociale che dovremmo comunque cercare di evitare, perché se per cautela e protezione ci sono limitati i movimenti non si vede perché dovrebbero essere smussate anche le opinioni.

Da un anno abbiamo imparato a nostre spese che il virus che sta condizionando il mondo si combatte modificando i nostri comportamenti, usando dispositivi e cautele e adottando distanze fisiche (perché “distanziamento sociale” era e continua a essere una pessima definizione) che aiutano nella prevenzione del contagio.

Un anno fa abbiamo scelto che la nostra vita sociale e professionale venisse messa in pausa confidando che venissero prese tutte le iniziative utili per predisporre il contrasto: tamponi, tracciamento, trattamento sanitario, potenziamento del trasporto pubblico, rafforzamento della medicina di base, approntamento della campagna vaccinale, messa in sicurezza di scuole e di uffici, controllo serrato dei protocolli negli ambienti di svago e di lavoro.

Alcuni di questi punti sono stati disattesi o affrontati con forze inadeguate. Ma non è questo il punto, ora non si discute delle responsabilità. Un anno dopo ci ritroviamo in una situazione non molto dissimile dal primo lockdown: ospedali in sofferenza, i vaccini mancano, i contagi crescono e le nuove varianti colpiscono nuove fasce di popolazione.

La strategia del governo però appare sempre la stessa: libertà di movimento per quel movimento che serve appena per spostarsi nei luoghi di lavoro e per gli approvvigionamenti che servono per sopravvivere. Le ultime voci parlano di un lockdown “morbido” durante la settimana e di un pugno più duro durante il week-end. Per semplificare: lavorate, consumate e poi, solo poi, proteggetevi. Il modello è “produci, consuma, crepa”.

Decidere cosa chiudere e cosa tenere aperto significa comunque proporre un modello di priorità. Siamo sicuri che queste priorità non possano essere messe in discussione? C’è qualcuno che abbia l’autorità politica di aprire una riflessione sul disegno di Paese in piena pandemia? È possibile contestarne il modello? Davvero vogliamo lasciare tutto lo spazio delle critiche ai populisti destrorsi e ai complottisti? Perché forse ci farebbe bene a tutti pensare alle priorità di un Paese, anche in piena pandemia.

Leggi anche: Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di G. Cavalli)

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Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene

Ma ve la ricordate la “dittatura sanitaria”? Dico, vi ricordate tutto il baccano che si accendeva ogni volta che nell’aria si annusava il bisogno di un nuovo lockdown o anche semplicemente si ventilava l’ipotesi di nuove restrizioni?

C’era Salvini, era lui l’agitatore degli aperturisti, che strillava come un matto per convincerci che ogni nuova limitazione non fosse altro che la conferma dell’incapacità di quelli che governavano. Altri gli andavano dietro a scia, i suoi parlamentari e gli alleati di Fratelli d’Italia e anche qualche berlusconiano. Che vergogna, che schifo, ci dicevano, ora non si sentono più.

Ve le ricordate le prese per i fondelli per i colori delle regioni? Vi ricordate gli schiamazzi di chi ci spiegava che era un metodo punitivo che uccideva gli italiani e che veniva usato come arma politica? Ora i colori sono aumentati, c’è l’arancio scuro, il rosso rossissimo, il bianco con toni di grigio. Ma non si sente più nessuno strillare.

Vi ricordate le grandi battaglie di Salvini e dei suoi compagnucci aperturisti contro il coprifuoco? Vi ricordate tutte le ciance per la libertà e i vaneggiamenti sul diritto di pisciare il cane alle 4 del mattino? Che tempi: tutti esperti di Costituzione. Ora il coprifuoco potrebbe addirittura allargarsi e quelli, al solito, tutti zitti, spariti.

Vi ricordate le critiche ai Dpcm? Vi ricordate costituzionalisti, Renzi e Salvini, quelli che lamentavano la presenza di un governo autoritario? Sono gli stessi che criticavano la pletora di esperti che esautorava la politica e il Parlamento delle loro funzioni, quelli che chiamavano i tecnici “amichetti” e i consulenti li chiamavano “compagni”. Ora continuano i Dpcm, si allarga la schiera di esperti, eppure non s’ode una protesta manco a pagarla, niente.

E le scuole? Che vergogna, dicevano, le scuole chiuse e le famiglie in difficoltà che non sanno come tenere i propri figli. Ci risiamo, ma quelli che strillavano ora hanno perso il dono della protesta.

E vi ricordate quando dicevano di dare notizie certe, di smetterla di bisbigliare? Da giorni si discute di un lockdown senza fonti certi, retroscena dappertutto ma quelli tacciono, niente di niente.

E i ristori che arrivavano in ritardo? Ora è cambiato il nome, ma comunque si chiamino continuano a non arrivare, la sostanza non cambia, solo gli sfegatati oppositori tacciono. Insomma, il trucco era semplice semplice: bastava fare entrare i contestatori nel governo e continuare come prima. Intorno s’è fatto tutto accondiscendenza.

Leggi anche: Dagli oppioidi all’Arabia Suadita, le ombre su McKinsey: ecco a chi si è affidata l’Italia per il Recovery

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Papa Francesco in Iraq ha fatto politica. Quella che non sanno fare i potenti

Forse ci metteremo anni a capire l’importanza storica della visita di Papa Francesco in Iraq e chissà che non si possa imparare in fretta come la diplomazia, parola sgraziata e scarnificata in questi anni di commercio con una spolverata di finti diritti, è un esercizio serissimo che richiede il coraggio di andare controvento.

Papa Francesco è atterrato in Iraq e in pochi giorni ha infilato il dito nelle ingiustizie di quella parte di mondo che pochi si prendono la briga di raccontare, in mezzo alle macerie che stanno lì ma che sono partorite da tutto l’Occidente. Gli avevano sconsigliato di andare, i venditori di morte occidentali, fingendosi consiglieri apprensivi ma non riuscendo a non apparire ipocriti.

È entrato a pregare in Mosul, l’ex capitale delle milizie del Califfato da cui il Daesh ha sparso morte e ha ripetuto a voce alta che non esiste nessuna possibile guerra in nome di nessun Dio, che non è consentito “odiare i fratelli” e che non bisogna cedere ai “nostri interessi egoistici, personali o di gruppo”.

Al di là del credo di ognuno quelle parole sono un atto politico potentissimo. Così come rimarrà nella storia l’incontro con Ali al Sistani, la massima autorità religiosa sciita del paese, in una stanza spoglia che profuma di sala d’attesa, e in cui si è stretto l’impegno di una collaborazione tra comunità religiose che troppo spesso la politica gioca a brandire l’una contro l’altra.

Sono due uomini che si battono contro le divisioni e che riportano il discorso finalmente a un livello più alto, abbandonando i bassifondi di un razzismo religioso che anche dalle nostre parti si è acuito sempre di più. È il viaggio in cui Papa Francesco ha ascoltato le parole del padre di Alan Kurdi, naufragato su una spiaggia turca nel settembre del 2015 mentre con la madre e con il fratello tentava di raggiungere l’Europa.

Una foto che ha fatto il giro del mondo ma di cui ancora nessuno ha chiesto scusa, nemmeno tra i responsabili politici di una tragedia che ancora oggi continua a rinnovarsi. Le cronache raccontano di un Papa che “ha ascoltato, più che parlare”: quella è una storia che va ascoltata e raccontata, ascoltata e raccontata.

Papa Francesco, comunque la si pensi, si è preso una responsabilità politica enorme gettando luce là dove molti vorrebbero convenientemente mantenere il buio esercitando la diplomazia nel suo senso più alto, guardando negli occhi e quindi legittimando le vittime. Mentre tutti sono concentrati sul proselitismo ascoltare diventa perfino un atto rivoluzionario.

Leggi anche: 1. La prima volta di un Papa in Iraq: Francesco va nei luoghi che furono dell’Isis per costruire la pace

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Per niente geni ma guastatori

Eppure l’avevamo scritto più volte proprio su queste pagine che le manovre che hanno portato alla nascita del governo Draghi non avesse nulla a che fare con il civismo e con le competenze, che quella fosse solo la confezione con cui ci è stata messa sullo scaffale ma che dietro, gratta gratta, ci fosse una riflessione politicissima, della politica peggiore, di quella che studia giorno e notte come disarticolare gli avversari e che poi ci si presenta come innovatrice e riformista.

E così accade che ieri il Movimento 5 Stelle in fondo si sia spezzato nel suo asse ormai logorato con Casaleggio e con l’associazione Rousseau (pronta a farsi partito) e che il Partito democratico abbia viste rassegnate le dimissioni di uno  Zingaretti che potrebbe essere molto meno rassegnato di come appare.

Del resto, piaccia o no, la strategia di un fronte formato da Pd e M5s per combattere la destra ha, per il momento, fallito e il fatto che Conte, indicato più volte dal segretario Pd come «punto di riferimento riformista» e «federatore» di questo nuovo centrosinistra, abbia deciso sostanzialmente di diventare organico al M5s ha maggiormente logorato il suo partito.

Ma nella discussione generale, con tutte le sensibilità che ci sono in campo, continua a sfuggire che il Partito democratico guidato da Zingaretti in Parlamento sia una truppa scelta in tutto e per tutto dal principe guastatore segretario precedente, quello che ora con i suoi fuoriusciti guida il suo partito personale e che continua ad avere stretti rapporti con molti rimasti ancora nel Pd. In sostanza: in un partito che è sempre stato dilaniato dalle correnti (che favoleggiano di ricambio e poi invece sono sempre lì, perfino sempre con gli stessi capibastone) continuano a resistere anche le scorie di una corrente precedente che è stata fortissimamente maggioritaria.

Ha buone ragioni Zingaretti nel denunciare (peccato, su Facebook) la «guerriglia quotidiana» e le «vergognose polemiche sulle poltrone» (a proposito, quando lo si scriveva si veniva additati come visionari, ricordate?) ma per coloro che sanno fare politica solo architettando sgambetti, solo dedicandosi alla costante usura del leader in carica, solo occupandosi di preservare il proprio piccolo spazio di potere, solo immaginando un mondo di continui nemici interni, solo dedicandosi a strategie di cortile, per quelli il Pd è il campo perfetto per potere esercitare le proprie brutture. Ed è così da anni.

Una cosa è certa: questo governo è perfetto per riabilitare la destra e per fare implodere il centrosinistra. Qualcuno evidentemente ne era consapevole. Ora fatevi due conti. Sono quelli che si credono geni e invece sono solo guastatori.

Buon venerdì.

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